Sant'Agostino - La Trinità 500

LIBRO QUINTO

Ciò che Agostino chiede a Dio, ciò che chiede ai lettori

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Incominciando ora a trattare di quelle cose che nessuno - almeno io no di certo - può esprimere in maniera adeguata a come le pensa - anche il nostro pensiero stesso si sente superato di molto, quando meditiamo su Dio Trinità, dall'oggetto cui si applica e non lo può attingere qual è, ma anzi, anche persone della grandezza dell'apostolo Paolo, come dice la Scrittura, lo vedono per specchio, in enigma 1 - è anzitutto al Signore Dio nostro, al quale sempre dobbiamo pensare senza potervi pensare degnamente, al quale, con la lode, è dovuta in ogni momento la benedizione 2, senza che vi sia parola capace di esprimerlo adeguatamente, che domando soccorso, per comprendere e spiegare ciò che mi propongo, e perdono per i miei eventuali errori. Tengo infatti ben presente non solo la mia intenzione, ma anche la mia debolezza. Anche ai miei lettori chiedo di scusarmi se si accorgeranno che non ho potuto esprimere, come avrei voluto, ciò che essi o comprendono meglio di me, o che l'oscurità del mio linguaggio li impedisce di comprendere; come io li scuso se è la loro lentezza di spirito che li impedisce di comprendere.

Dio è qualcosa di molto migliore di ciò che c'è di meglio in noi

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Ci perdoneremo più facilmente a vicenda se avremo compreso, o almeno avremo creduto con fermezza, che tutto ciò che si afferma della natura immutabile e invisibile, vita somma e che basta a se stessa, si ha da giudicare con misura diversa da quella costituita dalle consuete realtà visibili, mutevoli, mortali, miserabili. Noi ci affanniamo per farci una conoscenza scientifica di ciò che cade sotto i nostri sensi corporei e di ciò che noi siamo nella nostra vita interiore, e non ci riusciamo. Tuttavia non c'è arroganza, se nella ricerca del divino ed ineffabile che ci supera si infiamma la pietà sincera, non quella che si gonfia per la presunzione delle proprie forze, ma quella che si infiamma per la grazia dello stesso Creatore e Salvatore. Con quale intelletto infatti conosce Dio l'uomo che non conosce ancora il suo stesso intelletto con il quale vuol conoscere Dio? E se lo comprende avverta con diligenza che non c'è nella sua natura nulla di migliore e veda se scopre in esso lineamenti di forme, splendore di colori, grandezza spaziale, distanza di parti, estensione di una mole, spostamenti spaziali, o qualsiasi cosa di questo genere. Certamente non troviamo nulla di questo in ciò che vi è di migliore in noi, cioè nel nostro intelletto, con il quale attingiamo la sapienza, quanta ne siamo capaci. Ebbene ciò che non troviamo in ciò che vi è di migliore in noi, non dobbiamo cercarlo in Colui che è molto migliore di ciò che vi è di migliore in noi. Concepiamo dunque Dio, se possiamo, per quanto lo possiamo, buono senza qualità, grande senza quantità, creatore senza necessità, al primo posto senza collocazione, contenente tutte le cose ma senza esteriorità, tutto presente dappertutto senza luogo 3, sempiterno senza tempo, autore delle cose mutevoli pur restando assolutamente immutabile ed estraneo ad ogni passività. Chiunque concepisce Dio a questo modo, sebbene non possa ancora scoprire perfettamente ciò che è, evita almeno con pia diligenza, per quanto può, di attribuirgli ciò che non è 4.

Dio è l'Essere

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Dio è tuttavia senza alcun dubbio sostanza, o, se il termine è più proprio, essenza, che i Greci chiamano . Come infatti dal verbo sapere si è fatto derivare sapientia, da scire scientia, dal verbo esse si è fatto derivare essentia 5. E chi è dunque più di Colui che ha dichiarato al suo servo Mosè: Io sono colui che sono 6. Dirai ai figli di Israele: Colui che è, mi ha mandato a voi 7? Ma tutte le altre essenze o sostanze che conosciamo, comportano degli accidenti, da cui derivano ad esse trasformazioni grandi o piccole. Dio però è estraneo a tutto questo e perciò vi è una sola sostanza immutabile o essenza, che è Dio, alla quale conviene nel senso più forte e più esatto, questo essere dal quale l'essenza deriva il suo nome. Perché ciò che muta non conserva l'essere, e ciò che può mutare, anche se di fatto non muta, può non essere ciò che era. Perciò solo ciò che, non soltanto non muta, ma soprattutto non può assolutamente mutare, merita senza riserve ed alla lettera il nome di essere.

L'argomentazione degli Ariani

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Cominciamo dunque a rispondere agli avversari della nostra fede anche su queste questioni in cui né l'espressione eguaglia il pensiero, né il pensiero la realtà. Fra i tanti argomenti che gli Ariani sogliono contrapporre alla fede cattolica ve n'è uno che essi sembrano considerare come l'espediente più ingegnoso. È quando dicono: "Quanto si enuncia o si pensa di Dio, si predica non in senso accidentale, ma in senso sostanziale. Perciò il Padre possiede l'attributo di ingenerato secondo la sostanza, come anche il Figlio possiede secondo la sostanza l'attributo di generato. Ma non è la stessa cosa essere ingenerato ed essere generato. Di conseguenza la sostanza del Padre e la sostanza del Figlio sono differenti" 8. Noi rispondiamo: "Se tutto ciò che si predica di Dio, si predica secondo la sostanza, allora l'affermazione: Io e il Padre siamo una cosa sola 9, riguarda la sostanza. Perciò unica è la sostanza del Padre e del Figlio". Ovvero, se questa affermazione non concerne la sostanza, allora c'è qualcosa che non si attribuisce a Dio secondo la sostanza e non siamo più obbligati ad intendere in senso sostanziale "ingenerato" e "generato". Similmente si afferma del Figlio: Non stimò una rapina essere uguale a Dio 10; uguale in qual senso? chiediamo. Infatti se non è detto uguale in senso sostanziale, essi ammettono che non tutto ciò che si predica di Dio concerne la sostanza. Ammettano allora che "ingenerato" e "generato" non si debbano intendere secondo la sostanza. Se non lo ammettono, perché pretendono che tutto ciò che si attribuisce a Dio ha valore sostanziale, allora il Figlio è uguale al Padre secondo la sostanza.

La mutazione è essenziale ad ogni accidente

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Accidente designa ordinariamente una realtà che una mutazione nella cosa cui appartiene può far scomparire. Certo vi sono degli accidenti, come si dice, inseparabili, i Greci li chiamano come il colore nero delle piume del corvo, tuttavia esse perdono il colore, non fino a quando sono piume, ma perché cessano di essere piume. Ecco perché la stessa materia è soggetta al mutamento e per il fatto che cessa di esistere quell'animale o quella piuma e quel corpo tutto intero si muta e converte 11 in terra, essa perde evidentemente anche quel colore. Certo anche l'accidente che si chiama separabile scompare non per separazione, ma per mutazione. Così, ad esempio, il nero dei capelli umani, poiché i capelli possono incanutire, si chiama accidente separabile. Ma per gli osservatori attenti appare sufficientemente evidente che non vi è separazione, come se qualche cosa emigrasse dalla testa che incanutisce, in modo tale che il nero si ritiri e se ne vada altrove per lasciar posto al bianco, ma che qui c'è proprio un mutamento ed una trasformazione della qualità del colore. Perciò nulla è accidente in Dio, perché in lui nulla vi è che possa mutare e che possa scomparire. Se poi si vuole chiamare accidente anche ciò che, sebbene non scompaia, tuttavia diminuisce e si accresce, come la vita dell'anima - per tutto il tempo infatti che l'anima esiste, vive, e poiché l'anima esiste sempre, sempre essa vive; ma essa vive più intensamente quando è saggia, meno finché è insipiente, ed è questo una specie di mutamento, che non fa cessare la vita, come all'insensato viene a mancare il buon senso, ma la diminuisce - nemmeno qualcosa di questo genere accade in Dio, perché egli rimane assolutamente immutabile.

Le relazioni divine

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Dunque in Dio nulla ha significato accidentale, perché in lui non vi è accidente, e tuttavia non tutto ciò che di lui si predica, si predica secondo la sostanza. Nelle cose create e mutevoli, ciò che non si predica in senso sostanziale, non può venir predicato che in senso accidentale. In esse è accidente tutto ciò che può scomparire o diminuire: le dimensioni, le qualità e le relazioni, come le amicizie, parentele, servitù, somiglianze, uguaglianze e le altre cose di questo genere; la posizione, il modo di essere, lo spazio e il tempo, l'azione e la passione 12. Ma in Dio nulla si predica in senso accidentale, perché in Lui nulla vi è di mutevole; e tuttavia non tutto ciò che si predica, si predica in senso sostanziale. Infatti si parla a volte di Dio secondo la relazione 13; così il Padre dice relazione al Figlio e il Figlio al Padre, e questa relazione non è accidente, perché l'uno è sempre Padre, l'altro sempre Figlio. Sempre non nel senso che il Padre non cessi di essere Padre dal momento della nascita del Figlio, o perché da questo momento il Figlio non cessa mai di essere Figlio, ma nel senso che il Figlio è nato da sempre e non ha mai cominciato ad essere Figlio. Perché se avesse cominciato in un certo tempo ad essere Figlio, ed un giorno cessasse di esserlo, questa sarebbe una denominazione accidentale. Se invece il Padre fosse chiamato Padre in rapporto a se stesso e non in relazione al Figlio, e se il Figlio fosse chiamato Figlio in rapporto a se stesso e non in relazione al Padre, l'uno sarebbe chiamato Padre, l'altro Figlio in senso sostanziale. Ma poiché il Padre non è chiamato Padre se non perché ha un Figlio ed il Figlio non è chiamato Figlio se non perché ha un Padre, queste non sono denominazioni che riguardano la sostanza. Né l'uno né l'altro si riferisce a se stesso, ma l'uno all'altro e queste sono denominazioni che riguardano la relazione e non sono di ordine accidentale, perché ciò che si chiama Padre e ciò che si chiama Figlio è eterno ed immutabile. Ecco perché, sebbene non sia la stessa cosa essere Padre ed essere Figlio, tuttavia la sostanza non è diversa, perché questi appellativi non appartengono all'ordine della sostanza, ma della relazione; relazione che non è un accidente, perché non è mutevole.

Argomentazione degli Ariani sulla voce "Ingenerato"

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Gli Ariani credono di controbattere queste argomentazioni nel modo seguente: Padre è una denominazione relativa al Figlio, e Figlio al Padre, ma "ingenerato" e "generato" non implicano alcuna relazione; si dicono invece in rapporto a se stessi. Infatti dire "ingenerato" non è la stessa cosa che dire "Padre", perché anche se non avesse generato il Figlio, nulla impedirebbe di chiamarlo ingenerato, e quando qualcuno genera un figlio non per questo è egli stesso ingenerato. Generati da altri uomini, gli uomini ne generano essi stessi degli altri. Dicono dunque: "Padre" è un nome relativo al Figlio, e "Figlio" un nome relativo al Padre, ma "ingenerato" è un nome assoluto, come pure "generato". Perciò, se ogni nome assoluto concerne la sostanza e d'altra parte non è la stessa cosa essere ingenerato ed essere generato, ne consegue che la sostanza è diversa. Quando parlano così non comprendono che fanno sull'"ingenerato" un'asserzione che richiede un esame più attento. Infatti non perché uno è ingenerato è per questo padre, né perché padre è per questo ingenerato, e perciò si ritiene che "ingenerato" non ha senso relativo, ma assoluto. Non avvertono a causa di uno straordinario accecamento che "generato" invece non può non avere un senso relativo. Perciò è chiaro che uno è figlio perché generato, e generato perché figlio. Ma come figlio dice relazione a padre, così generato a genitore, e come padre dice relazione a figlio, così genitore a generato. Dunque genitore e ingenerato sono due concetti distinti. Certo l'uno e l'altro appellativo è attribuito a Dio Padre: tuttavia l'uno è relativo al generato, cioè al Figlio, cosa che nemmeno gli Ariani negano, l'altro - "ingenerato" - è assoluto, come essi affermano. Perciò dicono: "Se è attribuita al Padre una denominazione di ordine assoluto, che non può essere attribuita in senso assoluto al Figlio, e d'altra parte ogni denominazione assoluta concerne la sostanza, poiché "ingenerato", appellativo che non si può applicare al Figlio, ha senso assoluto, ne consegue che "ingenerato" si dice in senso sostanziale, e così il Figlio, perché non si può chiamare ingenerato, non è della stessa sostanza" 14. Ecco come si risponde a questa argomentazione astuta per costringerli a dire in che cosa il Figlio sia uguale al Padre: è uguale per ciò che è in senso assoluto o per la relazione al Padre? Ora non è uguale in quanto dice relazione al Padre, perché figlio è un termine relativo a padre, ma il padre non è figlio, bensì padre. Infatti padre e figlio non sono dei correlativi, come amici o vicini. Si parla di amico in relazione ad un amico e, se i due si amano ugualmente, l'amicizia è identica in ambedue. Così pure si parla di vicino in relazione ad un vicino; e, poiché i vicini sono ugualmente vicini tra loro (perché l'uno è tanto vicino all'altro, quanto questo a quello) la vicinanza è identica in ambedue. Ma figlio non dice relazione al figlio, ma ad un padre e perciò non è nel senso della sua relazione al Padre che il Figlio è uguale al Padre. Il Figlio dunque non può essere uguale che in senso assoluto. Ma tutto ciò che si afferma in senso assoluto concerne la sostanza; perciò l'uguaglianza del Figlio non può essere che di ordine sostanziale. Dunque il Padre ed il Figlio sono di una stessa sostanza. Ma quando si dice che il Padre è ingenerato, non si designa ciò che è, bensì ciò che non è 15, mentre la negazione del relativo non è una negazione di ordine sostanziale, perché il relativo non concerne la sostanza.

La negazione non muta il predicamento

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Ciò apparirà più chiaro con alcuni esempi. Anzitutto occorre osservare che "generato" ha lo stesso senso di "figlio". Infatti uno è figlio perché generato e generato perché figlio. Di conseguenza, quando si dice "ingenerato" si nega che sia figlio. Ma "generato" e "ingenerato" sono parole correnti, mentre in latino, se c'è il termine filius, il linguaggio usuale non autorizza la parola infilius. Tuttavia si conserva integro il senso se si dice: non filius, come pure se si dice: non genitus; dato che "ingenerato" non significa altro che "non generato". Allo stesso modo "vicino" ed "amico" sono termini ugualmente relativi, ma non si può tuttavia dire: invicinus, come si dice: inimicus. Perciò nelle cose non bisogna badare a ciò che permette o non permette l'uso del nostro linguaggio, ma quale senso riflettano le cose stesse. Non diciamo qui, dunque, "ingenerato" benché il latino lo permetta, ma in suo luogo diciamo: "non generato", che ha lo stesso senso. Ma allora non è lo stesso che dire "non figlio"? Premettere la particella negativa non conferisce un senso sostanziale a un termine che, privo di essa, ha un senso relativo. Si nega soltanto ciò che senza di essa veniva affermato, come negli altri predicamenti. Quando diciamo, per esempio, "È un uomo", designiamo la sostanza. Chi dice dunque: "Non è un uomo" non enuncia un'altra specie di predicamento, ma soltanto nega il medesimo. Come ha un senso sostanziale la mia affermazione: "È un uomo", ha un senso sostanziale la mia negazione, quando dico: "Non è un uomo". E se qualcuno mi chiede la statura di quest'uomo e rispondo: Quadripedalis, cioè "quattro piedi", la mia affermazione concerne la quantità, e chi dice: "Non è di quattro piedi", la sua negazione concerne la quantità. "È bianco" è un'affermazione che si riferisce alla qualità; "Non è bianco" è una negazione che riguarda la qualità. "È vicino", è un'affermazione di relazione; "Non è vicino" è una negazione di relazione. È la posizione che affermo, quando dico: "Giace"; ed è la posizione che nego quando dico: "Non giace". È la maniera esteriore di essere che affermo, quando dico: "È armato"; è questa maniera di essere che nego, quando dico: "Non è armato"; ed è la stessa cosa se dico: "È inerme". Quando dico: "È di ieri", affermo il tempo; nego il tempo quando dico: "Non è di ieri". E quando dico: "È a Roma", la mia affermazione riguarda il luogo, e la mia negazione si riferisce al luogo quando dico: "Non è a Roma". Parlo dell'azione quando affermo: "Percuote"; e pure dell'azione nella negazione: "Non percuote", per dire che non fa questo. Infine, quando dico: "È percosso", chiamo in causa il predicamento detto passione, ed escludo questo stesso predicamento dicendo: "Non è percosso". E così non c'è alcun tipo di predicamento riferendoci al quale noi vogliamo formulare un'affermazione, senza che siamo costretti a negare nei termini dello stesso predicamento, se noi vogliamo far uso, preponendola, della particella negativa 16. Stando così le cose 17, se mi riferisco alla sostanza quando dico "Figlio", alla sostanza si riferisce la mia negazione quando dico: "Non figlio". Ma poiché alla relazione si riferisce la mia affermazione, quando dichiaro: "È figlio", perché dice relazione ad un padre, la mia negazione ha pure un senso relativo quando dirò: "È non figlio", perché lo riferisco al Padre, volendo dimostrare che non ha un padre. Ma se dire figlio ha lo stesso senso che dire "generato", come abbiamo detto prima, dire "non generato" ha lo stesso senso che dire "non figlio". Ora ha un senso negativo la nostra negazione: "Non figlio"; dunque anche la nostra negazione: "Non generato". Ma "ingenerato" è una cosa diversa da "non generato"? Non si esce dunque dal predicamento della relazione quando si dice "ingenerato". Il termine "generato" non si rapporta al soggetto in se stesso, ma significa che esso ha origine dal genitore; così quando si dice "ingenerato", non si indica un rapporto al soggetto in se stesso, ma si vuole dire che questo non ha un genitore. Ora tuttavia tutte e due le espressioni appartengono al medesimo predicamento, quello chiamato relazione. Ora un termine relativo non significa la sostanza. Di conseguenza, nonostante la diversità di "generato" e "ingenerato", essi non indicano una diversità di sostanza, perché, come "figlio" si riferisce a "padre", e "non-figlio" a "non-padre", così "generato" dice relazione necessariamente a "genitore" e "non-generato" a "non-genitore".

Alcuni attributi si applicano a Dio in senso sostanziale, altri in senso relativo, altri in senso figurato

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Pertanto teniamo anzitutto ben fermo questo: tutto ciò che a quella eccelsa e divina sublimità si attribuisce in senso assoluto ha significato sostanziale; ciò che si attribuisce nel senso della relazione 18 non concerne la sostanza, ma la relazione. Teniamo ben fermo anche che nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo l'identità di sostanza è talmente potente che tutto ciò che si attribuisce a ciascuno di essi in senso assoluto va inteso non al plurale collettivo, ma al singolare. Così il Padre è Dio, anche il Figlio è Dio, ugualmente lo Spirito Santo è Dio, e questo è un appellativo di ordine sostanziale, nessuno ne dubita; tuttavia non sono tre dèi, ma noi diciamo che la eccelsa Trinità è un Dio solo. Così il Padre è grande, grande è il Figlio, grande anche lo Spirito Santo; né tuttavia vi sono tre grandi, ma un solo grande. Non è infatti soltanto del Padre, come gli Ariani ritengono a torto, ma del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo che è stato scritto: Tu sei il solo Dio, grande 19. Così pure il Padre è buono, il Figlio è buono, lo Spirito Santo è buono; ma non vi sono tre buoni, bensì un solo buono, del quale la Scrittura dice: Nessuno è buono se non Dio 20. Infatti il Signore Gesù per non essere considerato soltanto un uomo da colui che si era rivolto a lui come ad un uomo, invocandolo: Maestro buono 21, non disse: "Nessuno è buono, se non il Padre solo", ma: Nessuno è buono, se non Dio solo. Perché nel nome "Padre" è designato il Padre personalmente, ma nel nome di Dio è designato Lui e il Figlio e lo Spirito Santo, perché la Trinità è un Dio solo. Invece la posizione, il modo di essere, il luogo, il tempo non si predicano di Dio in senso proprio, ma in senso figurato e metaforico. Così si dice che sta seduto sui Cherubini 22, facendo riferimento alla posizione; vestito dell'abisso come di un abito 23, facendo riferimento al modo di essere; è detto inoltre: I tuoi anni non avranno fine 24, espressione che si riferisce al tempo; ed anche: Se salirò al cielo, lassù sei 25, e questo si riferisce al luogo. Per quanto riguarda l'azione, forse essa si predica solo di Dio in senso pienamente vero; solo Dio infatti fa, senza essere fatto lui stesso, né subisce nulla nella sua sostanza in virtù della quale è Dio. Perciò: "Il Padre è onnipotente, il Figlio è onnipotente, lo Spirito Santo è onnipotente: tuttavia non vi sono tre onnipotenti, ma un solo Onnipotente, dal quale, per mezzo del quale, per il quale sono tutte le cose; a Lui la gloria 26". Dunque tutto ciò che si attribuisce a Dio in senso assoluto, si attribuisce con tre affermazioni ad ogni singola Persona, cioè al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo, e nello stesso tempo alla Trinità stessa; non al plurale, ma al singolare. E questo perché per Dio essere ed essere grande non sono cosa diversa, ma per Lui essere ed essere grande sono la stessa cosa. Perciò, come non parliamo di tre essenze, non parliamo di tre grandezze, ma di una sola essenza e d'una sola grandezza. Dico "essenza" per esprimere ciò che in greco si dice , ma noi usiamo più correntemente il termine "sostanza".

Un'essenza, tre Persone

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I Greci usano anche la parola ? ma ignoro che differenza pongano tra e , e la maggior parte di coloro che fra noi trattano di queste cose, in greco dicono abitualmente: , ? in latino: unam essentiam, tres substantias.

Ma


poiché presso di noi il linguaggio parlato ha fatto sì che la parola essenza significhi la stessa cosa che la parola sostanza, non osiamo dire: "un'essenza, tre sostanze", ma: "un'essenza o sostanza e tre persone". Di questa formula molti latini che hanno trattato di queste questioni e meritano credito hanno fatto uso, non trovando un'espressione più appropriata per esprimere con parole ciò che concepivano senza parole. In effetti, poiché il Padre non è il Figlio, il Figlio non è il Padre, e lo Spirito Santo, che è anche chiamato dono di Dio 27, non è né il Padre né il Figlio, sono tre evidentemente, per questo la Scrittura dice al plurale: Io e il Padre siamo una sola cosa 28. Non disse infatti: "è una sola cosa", come pretendono i Sabelliani 29, ma: siamo una sola cosa. Tuttavia se si chiede che cosa sono questi Tre, dobbiamo riconoscere l'insufficienza estrema dell'umano linguaggio. Certo si risponde: "tre persone", ma più per non restare senza dir nulla, che per esprimere quella realtà.

In Dio non ci sono tre grandezze, né tre grandi

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Dunque, come non diciamo tre essenze, così non diciamo tre grandezze, né tre grandi. Infatti nelle cose che sono grandi per partecipazione alla grandezza e per le quali essere ed essere grandi non è la stessa cosa, come: una grande casa, una grande montagna, un grande spirito; in queste cose altro è la grandezza, altro ciò che la grandezza rende grande; una grande casa non è evidentemente la grandezza. Ma la vera grandezza è quella che non solo rende grande una casa che è grande, grande ogni montagna che è grande, ma quella che fa grande tutto ciò che è grande, in modo che una cosa sia la grandezza, un'altra ciò che per essa riceve l'attributo di grande. Questa grandezza è grande originariamente e molto superiore a ciò che è grande perché ad essa partecipa. Dio non è grande di una grandezza che sia altra cosa che Lui stesso, come se Dio ad essa partecipasse per essere grande. Altrimenti quella grandezza sarebbe più grande di Dio, mentre non c'è nulla che sia più grande di Dio. Perciò Egli è grande di quella grandezza che fa di Lui la stessa grandezza. Perciò, come non diciamo tre essenze, così non diciamo tre grandezze, perché per Dio essere è la stessa cosa che essere grande. Per la stessa ragione non diciamo tre grandi, ma un solo grande, perché Dio non è grande per la partecipazione alla grandezza, ma è grande perché è Lui stesso grande, dato che egli è la sua stessa grandezza. Altrettanto si deve dire della bontà, dell'eternità, dell'onnipotenza, di tutti i predicamenti che si possono applicare a Dio e che abbiano significato assoluto e si applichino in senso proprio, non figurato e metaforico; ammesso però che la bocca dell'uomo possa dire di Lui qualcosa in senso proprio.

Gli attributi relativi nella Trinità

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Invece le attribuzioni fatte in senso proprio a ogni singola persona della Trinità non riguardano aspetti assoluti, ma concernono le relazioni delle Persone tra loro o con le creature, e perciò si predicano in senso relativo, non in senso sostanziale. Nel senso in cui la Trinità si dice un solo Dio, grande, buono, eterno, onnipotente, nel senso in cui Dio può dirsi la sua stessa deità, la sua stessa grandezza, la sua stessa Trinità, la sua stessa onnipotenza, non può invece la Trinità dirsi Padre se non forse in senso traslato, rispetto alle creature a motivo della filiazione adottiva. Infatti il testo biblico: Ascolta, Israele, il Signore Dio tuo è l'unico Signore 30, non deve intendersi escludendo il Figlio e lo Spirito Santo. E questo unico Signore nostro Dio lo chiamiamo giustamente anche nostro Padre 31, in quanto ci rigenera con la sua grazia. Al contrario la Trinità non si può chiamare Figlio in alcun modo 32. Quanto a Spirito Santo è un'espressione che si può prendere in senso generale, come nella Scrittura: Dio è Spirito 33, perché anche il Padre è Spirito, anche il Figlio è Spirito, come pure anche il Padre è santo, anche il Figlio è santo. Perciò il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, poiché sono un Dio solo, e Dio è santo e Dio è Spirito, si possono chiamare Trinità e Spirito Santo 34. Ma tuttavia lo Spirito Santo, non nel senso della Trinità ma di una persona della Trinità, quando si chiama Spirito Santo per distinguerlo dalle altre Persone, si intende relativamente, riferendolo al Padre e al Figlio, perché lo Spirito Santo è Spirito del Padre e del Figlio 35. La relazione stessa però non appare in questo nome, appare invece nell'appellativo dono di Dio 36. Infatti è un dono sia del Padre che del Figlio, perché procede dal Padre 37, come dice il Signore, e ciò che afferma l'Apostolo: Chi non ha lo Spirito di Cristo, non è di lui 38, concerne certamente lo Spirito Santo. Così quando diciamo: "dono del donatore", e: "donatore del dono", usiamo l'una e l'altra espressione in senso reciprocamente relativo. Lo Spirito Santo è dunque una specie di ineffabile comunione tra il Padre ed il Figlio, e forse è chiamato così proprio perché questa stessa denominazione può convenire al Padre e al Figlio. Infatti per lui è nome proprio quello che per gli altri è nome comune, perché anche il Padre è spirito, e spirito è anche il Figlio, anche il Padre è santo e santo anche il Figlio. Affinché dunque una denominazione, che conviene ad ambedue, indichi la loro reciproca comunione, si chiama Spirito Santo il dono di entrambi. Ecco la Trinità, Dio unico e solo, buono, grande, eterno, onnipotente: Lui stesso la sua unità, la sua divinità, la sua grandezza, la sua bontà, la sua eternità, la sua onnipotenza.

Per esprimere la relazione mutua talvolta manca il vocabolo correlativo

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Non c'è da sorprendersi che lo Spirito Santo, non inteso come la stessa Trinità, ma in senso relativo come una persona della Trinità, non abbia il suo vocabolo correlativo. Noi infatti diciamo servo del padrone e padrone del servo, figlio del padre e padre del figlio, perché questi sono termini correlativi. Ma in questo caso non possiamo esprimerci così. Diciamo infatti Spirito Santo del Padre 39, ma non in senso inverso Padre dello Spirito Santo, perché non si creda che lo Spirito Santo è figlio di Lui. Così pure diciamo Spirito Santo del Figlio 40, ma non diciamo Figlio dello Spirito Santo, affinché non si consideri lo Spirito Santo padre di lui. In molti relativi accade di non trovare alcun termine che esprima il legame reciproco delle realtà relative. C'è per caso un termine più chiaramente relativo di pegno? Un pegno si riferisce evidentemente alla cosa di cui è pegno, e il pegno è sempre pegno di qualche cosa. Ora se noi diciamo pegno del Padre e del Figlio 41, possiamo anche dire inversamente Padre del pegno e Figlio del pegno? Altrettanto quando diciamo del Padre e del Figlio, certo non possiamo dire Padre del dono e Figlio del dono, ma perché vi sia una corrispondenza reciproca diciamo dono del donatore e donatore del dono; in questo caso infatti si può trovare un'espressione corrente; nell'altro caso, no.

Senso relativo del termine "principio" applicato alla Trinità

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Dunque il Padre è chiamato così in senso relativo, pure in senso relativo è chiamato principio o forse con un altro nome. Ma lo si chiama Padre in relazione al Figlio, principio invece in rapporto a tutto ciò che da lui proviene. Come pure il Figlio si chiama così in senso relativo ed in senso relativo si chiama Verbo o Immagine. Tutti questi termini implicano relazione al Padre, perciò nessuno di essi si applica al Padre. Il Figlio si chiama anche principio. Infatti alla domanda: Tu chi sei? rispose: Il principio, io che parlo a voi 42. Ma è per caso il principio del Padre? Evidentemente dicendo di essere principio ha voluto rivelarsi quale Creatore, proprio come principio delle creature è il Padre, in quanto tutte le creature da Lui ricevono l'essere. Creatore dice relazione alla creatura, come padrone a servo. Così quando noi chiamiamo il Padre principio 43, e principio il Figlio 44, non intendiamo dire che vi siano due principi della creazione, perché il Padre e il Figlio in ordine alla creazione sono insieme un solo principio, un Creatore unico 45 ed un Dio unico. Ma se tutto ciò che rimanendo in se stesso genera o fa qualcosa è principio per quella cosa che genera o fa, non possiamo negare che sia esatto chiamare principio anche lo Spirito Santo, in quanto non gli rifiutiamo l'appellativo di Creatore e la Scrittura afferma di lui che opera 46, ed opera rimanendo in se stesso: egli infatti non si trasforma e converte 47 in alcuna delle cose che opera. Osserva quali sono le cose che opera: La manifestazione dello Spirito Santo, dice la Scrittura, è data a ciascuno per l'utilità comune. Infatti dallo Spirito ad uno è dato il linguaggio della sapienza, ad un altro il linguaggio della scienza, secondo il medesimo Spirito; ad un altro la fede nel medesimo Spirito Santo; ad un altro il dono delle guarigioni, nell'unico Spirito; ad uno il dono di operare miracoli, ad un altro la profezia; ad uno il discernimento degli spiriti; ad un altro le diversità delle lingue; ad un altro l'interpretazione delle lingue. Ora tutte queste cose le compie un solo e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno in particolare come vuole 48, cioè come Dio vuole, perché chi è capace di operare tante meraviglie, se non Dio? È uno stesso Dio che opera tutto in tutti 49. Del resto se ci si interroga sullo Spirito Santo singolarmente, rispondiamo con tutta verità che è Dio e un solo Dio 50, con il Padre e il Figlio. Perciò in rapporto alla creatura Dio è considerato un principio unico, non due o tre princìpi.

Il Padre e il Figlio principio dello Spirito Santo

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Nella mutua relazione all'interno della Trinità, se chi genera è principio in rapporto a ciò che egli genera, il Padre è principio in rapporto al Figlio, perché lo genera. Ma non è questione di poco conto chiarire se il Padre sia principio ugualmente in rapporto allo Spirito Santo, perché la Scrittura dice dello Spirito Santo: Procede dal Padre 51. Se infatti lo è, il Padre non è più soltanto principio di ciò che genera o fa, ma anche di ciò che Egli dà. E qui si trova un po' di luce sulla questione che suole preoccupare molti, cioè: perché anche lo Spirito Santo non è figlio, dato che anch'egli esce dal Padre, come si legge nel Vangelo 52? Certo egli esce dal Padre, ma come dono, non come nato e perciò non si chiama figlio perché né è nato come l'Unigenito, né è stato fatto, come noi, per nascere in virtù della grazia quali figli adottivi 53. Ciò che è nato dal Padre dice relazione, secondo l'espressione "Figlio", solo al Padre e perciò si tratta del Figlio del Padre e non anche nostro 54. Ma ciò che è stato dato, dice relazione a Colui che ha dato e a coloro ai quali l'ha dato. Per questo lo Spirito Santo è detto non soltanto Spirito del Padre e del Figlio, che lo hanno dato, ma anche nostro, perché lo abbiamo ricevuto 55. Altrettanto la salvezza si dice: Salvezza del Signore 56, per indicare Lui, e: salvezza nostra 57, per indicare noi che la riceviamo. Lo Spirito è dunque Spirito di Dio, perché lo ha dato, e nostro perché lo abbiamo ricevuto. Ma non si tratta dello spirito che è fonte della nostra esistenza, spirito proprio all'uomo 58 ed a lui immanente, ma quello Spirito è nostro in altra maniera, nel senso in cui diciamo anche: Dacci il pane nostro 59. È vero che abbiamo ricevuto anche quello spirito, considerato come proprio dell'uomo: Che hai, dice l'Apostolo, che non abbia ricevuto? 60. Ma una cosa è ciò che abbiamo ricevuto per farci essere, un'altra ciò che abbiamo ricevuto per farci essere santi. Perciò di Giovanni la Scrittura ha detto che doveva venire nello spirito e nella forza di Elia 61. È detto lo spirito di Elia, cioè si tratta dello Spirito Santo che Elia ricevette. In questo stesso senso si deve intendere ciò che a proposito di Mosè dice il Signore: Prenderò dello spirito che è sopra di te e lo metterò su di loro 62. Cioè darò ad essi dello Spirito Santo che ho già dato a te. Dunque, se ciò che è dato ha come principio Colui che lo dà, perché questi non ha ricevuto da altri ciò che procede da Lui, bisogna ammettere che il Padre e il Figlio sono un solo principio dello Spirito Santo, non due princìpi; come il Padre ed il Figlio sono un solo Dio e nei riguardi della creazione un solo Creatore ed un solo Signore, così riguardo allo Spirito Santo sono un solo principio, e in rapporto alle creature il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono un solo principio, come sono un solo Creatore ed un solo Signore.

Lo Spirito Santo era dono anche prima di essere dato?

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Ma, per penetrare più in profondità ci si chiede se, come il Figlio deve alla sua nascita non solo di essere Figlio, ma di essere semplicemente, così lo Spirito Santo debba al fatto di essere dato non soltanto l'essere dono, ma l'essere semplicemente, e se di conseguenza fosse prima di essere dato, ma senza essere dono, oppure se per il fatto stesso che Dio l'avrebbe dato, fosse già dono prima di essere dato. Ma se non procede che quando è dato e non procederebbe certo prima che esista qualcuno al quale darlo, come poteva egli esistere sostanzialmente, se non a condizione di essere dato, come il Figlio deve alla sua nascita non solo l'essere figlio, appellativo che appartiene all'ordine della relazione, ma l'essere sostanzialmente? O forse lo Spirito Santo procede sempre e non nel tempo, ma dall'eternità? Ma allora, poiché procedeva per essere dato, era già dono, prima che esistesse qualcuno al quale darlo 63? Infatti una cosa si intende quando si dice "dono", un'altra quando si dice "donato". Perché vi può essere un dono anche prima che sia stato donato, ma non si può parlare assolutamente di "donato", senza che il dono sia stato effettivamente fatto 64.

Gli attributi divini improntati al tempo non sono accidentali, suppongono la mutazione nelle creature, non in Dio

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Né deve creare difficoltà il fatto che, pur essendo lo Spirito Santo coeterno al Padre e al Figlio, gli si attribuisce qualche appellativo legato al tempo, come appunto quello di "donato" 65. Infatti lo Spirito è eternamente dono, ma temporalmente donato. Se uno non si chiama padrone che dal momento in cui ha un servo, anche questa denominazione relativa di signore è applicata a Dio sul piano del tempo; infatti la creatura di cui Dio è Signore non è eterna. Allora come proveremo che nemmeno questi relativi sono degli accidenti, in quanto nulla di temporale può esistere in Dio, che non è mutevole, come l'abbiamo dimostrato all'inizio di questa discussione? Ebbene Dio non è eternamente Signore, altrimenti saremmo obbligati ad ammettere anche l'eternità della creatura, perché Egli non dominerebbe eternamente, se questa eternamente non lo servisse; come non c'è servo senza padrone, così non c'è padrone senza servo. Qualcuno potrà dire che senza dubbio Dio solo è eterno, che i tempi invece non sono eterni per la loro instabilità e mutevolezza; ma i tempi non hanno cominciato nel tempo (perché non c'era tempo prima che cominciassero i tempi; di conseguenza non è accaduto nel tempo a Dio di essere signore, perché era Signore dei tempi, che certamente non hanno cominciato nel tempo). Ma che risponderà questi a proposito dell'uomo? L'uomo infatti è stato creato nel tempo e Dio non era evidentemente suo Signore prima che esistesse appunto l'uomo di cui Dio fosse il Signore. Certamente che Dio sia il Signore dell'uomo, gli è accaduto nel tempo e, per chiudere, sembra, ogni controversia, è accaduto a Dio nel tempo di essere tuo Signore o mio, perché noi esistiamo da poco. Ma se anche questo, a causa dell'oscurità del problema dell'anima, appare incerto, che dire di Dio come Signore del popolo di Israele? Supponendo anche che la realtà dell'anima esistesse già, anima che quel popolo possedeva - lasciamo da parte per il momento questa questione - certo quel popolo non esisteva ancora e si sa in quale momento ha incominciato ad esistere. Infine è accaduto nel tempo a Dio di essere Signore di questo albero e di questa messe, che hanno cominciato ad esistere da poco. Perché, sebbene la materia stessa esistesse già, una cosa è essere signore della materia, un'altra essere signore della materia formata. Anche l'uomo d'altra parte è proprietario del legno in un determinato momento, ed in un altro momento è proprietario dell'armadio, sebbene questo sia stato fabbricato con quel legno e così acquista un attributo che non aveva quand'era solamente padrone del legno. Come proveremo dunque che nulla di accidentale si predica di Dio? Soltanto affermando che la sua natura sfugge a tutto ciò che potrebbe modificarla, mentre gli accidenti relativi sono quelli che implicano una mutazione nella cosa della quale si predicano. Così amico è una denominazione relativa. Non si incomincia ad essere amici, se non quando si incomincia ad amare; si produce dunque una mutazione della volontà, perché si possa parlare di amico. Ma una moneta dice relazione quando la si chiama prezzo; questa moneta però non è cambiata diventando prezzo; nemmeno muta quando viene chiamata pegno o qualche altra cosa di simile. Ebbene se una moneta senza mutare in alcun modo può assumere tante volte una denominazione relativa, senza che, ricevendola o perdendola, il suo essere o la sua forma di moneta sia modificata, con quanta maggiore facilità dobbiamo ammettere, nei riguardi della immutabile sostanza di Dio, che essa possa ricevere una denominazione relativa alla creazione senza con questo intendere che vi sia stata qualche mutazione nella sostanza di Dio, ma invece nella creatura che è il termine di questa relazione? La Scrittura dice: Signore, tu sei divenuto il nostro rifugio 66. Il Signore è detto nostro rifugio in senso relativo; infatti si riferisce a noi e Dio diviene nostro rifugio, quando ci rifugiamo in lui. Ma si produce allora nel suo essere qualcosa che non c'era prima che ci rifugiassimo in lui? È in noi dunque che avviene un cambiamento: infatti eravamo peggiori prima che ci rifugiassimo in lui, e rifugiandoci in lui diventiamo migliori, ma in lui non avviene alcun cambiamento. Così egli comincia ad essere nostro Padre quando siamo rigenerati per mezzo della sua grazia, perché ci ha dato il potere di divenire figli di Dio 67. Il nostro essere si cambia dunque in meglio, quando diventiamo suoi figli; nello stesso tempo anche lui comincia ad essere nostro Padre, ma senza alcuna modificazione del suo essere. Gli appellativi di origine temporale che si applicano a Dio e che prima non si predicavano in lui, hanno chiaramente un senso relativo, ma non indicano degli accidenti in Dio come se qualche cosa gli accadesse, ma indicano gli accidenti dell'essere in rapporto al quale Dio riceve un nome relativo nuovo. Ancora, per il fatto che l'amico di Dio 68 comincia ad essere giusto, muta. Ma quanto a Dio non sogniamoci neppure di pensare che egli ami qualcuno nel tempo, quasi si trattasse di un amore nuovo che in lui prima non c'era; in lui per il quale il passato non passa ed il futuro esiste già. Perché tutti i suoi santi li ha amati prima della creazione del mondo 69, come li ha anche predestinati, ma quando si convertono e lo incontrano, si dice che cominciano ad essere amati da lui, per parlare in modo accessibile alla nostra comprensione. Allo stesso modo quando si dice che è irritato con i cattivi e amabile con i buoni, sono essi che cambiano, non lui. Egli è come la luce: insopportabile agli occhi malati, gradevole ai sani. Ma sono gli occhi che cambiano, non la luce.





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