Discorsi 2005-13 19055

CONFERIMENTO DELL’ONORIFICENZA "ÖSTERREICHISCHES EHREN- KREUZ FÜR WISSENSCHAFT UND KUNST, ERSTE KLASSE" A MONS. GEORG RATZINGER Giovedì, 19 maggio 2005

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(CROCE D’ONORE AUSTRIACA DI PRIMA CLASSE PER LA SCIENZA E L’ARTE)


Caro Georg,
Stimato Ambasciatore,
Stimato Presidente Shambeck,
Stimate Autorità,
Signore e Signori!

Mi sembra strano prendere la parola ora. Mentre scendevo, il Segretario mi ha detto molto opportunamente: "Ora, caro Santo Padre, è suo fratello la persona più importante". Su questo non ci sono dubbi. Trovo bello proprio il fatto che mio fratello, che per 30 anni si è impegnato così tanto per la musica sacra nel Duomo di Ratisbona e nel resto del mondo, riceva un riconoscimento da parte tanto competente.

Quando parlo, nonostante la mia incompetenza, mi sento, per così dire, portavoce di quanti sono qui presenti e si rallegrano, provano gratitudine e soddisfazione per questo momento e per questo attimo. Mio fratello l’ha già detto: l’Austria è in modo molto particolare un Paese della musica. Chi pensa all’Austria, pensa innanzitutto alla bellezza della creazione, che il Signore ha donato a questo nostro Paese vicino. Pensa alla bellezza degli edifici, alla cordialità delle persone, ma anche e soprattutto alla musica, i cui grandi nomi sono già stati fatti, e anche all’esercizio della musica: Wiener Sängerknaben, Wiener Philharmoniker, Salzburger Festspiele ecc. Per tale motivo il fatto che questo nostro amato vicino, l’Austria, conferisca questo riconoscimento a mio fratello assume una valenza del tutto particolare. E ringrazio anche io di tutto cuore.

Immagino che anche per la nuova generazione di cantori del Duomo, istruiti dal Maestro di Cappella, sia motivo di gioia e di incoraggiamento il fatto che venga riconosciuto un lavoro di trenta anni e che ciò li possa aiutare, in questo tempo in cui ne abbiamo particolarmente bisogno, a onorare il messaggio del buon Dio e a condurre gli uomini alla gioia con nuovo slancio ed entusiasmo. Grazie.






PROIEZIONE DEL FILM "KAROL, UN UOMO DIVENTATO PAPA" - AL TERMINE DELLA PROIEZIONE DEL FILM Giovedì, 19 maggio 2005

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Cari fratelli e sorelle!

Sono certo di interpretare i comuni sentimenti, esprimendo viva gratitudine a quanti hanno voluto, questa sera, offrire a me e a tutti voi la visione di questo film, che ripercorre le tappe della vita del giovane Karol Wojtyla, seguendolo poi sino alla sua elezione a Pontefice con il nome di Giovanni Paolo II. Saluto e ringrazio il Signor Cardinale Roberto Tucci, che ci ha introdotto alla visione del film. Rivolgo poi una parola di vivo apprezzamento al regista e sceneggiatore Giacomo Battiato e agli attori, con un pensiero speciale per Piotr Adamczyk, interprete del Protagonista, per il produttore Pietro Valsecchi e per le Case di produzione Taodue e Mediaset. Saluto cordialmente gli altri Signori Cardinali, i Vescovi, i Sacerdoti, le Autorità e tutti coloro che hanno voluto intervenire a questa manifestazione in onore dell’amato Pontefice recentemente scomparso. Lo ricordiamo tutti con profondo affetto e intima gratitudine. Proprio ieri egli avrebbe celebrato il suo 85.mo compleanno.

Karol, un uomo diventato Papa” è il titolo dello sceneggiato tratto da un testo di Gian Franco Svidercoschi. La prima parte mette in evidenza quanto accadde in Polonia sotto l’occupazione nazista, con riferimenti talora emotivamente molto forti alla repressione del popolo polacco e al genocidio degli ebrei. Si tratta di atroci crimini che mostrano tutto il male che racchiudeva in sé l’ideologia nazista. Scosso da tanto dolore e tanta violenza, il giovane Karol decise di imprimere una svolta alla propria vita, rispondendo alla chiamata divina al sacerdozio. La pellicola presenta scene ed episodi che, nella loro crudezza, suscitano in chi guarda un istintivo moto di orrore e lo spingono a riflettere sugli abissi di nequizia che possono nascondersi nell’animo umano. Al tempo stesso, la rievocazione di simili aberrazioni non può non ravvivare in ogni persona di retto sentire l’impegno a fare quanto è in suo potere perché mai più abbiano a ripetersi vicende di così inumana barbarie.

L’odierna proiezione si tiene a pochi giorni dal 60° anniversario della fine della seconda guerra mondiale. L’8 maggio 1945 si concludeva quell’immane tragedia che aveva seminato in Europa e nel mondo, in misura mai sperimentata prima, distruzione e morte. Giovanni Paolo II, dieci anni or sono, scrisse che il secondo conflitto mondiale appare con sempre maggiore chiarezza come “un suicidio dell’umanità”. Ogni volta che un’ideologia totalizzante calpesta l’uomo, l’umanità intera è seriamente minacciata. Col trascorrere del tempo, i ricordi non devono impallidire; devono piuttosto farsi lezione severa per la nostra e per le future generazioni. Abbiamo il dovere di ricordare, specialmente ai giovani, a quali forme di inaudita violenza possano giungere il disprezzo dell'uomo e la violazione dei suoi diritti.

Come non leggere alla luce di un provvidenziale disegno divino il fatto che sulla cattedra di Pietro, ad un Pontefice polacco sia succeduto un cittadino di quella terra, la Germania, dove il regime nazista poté affermarsi con grande virulenza, attaccando poi le nazioni vicine, tra le quali in particolare la Polonia? Entrambi questi Papi in gioventù – seppure su fronti avversi e in situazioni differenti – hanno dovuto conoscere la barbarie della seconda guerra mondiale e dell’insensata violenza di uomini contro altri uomini, di popoli contro altri popoli. La lettera di riconciliazione, che negli ultimi giorni del Concilio Vaticano II, qui a Roma, i Vescovi polacchi consegnarono ai Vescovi tedeschi, conteneva quelle famose parole che anche oggi continuano a risuonare nel nostro animo: “Perdoniamo e chiediamo perdono”. Nell’omelia di domenica scorsa ricordavo ai neo sacerdoti che “nulla può migliorare nel mondo se il male non è superato, e il male può essere superato solo con il perdono”. La comune e sincera condanna del nazismo, come del comunismo ateo, sia per tutti un impegno a costruire sul perdono la riconciliazione e la pace. “Perdonare – ricordava ancora l’amato Giovanni Paolo II – non significa dimenticare”, ed aggiungeva che “se la memoria è legge della storia, il perdono è potenza di Dio, potenza di Cristo che agisce nelle vicende degli uomini” (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVII/2 [1994], p. 250). La pace è anzitutto dono di Dio, che fa germinare nel cuore di chi l’accoglie sentimenti di amore e di solidarietà.

Auspico che, grazie anche alla testimonianza di Papa Giovanni Paolo II rievocata da questa significativa produzione cinematografica, si ravvivi in tutti il proposito di operare, ciascuno nel proprio campo e secondo le proprie possibilità, a servizio di una decisa azione di pace in Europa e nel mondo intero. Affido gli auspici di pace che tutti portiamo nel cuore alla materna intercessione della Vergine Maria, particolarmente venerata in questo mese di maggio. Sia Lei, la Regina della pace, a confortare gli sforzi generosi di quanti intendono impegnarsi nell’edificazione della pace vera sui saldi pilastri della verità, della giustizia, della libertà e dell’amore. Con tali sentimenti, imparto a tutti la Benedizione Apostolica.







ALLA COMUNITÀ DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA ECCLESIASTICA Venerdì, 20 maggio 2005

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Cari amici della Pontificia Accademia Ecclesiastica,

con particolare gioia vi accolgo a un mese dalla mia elezione a Successore di Pietro. Alcuni di voi ricordano forse un altro momento vissuto insieme in occasione della mia visita alla vostra Accademia qualche anno fa. Vi saluto tutti cordialmente e, in primo luogo, saluto Monsignor Presidente, che ringrazio per le cortesi parole indirizzatemi. Desidero anzitutto ringraziarvi per la generosità con cui avete risposto all’invito che vi è stato rivolto e vi siete resi disponibili a rendere alla Chiesa e al Suo supremo Pastore un peculiare servizio, qual è appunto il lavoro nelle Rappresentanze Pontificie. Si tratta di una singolare missione che esige, come ogni forma di ministero sacerdotale, la fedele sequela di Cristo. A chi la svolge con amore è promesso il centuplo quaggiù e la vita eterna (cfr
Mt 19,29).

Nella vostra quotidiana attività dovrete impegnarvi a far sì che i legami di comunione delle Chiese particolari con la Sede Apostolica siano sempre più intensi e operanti. Vi preoccuperete nel contempo di rendere presente e visibile la sollecitudine che il Successore di Pietro ha per tutti coloro che fanno parte del gregge del Signore, specialmente gli indifesi, i deboli, gli abbandonati. E’ perciò importante che in questi anni di formazione a Roma rafforziate il vostro sensus Ecclesiae, assumendo una forma ecclesiale in tutta la vostra personalità, nella mente e nel cuore. Sia vostra cura coltivare in voi le due dimensioni costitutive e complementari della Chiesa: la comunione e la missione, l’unità e la tensione evangelizzatrice. Al movimento verso il centro e il cuore della Chiesa deve corrispondere una spinta coraggiosa che vi porti a testimoniare alle Chiese particolari quel tesoro di verità e di grazia, che Cristo ha affidato a Pietro e ai suoi Successori. Queste dimensioni della vostra missione sono ben rappresentate dai due Apostoli Pietro e Paolo, che a Roma hanno versato il loro sangue. Mentre siete in Accademia, cercate dunque di diventare pienamente “romani” in senso ecclesiale, cioè sicuri e fedeli nell’adesione al Magistero e alla guida pastorale del Successore di Pietro e, al tempo stesso, coltivate l’anelito missionario che fu di Paolo, ansiosi di cooperare alla diffusione del Vangelo sino agli estremi confini del mondo.

Siamo stati tutti colpiti dal fatto che la testimonianza del Papa Giovanni Paolo II ha suscitato profonda eco anche in popolazioni non cristiane, come hanno riferito diversi Nunzi Apostolici nei loro rapporti. Questo conferma che là dove Cristo è annunciato con la coerenza della vita, parla al cuore di tutti, anche dei fratelli di altre tradizioni religiose. Come dicevo pochi giorni fa al Clero romano, la missione della Chiesa non contrasta con il rispetto delle altre tradizioni religiose e culturali. Cristo non toglie nulla all’uomo, ma gli dona pienezza di vita, di gioia, di speranza. Di questa speranza siete chiamati anche voi a “rendere ragione” (cfr 1P 3,15), nei diversi contesti a cui la Provvidenza vi destinerà.

Per svolgere in modo adeguato il servizio che vi attende e che la Chiesa vi affida, occorre una solida preparazione culturale, compresa la conoscenza delle lingue, della storia e del diritto, con una sapiente apertura alle diverse culture. E’ poi indispensabile che, ad un livello ancor più profondo, vi proponiate come scopo fondamentale del vostro vivere la santità e la salvezza delle anime che incontrerete nel vostro cammino. A tal fine, cercate, senza stancarvi, di essere sacerdoti esemplari, animati da una preghiera costante ed intensa, coltivando l’intimità con Cristo; siate sacerdoti secondo il cuore di Cristo e svolgerete il vostro ministero con successo e frutto apostolico. Non lasciatevi mai tentare dalla logica della carriera e del potere.

Un saluto speciale indirizzo, infine, a quanti di voi lasceranno tra breve l’Accademia per il loro primo incarico nelle Rappresentanze Pontificie e, mentre per essi assicuro uno speciale ricordo nella preghiera, auguro loro una feconda missione pastorale. Sull’intera comunità della Pontificia Accademia Ecclesiastica invoco la costante protezione di Maria Santissima e degli Apostoli Pietro e Paolo e a tutti voi, come pure alle persone a voi care imparto con affetto la Benedizione Apostolica.





AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL RWANDA IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Sabato, 21 maggio 2005

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Cari Fratelli nell'Episcopato,

mentre realizzate il vostro pellegrinaggio presso le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo, sono lieto di accogliervi, voi che avete ricevuto dal Signore il compito di guidare la sua Chiesa in Rwanda. Ringrazio Monsignor Alexis Habiyambere, Vescovo di Nyundo, Presidente della vostra Conferenza Episcopale, per le sue parole fraterne. Attraverso di voi, rivolgo un saluto affettuoso alle vostre comunità, esortando sacerdoti e fedeli, duramente provati dal genocidio del 1994 e dalle sue conseguenze, a restare saldi nella fede, a perseverare nella speranza che dà Cristo risorto, superando ogni tentazione di scoraggiamento. Possa lo Spirito di Pentecoste, effuso su tutto l'universo, rendere fecondi gli sforzi di quanti s'impegnano a edificare la fraternità fra tutti i rwandesi, in uno spirito di verità e di giustizia!

I vostri rapporti quinquennali riflettono l'opera dello Spirito, che edifica la Chiesa in Rwanda nelle vicissitudini della sua storia. Per contribuire attivamente alla pace e alla riconciliazione, voi privilegiate soprattutto una pastorale di prossimità, fondata sull'impegno di piccole comunità di laici nella pastorale missionaria della Chiesa, in armonia con i Pastori. Vi incoraggio a sostenere queste comunità, affinché i fedeli accolgano le verità di fede e le sue esigenze, sviluppando così una vita ecclesiale e spirituale più intensa, senza lasciarsi distogliere dal Vangelo di Cristo, in particolare dalle numerose sette presenti nel Paese. Operate senza posa affinché il Vangelo penetri sempre più profondamente nel cuore e nell'esistenza dei credenti, invitando i fedeli ad assumersi sempre più le proprie responsabilità nella società, in particolare nel campo dell'economia e della politica, con un senso morale alimentato dal Vangelo e dalla dottrina sociale della Chiesa.

Saluto i sacerdoti delle vostre Diocesi, e i giovani che, con generosità, si preparano a divenirlo. Il loro numero è un autentico segno di speranza per il futuro. Mentre il clero diviene autoctono, desidero rendere onore al lavoro paziente svolto dai missionari per annunciare Cristo e il suo Vangelo, e per far nascere le comunità cristiane di cui siete oggi responsabili. Vi invito a stare vicino ai vostri sacerdoti, preoccupandovi della loro formazione permanente a livello teologico e spirituale, attenti alle loro condizioni di vita e di esercizio della loro missione, affinché siano testimoni autentici della Parola che annunciano e dei sacramenti dei quali sono i ministri. Possano, nel dono di se stessi a Cristo e al popolo di cui sono i Pastori, restare fedeli alle esigenze del loro stato e vivere il loro sacerdozio come un vero cammino di santità!

Al termine del nostro incontro, cari Fratelli nell'Episcopato, desidero sentirmi vicino al popolo che vi è stato affidato, esortando i fedeli e i Pastori a costruire comunità animate da un amore reciproco sincero e abitate dal desiderio imperioso di adoperarsi per un'autentica riconciliazione! Che su tutte le colline riecheggi il canto dei messaggeri della Buona Novella di Cristo vincitore della morte (cfr
Is 52,7)! Affidando le speranze e le sofferenze del popolo rwandese all'intercessione della Regina degli Apostoli, vi imparto un'affettuosa Benedizione Apostolica, che estendo volentieri ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose, ai catechisti e a tutti i fedeli delle vostre Diocesi.






INCONTRO CON I SUPERIORI E GLI OFFICIALI DELLA SEGRETERIA DI STATO Sabato, 21 maggio 2005

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Eminenza,
Eccellenze,
Cari Collaboratori e Collaboratrici,

Sono venuto senza parole scritte, ma con nel cuore sensi di viva gratitudine e anche con l'intenzione di imparare. Man mano imparo qualcosa sulla struttura della Segreteria di Stato e soprattutto ogni giorno arriva una mole di documentazione, di lavoro fatto in questa Segreteria di Stato. Così posso vedere dalla molteplicità, densità e anche competenza che si nasconde in questi lavori, quanto viene fatto qui, in questi uffici. Anche se non possiamo normalmente vivere la vita degli angeli - per far riferimento alle parole argute del Cardinale Segretario di Stato - ma piuttosto la vita dei "pesci", degli uomini, tuttavia proprio così facciamo il nostro dovere. Se si pensa alle grandi amministrazioni internazionali, per esempio all'amministrazione europea, della quale Mons. Lajolo mi ha dato il numero degli impiegati, noi siamo realmente in numero molto ridotto. E fa grande onore alla Santa Sede il fatto che un numero di persone così piccolo faccia un lavoro grandissimo per la Chiesa universale. Questo grande lavoro fatto da un numero non grande di persone dimostra l'assiduità e la dedizione con la quale realmente si lavora. Alla competenza e alla professionalità del lavoro che viene fatto qui, si aggiunge anche un aspetto particolare, una professionalità particolare: fa parte della nostra professionalità l'amore per Cristo, per la Chiesa, per le anime. Noi non lavoriamo - come dicono molti del lavoro - per difendere un potere. Non abbiamo un potere mondano, secolare. Non lavoriamo per il prestigio, non lavoriamo per far crescere una ditta o qualcosa di simile. Noi lavoriamo realmente perché le strade del mondo siano aperte a Cristo. E tutto il nostro lavoro, con tutte le sue ramificazioni, alla fine serve proprio perché il suo Vangelo, e così la gioia della Redenzione, possa arrivare nel mondo. In questo senso, anche nei piccoli lavori di ogni giorno, apparentemente poco gloriosi, noi ci facciamo - come ha detto il Cardinale Sodano - per quanto possiamo, collaboratori della Verità, cioè di Cristo, nel suo operare nel mondo, affinché realmente il mondo divenga il Regno di Dio.

Posso quindi soltanto dire un grande grazie. Insieme facciamo il servizio che è proprio del Successore di Pietro, il "servizio petrino": confermare i fratelli nella fede.





A S.E. IL SIGNOR GEORGI PARVANOV PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI BULGARIA Lunedì, 23 maggio 2005

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Signor Presidente,
Signore, Signori,

Sono lieto di accogliervi in occasione del vostro tradizionale omaggio sulla tomba di San Cirillo e vi saluto cordialmente. La ringrazio per le cortesi parole che ha voluto rivolgermi. Il nostro incontro mette in luce il legame millenario di stima e di vicinanza spirituale che ha sempre unito i Pontefici romani al nobile popolo che Lei rappresenta. Grande è l'affetto che la Sede Apostolica nutre per il popolo bulgaro. Da Papa Clemente I, di venerata memoria, fino ad oggi, i Vescovi di Roma hanno costantemente intrattenuto un fecondo dialogo con gli abitanti dell'antica Tracia. La Sua visita odierna, Signor Presidente, è tanto più significativa in quanto è motivata dal ricordo dei due santi Cirillo e Metodio, copatroni dell'Europa, che hanno forgiato in una prospettiva cristiana i valori umani e culturali dei Bulgari e di altre nazioni slave. Si può anche dire che, mediante la loro azione evangelizzatrice, si è formata l'Europa, quell'Europa di cui la Bulgaria si sente parte attiva. La Bulgaria ha inoltre di fronte agli altri popoli un dovere particolare, ossia di essere uno dei ponti fra l'Occidente e l'Oriente. Nel rivolgermi a Lei, desidero esprimere il mio incoraggiamento a tutti i Suoi concittadini, affinché proseguano con fiducia questa missione politica e sociale specifica.

L'incontro del Primo Magistrato della Bulgaria con il Successore di Pietro, tre anni dopo la visita in Bulgaria del mio compianto Predecessore, Papa Giovanni Paolo II, costituisce una nuova conferma delle buone relazioni che esistono fra la Santa Sede e la nazione che Lei rappresenta. Come non ringraziare la Divina Provvidenza per questa ritrovata capacità di dialogo amichevole e costruttivo, dopo il lungo e difficile periodo del regime comunista? I contatti fra il Suo Paese e la Santa Sede hanno conosciuto nel secolo scorso momenti altamente significativi. Penso, ad esempio, all'affetto che il Delegato Apostolico dell'epoca, Angelo Roncalli, il futuro Papa Giovanni XXIII, ha sempre dimostrato per gli abitanti della Bulgaria.

Signor Presidente, non posso non menzionare in questo momento la vicinanza che la Bulgaria ha dimostrato nei riguardi della Sede Apostolica nel corso di questi ultimi due mesi. Lei stesso, il Governo, il Parlamento e tanti Suoi concittadini avete voluto manifestare alla Chiesa cattolica i vostri sentimenti sinceri in occasione della morte di Giovanni Paolo II e della mia elezione come Suo Successore. Ricordo anche i volti e la cordialità dei Rappresentanti della venerabile Chiesa ortodossa di Bulgaria, desiderosa di ravvivare il dialogo della carità nella verità. Le chiedo di farsi interprete dei miei sentimenti di gratitudine presso di loro, in particolare con il venerato Patriarca bulgaro, Sua Santità Maxime. Abbiamo davanti a noi un dovere comune: siamo chiamati a costruire insieme un'umanità più libera, più pacifica e più solidale. In questa prospettiva, desidero formulare l'auspicio fervente che la Sua nazione sappia promuovere continuamente in Europa i valori culturali e spirituali che costituiscono la sua identità. In questo spirito, La assicuro delle mie preghiere e, mediante la materna intercessione della Vergine Maria, invoco l'abbondanza delle Benedizioni divine sulla Sua persona, sulle persone che l'accompagnano e su tutto il popolo della così bella terra di Bulgaria.





A S.E. IL SIGNOR VLADO BUCHKOVSKI, PRIMO MINISTRO DELLA EX-REPUBBLICA JUGOSLAVA DI MACEDONIA Lunedì, 23 maggio 2005

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Signor Primo Ministro,
Signore e Signori,

con grande gioia vi saluto in occasione della Festa dei Santi Cirillo e Metodio e vi esprimo la mia gratitudine per questa visita di benvenuto. Saluto in particolare il primo Ministero e coloro che lo accompagnano. Con pari affetto ricevo la Delegazione ecclesiastica. Colgo volentieri questa opportunità per inviare buoni auspici a tutto il popolo del vostro amato Paese.

Quando, alcuni giorni fa, ho ricevuto il nuovo Ambasciatore, ho voluto riconoscere quanto le tradizioni e la cultura del popolo macedone riecheggino valori che permeano lo spirito dell'Europa. I fratelli Santi Cirillo e Metodio, Apostoli dei popoli slavi, hanno contribuito in maniera significativa alla sua formazione. La loro attività umana e cristiana ha lasciato tracce indelebili nella storia del vostro Paese. Il pellegrinaggio che compite ogni anno sulla tomba di san Cirillo offre un'occasione opportuna per risalire alle radici della vostra storia. Cirillo e Metodio, nativi di Salonicco, inviati in missione fra i popoli slavi dalla Chiesa di Bisanzio, gettarono le fondamenta di un'autentica cultura cristiana e al contempo adottarono attivamente misure per creare condizioni di pace fra tutte le diverse popolazioni. Quei valori di pace e di fraternità, che questi santi Patroni d'Europa, insieme a San Benedetto, hanno difeso instancabilmente, rimangono elementi indispensabili per l'edificazione di comunità di solidarietà aperte al progresso umano integrale, rispettoso della dignità di ogni essere umano e di tutto l'essere umano.

Sono convinto del fatto che per dare vita a una società veramente attenta al bene comune sia necessario ricercare nel Vangelo le radici di valori condivisi, come dimostra l'esperienza dei Santi Cirillo e Metodio. Questo è il desiderio ardente della Chiesa cattolica che non ha altro interesse se non quello di diffondere e testimoniare le parole di amore e di speranza di Gesù Cristo, parole di vita che nel corso dei secoli hanno ispirato molti martiri e testimoni della fede. Spero sinceramente che il vostro pellegrinaggio oggi contribuisca a mantenere vibranti in tutta la nazione questi nobili ideali umani e cristiani. Prego anche affinché il vostro Paese si apra con fiducia all'Europa, contribuendo così in maniera significativa all'edificazione del suo futuro, ispirato dalla vostra inestimabile eredità religiosa e culturale.

Vorrei aggiungere l'assicurazione delle mie preghiere per l'amato popolo macedone affinché possa procedere verso un futuro di speranza sempre più salda, assistito da ogni elemento della società civile e religiosa. Invoco dunque la benedizione celeste dei Santi Cirillo e Metodio. Che Dio benedica e protegga sempre il vostro Paese e tutto il suo popolo!





AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL BURUNDI IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Sabato, 28 maggio 2005

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Cari Fratelli nell'Episcopato,

Vi accolgo con grande gioia, voi che siete i Pastori della Chiesa in Burundi, venuti in pellegrinaggio a Roma per raccogliervi sulle tombe degli Apostoli, e per incontrare il Successore di Pietro e i suoi collaboratori. Auspico che questa esperienza di comunione nella carità vi incoraggi nella vostra missione di servitori del Vangelo di Cristo, per la speranza del mondo. Esprimo la mia gratitudine a Monsignor Jean Ntagwarara, Vescovo di Bubanza, Presidente della vostra Conferenza Episcopale, per le cortesi parole che mi ha appena rivolto a nome vostro. Esse mostrano la vitalità spirituale e missionaria delle vostre comunità diocesane, alle quali porgo, come pure a tutti gli abitanti del Burundi, i miei affettuosi saluti. Insieme a voi desidero anche ricordare Monsignor Michael A. Courtney, che è stato fedele fino al dono della sua vita alla missione che il Santo Padre gli aveva affidato al servizio del vostro caro Paese e della Chiesa locale.

Nei vostri rapporti quinquennali, voi mostrate come la Chiesa partecipi attivamente alla promozione della pace e della riconciliazione nel Paese, soprattutto in questo periodo di scadenze elettorali. Le sofferenze sopportate in occasione dei momenti bui della guerra, nel corso della quale, occorre ripeterlo, numerosi cristiani hanno reso testimonianza in modo eroico della loro fede, non hanno spento il desiderio di adoperarsi per la fraternità e l'unità fra voi, nella sequela di Cristo e in suo nome. Auspico che il piano di azione pastorale elaborato a tale proposito, come pure i sinodi diocesani che lo metteranno in atto localmente, contribuiscano ad annunciare il Vangelo, a sanare i ricordi e i cuori, a favorire la solidarietà fra tutti gli abitanti del Burundi, proscrivendo lo spirito di vendetta e il rancore, e invitando senza posa al perdono e alla riconciliazione.

Noi celebriamo quest'anno il decimo anniversario dell'Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa, promulgata dal mio Predecessore Papa Giovanni Paolo II. Possa essa essere sempre la carta del vostro impegno nella missione che vi è stata affidata, in comunione con le altre Chiese locali! Vi incoraggio in particolare a rivolgere una rinnovata attenzione a tutti i fedeli, affinché vivano sempre più intensamente le esigenze del loro Battesimo. Molti conoscono la grande povertà e lo sconforto interiore, e sono tentati di ritornare a pratiche antiche non purificate dallo Spirito del Signore o a volgersi verso le sette. Prendetevi cura di loro, offrendo una solida formazione cristiana, senza trascurare gli sforzi di inculturazione, soprattutto nell'ambito della traduzione della Bibbia e dei testi del Magistero. Ciò permetterà di "assimilare sempre meglio il messaggio evangelico, pur restando fedeli a tutti i valori africani autentici" (Ecclesia in Africa ).

Al termine del nostro incontro, cari Fratelli nell'Episcopato, colgo l'occasione per rendere grazie per gli sforzi apostolici compiuti, spesso in condizioni difficili, dai sacerdoti, dai religiosi e dalle religiose delle vostre Diocesi, autoctoni o venuti da altri Paesi. Non dimentico i catechisti, preziosi ausiliari dell'apostolato, come pure tutti i fedeli che partecipano allo sviluppo dell'uomo e della società, nel quadro delle opere della Chiesa per la promozione sociale, per il servizio nel mondo dell'istruzione e della sanità. Invocando su voi tutti, così come sui vostri diocesani, lo Spirito che rende saldi nella fede, che ravviva la speranza e che sostiene la carità, vi imparto volentieri un'affettuosa Benedizione Apostolica.





AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA GENERALE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA Aula del Sinodo Lunedì, 30 maggio 2005

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Cari fratelli Vescovi italiani, sono felice di incontrarvi qui questa mattina, riuniti nella vostra Assemblea Generale, dopo aver celebrato ieri con molti di voi a Bari la Santa Messa conclusiva del Congresso Eucaristico Nazionale. Saluto il vostro Presidente, Cardinale Camillo Ruini, e lo ringrazio per le calde parole che mi ha rivolto a vostro nome. Saluto i tre Vicepresidenti, il Segretario Generale e ciascuno di voi, e desidero a mia volta esprimervi sentimenti di profonda comunione e di affetto sincero.

Sono trascorse soltanto poche settimane dalla mia elezione e sono ben vivi in noi quei sentimenti che ci hanno accomunato nei giorni della sofferenza e della morte del mio venerato Predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II, per ciascuno di noi un padre, un esempio ed un amico. Vi sono particolarmente grato perché avverto che accogliete me con lo stesso animo con il quale avete accompagnato lui durante i ventisei anni del suo Pontificato.

Cari fratelli, il nostro legame ha d'altronde una precisa radice, che è quella che unisce tutti i Vescovi del mondo al Successore di Pietro, ma che in questa nazione assume un vigore speciale perché il Papa è Vescovo di Roma e Primate d'Italia. La storia ha mostrato, lungo l’arco di ormai venti secoli, quanto grandi frutti di bene questo peculiare legame abbia portato, sia per la vita di fede e la fioritura di civiltà del popolo italiano sia per il ministero dello stesso Successore di Pietro. Inizio dunque il servizio nuovo e inatteso a cui il Signore mi ha chiamato sentendomi intimamente confortato dalla vostra vicinanza e solidarietà: insieme potremo adempiere la missione che Gesù Cristo ci ha affidato, insieme potremo testimoniare Cristo e renderlo presente oggi, non meno di ieri, nelle case e negli animi degli italiani.

Il rapporto dell'Italia con la fede cristiana infatti, non soltanto risale alla generazione apostolica, alla predicazione e al martirio di Pietro e di Paolo, ma anche attualmente è profondo e vivo. Certo, quella forma di cultura, basata su una razionalità puramente funzionale, che contraddice e tende ad escludere il cristianesimo e in genere le tradizioni religiose e morali dell'umanità, è presente e operante in Italia come un po’ ovunque in Europa. Qui però la sua egemonia non è affatto totale e tanto meno incontrastata: sono molti infatti, anche tra quanti non condividono o comunque non praticano la nostra fede, coloro che avvertono come una tale forma di cultura costituisca in realtà una funesta mutilazione dell'uomo e della sua stessa ragione. E soprattutto, in Italia la Chiesa conserva una presenza capillare, in mezzo alla gente di ogni età e condizione, e può quindi proporre nelle più diverse situazioni il messaggio di salvezza che il Signore le ha affidato.

Cari fratelli, conosco il vostro impegno per mantenere viva questa presenza e per incrementare il suo dinamismo missionario. Negli Orientamenti pastorali che avete consegnato alle Diocesi italiane per questo primo decennio del nuovo secolo, riprendendo l'insegnamento di Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte, ponete giustamente alla base di tutto la contemplazione, di Gesù Cristo e in Lui del vero volto di Dio Padre, il rapporto vivo e quotidiano con lui. Qui sta infatti l'anima e l'energia segreta della Chiesa, la fonte dell'efficacia del nostro apostolato. Soprattutto nel mistero dell'Eucaristia noi stessi, i nostri sacerdoti e tutti i nostri fedeli possiamo vivere in pienezza questo rapporto con Cristo: qui Egli si fa tangibile in mezzo a noi, si dona sempre di nuovo, diventa nostro, affinché noi diventiamo suoi e impariamo il suo amore. L'Anno dell 'Eucaristia e il Congresso appena celebrato a Bari sono stimoli che ci aiutano ad entrare più profondamente in questo Mistero.

Nel contemplare il volto di Cristo, e in Cristo il volto del Padre, Maria Santissima ci precede, ci sostiene e ci accompagna. l'amore e la devozione per la Madre del Signore, tanto diffusi e radicati nel popolo italiano, sono un'eredità preziosa che dobbiamo sempre coltivare e una grande risorsa anche in vista dell'evangelizzazione. Su queste basi, cari fratelli, possiamo davvero proporre a noi stessi e ai nostri fedeli la vocazione alla santità, quale "misura alta della vita cristiana ordinaria", secondo la felice espressione di Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte (n. 37): lo Spirito Santo viene infatti in noi, da Cristo e dal Padre, proprio per introdurci nel mistero della vita e dell'amore di Dio, al di là di ogni forza e attesa umana.

In concreto la presenza della Chiesa in mezzo alla popolazione italiana si caratterizza anzitutto per la fitta rete delle parrocchie e per la vitalità che esse tuttora esprimono, pur nei grandi cambiamenti della società e della cultura. In una vostra recente Nota pastorale (Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia) vi siete dunque saggiamente preoccupati di sostenere le parrocchie, riaffermando il loro valore e la loro funzione e incoraggiando così in particolare i sacerdoti che hanno le non lievi responsabilità di parroci. Ma avete anche messo in luce la necessità che le parrocchie assumano un atteggiamento maggiormente missionario nella pastorale quotidiana e pertanto si aprano ad una più intensa collaborazione con tutte le forze vive di cui la Chiesa oggi dispone. È molto importante, al riguardo, che si rafforzi la comunione tra le strutture parrocchiali e le varie realtà "carismatiche" sorte negli ultimi decenni e largamente presenti in Italia, affinché la missione possa raggiungere tutti gli ambienti di vita. Al medesimo fine un contributo prezioso viene certamente dalla presenza delle comunità religiose, in Italia ancora numerose nonostante la scarsità delle vocazioni.

Un terreno decisivo, per il futuro della fede e per l'orientamento complessivo della vita di una nazione, è certamente quello della cultura. Vi chiedo dunque di proseguire nel lavoro che avete intrapreso perché la voce dei cattolici sia costantemente presente nel dibattito culturale italiano, e ancor prima perché si rafforzino le capacità di elaborare razionalmente, nella luce della fede, i molteplici interrogativi che si affacciano nei vari ambiti del sapere e nelle grandi scelte di vita. Oggi la cultura e i modelli di comportamento sono inoltre sempre più condizionati e caratterizzati dalle rappresentazioni che ne propongono i media: è benemerito pertanto lo sforzo della vostra Conferenza per avere anche a questo livello un'adeguata capacità di espressione, in modo da poter offrire a tutti un'interpretazione cristiana degli avvenimenti e dei problemi.

La situazione effettiva della Chiesa in Italia conferma e giustifica dunque l'attenzione e le attese che hanno verso di essa molte Chiese sorelle in Europa e nel mondo. Come ha più volte sottolineato il mio amato Predecessore Giovanni Paolo II, l'Italia può e deve avere un grande ruolo per la comune testimonianza di Gesù Cristo nostro unico Salvatore e perché in Cristo sia individuata la misura del vero umanesimo, per la coscienza delle persone come per gli assetti della vita sociale.

Una questione nevralgica, che richiede la nostra più grande attenzione pastorale, è quella della famiglia. In Italia, ancor più che in altri Paesi, la famiglia rappresenta davvero la cellula fondamentale della società, è profondamente radicata nel cuore delle giovani generazioni e si fa carico di molteplici problemi, offrendo sostegno e rimedio a situazioni altrimenti disperate. E tuttavia anche in Italia la famiglia è esposta, nell'attuale clima culturale, a molti rischi e minacce che tutti conosciamo. Alla fragilità e instabilità interna di molte unioni coniugali si assomma infatti la tendenza, diffusa nella società e nella cultura, a contestare il carattere unico e la missione propria della famiglia fondata sul matrimonio. Proprio l’Italia poi è una della nazioni in cui la scarsità delle nascite è più grave e persistente, con conseguenze già pesanti sull'intero corpo sociale. Perciò da molto tempo voi Vescovi italiani avete unito la vostra voce a quella di Giovanni Paolo II, anzitutto nel difendere la sacralità della vita umana e il valore dell' istituto matrimoniale, ma anche nel promuovere il ruolo della famiglia nella Chiesa e nella società, chiedendo misure economiche e legislative che sostengano le giovani famiglie nella generazione ed educazione dei figli. Nel medesimo spirito siete attualmente impegnati a illuminare e motivare le scelte dei cattolici e di tutti i cittadini circa i referendum ormai imminenti in merito alla legge sulla procreazione assistita: proprio nella sua chiarezza e concretezza questo vostro impegno è segno della sollecitudine dei Pastori per ogni essere umano, che non può mai venire ridotto a un mezzo, ma è sempre un fine, come ci insegna il nostro Signore Gesù Cristo nel suo Vangelo e come ci dice la stessa ragione umana. In tale impegno, e in tutta l'opera molteplice che fa parte della missione e del dovere dei Pastori, vi sono vicino con la parola e con la preghiera, con fidando nella luce e nella grazia dello Spirito che agisce nelle coscienze e nei cuori.

La stessa sollecitudine per il vero bene dell'uomo che ci spinge a prenderci cura delle sorti delle famiglie e del rispetto della vita umana si esprime nell'attenzione ai poveri che abbiamo tra noi, agli ammalati, gli immigrati, ai popoli decimati dalle malattie, dalle guerre e dalla fame. Cari fratelli Vescovi italiani, desidero ringraziare voi e i vostri fedeli per la larghezza della vostra carità, che contribuisce a rendere concretamente la Chiesa quel popolo nuovo nel quale nessuno è straniero. Ricordiamoci sempre delle parole del Signore: quello che avete fatto "a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (
Mt 25,40).

Ad agosto, come sapete, mi recherò a Colonia per la Giornata Mondiale della Gioventù e confido di incontrarmi di nuovo con molti di voi, accompagnati da un grande numero di giovani italiani. Proprio riguardo ai giovani, alla loro formazione, al loro rapporto con il Signore e con la Chiesa vorrei aggiungere un 'ultima parola. Essi sono infatti, come ha ripetutamente affermato Giovanni Paolo II, la speranza della Chiesa, ma sono anche, nel mondo di oggi, particolarmente esposti al pericolo di essere "sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina" (Ep 4,14). Hanno dunque bisogno di essere aiutati a crescere e a maturare nella fede: è questo il primo servizio che essi devono ricevere dalla Chiesa, e specialmente da noi Vescovi e dai nostri sacerdoti. Sappiamo bene che molti di loro non sono in grado di comprendere e di accogliere subito tutto l'insegnamento della Chiesa ma proprio per questo è importante risvegliare in loro l'intenzione di credere con la Chiesa, la fiducia che questa Chiesa, animata e guidata dallo Spirito, è il vero soggetto della fede, inserendoci nel quale entriamo e partecipiamo nella comunione della fede. Affinché ciò possa avvenire, i giovani devono sentirsi amati dalla Chiesa, amati in concreto da noi Vescovi e sacerdoti. Potranno sperimentare così nella Chiesa, l'amicizia e l'amore che ha per loro il Signore, comprenderanno che in Cristo la verità coincide con l'amore e impareranno a loro, volta ad amare il Signore e ad avere fiducia nel suo corpo che è la Chiesa. Questo è oggi, cari fratelli Vescovi italiani, il punto centrale della grande sfida della trasmissione della fede alle giovani generazioni.

Per le vostre persone e per le vostre Chiese, per tutta la diletta nazione italiana, per il suo presente e il suo futuro cristiano, per il compito che essa è chiamata a svolgere in Europa e nel mondo, vi assicuro la mia quotidiana preghiera e imparto con affetto una speciale Benedizione Apostolica a voi, ai vostri sacerdoti, ad ogni famiglia italiana.







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