Discorsi 2005-13 12016

AGLI AMMINISTRATORI DELLA REGIONE LAZIO DEL COMUNE E DELLA PROVINCIA DI ROMA Sala Clementina Giovedì, 12 gennaio 2006

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Illustri Signori e gentili Signore!

Sono lieto di ricevervi per il tradizionale scambio di auguri all’inizio di questo nuovo anno, che è anche il primo del mio ministero di Vescovo di Roma e Pastore universale della Chiesa. È questa infatti l’occasione propizia per confermare e rinvigorire quei legami, maturati e consolidati attraverso due millenni di storia, che intercorrono tra il Successore di Pietro e la città di Roma, la sua provincia e la regione del Lazio. Porgo il mio cordiale e deferente saluto al Presidente della Giunta regionale del Lazio, Signor Pietro Marrazzo, al Sindaco di Roma, Onorevole Walter Veltroni, e al Presidente della Provincia di Roma, Signor Enrico Gasbarra, ringraziandoli per le gentili espressioni che mi hanno rivolto, anche a nome delle Amministrazioni da loro guidate. Insieme ad essi, saluto i Presidenti delle rispettive Assemblee consiliari e tutti voi qui riuniti.

Sento anzitutto il bisogno di far giungere, attraverso di voi, l’espressione del mio affetto e della mia sollecitudine pastorale a tutti i cittadini e gli abitanti di Roma e del Lazio. Lo faccio ricorrendo alle parole pronunciate dal mio amato Predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II, in occasione della sua visita in Campidoglio, il 15 gennaio 1998: “Il Signore ti ha affidato, Roma, il compito di essere nel mondo “prima inter Urbes”, faro di civiltà e di fede. Sii all’altezza del tuo glorioso passato, del Vangelo che ti è stato annunciato, dei Martiri e dei Santi che hanno fatto grande il tuo nome. Apri, Roma, le ricchezze del tuo cuore e della tua storia millenaria a Cristo. Non temere, Egli non umilia la tua libertà e la tua grandezza. Egli ti ama e desidera renderti degna della tua vocazione civile e religiosa, perché tu continui ad elargire i tesori di fede, di cultura e di umanità ai tuoi figli e agli uomini del nostro tempo” (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXI/1, 1998, p. 119) . Le popolazioni di Roma e del Lazio hanno mostrato con straordinaria e toccante evidenza, nei mesi della malattia e della morte di Giovanni Paolo II, l’intensità della loro risposta di amore all’amore del Papa. Desidero, nella presente circostanza, manifestare la mia più viva gratitudine a voi, distinte Autorità, ed alle Istituzioni che rappresentate per il grande contributo che avete saputo offrire all’accoglienza di milioni di persone, convenute a Roma da ogni parte del mondo, per rendere l’estremo saluto al compianto Pontefice e poi anche in occasione della mia elezione alla Sede di Pietro.

In verità Roma e il Lazio, come del resto l’Italia e l’umanità intera, hanno vissuto in quei giorni una profonda esperienza spirituale, di fede e di preghiera, di fraternità e di riscoperta dei beni che rendono degna e ricca di significato la nostra vita. Una tale esperienza non deve rimanere priva di frutti anche nell’ambito della comunità civile, dei suoi compiti e delle sue molteplici responsabilità e relazioni. Penso in particolare a quel terreno assai sensibile, e decisivo per la formazione e la felicità delle persone come per il futuro della società, che è rappresentato dalla famiglia. Da ormai tre anni la Diocesi di Roma ha posto la famiglia al centro del suo impegno pastorale, per aiutarla a fronteggiare i motivi di crisi e di sfiducia largamente presenti nel nostro contesto culturale, prendendo più chiara e convinta coscienza della propria natura e dei propri compiti. Come dicevo infatti il 6 giugno scorso, parlando al Convegno che la Diocesi ha dedicato a queste tematiche, “matrimonio e famiglia non sono in realtà una costruzione sociologica casuale, frutto di particolari situazioni storiche ed economiche. Al contrario, la questione del giusto rapporto tra l’uomo e la donna affonda le sue radici dentro l’essenza più profonda dell’essere umano e può trovare la sua risposta soltanto a partire da qui”. Aggiungevo pertanto: “Il matrimonio come istituzione non è quindi una indebita ingerenza della società o dell’autorità, l’imposizione di una forma dal di fuori, è invece esigenza intrinseca del patto dell’amore coniugale”. Non si tratta qui di norme peculiari della morale cattolica, ma di verità elementari che riguardano la nostra comune umanità: rispettarle è essenziale per il bene della persona e della società. Esse interpellano quindi anche le vostre responsabilità di pubblici Amministratori e le vostre competenze normative, in una duplice direzione. Da una parte, sono quanto mai opportuni tutti quei provvedimenti che possono essere di sostegno alle giovani coppie nel formare una famiglia e alla famiglia stessa nella generazione ed educazione dei figli: al riguardo vengono subito alla mente problemi come quelli dei costi degli alloggi, degli asili-nido e delle scuole materne per i bambini più piccoli. Dall’altra parte, è un grave errore oscurare il valore e le funzioni della famiglia legittima fondata sul matrimonio, attribuendo ad altre forme di unione impropri riconoscimenti giuridici, dei quali non vi è, in realtà, alcuna effettiva esigenza sociale.

Uguale attenzione ed impegno richiede la tutela della vita umana nascente: occorre aver cura che non manchino di concreti aiuti le gestanti che si trovano in condizioni di difficoltà ed evitare di introdurre farmaci che nascondano in qualche modo la gravità dell’aborto, come scelta contro la vita. In una società che invecchia diventano poi sempre più rilevanti l’assistenza agli anziani e tutte le complesse problematiche attinenti alla cura della salute dei cittadini. Desidero incoraggiarvi negli sforzi che state compiendo in questi ambiti e sottolineare che, in campo sanitario, i continui sviluppi scientifici e tecnologici, come anche l’impegno per il contenimento dei costi, vanno promossi tenendo ben fermo il superiore principio della centralità della persona del malato. Peculiare attenzione meritano i molti casi di sofferenza e di malattia psichica, anche per non lasciare senza aiuti adeguati le famiglie che non di rado si trovano a dover fronteggiare situazioni assai difficili. Sono lieto per lo sviluppo che hanno avuto in questi anni le varie forme di collaborazione tra le pubbliche Amministrazioni di Roma, della Provincia e della Regione e gli organismi del volontariato ecclesiale, nell’opera volta ad alleviare le povertà vecchie e nuove che purtroppo affliggono una parte non piccola della popolazione, e in particolare molti immigrati.

Distinte Autorità, vi assicuro la mia vicinanza e la mia quotidiana preghiera, per le vostre persone e per l’esercizio delle vostre alte responsabilità. Il Signore illumini i vostri propositi di bene e vi dia la forza di portarli a compimento. Con questi sentimenti, imparto di cuore a ciascuno di voi la Benedizione Apostolica, che estendo volentieri alle vostre famiglie e a quanti vivono e operano a Roma, nella sua provincia e in tutto il Lazio.



ALLA COMUNITÀ DEL CAMMINO NEOCATECUMENALE Aula Paolo VI Giovedì, 12 gennaio 2006

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Cari fratelli e sorelle!

Grazie di cuore per questa vostra visita, che mi offre l'opportunità di inviare uno speciale saluto anche agli altri membri del Cammino Neocatecumenale disseminato in tante parti del mondo. Rivolgo il mio pensiero a ciascuno dei presenti, ad iniziare dai venerati Cardinali, Vescovi e sacerdoti. Saluto i responsabili del Cammino Neocatecumenale: il Signor Kiko Argüello, che ringrazio per le parole che mi ha indirizzato a vostro nome, la Signora Carmen Hernández e Padre Mario Pezzi. Saluto i seminaristi, i giovani e specialmente le famiglie che si apprestano a ricevere uno speciale "invio" missionario per recarsi in varie nazioni, soprattutto in America Latina.

È un compito, questo, che si colloca nel contesto della nuova evangelizzazione, nella quale gioca un ruolo quanto mai importante proprio la famiglia. Voi avete chiesto che a conferirlo fosse il Successore di Pietro, come già avvenne con il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II il 12 dicembre del 1994, perché la vostra azione apostolica intende collocarsi nel cuore della Chiesa, in totale sintonia con le sue direttive e in comunione con le Chiese particolari in cui andrete ad operare, valorizzando appieno la ricchezza dei carismi che il Signore ha suscitato attraverso gli iniziatori del Cammino. Care famiglie, il crocifisso che riceverete sarà vostro inseparabile compagno di cammino, mentre proclamerete con la vostra azione missionaria che solo in Gesù Cristo, morto e risorto, c'è salvezza. Di Lui sarete testimoni miti e gioiosi percorrendo in semplicità e povertà le strade d'ogni continente, sostenuti da incessante preghiera ed ascolto della parola di Dio e nutriti dalla partecipazione alla vita liturgica delle Chiese particolari a cui siete inviati.

L'importanza della liturgia e, in particolare, della Santa Messa nell'evangelizzazione è stata a più riprese posta in evidenza dai miei Predecessori, e la vostra lunga esperienza può bene confermare come la centralità del mistero di Cristo celebrato nei riti liturgici costituisce una via privilegiata e indispensabile per costruire comunità cristiane vive e perseveranti. Proprio per aiutare il Cammino Neocatecumenale a rendere ancor più incisiva la propria azione evangelizzatrice in comunione con tutto il Popolo di Dio, di recente la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti vi ha impartito a mio nome alcune norme concernenti la Celebrazione eucaristica, dopo il periodo di esperienza che aveva concesso il Servo di Dio Giovanni Paolo II. Sono certo che queste norme, che riprendono quanto è previsto nei libri liturgici approvati dalla Chiesa, saranno da voi attentamente osservate. Grazie all'adesione fedele ad ogni direttiva della Chiesa, voi renderete ancor più efficace il vostro apostolato in sintonia e comunione piena con il Papa e i Pastori di ogni Diocesi. E così facendo il Signore continuerà a benedirvi con abbondanti frutti pastorali.

In effetti, in questi anni molto voi avete potuto realizzare, e numerose vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata sono nate all'interno delle vostre comunità. Oggi tuttavia è particolarmente alle famiglie che si rivolge la nostra attenzione. Oltre 200 di esse stanno per essere inviate in missione; sono famiglie che partono senza grandi appoggi umani, ma contando prima di tutto sul sostegno della Provvidenza divina. Care famiglie, voi potete testimoniare con la vostra storia che il Signore non abbandona quanti a Lui si affidano. Continuate a diffondere il vangelo della vita. Dovunque vi conduce la vostra missione, lasciatevi illuminare dalla consolante parola di Gesù: "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta", ed ancora: "Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini" (
Mt 6,33-34). In un mondo che cerca certezze umane e terrene sicurezze, mostrate che Cristo è la salda roccia su cui costruire l'edificio della propria esistenza e che la fiducia in lui riposta non è mai vana. La santa Famiglia di Nazaret vi protegga e sia vostro modello. Io assicuro la mia preghiera per voi e per tutti i membri del Cammino Neocatecumenale, mentre con affetto imparto a ciascuno l'Apostolica Benedizione. DISCORSO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI



DURANTE L'INCONTRO CON I SEDIARI PONTIFICI Sala del Concistoro Venerdì, 13 gennaio 2006

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Cari amici!

Sono lieto di accogliervi e rivolgo a ciascuno il mio cordiale saluto, che estendo alle vostre gentili consorti, insieme con l'augurio di ogni bene per l'anno da poco iniziato. Ho modo di vedervi quasi quotidianamente nell'adempimento del mio ministero, specialmente quando ricevo personalità e gruppi. Quella odierna, però, è l'occasione propizia di incontrarvi tutti insieme, in un clima familiare, per esprimervi apprezzamento e riconoscenza per il contributo che rendete all'ordinato svolgimento delle udienze e delle celebrazioni pontificie. Solerzia, cortesia e discrezione sono i tratti che devono distinguervi nel vostro lavoro, manifestando concretamente il vostro amore per la Chiesa e la vostra dedizione al Successore di Pietro.

Quella di Sediario pontificio è una mansione antica, che nel corso dei secoli si è evoluta secondo diverse modalità, legate alle usanze e alle necessità dei tempi, ed è andata consolidandosi con l'affermarsi del ruolo singolare della Chiesa di Roma e del suo Vescovo. Come ricorda la stessa denominazione, il vostro è un compito da sempre legato alla Sede di Pietro. Del Collegio dei Sediari si ha, infatti, notizia fin dal secolo XIV. Essi furono addetti a varie mansioni, alle dipendenze del Prefetto dei Sacri Palazzi Apostolici o del Maggiordomo, mansioni che, pur in modo diverso, perdurano in buona sostanza fino ad oggi.

Tutto questo, cari amici, deve portarvi a vedere nella vostra attività, al di là dei suoi aspetti transitori e caduchi, il valore del legame con la Sede di Pietro. Il vostro lavoro, pertanto, si inserisce in un contesto dove tutto deve parlare a tutti della Chiesa di Cristo, e deve farlo in modo coerente, imitando Colui che "non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (
Mc 10,45). In quest'ottica vanno viste le recenti riforme attuate dai miei venerati Predecessori, in particolare dal Papa Paolo VI, cui spettò l'attuazione delle nuove istanze conciliari. È stato semplificato il cerimoniale, per ricondurlo a una maggiore sobrietà, meglio intonata al messaggio cristiano e alle esigenze dei tempi.

Il mio augurio, cari amici, è che possiate sempre essere, in Vaticano come a casa, in parrocchia e in ogni ambiente, persone servizievoli e attente al prossimo. È questo un insegnamento prezioso per i vostri figli e nipoti, che apprenderanno dal vostro esempio come l'essere al servizio della Santa Sede comporti prima di tutto una mentalità e uno stile di vita cristiano. Nel clima familiare di questo nostro incontro, desidero assicurare una preghiera speciale per le vostre intenzioni e per quelle dei vostri cari, invocando su tutti la materna protezione di Maria Santissima e di san Pietro. Il Signore vi aiuti a compiere sempre il vostro lavoro in spirito di fede e di sincero amore alla Chiesa. A voi, qui presenti, e ai vostri cari imparto di cuore la Benedizione Apostolica.



AI DIRIGENTI E AL PERSONALE DELL’ISPETTORATO GENERALE DI PUBBLICA SICUREZZA PRESSO IL VATICANO Sala Clementina Sabato, 14 gennaio 2006

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Signor Prefetto,
Signor Questore,
Signor Dirigente,
Cari Funzionari ed Agenti!

Rappresenta una bella tradizione, che ogni anno si rinnova, l’incontro del Papa con voi, cari amici, che con dedizione e professionalità siete al servizio dei pellegrini e provvedere a garantire la sicurezza in Piazza S. Pietro e nelle adiacenze del Vaticano. Quella odierna è, inoltre, un’opportuna occasione per scambiarci cordiali e fervidi voti augurali all’inizio del nuovo anno, che auspico per tutti sereno e proficuo. Ho la gioia di accogliervi per la prima volta come Successore dell’apostolo Pietro, anche se in passato quasi quotidianamente avevo modo di incontrarvi in Piazza o nei dintorni ed ho potuto sempre constatare di persona quanto meritorio sia il vostro non facile lavoro. Con affetto, pertanto, rivolgo a ciascuno il mio sincero benvenuto e il mio saluto, che volentieri estendo alle vostre rispettive famiglie e a tutte le persone a voi care. In particolare vorrei salutare il vostro Dirigente Generale, Dott. Vincenzo Caso, che da pochi mesi è alla guida dell’Ispettorato, ringraziandolo per le cortesi espressioni che mi ha indirizzato a nome dei presenti e di quanti fanno parte della vostra singolare comunità lavorativa. Un deferente saluto vorrei rivolgere anche al Prefetto Salvatore Festa.

Voi siete tutori dell’ordine e della sicurezza: un compito che domanda preparazione tecnica e professionale congiunta a non poca pazienza, vigilanza costante, cortesia e spirito di sacrificio. Quanti lavorano nei vari uffici della Santa Sede, i pellegrini e i turisti che vengono ad incontrare il Papa o a pregare in San Pietro sanno di poter contare sulla vostra discreta ed efficiente assistenza. Voi siete per loro silenziosi ed attenti "angeli custodi" che vegliano giorno e notte sulla zona. Come non ricordare, ad esempio, il grande sforzo dispiegato dal vostro Ispettorato e dalla Polizia con il sostegno di diverse componenti delle Forze Armate Italiane e di altri organismi negli impegnativi giorni della malattia, della morte e dei funerali dell’amato Papa Giovanni Paolo II? Ugualmente efficaci siete stati in occasione della mia elezione alla Sede di Pietro. Profitto dell’odierno incontro per rinnovare il grazie più sincero mio e dei miei collaboratori a tutti coloro che in quelle storiche circostanze hanno offerto il loro apporto perché tutto si svolgesse con ordine e tranquillità, ed il mondo intero ha potuto ammirare l’efficienza dell’organizzazione dispiegata.

Questo porta a considerare quanto sia importante lavorare sempre in armonia e con sincera cooperazione da parte di tutti. Le famiglie, le comunità, le varie organizzazioni, le nazioni ed il mondo stesso sarebbero migliori se, come in un corpo sano e ben compaginato, ogni membro svolgesse con coscienza e altruismo il proprio compito, piccolo o grande che sia. Cari amici, apriamo il cuore a Cristo ed accogliamo con fiducia il suo Vangelo, preziosa regola di vita per coloro che sono alla ricerca del senso vero dell’esistenza umana. Domandiamo aiuto alla Vergine Maria perché, quale Madre premurosa, protegga ciascuno di voi, le vostre famiglie, il vostro lavoro e vegli sull’Italia nell’anno 2006 da poco iniziato. Con questi sentimenti, invoco su di voi e sui vostri cari l’abbondanza dei doni celesti, mentre di cuore imparto a tutti una speciale Benedizione Apostolica.



AL DOTTOR RICCARDO DI SEGNI RABBINO CAPO DI ROMA Lunedì, 16 gennaio 2006

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Illustre Rabbino Capo,
cari amici, Shalom!

«L’Eterno è la mia forza e il mio canto, a Lui devo la salvezza» (
Ex 15,2): così cantò Mosè con i figli d’Israele, quando il Signore salvò il suo popolo attraverso il mare. Allo stesso modo cantò Isaia: «Ecco, Dio è la mia salvezza, io confiderò e non temerò mai, perché mia forza e mio canto è il Signore; egli è stato la mia salvezza» (12,2). La vostra visita mi arreca grande gioia, e mi spinge a rinnovare con voi questo medesimo cantico di gratitudine per la salvezza ottenuta. Il popolo di Israele è stato liberato varie volte dalle mani dei nemici, e nei secoli dell’antisemitismo, nei momenti drammatici della Shoà, la mano dell’Onnipotente lo ha sorretto e guidato. Sempre la predilezione del Dio dell’Alleanza lo ha accompagnato, dandogli forza per superare le prove. Di questa amorevole attenzione divina può rendere testimonianza anche la vostra comunità ebraica, presente nella città di Roma da oltre duemila anni.

A voi è vicina la Chiesa cattolica e vi è amica. Sì, noi vi amiamo e non possiamo non amarvi, a causa dei Padri: per essi voi siete a noi carissimi e prediletti fratelli (cfr Rm 11,28). Dopo il Concilio Vaticano II, è andata crescendo questa stima e reciproca fiducia. Si sono sviluppati contatti sempre più fraterni e cordiali, intensificatisi lungo il pontificato del venerato mio Predecessore Giovanni Paolo II.

In Cristo noi partecipiamo della vostra stessa eredità dei Padri, per servire l’Onnipotente «sotto uno stesso giogo» (So 3,9), innestati sull’unico tronco santo (cfr Is 6,13 Rm 11,16) del Popolo di Dio. Ciò rende noi cristiani consapevoli che, insieme con voi, abbiamo la responsabilità di cooperare al bene di tutti i popoli, nella giustizia e nella pace, nella verità e nella libertà, nella santità e nell’amore. Alla luce di questa comune missione non possiamo non denunciare e combattere con decisione l’odio e le incomprensioni, le ingiustizie e le violenze che continuano a seminare preoccupazioni nell’animo degli uomini e delle donne di buona volontà. In tale contesto, come non essere addolorati e preoccupati per le rinnovate manifestazioni di antisemitismo che talora si registrano?

Distinto Signor Rabbino Capo, da poco Le è stata affidata la guida spirituale della comunità ebraica romana; Ella ha assunto tale responsabilità ricco della sua esperienza di studioso e di medico, che ha condiviso gioie e sofferenze di tante gente. Formulo di cuore fervidi voti augurali per la sua missione e Le assicuro la stima e la cordiale amicizia mia e dei miei collaboratori. Sono, poi, tante le urgenze e le sfide, a Roma e nel mondo, che ci sollecitano ad unire le nostre mani e i nostri cuori in concrete iniziative di solidarietà, di tzedek (giustizia) e di tzedekah (carità). Insieme possiamo collaborare nel trasmettere la fiaccola del Decalogo e della speranza alle giovani generazioni.

L’Eterno vegli su di Lei e sull’intera comunità ebraica di Roma! In questa singolare circostanza faccio mia la preghiera di Papa Clemente I, invocando le benedizioni del Cielo su voi tutti: «Dona la concordia e la pace a tutti gli abitanti della terra, come le hai date ai nostri padri, quando t’invocavano piamente nella fede e nella verità» (Ai Corinzi 60,4). Shalom!



ALLA COMUNITÀ DELL’ALMO COLLEGIO CAPRANICA DI ROMA Sala Clementina Venerdì, 20 gennaio 2006

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Signor Cardinale,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
cari Alunni dell'Almo Collegio Capranica!

Sono lieto di accogliervi in questa speciale Udienza, alla vigilia della memoria liturgica di Sant'Agnese, vostra celeste Patrona. Vi incontro per la prima volta, dopo la mia elezione alla Cattedra dell'Apostolo Pietro, e volentieri colgo l’occasione per rivolgere a tutti un cordiale saluto. Desidero salutare in primo luogo il Cardinale Camillo Ruini e gli altri Presuli, che compongono la Commissione Episcopale preposta al vostro Collegio; saluto il Rettore, Mons. Ermenegildo Manicardi, e gli altri formatori; saluto voi, cari giovani che vi preparate ad esercitare il ministero sacerdotale. Voi vi trovate in un periodo della vita assai importante, che è quello della vostra formazione, un tempo propizio per crescere umanamente, culturalmente e spiritualmente.

Cari giovani, nell’organizzazione del Collegio tutto vi aiuta a ben prepararvi alla futura missione pastorale: la preghiera, il raccoglimento, lo studio, la vita comunitaria e il sostegno dei formatori. Potete beneficiare del fatto che il vostro Seminario, ricco di storia, si trova inserito nella vita della Diocesi di Roma ed è sempre stato impegno e vanto della famiglia capranicense alimentare un forte vincolo di fedeltà verso il Vescovo di Roma. Anche a voi la possibilità di frequentare gli studi teologici in questa nostra Città offre una singolare opportunità di crescita e di apertura alle esigenze della Chiesa universale. Durante questi anni, sia vostra preoccupazione far tesoro di ogni occasione per testimoniare efficacemente il Vangelo in mezzo agli uomini del nostro tempo.

Per rispondere alle attese della società moderna, per cooperare alla vasta azione evangelizzatrice che coinvolge tutti i cristiani, c’è bisogno di sacerdoti preparati e coraggiosi che, senza ambizioni e timori, ma convinti della Verità evangelica, si preoccupino anzitutto di annunciare Cristo e, in suo nome, siano pronti a chinarsi sulle sofferenze umane, facendo sperimentare il conforto dell’amore di Dio e il calore della famiglia ecclesiale a tutti, specialmente ai poveri e a quanti versano in difficoltà. Ciò comporta, voi ben lo sapete, insieme ad una maturazione umana e a un’adesione diligente alla verità rivelata, che il Magistero della Chiesa fedelmente propone, un serio impegno nella santificazione personale e nell'esercizio delle virtù, specialmente dell'umiltà e della carità; occorre pure alimentare la comunione con le varie componenti del Popolo di Dio, perché cresca in ciascuno la consapevolezza di essere parte dell’unico Corpo di Cristo, membra gli uni degli altri (cfr
Rm 12,4-6). Perché tutto ciò possa realizzarsi, vi invito, cari amici, a mantenere lo sguardo fisso su Cristo, autore e perfezionatore della fede (cfr He 12,2). Quanto più, infatti, resterete in comunione con Lui, tanto più sarete in grado di seguirne fedelmente le orme, così che, “nella carità, che è il vincolo della perfezione” (Col 3,14), maturi il vostro amore per il Signore, sotto la guida dello Spirito Santo. Sono dinanzi ai vostri occhi testimonianze di sacerdoti zelanti, che nel corso degli anni il vostro “Almo” Collegio ha annoverato tra i suoi alunni, sacerdoti che hanno profuso tesori di scienza e di bontà nella Vigna del Signore. Seguite il loro esempio!

Cari amici, il Papa vi accompagna con la preghiera, chiedendo al Signore di confortarvi e colmarvi di doni abbondanti. Interceda per voi Sant'Agnese, che, in giovane età, resistendo a lusinghe e minacce, scelse per suo tesoro la “perla” preziosa del Regno e amò Cristo sino al martirio. La Vergine Maria faccia sì che possiate recare frutti abbondanti di opere buone, a lode del Signore e per il bene della santa Chiesa. A conferma di tali auspici, imparto con affetto a voi e all'intera Comunità del Capranica la Benedizione Apostolica, che volentieri estendo a quanti vi sono cari.



AI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO PROMOSSO DAL PONTIFICIO CONSIGLIO "COR UNUM" Sala Clementina Lunedì, 23 gennaio 2006

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L'escursione cosmica, in cui Dante nella sua "Divina Commedia" vuole coinvolgere il lettore, finisce davanti alla Luce perenne che è Dio stesso, davanti a quella Luce che al contempo è "l'amor che move il sole e l'altre stelle" (Par. XXXIII, v. 145). Luce e amore sono una sola cosa. Sono la primordiale potenza creatrice che muove l'universo. Se queste parole del Paradiso di Dante lasciano trasparire il pensiero di Aristotele, che vedeva nell'eros la potenza che muove il mondo, lo sguardo di Dante tuttavia scorge una cosa totalmente nuova ed inimmaginabile per il filosofo greco. Non soltanto che la Luce eterna si presenta in tre cerchi ai quali egli si rivolge con quei densi versi che conosciamo: "O luce etterna che sola in te sidi, / sola t'intendi, e da te intelletta / e intendente te ami a arridi!" (Par., XXXIII, vv. 124-126). In realtà, ancora più sconvolgente di questa rivelazione di Dio come cerchio trinitario di conoscenza e amore è la percezione di un volto umano - il volto di Gesù Cristo - che a Dante appare nel cerchio centrale della Luce. Dio, Luce infinita il cui mistero incommensurabile il filosofo greco aveva intuito, questo Dio ha un volto umano e - possiamo aggiungere - un cuore umano. In questa visione di Dante si mostra, da una parte, la continuità tra la fede cristiana in Dio e la ricerca sviluppata dalla ragione e dal mondo delle religioni; al contempo, però, appare anche la novità che supera ogni ricerca umana - la novità che solo Dio stesso poteva rivelarci: la novità di un amore che ha spinto Dio ad assumere un volto umano, anzi ad assumere carne e sangue, l'intero essere umano. L'eros di Dio non è soltanto una forza cosmica primordiale; è amore che ha creato l'uomo e si china verso di lui, come si è chinato il buon Samaritano verso l'uomo ferito e derubato, giacente al margine della strada che scendeva da Gerusalemme a Gerico.

La parola "amore" oggi è così sciupata, così consumata e abusata che quasi si teme di lasciarla affiorare sulle proprie labbra. Eppure è una parola primordiale, espressione della realtà primordiale; noi non possiamo semplicemente abbandonarla, ma dobbiamo riprenderla, purificarla e riportarla al suo splendore originario, perché possa illuminare la nostra vita e portarla sulla retta via. È stata questa consapevolezza che mi ha indotto a scegliere l'amore come tema della mia prima Enciclica. Volevo tentare di esprimere per il nostro tempo e per la nostra esistenza qualcosa di quello che Dante nella sua visione ha ricapitolato in modo audace. Egli narra di una "vista" che "s'avvalorava" mentre egli guardava e lo mutava interiormente (cfr Par., XXXIII, vv. 112-114). Si tratta proprio di questo: che la fede diventi una visione-comprensione che ci trasforma. Era mio desiderio di dare risalto alla centralità della fede in Dio - in quel Dio che ha assunto un volto umano e un cuore umano. La fede non è una teoria che si può far propria o anche accantonare. È una cosa molto concreta: è il criterio che decide del nostro stile di vita. In un'epoca nella quale l'ostilità e l'avidità sono diventate superpotenze, un'epoca nella quale assistiamo all'abuso della religione fino all'apoteosi dell'odio, la sola razionalità neutra non è in grado di proteggerci. Abbiamo bisogno del Dio vivente, che ci ha amati fino alla morte.

Così, in questa Enciclica, i temi "Dio", "Cristo" e "Amore" sono fusi insieme come guida centrale della fede cristiana. Volevo mostrare l'umanità della fede, di cui fa parte l'eros - il "sì" dell'uomo alla sua corporeità creata da Dio, un "sì" che nel matrimonio indissolubile tra uomo e donna trova la sua forma radicata nella creazione. E lì avviene anche che l'eros si trasforma in agape - che l'amore per l'altro non cerca più se stesso, ma diventa preoccupazione per l'altro, disposizione al sacrificio per lui e apertura anche al dono di una nuova vita umana. L'agape cristiana, l'amore per il prossimo nella sequela di Cristo non è qualcosa di estraneo, posto accanto o addirittura contro l'eros; anzi, nel sacrificio che Cristo ha fatto di sé per l'uomo ha trovato una nuova dimensione che, nella storia della dedizione caritatevole dei cristiani ai poveri e ai sofferenti, si è sviluppata sempre di più.

Una prima lettura dell'Enciclica potrebbe forse suscitare l'impressione che essa si spezzi in due parti tra loro poco collegate: una prima parte teorica, che parla dell'essenza dell'amore, e una seconda che tratta della carità ecclesiale, delle organizzazioni caritative. A me però interessava proprio l'unità dei due temi che, solo se visti come un'unica cosa, sono compresi bene. Dapprima occorreva trattare dell'essenza dell'amore come si presenta a noi nella luce della testimonianza biblica. Partendo dall'immagine cristiana di Dio, bisognava mostrare come l'uomo è creato per amare e come questo amore, che inizialmente appare soprattutto come eros tra uomo e donna, deve poi interiormente trasformarsi in agape, in dono di sé all'altro - e ciò proprio per rispondere alla vera natura dell'eros. Su questa base si doveva poi chiarire che l'essenza dell'amore di Dio e del prossimo descritto nella Bibbia è il centro dell'esistenza cristiana, è il frutto della fede. Successivamente, però, in una seconda parte bisognava evidenziare che l'atto totalmente personale dell'agape non può mai restare una cosa solamente individuale, ma che deve invece diventare anche un atto essenziale della Chiesa come comunità: abbisogna cioè anche della forma istituzionale che s'esprime nell'agire comunitario della Chiesa. L'organizzazione ecclesiale della carità non è una forma di assistenza sociale che s'aggiunge casualmente alla realtà della Chiesa, un'iniziativa che si potrebbe lasciare anche ad altri. Essa fa parte invece della natura della Chiesa. Come al Logos divino corrisponde l'annuncio umano, la parola della fede, così all'Agape, che è Dio, deve corrispondere l'agape della Chiesa, la sua attività caritativa. Questa attività, oltre al primo significato molto concreto dell'aiutare il prossimo, possiede essenzialmente anche quello del comunicare agli altri l'amore di Dio, che noi stessi abbiamo ricevuto. Essa deve rendere in qualche modo visibile il Dio vivente. Dio e Cristo nell'organizzazione caritativa non devono essere parole estranee; esse in realtà indicano la fonte originaria della carità ecclesiale. La forza della Caritas dipende dalla forza della fede di tutti i membri e collaboratori.

Lo spettacolo dell'uomo sofferente tocca il nostro cuore. Ma l'impegno caritativo ha un senso che va ben oltre la semplice filantropia. È Dio stesso che ci spinge nel nostro intimo ad alleviare la miseria. Così, in definitiva, è Lui stesso che noi portiamo nel mondo sofferente. Quanto più consapevolmente e chiaramente lo portiamo come dono, tanto più efficacemente il nostro amore cambierà il mondo e risveglierà la speranza - una speranza che va al di là della morte e solo così è vera speranza per l'uomo. Auguro la benedizione del Signore per il vostro Simposio.




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