Discorsi 2005-13 20026

AI MEMBRI DELLA FONDAZIONE GIOVANNI PAOLO II PER IL SAHEL Lunedì, 20 febbraio 2006

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Cari Amici della Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel,

Sono lieto di accogliere voi e tutti coloro che collaborano alle diverse attività della Fondazione, e saluto in particolare Monsignor Jean-Pierre Bassène, Vescovo di Kolda in Senegal, Presidente del Consiglio di Amministrazione.

La Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel è nata dalla solidarietà di quei fedeli, in particolare della Germania, che hanno risposto generosamente all'appello di Ouagadougou, lanciato dal mio Venerato Predecessore a favore dei popoli del Sahel che dovevano allora affrontare le conseguenze di una drammatica siccità. Affidata alla responsabilità dei Vescovi dei Paesi coinvolti per lottare contro la desertificazione di questa regione dell'Africa, la Fondazione si è sviluppata pienamente come un'opera di Chiesa, mostrando, attraverso numerosissimi progetti sostenuti e messi in atto da oltre vent'anni, che l'amore per il prossimo, che è un compito di ogni fedele ma anche dell'intera comunità ecclesiale (cfr Deus caritas est ), deve esprimersi in gesti concreti. Vi incoraggio a proseguire con determinazione, grazie al sostegno attivo del Pontificio Consiglio "Cor Unum", questa opera di fraternità cristiana, che è un servizio all'uomo nella sua totalità e che contribuisce anche al dialogo interreligioso e alla rivelazione dell'amore di Dio per gli abitanti di questa terra. È dunque parte integrante dell'azione evangelizzatrice.

Affidandovi all'intercessione della Vergine Maria, Regina dell'Africa, imparto di tutto cuore a voi e anche a tutti i collaboratori della Fondazione e ai popoli del Sahel, una particolare e affettuosa Benedizione Apostolica.



AI VESCOVI DELLA CONFERENZE EPISCOPALE DEL SENEGAL, MAURITANIA, GUINEA-BISSAU E CAPO VERDE IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Lunedì, 20 febbraio 2006

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Cari Fratelli nell'Episcopato,

Sono lieto di accogliervi mentre realizzate il vostro pellegrinaggio presso le tombe degli Apostoli, per riaffermare la vostra comunione con il Successore di Pietro e per consolidare i vincoli di fede e di unità fra le vostre Chiese particolari e la Chiesa di Roma, e con l'intero corpo ecclesiale.

Ringrazio il Presidente della vostra Conferenza Episcopale, Monsignor Jean Noël Diouf, Vescovo di Tambacounda, per la presentazione che ha fatto delle realtà della Chiesa nella vostra regione. Attraverso di voi, Pastori della Chiesa che è in Senegal, in Mauritania, in Guinea-Bissau e a Capo Verde, mi unisco con il cuore e con la preghiera ai popoli dei quali avete la responsabilità pastorale. Che Dio benedica gli artefici di pace e di fraternità che, nel vostro Paese, costruiscono rapporti di fiducia e di sostegno reciproco fra le comunità umane e religiose!

Le vostre Chiese particolari presentano una grande diversità di situazioni umane ed ecclesiali che rende a volte difficile un buon coordinamento del lavoro dei Pastori. Per compiere la missione che avete ricevuto dal Signore e conferirle una fecondità apostolica sempre più grande, i vincoli di comunione effettivi restano essenziali. Così, partecipando agli incontri della vostra Conferenza Episcopale, non solo troverete un sostegno per l'esercizio del ministero episcopale, ma mostrerete anche concretamente che il Vescovo non è un uomo solo, poiché è sempre e continuamente con colui che il Signore ha scelto come Successore di Pietro e con i suoi fratelli nell'Episcopato.

Camminando con il suo popolo, il Vescovo deve suscitare, guidare e coordinare l'azione evangelizzatrice, affinché la fede si accresca e si diffonda fra gli uomini. In questa prospettiva, il Vangelo deve essere pienamente radicato nella cultura dei vostri popoli. Il ritorno a certe pratiche della religione tradizionale, che osservate a volte fra i cristiani, deve spronare a cercare mezzi appropriati per ravvivare e rafforzare la fede alla luce del Vangelo, e per consolidare i fondamenti teologici delle vostre Chiese particolari, prendendo al contempo il meglio dell'identità africana. Di fatto, con il suo Battesimo, il cristiano non deve considerarsi escluso dalla vita del suo popolo o della sua famiglia, ma la sua esistenza deve restare in totale armonia con gli impegni che ha preso; ciò comporta necessariamente una rottura con le abitudini e i costumi della sua vita passata, poiché il Vangelo è un dono che gli è stato fatto, che proviene dall'alto. Per vivere in fedeltà agli impegni battesimali, ognuno deve avere una salda formazione della fede, al fine di far fronte ai fenomeni nuovi della vita contemporanea come lo sviluppo dell'urbanizzazione, l'inoperosità di molti giovani, le seduzioni materiali di ogni sorta, o l'influenza di idee che provengono da ogni orizzonte. Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica offre ora ai fedeli un'esposizione rinnovata e sicura delle verità della fede della Chiesa cattolica, permettendo a ognuno di definire in totale chiarezza i gesti conformi all'impegno cristiano.

Cari Fratelli nell'Episcopato, in questa difficile opera di evangelizzazione, i vostri sacerdoti sono collaboratori generosi che incoraggio di cuore nei loro impegni apostolici. Auspico vivamente che la loro formazione iniziale e permanente faccia di essi uomini equilibrati dal punto di vista umano e spirituale, capaci di rispondere alle sfide che devono affrontare, nella vita sia personale sia pastorale. Pertanto, dando alla formazione umana e intellettuale il posto che le corrisponde, si avrà cura di offrire loro una salda formazione spirituale, per rafforzare la loro vita di intimità con Dio nella preghiera e nella contemplazione, e per permettere loro di discernere la presenza e l'azione del Signore nelle persone che sono affidate alla loro sollecitudine pastorale. Nella misura in cui faranno un'autentica esperienza personale di Cristo, saranno capaci di accogliere con generosità l'esigenza del dono di sé a Dio e agli altri, e di realizzarlo nel servizio umile e disinteressato della carità. Per favorire l'armonia nella Chiesa e contribuire al suo dinamismo missionario, auspico che i membri degli Istituti di Vita consacrata, dei quali riconosco con gratitudine il servizio costante offerto alla missione nelle vostre Diocesi, mantengano rapporti di fiducia e di collaborazione con i Pastori, vivendo una comunione profonda, non solo all'interno di ogni comunità, ma anche con la Chiesa diocesana e universale. Nella fedeltà alla sua vocazione particolare, possa ogni Istituto dimostrare sempre che le sue opere sono innanzitutto un'espressione della fede nell'amore di Dio e che è mettendo questo amore al centro della vita che risponde realmente ai bisogni degli uomini!

Uno dei compiti attraverso i quali la Chiesa nella vostra regione mostra più visibilmente l'amore per il prossimo è il suo impegno in vista dello sviluppo sociale. Numerose strutture ecclesiali permettono alle vostre comunità di mettersi efficacemente al servizio dei più poveri, segno della loro consapevolezza che l'amore per il prossimo, radicato nell'amore di Dio, è costitutivo della vita cristiana. Così, "tutta l'attività della Chiesa è espressione di un amore che cerca il bene integrale dell'uomo" (Deus caritas est ). Il cristianesimo non deve essere però ridotto a una saggezza puramente umana e neppure confondersi con un servizio sociale, in quanto si tratta anche di un servizio spirituale. Tuttavia, per il discepolo di Cristo, l'esercizio della carità non può essere un mezzo al servizio del proselitismo, poiché l'amore è gratuito (cfr Ibidem, n. 31). Voi esercitate il servizio all'uomo spesso in collaborazione con uomini e donne che non condividono la fede cristiana, in particolare con musulmani. Gli sforzi così realizzati per un incontro in verità dei credenti di diverse tradizioni religiose contribuiscono alla realizzazione concreta del bene autentico delle persone e della società. È imperativo approfondire sempre più le relazioni fraterne fra le comunità, al fine di favorire uno sviluppo armonioso della società, riconoscendo la dignità di ogni persona e permettendo a tutti il libero esercizio della propria religione.

Questo compito di favorire lo sviluppo armonioso della società è particolarmente urgente in Guinea-Bissau la cui popolazione, in mezzo a non poche tensioni e lacerazioni, attende ancora un corretto avviamento delle strutture politiche e amministrative, consolidando la loro operatività e il loro funzionamento al servizio di una società dove tutti possano essere artefici di un progetto comune. So che la Chiesa locale si trova in prima linea nella promozione del dialogo e della cooperazione fra tutte le componenti della Nazione; attraverso la parola illuminata dalla fede, la testimonianza costante di fedeltà al Vangelo e il generoso servizio pastorale, continuate a essere, amati Pastori, punti di riferimento sicuro e di orientamento per tutti i vostri concittadini.

Allargando ora lo sguardo ai diversi Paesi, vedo che una delle priorità pastorali delle vostre Diocesi è la famiglia cristiana; giustamente! Senza di essa, mancherebbe l'unità basilare di vita e di costruzione a quella "Famiglia di Dio" con cui la Chiesa nel nostro continente si è riconosciuta e si è proposta di essere nell'Assemblea Sinodale del 1994. Essa non si potrà considerare realmente inserita o incarnata finché l'ideale cristiano di vita familiare non si sarà radicato in seno al popolo africano. Il cammino per tutto ciò passa non per mutamenti volti a sovvertire il nucleo centrale della dottrina sacramentale e familiare della Chiesa, ma per una fedeltà radicale dei coniugi alla vita nuova abbracciata nel Battesimo e nel ricondurre al Vangelo di Gesù Cristo il matrimonio africano tradizionale, dato rilevante delle culture locali. Queste ultime, per raggiungere la loro misura più alta, hanno bisogno dell'incontro con Cristo, ma anch'Egli attende questo incontro perché l'evento dell'Incarnazione giunga alla sua pienezza, dando la "statura completa" (cfr
Ep 4,13) al Corpo di Cristo che è la Chiesa. Questa, sommando i valori delle diverse culture, diviene quella sposa adornata con i suoi gioielli di cui parla il profeta Isaia (cfr 61, 10); è così che mi è grato vedervi, amate Diocesi di questa Conferenza Episcopale. Adornatevi dei vostri gioielli migliori per Cristo Signore!

Cari Fratelli nell'Episcopato, nel concludere il nostro incontro, affido ognuna delle vostre comunità diocesane alla Vergine Maria, Regina dell'Africa. Portate il saluto cordiale del Papa e il suo incoraggiamento ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose, ai catechisti e a tutti i fedeli laici delle vostre Diocesi. Che Dio permetta a tutti di essere testimoni fedeli del suo amore per gli uomini! Di tutto cuore, vi imparto un'affettuosa Benedizione Apostolica.



AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DELLA BOSNIA ED ERZEGOVINA IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Venerdì, 24 febbraio 2006

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Venerati Fratelli nell’Episcopato!

«Beati gli operatori di pace» (
Mt 5,9). Con queste parole di Gesù vi saluto cordialmente, al termine della vostra visita ad limina Apostolorum. Attraverso di voi desidero far giungere il mio saluto anche ai fedeli che il divino Maestro ha affidato alle vostre cure pastorali. Grazie, Signor Cardinale Vinko Pulijc, per le parole che, a nome anche degli altri Vescovi della Bosnia ed Erzegovina, ha voluto indirizzarmi, esprimendo al tempo stesso i sentimenti delle rispettive comunità.

Informandomi circa la situazione dei vostri fedeli, accanto agli aspetti problematici della loro quotidiana esistenza, voi avete fatto emergere gli elementi di speranza che il loro impegno giustifica, e i programmi pastorali che state sviluppando. Dagli incontri ho colto in voi un forte desiderio di mantenere viva la comunione di intenti, per affrontare uniti le attuali sfide con cui deve misurarsi il vostro popolo. Certo le difficoltà sono numerose, ma grande è la fiducia nella Provvidenza divina da parte vostra, come anche da parte dei vostri sacerdoti e fedeli. Dopo gli anni tristi della recente guerra, voi oggi, quali operatori di pace, siete chiamati a rinsaldare la comunione e a diffondere la misericordia, la comprensione e il perdono nel nome di Cristo sia all’interno delle comunità cristiane che nel complesso tessuto sociale della Bosnia ed Erzegovina. So bene che la vostra non è una missione facile, ma so pure che voi mantenete il vostro sguardo costantemente fisso su Cristo, il quale, avendo amato tutti sino alla fine, ha assegnato ai suoi discepoli un fondamentale compito che riassume tutti gli altri, quello di amare. L’amore, per essere fecondo sul piano spirituale, non deve semplicemente seguire leggi terrene, ma lasciarsi illuminare dalla verità che è Dio e tradursi in quella superiore misura della giustizia che è la misericordia. Se opererete con questo spirito, voi potrete felicemente portare avanti la missione affidatavi, contribuendo a rimarginare ferite tuttora aperte e a risolvere contrasti e divisioni, retaggio di anni passati.

Mossi dall’amore di Cristo, siete decisi a non perdere la fiducia pur davanti agli assillanti problemi che vi incalzano. Mi riferisco alla situazione degli esuli, per i quali auspico la conclusione di opportuni accordi che assicurino il rispetto dei diritti di tutti. Penso, in particolare, alla necessaria uguaglianza fra i cittadini di diversa religione, all’urgenza di misure che provvedano alla crescente mancanza di lavoro per i giovani, all’attenuazione delle minacciose tensioni fra etnie, retaggio delle complesse vicende storiche vissute dalle vostre terre. La Sede Apostolica vi è vicina, come testimonia anche la recente nomina di un Nunzio residente, il quale potrà avere un contatto permanente con le varie istanze del Paese. Sentitevi, cari e venerati Fratelli, parte viva del Corpo mistico di Cristo. Voi potete contare sull’orante, concreta ed affettuosa solidarietà della Santa Sede e dell’intera Chiesa cattolica.

Mentre vi ringrazio per l’attento ministero che svolgete, vorrei soffermarmi su alcune preoccupazioni, da voi stessi manifestate, circa taluni aspetti della vita delle vostre Diocesi. E’ innanzitutto importante che si faccia ogni sforzo perché cresca sempre più l’unità del gregge di Cristo: tra voi, legittimi Pastori, e i Religiosi, particolarmente quelli che svolgono un ministero pastorale nel territorio della Diocesi; tra il clero diocesano e le persone consacrate; infine tra tutti coloro che sono al servizio del popolo cristiano superando, se necessario, incomprensioni e difficoltà legate ad eventi del passato. La Chiesa persegue ovunque un unico obiettivo, quello di edificare il Regno di Dio in ogni terra e nel cuore di ogni persona. Ai Successori degli Apostoli e ai loro collaboratori nel ministero pastorale è affidata la missione di preservare intatta l’eredità del Signore, aderendo fedelmente al patrimonio dottrinale e spirituale della Chiesa nella sua interezza.

Beati i costruttori di pace! Queste parole ben si applicano, oltre che alla missione della Chiesa verso l’esterno, anche ai rapporti tra i suoi membri all’interno di essa. Le diverse istanze ecclesiali, nelle loro legittime articolazioni, sono regolate da norme canoniche che sono espressione di un’esperienza secolare, non priva nella sua maturazione di un’assistenza dall’Alto. Tocca al Vescovo, Padre della comunità affidatagli da Cristo, discernere ciò che giova all’edificazione della Chiesa di Cristo. Il Vescovo, in tal senso, è pontefice, cioè “costruttore di ponti” tra le diverse esigenze della comunità ecclesiale. E questo costituisce un aspetto del ministero episcopale particolarmente importante nel presente momento storico, che vede la Bosnia ed Erzegovina riprendere il cammino della collaborazione per costruire il proprio futuro di sviluppo sociale e di pace.

Venerati Fratelli, il Successore di Pietro è al vostro fianco e vi assicura il suo costante sostegno. Questi giorni da voi trascorsi a Roma, gli incontri che avete avuto con me e con i miei collaboratori della Curia Romana vi hanno permesso di sperimentare quanto sincera e fraterna sia la nostra vicinanza spirituale. Io prego il Signore perché su di voi, sui vostri Sacerdoti, sui Religiosi e sulle Religiose, come anche sull’intero popolo del vostro Paese effonda l’abbondanza delle sue grazie. Affido questa preghiera all’intercessione di Maria, Madre di Dio e della Chiesa, affinché interceda a favore di tutti i suoi figli. Con questi sentimenti vi imparto la mia Benedizione, che di cuore estendo alle vostre Comunità, ai fedeli cattolici e a tutte le persone di buona volontà dell’amata Bosnia ed Erzegovina.



AI SOCI DEL CIRCOLO SAN PIETRO Sala dei Papi Sabato, 25 febbraio 2006

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Cari amici!

Sono lieto di accogliervi e rivolgo a ciascuno di voi il mio cordiale saluto. Saluto tutti i membri della Presidenza Generale del Circolo San Pietro ed in particolare il Presidente, Don Leopoldo dei Duchi Torlonia, che ringrazio per le cortesi parole con cui ha introdotto il nostro incontro. Questo tradizionale appuntamento, che avviene subito dopo la festa della Cattedra di San Pietro apostolo, costituisce un momento particolarmente significativo, nel quale il vostro benemerito sodalizio offre al Papa l'Obolo di San Pietro, raccolto nella Diocesi di Roma durante l'anno trascorso. È dunque per me una circostanza propizia per manifestarvi viva gratitudine, pensando all'impegno che ponete in tale opera e più ancora allo spirito di fede e di amore per la Chiesa con cui la compite.

L’"obolo di San Pietro" è l’espressione più tipica della partecipazione di tutti i fedeli alle iniziative di bene del Vescovo di Roma nei confronti della Chiesa universale. E’ un gesto cha ha valore non soltanto pratico, ma anche fortemente simbolico, come segno di comunione col Papa e di attenzione alle necessità dei fratelli; e per questo il vostro servizio possiede un valore squisitamente ecclesiale. Tutto ciò acquista maggiore risalto alla luce della mia Enciclica sull’amore cristiano Deus caritas est, nella quale, come sapete, la seconda parte è dedicata proprio all’esercizio della carità da parte della Chiesa quale "comunità d’amore". A voi, pertanto, cari responsabili del Circolo San Pietro, vorrei consegnare idealmente l’Enciclica, della quale, come fedeli laici che si impegnano molto anche in azioni caritative, siete tra i primi destinatari. Infatti, proprio pensando a quanti, come voi, collaborano a quello che potremmo chiamare il ministero della carità della comunità cristiana, ho tracciato un profilo, che potrà esservi utile riprendere a livello sia personale che di gruppo (cfr nn. 33-39). Ho ricordato che la motivazione principale dell’agire dev’essere sempre l’amore di Cristo; che la carità è più che semplice attività, e implica il dono di sé; che questo dono dev’essere umile, scevro da ogni superiorità, e che la sua forza proviene dalla preghiera, come dimostra l’esempio dei Santi.

Ai Santi della carità, di cui, a partire dal Diacono Lorenzo, è ricca la storia della Chiesa di Roma, desidero affidare il Circolo di San Pietro. Cari amici, vi ringrazio nuovamente di questa vostra visita e del servizio che con dedizione svolgete da tanti anni al servizio del Papa. Invoco su ciascuno di voi la protezione di Maria Santissima, perché vi accompagni e vi sostenga sempre. Quanto a me, vi assicuro un ricordo nella mia preghiera, mentre vi benedico di cuore, insieme con tutti i soci e le vostre famiglie.


VISITA AL PONTIFICIO SEMINARIO ROMANO MAGGIORE IN OCCASIONE DELLA FESTA DELLA MADONNA DELLA FIDUCIA Sabato, 25 febbraio 2006

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Cari Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
cari Seminaristi,
fratelli e sorelle!

È con grande piacere che questa sera mi trovo fra voi, nel Seminario Romano Maggiore, in un'occasione così singolare com'è la festa della vostra Patrona, la Madonna della Fiducia. Vi saluto tutti con affetto e vi ringrazio per avermi accolto con tanto calore. Saluto in modo speciale il Cardinale Vicario e i Vescovi presenti; saluto il Rettore, Mons. Giovanni Tani, e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto a nome degli altri sacerdoti e di tutti i seminaristi, ai quali estendo volentieri il mio saluto. Saluto, poi, i giovani e quanti dalle diverse parrocchie di Roma sono venuti a trascorrere insieme con noi questo momento di gioia.

Attendevo da tempo l'occasione per venire di persona a far visita a voi, che formate la comunità del Seminario, uno dei luoghi più importanti della Diocesi. A Roma vi sono più seminari, ma questo è in senso proprio il Seminario diocesano, come richiama anche la sua collocazione qui in Laterano, accanto alla Cattedrale di San Giovanni, la Cattedrale di Roma. Per questo, seguendo una tradizione cara all'amato Papa Giovanni Paolo II, ho approfittato della festa odierna per incontrarvi qui, dove voi pregate, studiate e vivete in fraternità, preparandovi al futuro ministero pastorale.

È davvero molto bello e significativo che la Vergine Maria, Madre dei sacerdoti, sia venerata da voi con il singolare titolo di Madonna della Fiducia. Questo fa pensare a un doppio significato: alla fiducia dei Seminaristi, che con il suo aiuto compiono il loro cammino di risposta a Cristo che li ha chiamati; e alla fiducia della Chiesa di Roma, e specialmente del suo Vescovo, che invoca la protezione di Maria, Madre di ogni vocazione, su questo vivaio sacerdotale. È con il suo aiuto che voi, cari seminaristi, vi potete preparare oggi alla vostra missione di presbiteri al servizio della Chiesa. Quando, poco fa, mi sono raccolto in preghiera dinanzi alla venerata immagine della Madonna della Fiducia nella vostra Cappella, che rappresenta il cuore del Seminario, ho pregato per ciascuno di voi. Ripensavo intanto ai molti seminaristi che sono passati nel Seminario Romano e che poi hanno servito con amore la Chiesa di Cristo - penso, tra gli altri, a Don Andrea Santoro, ucciso recentemente in Turchia mentre pregava. E così ho invocato la Madre del Redentore perché ottenga anche a voi il dono della santità. Possa lo Spirito Santo, che ha plasmato il Cuore sacerdotale di Gesù nel grembo della Vergine e poi nella casa di Nazaret, operare in voi con la sua grazia preparandovi ai futuri compiti che vi saranno affidati.

È altrettanto bello e appropriato che, insieme alla Vergine Madre della Fiducia, quest'oggi veneriamo in modo speciale il suo sposo, san Giuseppe, al quale Mons. Marco Frisina si è ispirato quest'anno per il suo Oratorio. Lo ringrazio per la sua delicatezza, avendo scelto di onorare il mio santo Patrono, e mi congratulo per questa composizione, mentre ringrazio di cuore i solisti, i coristi, l'organista e tutti i membri dell'Orchestra. Questo Oratorio, significativamente intitolato "Ombra del Padre", mi offre l'occasione per sottolineare come l'esempio di san Giuseppe, "uomo giusto", dice l'Evangelista, pienamente responsabile di fronte a Dio e di fronte a Maria, costituisca per tutti un incoraggiamento nel cammino verso il sacerdozio. Egli ci appare sempre attento alla voce del Signore, che guida gli avvenimenti della storia e pronto a seguirne le indicazioni; sempre fedele, generoso e distaccato nel servizio; maestro efficace di preghiera e di lavoro nel nascondimento di Nazareth. Vi posso assicurare, cari Seminaristi, che più avanzerete, con la grazia di Dio, nella via del sacerdozio, più sperimenterete quanto sia ricco di frutti spirituali fare riferimento a san Giuseppe e invocarne il sostegno nel quotidiano disimpegno del proprio dovere.

Cari seminaristi, accogliete il mio augurio più cordiale per il presente e per il futuro. Lo pongo nelle mani di Maria santissima, Madonna della Fiducia. Coloro che si formano nel Seminario Romano Maggiore imparano a ripetere la bella invocazione "Mater mea, fiducia mea", che il mio venerato Predecessore Benedetto XV definì come la loro formula distintiva. Prego perché queste parole si imprimano nel cuore di ciascuno di voi, e vi accompagnino sempre durante la vostra vita e il vostro ministero sacerdotale. Così potrete diffondere intorno a voi, dovunque sarete, il profumo della fiducia di Maria, che è la fiducia nell'amore provvido e fedele di Dio. Io vi assicuro che ogni giorno sarete presenti nella mia preghiera, giacché costituite la speranza della Chiesa di Roma. Ed ora con gioia a voi e a tutti i presenti, come pure ai vostri familiari e a quanti vi sono vicini nel cammino verso il sacerdozio, imparto di cuore la Benedizione Apostolica.





AGLI STUDENTI DEL COLLEGIO TEOLOGICO DELLA "APOSTOLIKI DIAKONIA" DELLA CHIESA ORTODOSSA DI GRECIA Sala del Concistoro Lunedì, 27 febbraio 2006

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Eccellenza,
Reverendissimi Archimandriti,
Sacerdoti, seminaristi e partecipanti tutti
alla «visita di studio» a Roma,

nell’accogliervi con gioia e con gratitudine in occasione dell’iniziativa di questa visita a Roma, desidero richiamare un’esortazione che Sant’Ignazio, il grande Vescovo di Antiochia, rivolgeva agli Efesini: «Abbiate cura di riunirvi più di frequente per rendere grazie a Dio e celebrare le sue lodi. Poiché, se vi riunirete spesso, le forze del male saranno sconfitte e la sua opera di morte distrutta dalla concordia della vostra fede».

Per noi cristiani, d’Oriente e d’Occidente, all’inizio del secondo millennio le forze del male hanno agito anche nelle divisioni che ancora perdurano tra di noi. Negli ultimi quarant’anni, tuttavia, molti segni consolatori e pieni di speranza ci hanno fatto scorgere una nuova aurora, quella del giorno in cui comprenderemo pienamente che essere radicati e fondati nella carità di Cristo significa trovare concretamente una via per superare le nostre divisioni attraverso una conversione personale e comunitaria, l’esercizio dell’ascolto dell’altro e la preghiera in comune per la nostra unità.

Tra i segni consolanti di questo percorso, impegnativo e irrinunciabile, mi piace ricordare il recente e positivo evolversi delle relazioni tra la Chiesa di Roma e la Chiesa ortodossa di Grecia. Dopo il memorabile incontro all’Areopago di Atene tra il mio amato predecessore, il Papa Giovanni Paolo II, e Sua Beatitudine Christodoulos, Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, sono seguiti vari atti di collaborazione e sono state realizzate iniziative utili a conoscerci più da vicino ed a favorire la formazione delle generazioni più giovani. Lo scambio di visite, di borse di studio e la cooperazione in campo editoriale si sono rivelati modi efficaci per promuovere il dialogo ed approfondire la carità, che è la perfezione della vita – come afferma ancora Sant’Ignazio – e che unita al principio, la fede, saprà prevalere sulle discordie di questo mondo.

Ringrazio di cuore l’Apostoliki Diakonia per questa visita a Roma, per i progetti di formazione che essa sta sviluppando con il Comitato Cattolico per la Collaborazione Culturale con le Chiese ortodosse nell’ambito del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Sono certo che la carità reciproca saprà alimentare la nostra inventiva e ci farà percorrere strade nuove. Dobbiamo affrontare le sfide che minacciano la fede, coltivare l’humus spirituale che ha nutrito per secoli l’Europa, riaffermare i valori cristiani, promuovere la pace e l’incontro anche nelle condizioni più difficili, approfondire quegli elementi della fede e della vita ecclesiale che possono condurci al traguardo della piena comunione nella verità e nella carità, soprattutto ora che il dialogo teologico ufficiale tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme riprende il suo cammino con rinnovato vigore.

Fede, speranza e carità nella vita cristiana vanno insieme. Quanto più vera ed efficace sarebbe la nostra testimonianza nel mondo d’oggi, se comprendessimo che il cammino verso l’unità esige da tutti noi una fede più viva, una speranza più salda e una carità che sia veramente l’ispirazione più profonda che nutre i nostri reciproci rapporti! La speranza, tuttavia, si esercita nella pazienza, nell’umiltà e nella fiducia in Colui che ci guida. Il traguardo dell’unità tra i discepoli di Cristo, per quanto possa apparire non immediato, non ci impedisce di vivere tra noi già ora nella carità, a tutti i livelli. Non vi è luogo né tempo in cui l’amore, modellato su quello del nostro Maestro, Cristo, sia superfluo; esso non potrà non abbreviare la via per la piena comunione.

Vi affido il compito di recare l’espressione dei miei sentimenti di sincera carità fraterna a Sua Beatitudine Christodoulos. Egli è stato accanto a noi, qui a Roma, per dare l’estremo saluto a Papa Giovanni Paolo II. Il Signore ci indicherà i modi ed i tempi per rinnovare il nostro incontro nell’atmosfera gioiosa di un ritrovarsi tra fratelli.

Possa la vostra visita avere tutto il successo sperato. Vi accompagna la mia Benedizione.



AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA GENERALE DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA E AL CONGRESSO INTERNAZIONALE "L’EMBRIONE UMANO NELLA FASE DEL PREIMPIANTO" Sala Clementina Lunedì, 27 febbraio 2006

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Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Illustri Signori e Signore!

A tutti rivolgo il mio saluto deferente e cordiale in occasione dell’Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita e del Congresso internazionale, appena iniziato, su "L'embrione umano nella fase del preimpianto". In modo speciale saluto il Cardinale Javier Lozano Barragán, Presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, come anche Mons. Elio Sgreccia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, che ringrazio per le gentili parole con le quali ha messo in luce l'interesse particolare delle tematiche che vengono affrontate in questa circostanza. In effetti, l'argomento di studio scelto per la vostra Assemblea, "L'embrione umano nella fase del preimpianto", cioè nei primissimi giorni che seguono il concepimento, é una questione estremamente importante oggi, sia per le evidenti ripercussioni sulla riflessione filosofico-antropologica ed etica, sia per le prospettive applicative nell'ambito delle scienze biomediche e giuridiche. Si tratta indubbiamente di un argomento affascinante, ma difficile e impegnativo, data la delicata natura del soggetto in esame e la complessità dei problemi epistemologici che riguardano il rapporto tra la rilevazione dei fatti a livello delle scienze sperimentali e la susseguente e necessaria riflessione sui valori a livello antropologico.

Come si può ben comprendere, né la Sacra Scrittura né la Tradizione cristiana più antica possono contenere trattazioni esplicite del vostro tema. Ciononostante, San Luca nel raccontare l'incontro della Madre di Gesù, che lo aveva concepito nel suo seno verginale solo da pochi giorni, con la madre di Giovanni Battista, già al sesto mese di gravidanza, testimonia la presenza attiva, sebbene nascosta, dei due bambini: "Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo" (
Lc 1,41). Sant’Ambrogio commenta: Elisabetta "percepì l'arrivo di Maria, lui (Giovanni) l'arrivo del Signore; la donna l'arrivo della donna, il bambino l'arrivo del bambino" (Comm. in Lc 2,19 Lc 2,22-26). Tuttavia, anche in mancanza di espliciti insegnamenti sui primissimi giorni di vita del nascituro, è possibile trovare nella Sacra Scrittura preziose indicazioni che motivano sentimenti d'ammirazione e di riguardo nei confronti dell'uomo appena concepito, specialmente in chi, come voi, si propone di studiare il mistero della generazione umana. I libri sacri, infatti, intendono mostrare l'amore di Dio verso ciascun essere umano ancor prima del suo prender forma nel seno della madre. "Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu venissi alla luce, ti avevo consacrato" (Jr 1,5), dice Dio al profeta Geremia. E il Salmista riconosce con gratitudine: "Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre. Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere, tu mi conosci fino in fondo" (Ps 139,13-14). Sono parole, queste, che acquistano tutta la loro ricchezza di significato quando si pensa che Dio interviene direttamente nella creazione dell’anima di ogni nuovo essere umano.

L'amore di Dio non fa differenza fra il neoconcepito ancora nel grembo di sua madre, e il bambino, o il giovane, o l'uomo maturo o l'anziano. Non fa differenza perché in ognuno di essi vede l'impronta della propria immagine e somiglianza (Gn 1,26). Non fa differenza perché in tutti ravvisa riflesso il volto del suo Figlio Unigenito, in cui "ci ha scelti prima della creazione del mondo, ... predestinandoci a essere suoi figli adottivi ... secondo il beneplacito della sua volontà" (Ep 1,4-6). Questo amore sconfinato e quasi incomprensibile di Dio per l'uomo rivela fino a che punto la persona umana sia degna di essere amata in se stessa, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione - intelligenza, bellezza, salute, giovinezza, integrità e così via. In definitiva, la vita umana è sempre un bene, poiché "essa è nel mondo manifestazione di Dio, segno della sua presenza, orma della sua gloria" (cfr Evangelium vitae EV 34). All'uomo, infatti, è donata un'altissima dignità, che ha le sue radici nell'intimo legame che lo unisce al suo Creatore: nell'uomo, in ogni uomo, in qualunque stadio o condizione della sua vita, risplende un riflesso della stessa realtà di Dio. Per questo il Magistero della Chiesa ha costantemente proclamato il carattere sacro e inviolabile di ogni vita umana, dal suo concepimento sino alla sua fine naturale (cfr Evangelium vitae EV 57). Questo giudizio morale vale già agli inizi della vita di un embrione, prima ancora che si sia impiantato nel seno materno, che lo custodirà e nutrirà per nove mesi fino al momento della nascita: "La vita umana è sacra e inviolabile in ogni momento della sua esistenza, anche in quello iniziale che precede la nascita" (ibid., n. 61).

So bene, cari studiosi, con quali sentimenti di meraviglia e di profondo rispetto per l'uomo voi portiate avanti il vostro impegnativo e fruttuoso lavoro di ricerca proprio sull'origine stessa della vita umana: un mistero il cui significato la scienza sarà in grado di illuminare sempre di più, anche se difficilmente riuscirà a decifrarlo del tutto. Infatti, appena la ragione riesce a superare un limite ritenuto invalicabile, altri limiti fino allora sconosciuti la sfidano. L'uomo rimarrà sempre un enigma profondo e impenetrabile. Già nel secolo IV, S. Cirillo di Gerusalemme presentava ai catecumeni che si preparavano a ricevere il battesimo la seguente riflessione: "Chi è colui che ha predisposto le cavità dell'utero alla procreazione dei figli? Chi ha animato in esso il feto inanimato? Chi ci ha provvisto di nervi e di ossa circondandoci, poi, di pelle e di carne (cfr Jb 10,11) e, non appena il bambino è nato, fa uscire dal seno abbondanza di latte? In qual modo il bambino, crescendo, diventa adolescente, da adolescente si muta in giovane, successivamente in uomo e infine in vecchio, senza che nessuno riesca a cogliere il giorno preciso nel quale si verifichi il mutamento?" E concludeva: "Stai vedendo, o uomo, l'artefice; stai vedendo il sapiente Creatore" (Catechesi battesimale, 9, 15-16). All'inizio del terzo millennio, rimangono ancora valide queste considerazioni che si rivolgono, non tanto al fenomeno fisico o fisiologico, quanto al suo significato antropologico e metafisico. Abbiamo enormemente migliorato le nostre conoscenze e identificato meglio i limiti della nostra ignoranza; ma per l'intelligenza umana sembra sia diventato troppo arduo rendersi conto che, guardando il creato, ci si incontra con l'impronta del Creatore. In realtà, chi ama la verità, come voi cari studiosi, dovrebbe percepire che la ricerca su temi così profondi ci pone nella condizione di vedere e anche quasi di toccare la mano di Dio. Al di là dei limiti del metodo sperimentale, al confine del regno che alcuni chiamano meta-analisi, là dove non basta più o non è possibile la sola percezione sensoriale né la verifica scientifica, inizia l'avventura della trascendenza, l’impegno del "procedere oltre".

Cari ricercatori e studiosi, vi auguro che riusciate sempre più non solo ad esaminare la realtà oggetto delle vostre fatiche, ma anche a contemplarla in modo tale che, insieme alle vostre scoperte, sorgano pure le domande che portano a scoprire nella bellezza delle creature il riflesso del Creatore. In questo contesto, mi è caro esprimere un apprezzamento ed un ringraziamento alla Pontificia Accademia per la Vita per il suo prezioso lavoro di "studio, formazione e informazione" di cui si avvantaggiano i Dicasteri della Santa Sede, le Chiese locali e gli studiosi attenti a quanto la Chiesa propone sul terreno della ricerca scientifica e intorno alla vita umana nel suo rapporto con l'etica e il diritto. Per l'urgenza e l'importanza di questi problemi, ritengo provvidenziale l'istituzione da parte del mio venerato predecessore Giovanni Paolo II di questo Organismo. A tutti voi, pertanto, Presidenza, personale e membri della Pontificia Accademia per la Vita, desidero esprimere con sincera cordialità la mia vicinanza ed il mio sostegno. Con questi sentimenti, affidando il vostro lavoro alla protezione di Maria, imparto a Voi tutti l'Apostolica Benedizione.





Discorsi 2005-13 20026