Discorsi 2005-13 30136

PROIEZIONE DEL FILM "KAROL, UN PAPA RIMASTO UOMO" - AL TERMINE DELLA PROIEZIONE DEL FILM Aula Paolo VI Giovedì, 30 marzo 2006

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Signori Cardinali,
cari Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
illustri Signori e Signore!

Mentre restano fisse nella mente e nel cuore le immagini di questa interessante riproposizione del Pontificato di Giovanni Paolo II, rivolgo il mio cordiale pensiero a coloro che hanno contribuito alla realizzazione della fiction, il cui titolo significativo è "Karol, un Papa rimasto uomo". Questa sera abbiamo rivissuto le emozioni provate nel maggio dello scorso anno, quando, a poca distanza dalla scomparsa dell'amato Pontefice, abbiamo assistito, in questa medesima sala, alla proiezione della prima parte del film. Sono grato al regista e sceneggiatore, Giacomo Battiato, e ai suoi collaboratori, che con sapiente maestria ci hanno riproposto i momenti centrali del ministero apostolico del mio venerato Predecessore; un grazie sentito indirizzo a colui che, in veste di protagonista, ha reso al vivo il suo volto, l'attore Piotr Adamczyk, come pure agli altri interpreti; sincero apprezzamento desidero esprimere al produttore Pietro Valsecchi e ai dirigenti qui presenti delle Case di produzione Taodue e Mediaset.

Con questa seconda parte della fiction si conclude il racconto della vicenda terrena dell'amato Pontefice. Abbiamo riascoltato l'appello iniziale del suo Pontificato risuonato nel corso degli anni tante volte: "Aprite le porte a Cristo! Non abbiate paura!". Lo scorrere delle immagini ci ha mostrato un Papa immerso nel contatto con Dio e proprio per questo sempre sensibile alle attese degli uomini. Il film ci ha fatto idealmente ripensare ai suoi viaggi apostolici in ogni parte del mondo; ci ha dato modo di rivivere i suoi incontri con tante persone, con i Grandi della terra e con semplici cittadini, con illustri personaggi e persone sconosciute. Tra tutti merita una menzione speciale l'abbraccio con Madre Teresa di Calcutta, legata a Giovanni Paolo II da un'intima sintonia spirituale. Impietriti, come se fossimo presenti, abbiamo riudito gli spari del tragico attentato in Piazza San Pietro del 13 maggio 1981. Dall'insieme è emersa la figura di un instancabile profeta di speranza e di pace, che ha percorso i sentieri del globo per comunicare il Vangelo a tutti. Sono tornate alla mente le sue parole vibranti per condannare l'oppressione di regimi totalitari, la violenza omicida e la guerra; parole piene di consolazione e di speranza per manifestare vicinanza ai familiari delle vittime di conflitti e di drammatici attentati, come quello alle Torri Gemelle di New York; parole di coraggio e di denuncia verso la società consumistica e la cultura edonistica, protesa a costruire un benessere semplicemente materiale che non può soddisfare le attese profonde del cuore umano.

Ecco i sentimenti che sorgono spontanei dal cuore questa sera, e che ho voluto condividere con voi, cari fratelli e sorelle, ripercorrendo, aiutati dalle sequenze di questo film, le fasi del Pontificato dell'indimenticabile Giovanni Paolo II. Ci accompagni dall'alto l'amato Pontefice e ci ottenga dal Signore la grazia di essere come lui sempre fedeli alla nostra missione. A voi tutti qui presenti e alle persone a voi care la mia Benedizione.





AI PARTECIPANTI AL SEMINARIO PROMOSSO DALLA CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA (DEI SEMINARI E DEGLI ISTITUTI DI STUDI) Sala Clementina Sabato, 1° aprile 2006

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Signor Cardinale,
venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Presbiterato,
illustri Signori e gentili Signore!

Sono contento di accogliervi e saluto cordialmente tutti voi che prendete parte al Seminario sul tema «Il patrimonio culturale e i valori delle Università europee come base per l’attrattività dello ‘Spazio Europeo di Istruzione Superiore’». Voi provenite da una cinquantina di Paesi europei aderenti al cosiddetto "Processo di Bologna" a cui anche la Santa Sede ha offerto il proprio contributo. Saluto il Cardinale Zenon Grocholewski, Prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica, che mi ha indirizzato a nome vostro parole di cortese deferenza, illustrandomi nel contempo gli obiettivi della vostra riunione e lo ringrazio per aver organizzato questo incontro in Vaticano in collaborazione con la Conferenza dei Rettori delle Pontificie Università, con la Pontificia Accademia delle Scienze, con l'UNESCO-CEPES, con il Consiglio d'Europa e con il patrocinio della Commissione Europea. Un saluto speciale rivolgo ai Signori Ministri e ai Rappresentanti dei diversi Organismi internazionali che hanno voluto essere presenti.

In questi giorni la vostra riflessione si è incentrata sul contributo che le Università europee, ricche della loro lunga tradizione, possono offrire alla costruzione dell'Europa del terzo millennio, tenendo conto che ogni realtà culturale è al medesimo tempo memoria del passato e progetto per il futuro. A questa riflessione la Chiesa intende dare il proprio apporto come già ha fatto nel corso dei secoli. Costante è stata infatti la sua sollecitudine verso i Centri di studio e le Università dell'Europa, che con "il servizio del pensiero" hanno tramandato e continuano a tramandare alle giovani generazioni i valori di un peculiare patrimonio culturale, arricchito da due millenni di esperienza umanistica e cristiana (cfr Esort. ap. post-sinodale Ecclesia in Europa, 59). Considerevole influenza ebbe all'inizio il monachesimo, i cui meriti, oltre che all'ambito spirituale e religioso, si estendono anche a quello economico e intellettuale. Al tempo di Carlo Magno, con l'apporto della Chiesa furono fondate vere e proprie scuole, delle quali l'imperatore desiderava che beneficiasse il maggior numero possibile di persone.

Qualche secolo dopo nacque l'Università, che dalla Chiesa ricevette un impulso essenziale. Numerose Università europee, da quella di Bologna a quelle di Parigi, Cracovia, Salamanca, Colonia, Oxford e Praga, per citarne solo alcune, si svilupparono rapidamente e giocarono un ruolo importante nel consolidamento dell'identità dell'Europa e nella formazione del suo patrimonio culturale. Le istituzioni universitarie si distinsero sempre per l'amore della sapienza e la ricerca della verità, come vero scopo dell'Università, con riferimento costante alla visione cristiana che riconosce nell'uomo il capolavoro della creazione, in quanto formato ad immagine e somiglianza di Dio (cfr
Gn 1,26-27). Caratteristica di questa visione è stata sempre la convinzione che esista un'unità profonda tra il vero e il bene, tra gli occhi della mente e quelli del cuore: "Ubi amor, ibi oculos", diceva Riccardo di San Vittore (cfr Beniamin minor, c. 13): l'amore fa vedere. L'Università è nata dall'amore del sapere, dalla curiosità di conoscere, di sapere che cos'è il mondo, l'uomo. Ma anche da un sapere che conduce all'agire, che conduce in ultima istanza all'amore.

Illustri Signori e gentili Signore, volgendo un rapido sguardo al "vecchio" continente, è facile constatare quali sfide culturali l'Europa si trovi oggi ad affrontare, essendo impegnata nella riscoperta della propria identità che non è solo di ordine economico e politico. La questione fondamentale oggi, come ieri, resta quella antropologica. Che cos'è l'uomo? da dove viene? dove deve andare? come deve andare? Si tratta cioè di chiarire quale sia la concezione dell'uomo che è alla base dei nuovi progetti. E giustamente voi vi domandate a servizio di quale uomo, di quale immagine dell'uomo, intenda essere l'Università: di un individuo arroccato nella difesa dei soli suoi interessi, di una sola prospettiva di interessi, una prospettiva materialistica, o di una persona aperta alla solidarietà con gli altri, nella ricerca del vero senso dell'esistenza che deve essere un senso comune, che trascende la singola persona? Ci si chiede, inoltre, quale sia il rapporto tra la persona umana, la scienza e la tecnica. Se nel XIX e XX secolo la tecnica ha conosciuto una crescita stupefacente, all'inizio del XXI secolo ulteriori passi sono stati fatti: lo sviluppo tecnologico ha preso in carico, grazie all'informatica, una parte anche delle nostre attività mentali, con conseguenze che coinvolgono il nostro modo di pensare e possono condizionare la nostra stessa libertà. Occorre dire con forza che l'essere umano non può e non deve essere mai sacrificato ai successi della scienza e della tecnica: ecco perché appare in tutta la sua importanza la cosiddetta questione antropologica, che per noi, eredi della tradizione umanistica fondata su valori cristiani, va affrontata alla luce dei principi ispiratori della nostra civiltà, che hanno trovato nelle Università europee autentici laboratori di ricerca e di approfondimento.

"Dalla concezione biblica dell'uomo, l'Europa ha tratto il meglio della sua cultura umanistica - notava Giovanni Paolo II nell'Esortazione post-sinodale Ecclesia in Europa - ed ha promosso la dignità della persona, fonte di diritti inalienabili" (n. 26). In tal modo la Chiesa - aggiungeva il mio venerato Predecessore - ha concorso a diffondere e consolidare i valori che hanno reso universale la cultura europea. Ma l'uomo non può comprendere se stesso in modo pieno se prescinde da Dio. È questa la ragione per la quale non può essere trascurata la dimensione religiosa dell'esistenza umana nel momento in cui si pone mano alla costruzione dell'Europa del terzo millennio. Emerge qui il peculiare ruolo delle Università come universo scientifico e non solo come insieme di diverse specializzazioni: nell'attuale situazione ad esse è chiesto di non accontentarsi di istruire, di trasmettere conoscenze tecniche e professionali, che sono molto importanti, ma non sufficienti, ma di impegnarsi anche a svolgere un attento ruolo educativo al servizio delle nuove generazioni, facendo appello al patrimonio di ideali e valori che hanno segnato i millenni passati. L'Università potrà così aiutare l'Europa a conservare e a ritrovare la sua "anima", rivitalizzando quelle radici cristiane che le hanno dato origine.

Illustri Signori e gentili Signore, Iddio renda fecondo il lavoro che svolgete e gli sforzi che dispiegate a favore di tanti giovani nei quali è riposta la speranza dell'Europa. Accompagno questo auspicio con l'assicurazione di una particolare preghiera per ciascuno di voi, implorando per tutti la benedizione divina.






SANTO ROSARIO PROMOSSO DALLA DIOCESI DI ROMA NEL PRIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE DEL SERVO DI DIO PAPA GIOVANNI PAOLO II Piazza San Pietro Domenica, 2 aprile 2006

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Cari fratelli e sorelle!

Ci siamo incontrati questa sera, nel primo anniversario della scomparsa dell’amato Papa Giovanni Paolo II, per questa veglia mariana organizzata dalla Diocesi di Roma. Saluto con affetto tutti voi qui presenti in Piazza San Pietro, ad iniziare dal Cardinale Vicario Camillo Ruini e dai Vescovi Ausiliari, con un pensiero speciale per i Cardinali, i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi, le religiose e tutti i fedeli laici, particolarmente i giovani. È veramente l’intera città di Roma che è qui simbolicamente raccolta per questo emozionante momento di riflessione e di preghiera. Un saluto speciale al Cardinale Stanislao Dziwisz, Arcivescovo Metropolita di Cracovia, videocollegato con noi, per molti anni fedele collaboratore del compianto Pontefice. E’ passato già un anno dalla morte del Servo di Dio Giovanni Paolo II, avvenuta quasi a questa medesima ora - erano le 21,37 -, ma la sua memoria continua ad essere quanto mai viva, come testimoniano le tante manifestazioni programmate in questi giorni, in ogni parte del mondo. Egli continua ad essere presente nella nostra mente e nel nostro cuore; continua a comunicarci il suo amore per Dio e il suo amore per l’uomo; continua a suscitare in tutti, specie nei giovani, l’entusiasmo del bene e il coraggio di seguire Gesù e i suoi insegnamenti.

Come riassumere la vita e la testimonianza evangelica di questo grande Pontefice? Potrei tentare di farlo utilizzando due parole: "fedeltà" e "dedizione", fedeltà totale a Dio e dedizione senza riserve alla propria missione di Pastore della Chiesa universale. Fedeltà e dedizione apparse ancor più convincenti e commoventi negli ultimi mesi, quando ha incarnato in sé ciò che ebbe a scrivere nel 1984 nella Lettera apostolica Salvifici doloris: "La sofferenza è presente nel mondo per sprigionare amore, per far nascere opere di amore verso il prossimo, per trasformare tutta la civiltà umana nella «civiltà dell'amore»" (n. 30). La sua malattia affrontata con coraggio ha reso tutti più attenti al dolore umano, ad ogni dolore fisico e spirituale; ha dato alla sofferenza dignità e valore, testimoniando che l'uomo non vale per la sua efficienza, per il suo apparire, ma per se stesso, perché creato e amato da Dio. Con le parole e i gesti il caro Giovanni Paolo II non si è stancato di indicare al mondo che se l'uomo si lascia abbracciare da Cristo, non mortifica la ricchezza della sua umanità; se a Lui aderisce con tutto il cuore, non gli viene a mancare qualcosa. Al contrario, l'incontro con Cristo rende la nostra vita più appassionante. Proprio perché si è avvicinato sempre più a Dio nella preghiera, nella contemplazione, nell'amore per la Verità e la Bellezza, il nostro amato Papa ha potuto farsi compagno di viaggio di ognuno di noi e parlare con autorevolezza anche a quanti sono lontani dalla fede cristiana.

Nel primo anniversario del suo ritorno alla Casa del Padre siamo invitati questa sera ad accogliere nuovamente l'eredità spirituale che egli ci ha lasciato; siamo stimolati, tra l'altro, a vivere ricercando instancabilmente la Verità che sola appaga il nostro cuore. Siamo incoraggiati a non aver paura di seguire Cristo, per recare a tutti l'annuncio del Vangelo, che è fermento di una umanità più fraterna e solidale. Giovanni Paolo II ci aiuti dal cielo a proseguire il nostro cammino, restando docili discepoli di Gesù per essere, come egli stesso amava ripetere ai giovani, "sentinelle del mattino" in questo inizio del terzo millennio cristiano. Invochiamo per questo Maria, la Madre del Redentore, verso la quale egli nutrì sempre tenera devozione.

Mi rivolgo ora ai fedeli che dalla Polonia sono in collegamento con noi.

Jednoczymy sie w duchu z Polakami, którzy zgromadzili sie a czuwaniu w Krakowie, w Warszawie i w wielu innych miejscach. Zywe jest w nas wszystkich wspomnienie Jana Pawla II i nie gasnie poczucie jego duchowej obecnosci. Pamiec o szczególnej milosci, jaka darzyl swoich rodaków, zawsze niech bedzie dla was swiatlem na drodze ku Chrystusowi. „Trwajcie mocni w wierze". Serdecznie wam blogoslawie.

[Uniamoci in spirito con i polacchi che si sono radunati a Cracovia, a Varsavia e negli altri luoghi per la veglia. È vivo in noi il ricordo di Giovanni Paolo II e non si spegne il senso della sua spirituale presenza. La memoria del particolare amore che nutriva per i suoi connazionali sempre sia per voi la luce sulla via verso Cristo. "Rimanete forti nella fede". Vi benedico di cuore].

Ora imparto di cuore a tutti la mia Benedizione.



AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DELLA COSTA D’AVORIO IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Lunedì, 3 aprile 2006

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Signor Cardinale,
Cari Fratelli nell'Episcopato,

Vi accolgo con gioia in questi giorni in cui compite la vostra visita ad limina Apostolorum, mostrando così il vostro vincolo indefettibile con il Successore di Pietro e con la Chiesa universale. In effetti, il Vescovo, che "è visibile principio e fondamento dell'unità nella propria Chiesa particolare, è pure il legame visibile della comunione ecclesiastica tra la sua Chiesa particolare e la Chiesa universale" (Pastores gregis ). Ringrazio il Presidente della vostra Conferenza episcopale, Monsignor Laurent Akran Mandjo, per le cortesi parole che mi ha rivolto a nome vostro, delineando un vasto panorama della situazione della Chiesa in Costa d'Avorio. Al vostro ritorno, trasmettete a tutti i cordiali saluti del Papa e la sicurezza della sua preghiera fervente, affinché la nazione ritrovi l'unità e la pace in un'autentica fraternità tra tutti i suoi figli.

Di fatto, la crisi che vive il vostro Paese ha purtroppo messo in luce divisioni che costituiscono una ferita profonda nei rapporti fra le diverse componenti della società. Le violenze che ne sono derivate hanno gravemente minato la fiducia fra le persone e la stabilità del Paese, lasciando dietro di sé sofferenze difficili da sanare. Il ripristino di una pace vera sarà possibile solo attraverso il perdono generosamente concesso e la riconciliazione effettivamente realizzata fra le persone e fra i gruppi coinvolti. Per ottenere ciò, tutte le parti in causa devono accettare di proseguire coraggiosamente il dialogo, per esaminare in modo approfondito e leale le cause che hanno portato alla situazione attuale e per trovare i modi per giungere a una soluzione accettabile per tutti, nella giustizia e nella verità. Il cammino della pace è lungo e difficile, ma non è mai impossibile.

Cari Fratelli nell'Episcopato, i cattolici hanno occupato il loro posto in questo sforzo comune, in quanto la costruzione di un mondo riconciliato non può mai essere loro estranea. È loro responsabilità contribuire a instaurare relazioni armoniose e fraterne fra le persone e le comunità. Perché la realizzazione piena di questo obiettivo sia credibile, è necessario in primo luogo ricreare la fiducia fra i discepoli di Cristo, nonostante le divergenze di opinioni che possono manifestarsi fra di loro. Di fatto è innanzitutto all'interno della Chiesa che deve essere vissuto un autentico amore, nell'unità e nella riconciliazione, seguendo così l'insegnamento del Signore. "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (
Jn 13,35). Spetta dunque ai cristiani lasciarsi trasformare dalla forza dello Spirito, per essere veri testimoni dell'amore del Padre, che vuole fare di tutti gli uomini un'unica famiglia. La loro attività, che mette al primo posto le sofferenze e i bisogni dei propri fratelli, ne sarà allora un'espressione convincente. Nelle vostre Chiese diocesane, di fronte alle tensioni politiche o etniche, Vescovi, sacerdoti e persone consacrate devono essere per tutti modelli di fraternità e di carità, e contribuire con le loro parole e i loro atteggiamenti all'edificazione di una società unita e riconciliata.

In questa prospettiva, la formazione iniziale e permanente dei sacerdoti sarà sempre una delle vostre preoccupazioni principali. Per affrontare le situazioni difficili del mondo di oggi, e soprattutto per permettere al sacerdote di edificare pienamente il suo essere sacerdotale, questa formazione darà un posto fondamentale alla vita spirituale. In effetti, il sacerdote ha come missione quella di aiutare i fedeli a scoprire il mistero di Dio e ad aprirsi agli altri. A tal fine, è chiamato a essere un autentico ricercatore di Dio, restando al contempo vicino alle preoccupazioni degli uomini. Una vita spirituale intensa, che gli permette di entrare più profondamente in comunione con il Signore, l'aiuterà a lasciarsi possedere dall'amore di Dio, al fine di poter annunciare agli uomini che questo amore non si ferma davanti a nulla. Inoltre, vivendo fedelmente la castità nel celibato, il sacerdote mostrerà che tutto il suo essere è dono di se stesso a Dio e ai suoi fratelli. Vi invito dunque a vegliare con sollecitudine paterna sui vostri sacerdoti, a favorire l'unità e la vita fraterna fra di loro. Che trovino in voi un fratello che li ascolta, che li sostiene nei momenti difficili, e un amico che li incoraggia a progredire nella loro vita personale e nell'annuncio del Vangelo!

Nei vostri resoconti quinquennali avete sottolineato l'urgenza della formazione dei laici. In effetti, l'approfondimento della fede è una necessità per poter resistere al ritorno delle pratiche antiche e alle sollecitazioni delle sette, e soprattutto per rendere testimonianza della speranza cristiana in un mondo complesso che conosce nuovi e gravi problemi. Vi incoraggio in particolare a offrire ai catechisti, dei quali lodo la dedizione al servizio della Chiesa, una formazione salda che li renda capaci di svolgere la missione che è stata loro affidata, vivendo al contempo la loro fede in modo coerente. I fedeli, in particolare quelli che sono impegnati negli ambienti intellettuali, politici ed economici, troveranno nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa uno strumento fondamentale per la formazione e l'evangelizzazione, in vista della loro crescita umana e spirituale, e della loro missione nel mondo.

Perché la Chiesa sia un segno sempre più comprensibile di quello che è, e sia sempre più conforme alla sua missione, l'opera di inculturazione della fede è una necessità. Questo processo, tanto importante per l'annuncio del Vangelo a tutte le culture, non deve compromettere la specificità e l'integrità della fede, ma deve aiutare i cristiani a comprendere meglio e a vivere meglio il messaggio evangelico nella propria cultura, e a saper rinunciare alle pratiche che sono in contraddizione con gli impegni battesimali. Come avete menzionato nei vostri resoconti, il peso della mentalità tradizionale è spesso un ostacolo all'accoglienza del Vangelo. Fra le numerose questioni che si presentano ai fedeli, quella dell'impegno nel sacramento del matrimonio è quindi fra le più importanti. La poligamia o la convivenza di fatto senza celebrazione religiosa sono spesso ostacoli molto grandi. È dunque necessario proseguire senza posa lo sforzo che avete compiuto per far accettare meglio, soprattutto ai giovani, il fatto che il matrimonio è, per il cristiano, una vita di santità. "Per questo, il Matrimonio esige un amore indissolubile; grazie a questa sua stabilità può contribuire efficacemente a realizzare appieno la vocazione battesimale degli sposi" (Ecclesia in Africa ).

Infine desidero sottolineare con interesse lo sviluppo nelle vostre Diocesi dei movimenti ecclesiali, che contribuiscono a conferire un impulso missionario rinnovato alle comunità cristiane. Invito i membri di questi gruppi ad approfondire sempre più la loro conoscenza personale di Cristo per donarsi generosamente a Lui, rimanendo profondamente radicati nella fede della Chiesa. Questi movimenti devono tuttavia essere oggetto di un discernimento illuminato e costante da parte dei Vescovi, al fine di garantire l'ecclesialità del loro cammino e di mantenere un'autentica comunione con la Chiesa universale e diocesana.

Cari Fratelli nell'Episcopato, nel concludere questo incontro, desidero ribadire l'affetto del Successore di Pietro per il popolo della Costa d'Avorio, rivolgendo di nuovo con insistenza "un invito a proseguire nel dialogo costruttivo, in vista della riconciliazione e della pace" (Angelus, 22 gennaio 2006). Affido all'intercessione di Nostra Signora, Regina della Pace voi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i catechisti e tutti i vostri diocesani. A tutti imparto di cuore la Benedizione Apostolica.




INCONTRO CON I GIOVANI DELLA DIOCESI DI ROMA IN PREPARAZIONE ALLA XXI GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ Piazza San Pietro Giovedì, 6 aprile 2006

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1) Santità, sono Simone, della Parrocchia di San Bartolomeo, ho 21 anni e studio ingegneria chimica all'Università «La Sapienza» di Roma.

Innanzitutto ancora grazie per averci indirizzato il Messaggio per la XXI Giornata Mondiale della Gioventù sul tema della Parola di Dio che illumina i passi della vita dell'uomo. Davanti alle ansie, alle incertezze per il futuro, e anche quando mi trovo semplicemente alle prese con la routine del quotidiano, anch'io sento il bisogno di nutrirmi della Parola di Dio e di conoscere meglio Cristo, così da trovare risposte alle mie domande. Mi chiedo spesso cosa farebbe Gesù se fosse al posto mio in una determinata situazione, ma non sempre riesco a capire ciò che la Bibbia mi dice. Inoltre so che i libri della Bibbia sono stati scritti da uomini diversi, in epoche diverse e tutte molto lontane da me. Come posso riconoscere che quanto leggo è comunque Parola di Dio che interpella la mia vita? Grazie.

Rispondo sottolineando intanto un primo punto: si deve innanzitutto dire che occorre leggere la Sacra Scrittura non come un qualunque libro storico, come leggiamo, ad esempio, Omero, Ovidio, Orazio; occorre leggerla realmente come Parola di Dio, ponendosi cioè in colloquio con Dio. Si deve inizialmente pregare, parlare con il Signore: “Aprimi la porta”. E’ quanto dice spesso sant’Agostino nelle sue omelie: “Ho bussato alla porta della Parola per trovare finalmente quanto il Signore mi vuol dire”. Questo mi sembra un punto molto importante. Non in un clima accademico si legge la Scrittura, ma pregando e dicendo al Signore: “Aiutami a capire la tua Parola, quanto in questa pagina ora tu vuoi dire a me”.

Un secondo punto è: la Sacra Scrittura introduce alla comunione con la famiglia di Dio. Quindi non si può leggere da soli la Sacra Scrittura. Certo, è sempre importante leggere la Bibbia in modo molto personale, in un colloquio personale con Dio, ma nello stesso tempo è importante leggerla in una compagnia di persone con cui si cammina. Lasciarsi aiutare dai grandi maestri della “Lectio divina”. Abbiamo, per esempio, tanti bei libri del Cardinale Martini, un vero maestro della “Lectio divina”, che aiuta ad entrare nel vivo della Sacra Scrittura. Lui che conosce bene tutte le circostanze storiche, tutti gli elementi caratteristici del passato, cerca però sempre di aprire anche la porta per far vedere che parole apparentemente del passato sono anche parole del presente. Questi maestri ci aiutano a capire meglio ed anche ad imparare il modo in cui leggere bene la Sacra Scrittura. Generalmente, poi, è opportuno leggerla anche in compagnia con gli amici che sono in cammino con me e cercano, insieme con me, come vivere con Cristo, quale vita ci viene dalla Parola di Dio.

Un terzo punto: se è importante leggere la Sacra Scrittura aiutati dai maestri, accompagnati dagli amici, i compagni di strada, è importante in particolare leggerla nella grande compagnia del Popolo di Dio pellegrinante, cioè nella Chiesa. La Sacra Scrittura ha due soggetti. Anzitutto il soggetto divino: è Dio che parla. Ma Dio ha voluto coinvolgere l’uomo nella sua Parola. Mentre i musulmani sono convinti che il Corano sia ispirato verbalmente da Dio, noi crediamo che per la Sacra Scrittura è caratteristica - come dicono i teologi – la “sinergia”, la collaborazione di Dio con l’uomo. Egli coinvolge il suo Popolo con la sua parola e così il secondo soggetto – il primo soggetto, come ho detto, è Dio – è umano. Vi sono singoli scrittori, ma c’è la continuità di un soggetto permanente - il Popolo di Dio che cammina con la Parola di Dio ed è in colloquio con Dio. Ascoltando Dio, si impara ad ascoltare la Parola di Dio e poi anche ad interpretarla. E così la Parola di Dio diventa presente, perché le singole persone muoiono, ma il soggetto vitale, il Popolo di Dio, è sempre vivo, ed è identico nel corso dei millenni: è sempre lo stesso soggetto vivente, nel quale vive la Parola.

Così si spiegano anche molte strutture della Sacra Scrittura, soprattutto la cosiddetta “rilettura”. Un testo antico viene riletto in un altro libro, diciamo cento anni dopo, e allora viene capito in profondità quanto non era ancora percepibile in quel precedente momento, anche se era già contenuto testo precedente. E viene riletto ancora nuovamente tempo dopo, e di nuovo si capiscono altri aspetti, altre dimensioni della Parola, e così in questa permanente rilettura e riscrittura nel contesto di una continuità profonda, mentre si succedevano i tempi dell’attesa, è cresciuta la Sacra Scrittura. Infine, con la venuta di Cristo e con l’esperienza degli Apostoli la Parola si è resa definitiva, così che non vi possono più essere riscritture, ma continuano ad essere necessari nuovi approfondimenti della nostra comprensione. Il Signore ha detto: “Lo Spirito Santo vi introdurrà in una profondità che adesso non potete portare”.

Quindi la comunione della Chiesa è il soggetto vivente della Scrittura. Ma anche adesso il soggetto principale è lo stesso Signore, il quale continua a parlare nella Scrittura che è nelle nostre mani. Penso che dobbiamo imparare questi tre elementi: leggere in colloquio personale con il Signore; leggere accompagnati da maestri che hanno l’esperienza della fede, che sono entrati nella Sacra Scrittura; leggere nella grande compagnia della Chiesa, nella cui Liturgia questi avvenimenti diventano sempre di nuovo presenti, nella quale il Signore parla adesso con noi, così che man mano entriamo sempre più nella Sacra Scrittura, nella quale Dio parla realmente con noi, oggi.

2) Santo Padre, sono Anna, ho 19 anni, studio Lettere e appartengo alla Parrocchia di Santa Maria del Carmelo.

Uno dei problemi con i quali abbiamo maggiormente a che fare è quello affettivo. Spesso facciamo fatica ad amare. Fatica, sì: perché è facile confondere l'amore con l'egoismo, soprattutto oggi, dove gran parte dei media quasi ci impongono una visione della sessualità individualista, secolarizzata, dove tutto sembra lecito, e tutto è concesso in nome della libertà e della coscienza dei singoli. La famiglia fondata sul matrimonio sembra ormai poco più di un'invenzione della Chiesa, per non parlare, poi, dei rapporti prematrimoniali, il cui divieto appare, perfino a molti di noi credenti, cosa incomprensibile o fuori dal tempo... Ben sapendo che tanti di noi cercano di vivere responsabilmente la loro vita affettiva, vuole illustrarci cosa ha da dirci in proposito la Parola di Dio? Grazie.

Si tratta di una grande questione e rispondere in pochi minuti certamente non è possibile, ma cerco di dire qualcosa. La stessa Anna ha già dato delle risposte in quanto ha detto che l’amore oggi è spesso male interpretato, in quanto è presentato come un’esperienza egoistica, mentre in realtà è un abbandono di sé e così diventa un trovarsi. Lei ha anche detto che una cultura consumistica falsifica la nostra vita con un relativismo che sembra concederci tutto e in realtà ci svuota. Ma allora ascoltiamo la Parola di Dio a questo riguardo. Anna voleva giustamente sapere che cosa dice la Parola di Dio. Per me è una cosa molto bella costatare che già nelle prime pagine della Sacra Scrittura, subito dopo il racconto della Creazione dell’uomo, troviamo la definizione dell’amore e del matrimonio. L’autore sacro ci dice: “L’uomo abbandonerà padre e madre, seguirà la sua donna e ambedue saranno una carne sola, un’unica esistenza”. Siamo all’inizio e già ci è data una profezia di che cos’è il matrimonio; e questa definizione anche nel Nuovo Testamento rimane identica. Il matrimonio è questo seguire l’altro nell’amore e così divenire un’unica esistenza, una sola carne, e perciò inseparabili; una nuova esistenza che nasce da questa comunione d’amore, che unisce e così anche crea futuro. I teologi medievali, interpretando questa affermazione che si trova all’inizio della Sacra Scrittura, hanno detto che tra i sette Sacramenti, il matrimonio è il primo istituito da Dio, essendo stato istituito già al momento della creazione, nel Paradiso, all’inizio della storia, e prima di ogni storia umana. E’ un sacramento del Creatore dell’universo, iscritto quindi proprio nell’essere umano stesso, che è orientato verso questo cammino, nel quale l’uomo abbandona i genitori e si unisce alla sua donna per formare una sola carne, perché i due diventino un’unica esistenza. Quindi il sacramento del matrimonio non è invenzione della Chiesa, è realmente “con-creato” con l’uomo come tale, come frutto del dinamismo dell’amore, nel quale l’uomo e la donna si trovano a vicenda e così trovano anche il Creatore che li ha chiamati all’amore. E’ vero che l’uomo è caduto ed è stato espulso dal Paradiso, o con altre parole, parole più moderne, è vero che tutte le culture sono inquinate dal peccato, dagli errori dell’uomo nella sua storia e così il disegno iniziale iscritto nella nostra natura risulta oscurato. Di fatto, nelle culture umane troviamo questo oscuramento del disegno originale di Dio. Nello stesso tempo, però, osservando le culture, tutta la storia culturale dell’umanità, costatiamo anche che l’uomo non ha mai potuto totalmente dimenticare questo disegno che esiste nella profondità del suo essere. Ha sempre saputo in un certo senso che le altre forme di rapporto tra l’uomo e la donna non corrispondevano realmente al disegno originale sul suo essere. E così nelle culture, soprattutto nelle grandi culture, vediamo sempre di nuovo come esse si orientino verso questa realtà, la monogamia, l’essere uomo e donna una carne sola. E’ così, nella fedeltà, che può crescere una nuova generazione, può continuarsi una tradizione culturale, rinnovandosi e realizzando, nella continuità, un autentico progresso.

Il Signore, che ha parlato di questo nella lingua dei profeti d’Israele, accennando alla concessione da parte di Mosè del divorzio, ha detto: Mosé ve lo ha concesso “per la durezza del vostro cuore”. Il cuore dopo il peccato è divenuto “duro”, ma questo non era il disegno del Creatore e i Profeti con chiarezza crescente hanno insistito su questo disegno originario. Per rinnovare l’uomo, il Signore - alludendo a queste voci profetiche che hanno sempre guidato Israele verso la chiarezza della monogamia – ha riconosciuto con Ezechiele che abbiamo bisogno, per vivere questa vocazione, di un cuore nuovo; invece del cuore di pietra – come dice Ezechiele – abbiamo bisogno di un cuore di carne, di un cuore veramente umano. E il Signore nel Battesimo, mediante la fede “impianta” in noi questo cuore nuovo. Non è un trapianto fisico, ma forse possiamo servirci proprio di questo paragone: dopo il trapianto, è necessario che l’organismo sia curato, che abbia le medicine necessarie per poter vivere con il nuovo cuore, così che diventi “cuore suo” e non “cuore di un altro”. Tanto più in questo “trapianto spirituale”, dove il Signore ci impianta un cuore nuovo, un cuore aperto al Creatore, alla vocazione di Dio, per poter vivere con questo cuore nuovo, sono necessarie cure adeguate, bisogna ricorrere alle medicine opportune, perché esso diventi veramente “cuore nostro”. Vivendo così nella comunione con Cristo, con la sua Chiesa, il nuovo cuore diventa realmente “cuore nostro” e si rende possibile il matrimonio. L’amore esclusivo tra un uomo e una donna, la vita a due disegnata dal Creatore diventa possibile, anche se il clima del nostro mondo la rende tanto difficile, fino a farla apparire impossibile.

Il Signore ci dà un cuore nuovo e noi dobbiamo vivere con questo cuore nuovo, usando le opportune terapie perché sia realmente “nostro”. E’ così che viviamo quanto il Creatore ci ha donato e questo crea una vita veramente felice. Di fatto, possiamo vederlo anche in questo mondo, nonostante tanti altri modelli di vita: ci sono tante famiglie cristiane che vivono con fedeltà e con gioia la vita e l’amore indicati dal Creatore e così cresce una nuova umanità.

E infine aggiungerei: sappiamo tutti che per arrivare ad un traguardo nello sport e nella professione ci vogliono disciplina e rinunce, ma poi tutto questo è coronato dal successo, dall’aver raggiunto una meta auspicabile. Così anche la vita stessa, cioè il divenire uomini secondo il disegno di Gesù, esige rinunce; esse però non sono una cosa negativa, al contrario aiutano a vivere da uomini con un cuore nuovo, a vivere una vita veramente umana e felice. Poiché esiste una cultura consumistica che vuole impedirci di vivere secondo il disegno del Creatore, noi dobbiamo avere il coraggio di creare isole, oasi, e poi grandi terreni di cultura cattolica, nei quali si vive il disegno del Creatore.

3) Beatissimo Padre, sono Inelida, ho 17 anni, sono Aiuto Capo Scout dei Lupetti nella Parrocchia di San Gregorio Barbarigo e studio al Liceo Artistico «Mario Mafai».

Nel suo Messaggio per la XXI Giornata Mondiale della Gioventù Lei ci ha detto che «è urgente che sorga una nuova generazione di apostoli radicati nella parola di Cristo». Sono parole così forti e impegnative che mettono quasi paura. Certo anche noi vorremmo essere dei nuovi apostoli, ma vuole spiegarci più dettagliatamente quali sono, secondo Lei, le maggiori sfide da affrontare nel nostro tempo, e come sogna che siano questi nuovi apostoli? In altre parole: cosa si aspetta da noi, Santità?

Tutti ci chiediamo che cosa si aspetta il Signore da noi. Mi sembra che la grande sfida del nostro tempo – così mi dicono anche i Vescovi in visita “ad limina”, quelli dell’Africa ad esempio – sia il secolarismo: cioè un modo di vivere e di presentare il mondo come “si Deus non daretur”, cioè come se Dio non esistesse. Si vuole ridurre Dio al privato, ad un sentimento, come se Lui non fosse una realtà oggettiva e così ognuno si forma il suo progetto di vita. Ma, questa visione che si presenta come se fosse scientifica, accetta come valido solo quanto è verificabile con l’esperimento. Con un Dio che non si presta all’esperimento immediato, questa visione finisce per lacerare anche la società: ne consegue infatti che ognuno si forma il suo progetto e alla fine ognuno si trova contro l’altro. Una situazione, come si vede, decisamente invivibile. Dobbiamo rendere nuovamente presente Dio nelle nostre società. Mi sembra questa la prima necessità: che Dio sia di nuovo presente nella nostra vita, che non viviamo come se fossimo autonomi, autorizzati ad inventare cosa siano la libertà e la vita. Dobbiamo prendere atto di essere creature, costatare che c’è un Dio che ci ha creati e che stare nella sua volontà non è dipendenza ma un dono d’amore che ci fa vivere.

Quindi, il primo punto è conoscere Dio, conoscerlo sempre di più, riconoscere nella mia vita che Dio c’è, e che Dio c’entra. Il secondo punto - se riconosciamo che Dio c’è, che la nostra libertà è una libertà condivisa con gli altri e che deve esserci quindi un parametro comune per costruire una realtà comune – il secondo punto, dicevo, presenta la questione: quale Dio? Ci sono infatti tante immagini false di Dio, un Dio violento, ecc. La seconda questione quindi è: riconoscere il Dio che ci ha mostrato il suo volto in Gesù, che ha sofferto per noi, che ci ha amati fino alla morte e così ha vinto la violenza. Occorre rendere presente, innanzitutto nella nostra “propria” vita, il Dio vivente, il Dio che non è uno sconosciuto, un Dio inventato, un Dio solo pensato, ma un Dio che si è mostrato, ha mostrato sé stesso e il suo volto. Solo così, la nostra vita diventa vera, autenticamente umana e così anche i criteri del vero umanesimo diventano presenti nella società. Anche qui vale, come avevo detto nella prima risposta, che non possiamo essere soli nel costruire questa vita giusta e retta, ma dobbiamo camminare in compagnia di amici giusti e retti, di compagni con i quali possiamo fare l’esperienza che Dio esiste e che è bello camminare con Dio. E camminare nella grande compagnia della Chiesa, che ci presenta nei secoli la presenza del Dio che parla, che agisce, che s’accompagna a noi. Quindi direi: trovare Dio, trovare il Dio rivelatosi in Gesù Cristo, camminare in compagnia con la sua grande famiglia, con i nostri fratelli e sorelle che sono la famiglia di Dio, questo mi sembra il contenuto essenziale di questo apostolato del quale ho parlato.

4) Santità, mi chiamo Vittorio, sono della Parrocchia di San Giovanni Bosco a Cinecittà, ho 20 anni e studio Scienze dell'Educazione all'Università di Tor Vergata.

Sempre nel Suo Messaggio Lei ci invita a non avere paura di rispondere con generosità al Signore, specialmente quando propone di seguirlo nella vita consacrata o nella vita sacerdotale. Ci dice di non avere paura, di fidarci di Lui e che non resteremo delusi. Molti tra noi, anche qui o tra chi ci segue da casa questa sera tramite la televisione, sono convinto che stiano pensando a seguire Gesù per una via di speciale consacrazione, ma non è sempre facile capire se quella sarà la via giusta. Ci vuol dire come ha fatto Lei a capire quale era la sua vocazione? Può darci dei consigli per capire meglio se il Signore ci chiama a seguirlo nella vita consacrata o sacerdotale? La ringrazio.

Quanto a me, sono cresciuto in un mondo molto diverso da quello attuale, ma infine le situazioni si somigliano. Da una parte, vi era ancora la situazione di “cristianità”, in cui era normale andare in chiesa ed accettare la fede come la rivelazione di Dio e cercare di vivere secondo la rivelazione; dall’altra parte, vi era il regime nazista, che affermava a voce alta: “Nella nuova Germania non ci saranno più sacerdoti, non ci sarà più vita consacrata, non abbiamo più bisogno di questa gente; cercatevi un’altra professione”. Ma proprio sentendo queste voci “forti”, nel confronto con la brutalità di quel sistema dal volto disumano, ho capito che c’era invece molto bisogno di sacerdoti. Questo contrasto, il vedere quella cultura antiumana, mi ha confermato nella convinzione che il Signore, il Vangelo, la fede ci mostravano la strada giusta e noi dovevamo impegnarci perché sopravvivesse questa strada. In questa situazione, la vocazione al sacerdozio è cresciuta quasi naturalmente insieme con me e senza grandi avvenimenti di conversione. Inoltre due cose mi hanno aiutato in questo cammino: già da ragazzo, aiutato dai miei genitori e dal parroco, ho scoperto la bellezza della Liturgia e l’ho sempre più amata, perché sentivo che in essa ci appare la bellezza divina e ci si apre dinanzi il cielo; il secondo elemento è stata la scoperta della bellezza del conoscere, il conoscere Dio, la Sacra Scrittura, grazie alla quale è possibile introdursi in quella grande avventura del dialogo con Dio che è la Teologia. E così è stata una gioia entrare in questo lavoro millenario della Teologia, in questa celebrazione della Liturgia, nella quale Dio è con noi e fa festa insieme con noi.

Naturalmente non sono mancate le difficoltà. Mi domandavo se avevo realmente la capacità di vivere per tutta la vita il celibato. Essendo un uomo di formazione teorica e non pratica, sapevo anche che non basta amare la Teologia per essere un buon sacerdote, ma vi è la necessità di essere disponibile sempre verso i giovani, gli anziani, gli ammalati, i poveri; la necessità di essere semplice con i semplici. La Teologia è bella, ma anche la semplicità della parola e della vita cristiana è necessaria. E così mi domandavo: sarò in grado di vivere tutto questo e di non essere unilaterale, solo un teologo ecc.? Ma il Signore mi ha aiutato e, soprattutto, la compagnia degli amici, di buoni sacerdoti e di maestri, mi ha aiutato.

Tornando alla domanda penso sia importante essere attenti ai gesti del Signore nel nostro cammino. Egli ci parla tramite avvenimenti, tramite persone, tramite incontri: occorre essere attenti a tutto questo. Poi, secondo punto, entrare realmente in amicizia con Gesù, in una relazione personale con Lui e non sapere solo da altri o dai libri chi è Gesù, ma vivere una relazione sempre più approfondita di amicizia personale con Gesù, nella quale possiamo cominciare a capire quanto Egli ci chiede. E poi, l’attenzione a ciò che io sono, alle mie possibilità: da una parte coraggio e dall’altra umiltà e fiducia e apertura, con l’aiuto anche degli amici, dell’autorità della Chiesa ed anche dei sacerdoti, delle famiglie: cosa vuole il Signore da me? Certo, ciò rimane sempre una grande avventura, ma la vita può riuscire solo se abbiamo il coraggio dell’avventura, la fiducia che il Signore non mi lascerà mai solo, che il Signore mi accompagnerà, mi aiuterà.

5) Padre Santo, sono Giovanni, ho 17 anni, studio al Liceo Scientifico Tecnologico «Giovanni Giorgi» di Roma e appartengo alla Parrocchia di Santa Maria Madre della Misericordia.

Le chiedo di aiutarci a comprendere meglio come la rivelazione biblica e le teorie scientifiche possono convergere nella ricerca della verità. Spesso si è indotti a credere che scienza e fede siano tra loro nemiche; che scienza e tecnica siano la stessa cosa; che la logica matematica abbia scoperto tutto; che il mondo è frutto del caso, e che se la matematica non ha scoperto il teorema-Dio è perché Dio, semplicemente, non esiste. Insomma, soprattutto quando studiamo, non è sempre facile ricondurre tutto ad un progetto Divino, insito nella natura e nella storia dell'Uomo. Così, a volte, la fede vacilla o si riduce a semplice atto sentimentale. Anch'io Santo Padre, come tutti i giovani, ho fame di Verità: ma come posso fare per armonizzare Scienza e Fede?

Il grande Galileo ha detto che Dio ha scritto il libro della natura nella forma del linguaggio matematico. Lui era convinto che Dio ci ha donato due libri: quello della Sacra Scrittura e quello della natura. E il linguaggio della natura – questa era la sua convinzione – è la matematica, quindi essa è un linguaggio di Dio, del Creatore. Riflettiamo ora su cos’è la matematica: di per sé è un sistema astratto, un’invenzione dello spirito umano, che come tale nella sua purezza non esiste. E’ sempre realizzato approssimativamente, ma - come tale - è un sistema intellettuale, è una grande, geniale invenzione dello spirito umano. La cosa sorprendente è che questa invenzione della nostra mente umana è veramente la chiave per comprendere la natura, che la natura è realmente strutturata in modo matematico e che la nostra matematica, inventata dal nostro spirito, è realmente lo strumento per poter lavorare con la natura, per metterla al nostro servizio, per strumentalizzarla attraverso la tecnica.

Mi sembra una cosa quasi incredibile che una invenzione dell’intelletto umano e la struttura dell’universo coincidano: la matematica inventata da noi ci dà realmente accesso alla natura dell’universo e lo rende utilizzabile per noi. Quindi la struttura intellettuale del soggetto umano e la struttura oggettiva della realtà coincidono: la ragione soggettiva e la ragione oggettivata nella natura sono identiche. Penso che questa coincidenza tra quanto noi abbiamo pensato e il come si realizza e si comporta la natura, siano un enigma ed una sfida grandi, perché vediamo che, alla fine, è “una” ragione che le collega ambedue: la nostra ragione non potrebbe scoprire quest’altra, se non vi fosse un’identica ragione a monte di ambedue.

In questo senso mi sembra proprio che la matematica - nella quale come tale Dio non può apparire - ci mostri la struttura intelligente dell’universo. Adesso ci sono anche teorie del caos, ma sono limitate, perché se il caos avesse il sopravvento, tutta la tecnica diventerebbe impossibile. Solo perché la nostra matematica è affidabile, la tecnica è affidabile. La nostra scienza, che rende finalmente possibile lavorare con le energie della natura, suppone la struttura affidabile, intelligente della materia. E così vediamo che c’è una razionalità soggettiva e una razionalità oggettivata nella materia, che coincidono. Naturalmente adesso nessuno può provare - come si prova nell’esperimento, nelle leggi tecniche – che ambedue siano realmente originate in un’unica intelligenza, ma mi sembra che questa unità dell’intelligenza, dietro le due intelligenze, appaia realmente nel nostro mondo. E quanto più noi possiamo strumentalizzare il mondo con la nostra intelligenza, tanto più appare il disegno della Creazione.

Alla fine, per arrivare alla questione definitiva, direi: Dio o c’è o non c’è. Ci sono solo due opzioni. O si riconosce la priorità della ragione, della Ragione creatrice che sta all’inizio di tutto ed è il principio di tutto - la priorità della ragione è anche priorità della libertà – o si sostiene la priorità dell’irrazionale, per cui tutto quanto funziona sulla nostra terra e nella nostra vita sarebbe solo occasionale, marginale, un prodotto irrazionale - la ragione sarebbe un prodotto della irrazionalità. Non si può ultimamente “provare” l’uno o l’altro progetto, ma la grande opzione del Cristianesimo è l’opzione per la razionalità e per la priorità della ragione. Questa mi sembra un’ottima opzione, che ci dimostra come dietro a tutto ci sia una grande Intelligenza, alla quale possiamo affidarci.

Ma il vero problema contro la fede oggi mi sembra essere il male nel mondo: ci si chiede come esso sia compatibile con questa razionalità del Creatore. E qui abbiamo bisogno realmente del Dio che si è fatto carne e che ci mostra come Egli non sia solo una ragione matematica, ma che questa ragione originaria è anche Amore. Se guardiamo alle grandi opzioni, l’opzione cristiana è anche oggi quella più razionale e quella più umana. Per questo possiamo elaborare con fiducia una filosofia, una visione del mondo che sia basata su questa priorità della ragione, su questa fiducia che la Ragione creatrice è amore, e che questo amore è Dio

***


Al termine della celebrazione il Papa ha consegnato ad un gruppo di giovani la Sacra Scrittura e ha pronunciato le seguenti parole:

Affinché ascoltando con attenzione essa divenga sempre più lampada per i vostri passi e luce sul vostro cammino. Cari giovani, amate la Parola di Dio e amate la Chiesa che vi permette di accedere a un tesoro di così alto valore introducendovi ad apprezzarne le ricchezze. Rimanete fedeli alla Parola che questa sera la Chiesa, tramite il Successore di Pietro, vi riconsegna sicuri di quanto ci dice l'evangelista Giovanni: "Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (
Jn 8,31-32).

Il Santo Padre dopo aver impartito la benedizione conclude dicendo:

E ora, a conclusione di questo nostro incontro, carissimi amici, vogliamo insieme fare memoria di un grande testimone della Parola di Dio, il mio venerato Predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II. Memori di quanto ci esorta a fare la Lettera agli Ebrei anche noi vogliamo ricordare in lui un nostro capo, il quale ci ha annunziato la Parola di Dio e considerando attentamente l'esito del suo tenore di vita, vogliamo impegnarci ad imitarne la fede. Mi recherò pertanto con alcuni di voi sulla sua tomba dove porteremo la Croce dell'Anno Santo che vi consegnò all'inizio delle Giornate Mondiali della Gioventù e l'Icona di Maria Santissima, Salus Populi Romani. Vi chiedo di accompagnarmi in questo pellegrinaggio unendovi alla mia preghiera. Chiediamo al Signore che ricompensi Papa Giovanni Paolo II per la sua grande opera di diffusione del Vangelo nel mondo e per noi lo stesso zelo apostolico affinché la Parola di Salvezza, per opera della Chiesa, si diffonda in ogni ambiente di vita e raggiunga ogni uomo, fino agli estremi confini della terra.




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