Discorsi 2005-13 13056

AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA Sala Clementina Sabato, 13 maggio 2006

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Signori Cardinali
venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Presbiterato,
cari Fratelli e Sorelle!

È per me motivo di gioia incontrarvi al termine della Sessione Plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia, che celebra in questi giorni i suoi 25 anni, essendo stato creato dal venerato mio Predecessore Giovanni Paolo II il 9 maggio 1981. Rivolgo a ciascuno di voi il mio cordiale saluto, con un pensiero particolare per il Cardinale Alfonso López Trujillo, che ringrazio per essersi fatto interprete dei comuni sentimenti. Questa vostra riunione vi ha dato modo di esaminare le sfide ed i progetti pastorali concernenti la famiglia, considerata giustamente come chiesa domestica e santuario della vita. Si tratta di un campo apostolico vasto, complesso e delicato, al quale dedicate energia ed entusiasmo, nell'intento di promuovere il "Vangelo della famiglia e della vita". Come non ricordare, a questo proposito, la visione ampia e lungimirante dei miei Predecessori, e in special modo di Giovanni Paolo II, che hanno promosso, con coraggio, la causa della famiglia, considerandola come realtà decisiva ed insostituibile per il bene comune dei popoli?

La famiglia fondata sul matrimonio costituisce un "patrimonio dell'umanità", un'istituzione sociale fondamentale; è la cellula vitale e il pilastro della società e questo interessa credenti e non credenti. Essa è realtà che tutti gli Stati devono tenere nella massima considerazione, perché, come amava ripetere Giovanni Paolo II, "l'avvenire dell'umanità passa attraverso la famiglia" (Familiaris consortio
FC 86). Inoltre, nella visione cristiana, il matrimonio, elevato da Cristo all'altissima dignità di sacramento, conferisce maggiore splendore e profondità al vincolo coniugale, e impegna più fortemente gli sposi che, benedetti dal Signore dell'Alleanza, si promettono fedeltà fino alla morte nell'amore aperto alla vita. Per essi, centro e cuore della famiglia è il Signore, che li accompagna nella loro unione e li sostiene nella missione di educare i figli verso l'età matura. In tal modo la famiglia cristiana coopera con Dio non soltanto nel generare alla vita naturale, ma anche nel coltivare i germi della vita divina donata nel Battesimo. Sono questi i principî ben noti della visione cristiana del matrimonio e della famiglia. Li ho ricordati ancora una volta giovedì scorso, parlando ai membri dell'Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia.

Nel mondo odierno, in cui vanno diffondendosi talune equivoche concezioni sull'uomo, sulla libertà, sull'amore umano, non dobbiamo mai stancarci nel ripresentare la verità sull'istituto familiare, così come è stato voluto da Dio fin dalla creazione. Va crescendo, purtroppo, il numero delle separazioni e dei divorzi, che rompono l'unità familiare e creano non pochi problemi ai figli, vittime innocenti di tali situazioni. La stabilità della famiglia è oggi particolarmente a rischio; per salvaguardarla occorre spesso andare controcorrente rispetto alla cultura dominante, e ciò esige pazienza, sforzo, sacrificio e ricerca incessante di mutua comprensione. Ma anche oggi è possibile ai coniugi superare le difficoltà e mantenersi fedeli alla loro vocazione, ricorrendo al sostegno di Dio con la preghiera e partecipando assiduamente ai sacramenti, in particolare all'Eucaristia. L'unità e la saldezza delle famiglie aiuta la società a respirare i valori umani autentici e ad aprirsi al Vangelo. A questo contribuisce l'apostolato di non pochi Movimenti, chiamati ad operare in questo campo in armoniosa intesa con le Diocesi e le parrocchie.

Oggi, poi, un tema quanto mai delicato è il rispetto dovuto all'embrione umano, che dovrebbe sempre nascere da un atto di amore ed essere già trattato come persona (cfr Evangelium vitae EV 60). I progressi della scienza e della tecnica nell'ambito della bioetica si trasformano in minacce quando l'uomo perde il senso dei suoi limiti e, in pratica, pretende di sostituirsi a Dio Creatore. L'Enciclica Humanae vitae ribadisce con chiarezza che la procreazione umana dev'essere sempre frutto dell'atto coniugale, con il suo duplice significato unitivo e procreativo (cfr n. 12). Lo esige la grandezza dell'amore coniugale secondo il progetto divino, come ho ricordato nell'Enciclica Deus caritas est: "L'eros degradato a puro "sesso" diventa merce, una semplice "cosa" che si può comprare e vendere, anzi, l'uomo stesso diventa merce... In realtà, ci troviamo di fronte ad una degradazione del corpo umano" (n. 5). Grazie a Dio, non pochi, specialmente tra i giovani, vanno riscoprendo il valore della castità, che appare sempre più come sicura garanzia dell'amore autentico. Il momento storico che stiamo vivendo chiede alle famiglie cristiane di testimoniare con coraggiosa coerenza che la procreazione è frutto dell'amore. Una simile testimonianza non mancherà di stimolare i politici e i legislatori a salvaguardare i diritti della famiglia. È noto infatti come vadano accreditandosi soluzioni giuridiche per le cosiddette "unioni di fatto" che, pur rifiutando gli obblighi del matrimonio, pretendono di godere diritti equivalenti. A volte, inoltre, si vuole addirittura giungere ad una nuova definizione del matrimonio per legalizzare unioni omosessuali, attribuendo ad esse anche il diritto all'adozione di figli.

Vaste aree del mondo stanno subendo il cosiddetto "inverno demografico", con il conseguente progressivo invecchiamento della popolazione; le famiglie appaiono talora insidiate dalla paura per la vita, per la paternità e la maternità. Occorre ridare loro fiducia, perché possano continuare a compiere la loro nobile missione di procreare nell'amore. Sono grato al vostro Pontificio Consiglio perché, in vari incontri continentali e nazionali, cerca di dialogare con coloro che hanno responsabilità politica e legislativa al riguardo, come pure si sforza di tessere una vasta rete di colloqui con i Vescovi, offrendo alle Chiese locali l'opportunità di corsi aperti ai responsabili della pastorale. Profitto, poi, dell'occasione per reiterare l'invito a tutte le comunità diocesane a partecipare con loro delegazioni al V Incontro Mondiale delle Famiglie, che si terrà nel luglio prossimo a Valencia, in Spagna, e al quale, a Dio piacendo, avrò la gioia di partecipare di persona.

Grazie ancora per il lavoro che svolgete; il Signore continui a renderlo fecondo! Assicuro per questo il mio ricordo nella preghiera, mentre, invocando la materna protezione di Maria, imparto a tutti voi la mia Benedizione, che estendo volentieri alle famiglie, affinché continuino a costruire il loro focolare sull'esempio della Santa Famiglia di Nazareth.



AI PARTECIPANTI ALLA SESSIONE PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA PASTORALE PER I MIGRANTI E GLI ITINERANTI Sala Clementina Lunedì, 15 maggio 2006

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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
cari Fratelli e Sorelle!

Sono lieto di accogliervi in occasione della Sessione Plenaria del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Saluto in primo luogo il Signor Cardinale Renato Raffaele Martino, che ringrazio per le parole con cui ha introdotto il nostro incontro. Saluto pure il Segretario, i Membri ed i Consultori di codesto Pontificio Consiglio, in modo speciale quelli recentemente nominati, e rivolgo a tutti un cordiale pensiero con l’augurio di un proficuo lavoro.

Il tema scelto per questa Sessione – “Migrazione e itineranza da e per i Paesi a maggioranza islamica” – concerne una realtà sociale che diviene sempre più attuale. La mobilità riguardante i Paesi musulmani merita perciò una specifica riflessione, non solo per la rilevanza quantitativa del fenomeno, ma soprattutto perché quella islamica è un’identità caratteristica, sotto il profilo sia religioso che culturale. La Chiesa cattolica avverte con crescente consapevolezza che il dialogo interreligioso fa parte del suo impegno a servizio dell’umanità nel mondo contemporaneo. Questa convinzione è diventata, come si dice, “pane quotidiano” specialmente per chi opera a contatto con i migranti, i rifugiati e con le diverse categorie di persone itineranti. Stiamo vivendo tempi nei quali i cristiani sono chiamati a coltivare uno stile di dialogo aperto sul problema religioso, non rinunciando a presentare agli interlocutori la proposta cristiana in coerenza con la propria identità. Sempre più, poi, si avverte l’importanza della reciprocità nel dialogo, reciprocità che l’Istruzione Erga migrantes caritas Christi definisce giustamente come un “principio” di grande importanza. Si tratta di una “relazione fondata sul rispetto reciproco” e prima ancora di un “atteggiamento del cuore e dello spirito” (n. 64). Quanto questo impegno sia importante e delicato lo testimoniano gli sforzi che in tante comunità si vanno facendo per tessere con gli immigrati rapporti di mutua conoscenza e stima, che appaiono quanto mai utili per superare pregiudizi e chiusure mentali.

Nella sua azione di accoglienza e di dialogo con i migranti e gli itineranti, la comunità cristiana ha come costante punto di riferimento Cristo che ha lasciato ai suoi discepoli, quale regola di vita, il comandamento nuovo dell’amore. L’amore cristiano è, per sua natura, preveniente. Ecco perché i singoli credenti sono chiamati ad aprire le loro braccia ed il loro cuore ad ogni persona, da qualunque Paese provenga, lasciando poi alle autorità responsabili della vita pubblica di stabilire in merito le leggi ritenute opportune per una sana convivenza. Continuamente stimolati a testimoniare quell’amore che ha insegnato il Signore Gesù, i cristiani devono aprire il cuore specialmente ai piccoli ed ai poveri, nei quali Cristo stesso è presente in modo singolare. Così facendo, manifestano il carattere più qualificante e proprio dell’identità cristiana: l’amore che Cristo ha vissuto e continuamente trasmette alla Chiesa mediante il Vangelo ed i Sacramenti. Ovviamente, c’è da sperare che anche i cristiani che emigrano verso Paesi a maggioranza islamica trovino là accoglienza e rispetto della loro identità religiosa.

Cari fratelli e sorelle, colgo volentieri quest’occasione per ringraziarvi di quello che fate in favore di un’organica ed efficace pastorale per i migranti e gli itineranti, ponendo a servizio di tale compito il vostro tempo, le vostre competenze e la vostra esperienza. A nessuno sfugge che questa è una frontiera significativa della nuova evangelizzazione nel mondo attuale globalizzato. Vi incoraggio a proseguire il vostro lavoro con rinnovato zelo, mentre, da parte mia, vi seguo con attenzione e vi accompagno con la preghiera, perché lo Spirito Santo renda proficua ogni vostra iniziativa per il bene della Chiesa e del mondo. Vegli su di voi Maria Santissima, che ha vissuto la sua fede come peregrinazione nelle diverse circostanze della sua esistenza terrena. La Vergine Santa aiuti ogni uomo e ogni donna a conoscere il suo Figlio Gesù ed a ricevere da Lui il dono della salvezza. Con questo auspicio imparto la mia Benedizione a tutti voi e alle persone a voi care.





AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA GENERALE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA Aula del Sinodo Giovedì, 18 maggio 2006

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Cari Fratelli Vescovi italiani,

sono davvero lieto di incontrarvi tutti questa mattina, riuniti nella vostra Assemblea Generale. Saluto il vostro Presidente, Cardinale Camillo Ruini, e lo ringrazio per le parole cordiali che mi ha rivolto interpretando i comuni sentimenti. Saluto i tre Vicepresidenti, il Segretario Generale e ciascuno di voi, esprimendovi a mia volta l’affetto del mio cuore e la gioia della nostra reciproca comunione.

L’oggetto principale di questa vostra Assemblea verte sulla vita e il ministero dei sacerdoti, nell’ottica di una Chiesa che intende essere sempre più protesa alla sua fondamentale missione evangelizzatrice. Voi continuate così l’opera iniziata nell’Assemblea del novembre scorso ad Assisi, nella quale avete concentrato la vostra attenzione sui seminari e sulla formazione al ministero presbiterale. In realtà, per noi Vescovi è un compito essenziale essere costantemente vicini ai nostri sacerdoti che attraverso il Sacramento dell’Ordine partecipano al ministero apostolico che il Signore ci ha affidato. Occorre innanzitutto curare un’attenta selezione dei candidati al sacerdozio, verificandone le predisposizioni personali ad assumere gli impegni connessi con il futuro ministero; coltivare poi la formazione, non solo negli anni del seminario ma anche nelle successive fasi della loro vita; avere a cuore il loro benessere materiale e spirituale; esercitare la nostra paternità verso di loro con animo fraterno; non lasciarli mai soli nelle fatiche del ministero, nella malattia e nella vecchiaia, come nelle inevitabili prove della vita. Cari fratelli Vescovi, quanto più saremo vicini ai nostri sacerdoti, tanto più essi a loro volta avranno verso di noi affetto e fiducia, scuseranno i nostri limiti personali, accoglieranno la nostra parola e si sentiranno solidali con noi nelle gioie e nelle difficoltà del ministero.

Al centro del nostro rapporto con i sacerdoti, come della stessa vita nostra e loro, sta con tutta evidenza la relazione a Cristo, l’unione intima con Lui, la partecipazione alla missione che Egli ha ricevuto dal Padre. Il mistero del nostro sacerdozio consiste in quella identificazione con Lui in virtù della quale noi, deboli e poveri esseri umani, per il Sacramento dell’Ordine possiamo parlare e agire in persona Christi capitis. L’intero percorso della nostra vita di sacerdoti non può puntare che a questo traguardo: configurarci nella realtà dell’esistenza e nei comportamenti quotidiani al dono e al mistero che abbiamo ricevuto. Devono guidarci e confortarci in questo cammino le parole di Gesù: “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (
Jn 15,15). Il Signore si mette nelle nostre mani, ci trasmette il suo mistero più profondo e personale, ci vuole partecipi del suo potere di salvezza. Ma ciò richiede evidentemente che noi a nostra volta siamo davvero amici del Signore, che i nostri sentimenti si conformino ai suoi sentimenti, il nostro volere al suo volere (cfr Ph 2,5), e questo è un cammino di ogni giorno.

L’orizzonte dell’amicizia in cui Gesù ci introduce è poi l’umanità intera: Egli infatti vuol essere per tutti il buon Pastore che dona la propria vita (cfr Jn 10,11), e lo sottolinea fortemente nel discorso del Buon Pastore che è venuto per riunire tutti, non solo il popolo eletto me tutti i figli di Dio dispersi. Perciò anche la nostra sollecitudine pastorale non può che essere universale. Certamente dobbiamo preoccuparci anzitutto di coloro che, come noi, credono e vivono con la Chiesa - è molto importante, pur in questa dimensione di universalità, che vediamo anzitutto quei fedeli che vivono ogni giorno il loro essere Chiesa con umiltà e amore - e tuttavia non dobbiamo stancarci di uscire, come ci chiede il Signore, “per le strade e lungo le siepi” (Lc 14,13), per invitare al banchetto che Dio ha preparato anche coloro che finora non lo hanno conosciuto, o forse hanno preferito ignorarlo. Cari fratelli Vescovi italiani, mi unisco a voi nel dire un grande grazie ai nostri sacerdoti per la loro continua e spesso nascosta dedizione e nel chiedere loro, con animo fraterno, di fidarsi sempre del Signore e di camminare con generosità e coraggio sulla via che conduce alla santità, confortando e sostenendo anche noi Vescovi nel medesimo cammino.

In questa Assemblea vi siete occupati anche dell’ormai prossimo Convegno ecclesiale nazionale che si svolgerà a Verona e al quale avrò anch’io, se Dio vuole, la gioia di intervenire. Avendo per tema “Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo”, il Convegno sarà un grande momento di comunione per tutte le componenti della Chiesa in Italia. Sarà possibile fare il punto sul cammino percorso negli ultimi anni e soprattutto guardare in avanti, per affrontare insieme il compito fondamentale di mantenere sempre viva la grande tradizione cristiana che è la principale ricchezza dell’Italia. A tale scopo è particolarmente felice la scelta di mettere al centro del Convegno Gesù risorto, fonte di speranza per tutti: a partire da Cristo, infatti, e soltanto a partire da Lui, dalla sua vittoria sul peccato e sulla morte, è possibile rispondere al bisogno fondamentale dell’uomo, che è bisogno di Dio, non di un Dio lontano e generico ma del Dio che in Gesù Cristo si è manifestato come l’amore che salva. Ed è anche possibile proiettare una luce nuova e liberatrice sulle grandi problematiche del tempo presente. Ma questa priorità di Dio - innanzitutto noi abbiamo bisogno di Dio - è di grande importanza.

A Verona occorrerà dunque concentrarsi anzitutto su Cristo, perché in Cristo Dio è concreto, è presente, si mostra, e pertanto concentrarsi sulla missione prioritaria della Chiesa di vivere alla sua presenza e di rendere il più possibile visibile a tutti questa medesima presenza. Su queste basi prenderete giustamente in esame i vari ambiti dell’esistenza quotidiana, all’interno dei quali la testimonianza dei credenti deve rendere operante la speranza che viene da Cristo risorto: in concreto la vita affettiva e la famiglia, il lavoro e la festa, la malattia e le varie forme di povertà, l’educazione, la cultura e le comunicazioni sociali, le responsabilità civili e politiche. Non vi è infatti alcuna dimensione dell’uomo che sia estranea a Cristo. La vostra attenzione, cari fratelli Vescovi, anche nell’attuale Assemblea è rivolta in modo particolare ai giovani. Mi è grato ricordare con voi l’esperienza dell’agosto scorso a Colonia, quando i giovani italiani, accompagnati da tanti di voi e dei vostri sacerdoti, parteciparono in grandissimo numero e intensamente alla Giornata Mondiale della Gioventù. Si tratta ora di avviare l’itinerario che condurrà all’appuntamento del 2008 a Sydney, dando spazio all’entusiasmo e alla voglia di partecipazione dei giovani. Così essi potranno comprendere sempre meglio che la Chiesa è la grande famiglia nella quale, vivendo l’amicizia di Cristo, si diventa davvero liberi e amici tra di noi, superando le divisioni e le barriere che spengono la speranza.

Desidero infine condividere con voi la sollecitudine che vi anima nei riguardi del bene dell’Italia. Come ho avuto modo di rilevare nell’Enciclica Deus caritas est (nn. 28-29), la Chiesa è ben consapevole che “alla struttura fondamentale del cristianesimo appartiene la distinzione tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio” (cfr Mt 22,21), cioè tra lo Stato e la Chiesa, ossia l’autonomia delle realtà temporali, come ha sottolineato il Concilio Vaticano II nella "Gaudium et spes". Questa distinzione e autonomia la Chiesa non solo riconosce e rispetta, ma di essa si rallegra, come di un grande progresso dell’umanità e di una condizione fondamentale per la sua stessa libertà e l’adempimento della sua universale missione di salvezza tra tutti i popoli. In pari tempo, e proprio in virtù della medesima missione di salvezza, la Chiesa non può venir meno al compito di purificare la ragione, mediante la proposta della propria dottrina sociale, argomentata “a partire da ciò che è conforme alla natura di ogni essere umano”, e di risvegliare le forze morali e spirituali, aprendo la volontà alle autentiche esigenze del bene. A sua volta, una sana laicità dello Stato comporta senza dubbio che le realtà temporali si reggano secondo norme loro proprie, alle quali appartengono però anche quelle istanze etiche che trovano il loro fondamento nell’essenza stessa dell’uomo e pertanto rinviano in ultima analisi al Creatore. Nelle circostanze attuali, richiamando il valore che hanno per la vita non solo privata ma anche soprattutto pubblica alcuni fondamentali principi etici, radicati nella grande eredità cristiana dell’Europa e in particolare dell’Italia, non commettiamo dunque alcuna violazione della laicità dello Stato, ma contribuiamo piuttosto a garantire e promuovere la dignità della persona e il bene comune della società.

Carissimi Vescovi italiani, su questi valori siamo debitori di una chiara testimonianza a tutti i nostri fratelli in umanità: con essa non imponiamo loro inutili pesi ma li aiutiamo ad avanzare sulla via della vita e dell’autentica libertà. Vi assicuro la mia quotidiana preghiera per voi, per le vostre Chiese e per tutta la diletta Nazione italiana e imparto con grande affetto la Benedizione apostolica a ciascuno di voi, ai vostri sacerdoti, ad ogni famiglia italiana, specialmente a chi più soffre e sente più forte il bisogno dell’aiuto di Dio.



AI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO PROMOSSO DALLA FONDAZIONE CENTESIMUS ANNUS PRO PONTIFICE Sala Clementina Venerdì, 19 maggio 2006

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Signor Cardinale,
venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Presbiterato,
cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di potervi incontrare per la prima volta e tutti vi saluto cordialmente. Saluto specialmente il Signor Cardinale Attilio Nicora, Presidente dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, come pure il Presidente della Fondazione, il Conte Lorenzo Rossi di Montelera, che ringrazio per le parole rivoltemi a vostro nome. Saluto i Vescovi presenti e i sacerdoti vostri assistenti spirituali. A ciascuno di voi esprimo apprezzamento e gratitudine per il servizio che rendete al Successore di Pietro e per la generosità con cui ne sostenete l'attività apostolica.

Il nome stesso della vostra Fondazione indica con chiarezza le apprezzabili finalità che perseguite. Centesimus Annus richiama l'ultima grande Enciclica sociale di Giovanni Paolo II, con la quale l'indimenticabile Pontefice, riassumendo cento anni di Magistero in questo campo, proiettava in avanti la Chiesa stimolandone il confronto con le res novae del terzo millennio. Centesimus Annus dice, inoltre, l'impegno vostro a collaborare perché nelle diverse aree culturali del mondo contemporaneo la dottrina sociale della Chiesa svolga in modo limpido il suo compito per la diffusione del Vangelo. La qualifica Pro Pontifice sottolinea, a sua volta, il vostro intendimento di coltivare una particolare vicinanza al compito pastorale del Vescovo di Roma, impegnandovi a concorrere secondo le vostre forze a sostenere gli strumenti concreti di cui Egli abbisogna per animare e incoraggiare la presenza della Chiesa nel mondo intero. Avete cominciato la vostra attività in un ambito prevalentemente italiano; ora vedo con gioia che la state progressivamente articolando in altre aree dell'Europa e dell'America. La natura di Fondazione vaticana vi abilita e vi orienta verso questi grandi orizzonti.

Il Convegno di studio da voi promosso su "Democrazia, istituzioni e giustizia sociale" affronta problemi di viva attualità. Si lamentano talora le lentezze con cui un'autentica democrazia si fa strada, e tuttavia essa resta lo strumento storico più valido, se ben usato, per disporre responsabilmente del proprio futuro in modo degno dell'uomo. Giustamente voi avete individuato due punti critici nel cammino verso un ordinamento più maturo dell'umana convivenza. Occorrono in primo luogo istituzioni appropriate, credibili, autorevoli, non finalizzate a una mera gestione del potere pubblico, ma capaci di promuovere livelli articolati di partecipazione popolare, nel rispetto delle tradizioni di ciascuna nazione, e nella costante preoccupazione di custodirne l'identità. Altrettanto urgente è uno sforzo tenace, durevole e condiviso per la promozione della giustizia sociale. La democrazia raggiungerà la sua piena attuazione solo quando ogni persona ed ogni popolo sarà in grado di accedere ai beni primari (vita, cibo, acqua, salute, istruzione, lavoro, certezza dei diritti) attraverso un ordinamento delle relazioni interne e internazionali che assicuri a ciascuno la possibilità di parteciparvi. Non si potrà dare, peraltro, vera giustizia sociale se non in un'ottica di genuina solidarietà, che impegni a vivere e ad operare sempre gli uni per gli altri, e mai gli uni contro o a danno degli altri. In che modo rendere concreto tutto questo nel contesto mondiale di oggi è la grande sfida dei cristiani laici.

Cari amici, attraverso la Fondazione Centesimus Annus voi concorrete con altre benemerite Associazioni a far crescere la conoscenza della dottrina sociale, con cui la Chiesa, come ho scritto nell'Enciclica Deus caritas est, intende "contribuire alla purificazione della ragione e al risveglio delle forze morali, senza le quali non vengono costruite strutture giuste né queste possono essere operative a lungo" (n. 29). Ciascuno di voi, in quanto fedele laico, viva come proprio il "compito immediato di operare per un giusto ordine nella società", giacché "la carità deve animare l'intera esistenza dei fedeli laici e quindi anche la loro attività politica, vissuta come "carità sociale"" (ivi). L'odierno nostro incontro valga dunque a confermarvi in questo generoso impegno. Tornando alle vostre responsabilità quotidiane, sentitevi sempre più uniti nel vincolo della comunione cattolica e vivete con passione gli impegni che vi siete assunti. Vi ringrazio anche per l'offerta che il vostro Presidente mi ha consegnato a sostegno delle opere del mio ministero pastorale. E, mentre invoco su voi e sulle vostre famiglie la materna protezione di Maria, di cuore tutti vi benedico.





AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL CANADA ATLANTICO IN VISITA AD LIMINA APOSTOLORUM Sabato, 20 maggio 2006

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Cari Fratelli Vescovi,

1. "Grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù Signore nostro" (
1Tm 1,2). Con affetto fraterno vi porgo il benvenuto, Vescovi di New Brunswick, Newfoundland, Nova Scotia e Prince Edward Island. Ringrazio il Vescovo Lahey per i gentili sentimenti espressi a nome vostro. Li ricambio cordialmente e assicuro delle mie preghiere voi e quanti sono affidati alla vostra sollecitudine pastorale. La vostra visita ad limina Apostolorum è un'opportunità per rendere grazie a Dio per l'opera di quanti hanno predicato instancabilmente il Vangelo in tutto il vostro Paese. È anche un'occasione per rafforzare nella fede, nella speranza e nella carità i vostri vincoli di comunione con il Vescovo di Roma e per affermare il vostro impegno a rendere il volto di Cristo sempre più visibile in seno alla Chiesa e alla società, attraverso la coerente testimonianza del Vangelo, che è Gesù Cristo stesso.

2. Il Canada possiede un fiero retaggio permeato da una ricca diversità sociale. Al centro dell'anima culturale della nazione c'è l'incommensurabile dono di fede di Cristo che è stato ricevuto e celebrato nei secoli con profonda gioia dalle popolazioni della vostra terra. Come molti Paesi, tuttavia, anche il Canada soffre oggi per gli effetti diffusi del secolarismo. Il tentativo di promuovere una visione dell'umanità che prescinda dall'ordine trascendente di Dio e sia indifferente alla luce invitante di Cristo, allontana dalla portata degli uomini e delle donne comuni l'esperienza della speranza autentica. Uno dei sintomi più gravi di questa mentalità, chiaramente evidente nella vostra regione, è il crollo del tasso di natalità. Questa testimonianza inquietante di incertezza e di paura, pur non essendo sempre conscia, è in forte contrasto con l'esperienza definitiva di amore autentico che per sua natura è caratterizzata dalla fiducia, cerca il bene dell'amato e guarda all'eterno (cfr Deus caritas est ).

Di fronte ai numerosi mali sociali e alle ambiguità morali che seguono la scia di una ideologia secolarista, i canadesi si aspettano da voi che siate uomini di speranza, che predichiate e insegniate con passione lo splendore della verità di Cristo, che dissolve le tenebre e illumina la via per rinnovare la vita ecclesiale e civile, educando le coscienze e insegnando la dignità autentica della persona e della società umana. Soprattutto nei distretti che subiscono le conseguenze dolorose del declino economico, come la disoccupazione e l'emigrazione indesiderata, i responsabili ecclesiali recano molti frutti quando, nella loro sollecitudine per il bene comune, cercano con generosità di sostenere le autorità civili nel compito di promuovere la rigenerazione della comunità. A questo proposito, osservo con soddisfazione il successo delle celebrazioni dell'anniversario svoltesi lo scorso anno nell'Arcidiocesi di Saint John's e caratterizzate da uno spirito di cooperazione con le varie autorità civili. Queste iniziative esprimono il riconoscimento del bisogno di forza spirituale al centro della società. Infatti, "in nessun modo è possibile separare la risposta ai bisogni materiali e sociali degli uomini dal soddisfacimento delle profonde necessità del loro cuore" (Messaggio Papale per la Quaresima 2006).

3. Cari Fratelli, i vostri rapporti evidenziano la serietà con cui state rispondendo all'esigenza di rinnovamento pastorale. Mi rendo conto che, a causa dell'invecchiamento del clero e dell'isolamento di molte comunità, le sfide sono imponenti. Tuttavia, se la Chiesa deve placare la sete che gli uomini e le donne hanno di verità e di valori autentici sui quali edificare la propria vita, non bisogna lesinare alcuno sforzo nel trovare iniziative pastorali efficaci per far conoscere Gesù. Quindi è molto importante che i programmi catechetici e di educazione religiosa che state attuando continuino ad approfondire la comprensione dei fedeli e l'amore di nostro Signore e della Sua Chiesa e risveglino in essi lo zelo per la testimonianza cristiana che è radicata nel Sacramento del Battesimo. A questo proposito, occorre prestare particolare attenzione per garantire che il rapporto intrinseco fra il Magistero della Chiesa, la fede dell'individuo e la testimonianza nella vita pubblica sia preservato e promosso. Solo così possiamo sperare di superare il divario debilitante tra il Vangelo e la cultura (cfr Evangelii nuntiandi EN 20).

Una particolare importanza rivestono i nostri catechisti. Hanno abbracciato con grande coraggio l'ardente desiderio che fu di san Paolo: trasmettere "anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto" (1Co 15,3). L'insegnamento della fede non può essere ridotto a mera trasmissione di "cose" o di parole o anche di un insieme di verità astratte. La tradizione della Chiesa è viva! È l'attualizzazione permanente della presenza attiva del Signore Gesù in mezzo al suo popolo, realizzata dallo Spirito Santo ed espressa nella Chiesa in ogni generazione. In questo senso è come un fiume vivo che ci unisce alle origini, che sono sempre presenti, e ci conduce alle porte dell'eternità (cfr Catechesi durante l'Udienza Generale, 26 aprile 2006). Attraverso di voi, prendo atto del buon servizio svolto dai catechisti nelle vostre Diocesi e li incoraggio nel loro dovere e privilegio di far conoscere lo straordinario "sì" di Dio all'umanità (cfr 2Co 1,20). Inoltre, faccio appello direttamente ai giovani delle vostre Diocesi affinché raccolgano la gratificante sfida del servizio catechetico e partecipino alla soddisfazione di trasmettere la fede. Il loro esempio di testimonianza cristiana a chi è più giovane di loro rafforzerà la loro fede, portando agli altri la gioia che scaturisce dal significato dello scopo e del senso nella vita rivelati da Dio.

4. Nel vostro piano di rinnovamento pastorale dovete affrontare il delicato compito della riorganizzazione delle parrocchie e anche delle Diocesi. Ciò non si può realizzare mai in modo appropriato ricorrendo ai semplici modelli sociali di ristrutturazione. Senza Cristo, non possiamo fare nulla (cfr Jn 15,5). La preghiera ci radica nella verità, ricordandoci incessantemente il primato di Cristo e, in unione con Lui, il primato della vita interiore e della santità. Le parrocchie sono dunque, a giusto titolo, considerate prima di tutto case e scuole di comunione. Di conseguenza, la riorganizzazione delle parrocchie è fondamentalmente un esercizio di rinnovamento spirituale. Ciò esige una promozione pastorale della santità, affinché i fedeli si mantengano attenti alla volontà di Dio, del Quale condividiamo la vita vera, divenendo partecipi della natura divina (cfr Dei Verbum DV 2). Una simile santità, o una simile comunione intima attraverso Cristo e nello Spirito, è rafforzata, fra le altre cose, da una pedagogia autentica della preghiera, da un'introduzione alla vita dei Santi e alle molteplici forme di spiritualità che abbelliscono e stimolano la vita della Chiesa, da una partecipazione regolare al Sacramento della Riconciliazione e da una catechesi convincente sulla domenica come "il giorno della fede", "un giorno irrinunciabile", "il giorno della speranza cristiana" (cfr Dies Domini, nn. 29-30; 38).

Sono certo che una riscoperta di Gesù Cristo, Verbo fatto carne, nostro Salvatore, porterà a una riscoperta dell'identità personale, sociale e culturale dei fedeli. Lungi dal confondere la diversità e la complementarità dei carismi e delle funzioni dei ministri ordinati e dei fedeli laici, un'identità cattolica rafforzata ravviverà la passione per l'evangelizzazione, che è propria della vocazione di ogni credente e della natura della Chiesa (cfr Istruzione Il presbitero, pastore e guida della comunità parrocchiale, nn. 23-24).

5. Nella chiamata universale alla santità (cfr 1Th 4,3) si trova la particolare vocazione alla quale Dio chiama ogni individuo. A questo riguardo, vi incoraggio a rimanere vigili nel vostro dovere di promuovere una cultura della vocazione. Le vostre relazioni testimoniano come amministrate i sacerdoti, che lavorano con grande generosità per la missione della Chiesa e per il bene delle persone che servono. Prego affinché il loro cammino quotidiano di conversione e di amore generoso risvegli nei giovani uomini il desiderio di rispondere alla chiamata di Dio all'umile ministero sacerdotale nella Sua Chiesa.

Inoltre, avete sottolineato, a giusto titolo, l'ottimo contributo delle religiose e dei religiosi alla missione della Chiesa. Questo profondo apprezzamento della vita consacrata è giustamente accompagnato dalla vostra preoccupazione per la diminuzione delle vocazioni religiose nel vostro Paese. Occorre nuova chiarezza per articolare lo speciale contributo dei religiosi alla vita della Chiesa: una missione per rendere l'amore di Cristo presente in mezzo agli uomini (cfr Istruzione Ripartire da Cristo: un rinnovato impegno della vita consacrata nel terzo millennio, n. 5). Tale chiarezza darà vita a un nuovo kairos, con i religiosi che ribadiscono fiduciosi la loro vocazione e, sotto la guida dello Spirito Santo, propongono di nuovo ai giovani l'ideale della consacrazione e della missione. Ancora una volta assicuro i sacerdoti religiosi, i religiosi e le religiose della testimonianza vitale che essi offrono mettendosi senza riserve nelle mani di Cristo e della Chiesa, come forte e chiara proclamazione della presenza di Dio in un modo comprensibile ai nostri contemporanei (cfr Omelia in occasione della Giornata Mondiale della Vita Consacrata, 2 febbraio 2006).

6. Cari Fratelli, con affetto e gratitudine fraterna vi offro queste riflessioni e vi assicuro delle mie preghiere mentre cercate di guidare le greggi che vi sono state affidate. Uniti nella vostra proclamazione della Buona Novella di Gesù Cristo, procedete ora nella speranza! Con questi sentimenti vi affido alla protezione di Maria, Madre della Chiesa, e all'intercessione di san Giuseppe, suo casto sposo. A voi e ai sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi e ai fedeli laici delle vostre Diocesi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.




Discorsi 2005-13 13056