Discorsi 2005-13 27456

BREVE SALUTO DOPO L’INCONTRO CON I GIOVANI Kraków-Blonie, 27 maggio 2006

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Cari amici!

Stasera ho incontrato i giovani radunati sul prato di Blonia. È stata una serata indimenticabile, in cui si è testimoniata la fede e la volontà di costruire il futuro sulla base degli insegnamenti che Cristo ha lasciato ai suoi discepoli. Ringrazio di cuore la gioventù polacca per questa testimonianza. In essa si iscrive anche la vostra presenza in via Franciszkanska. So che essa è l'espressione del vostro grande affetto per il Papa, per il quale pure vi ringrazio. Il giorno di domani è davanti a noi. Nel salutarvi vi invito per la Santa Messa che celebrerò domani. Vi benedico di cuore: nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Buona notte!





VISITA AL CAMPO DI AUSCHWITZ Auschwitz-Birkenau, 28 maggio 2006

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Prendere la parola in questo luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio e contro l'uomo che non ha confronti nella storia, è quasi impossibile – ed è particolarmente difficile e opprimente per un cristiano, per un Papa che proviene dalla Germania. In un luogo come questo vengono meno le parole, in fondo può restare soltanto uno sbigottito silenzio – un silenzio che è un interiore grido verso Dio: Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo? È in questo atteggiamento di silenzio che ci inchiniamo profondamente nel nostro intimo davanti alla innumerevole schiera di coloro che qui hanno sofferto e sono stati messi a morte; questo silenzio, tuttavia, diventa poi domanda ad alta voce di perdono e di riconciliazione, un grido al Dio vivente di non permettere mai più una simile cosa.

Ventisette anni fa, il 7 giugno 1979, era qui Papa Giovanni Paolo II; egli disse allora: "Vengo qui oggi come pellegrino. Si sa che molte volte mi sono trovato qui… Quante volte! E molte volte sono sceso nella cella della morte di Massimiliano Kolbe e mi sono fermato davanti al muro della morte e sono passato tra le macerie dei forni crematori di Birkenau. Non potevo non venire qui come Papa". Papa Giovanni Paolo II stava qui come figlio di quel popolo che, accanto al popolo ebraico, dovette soffrire di più in questo luogo e, in genere, nel corso della guerra: "Sono sei milioni di Polacchi, che hanno perso la vita durante la seconda guerra mondiale: la quinta parte della nazione”, ricordò allora il Papa. Qui egli elevò poi il solenne monito al rispetto dei diritti dell'uomo e delle nazioni, che prima di lui avevano elevato davanti al mondo i suoi Predecessori Giovanni XXIII e Paolo VI, e aggiunse: “Pronuncia queste parole […] il figlio della nazione che nella sua storia remota e più recente ha subito dagli altri un molteplice travaglio. E non lo dice per accusare, ma per ricordare. Parla a nome di tutte le nazioni, i cui diritti vengono violati e dimenticati…”.

Papa Giovanni Paolo II era qui come figlio del popolo polacco. Io sono oggi qui come figlio del popolo tedesco, e proprio per questo devo e posso dire come lui: Non potevo non venire qui. Dovevo venire. Era ed è un dovere di fronte alla verità e al diritto di quanti hanno sofferto, un dovere davanti a Dio, di essere qui come successore di Giovanni Paolo II e come figlio del popolo tedesco – figlio di quel popolo sul quale un gruppo di criminali raggiunse il potere mediante promesse bugiarde, in nome di prospettive di grandezza, di ricupero dell'onore della nazione e della sua rilevanza, con previsioni di benessere e anche con la forza del terrore e dell'intimidazione, cosicché il nostro popolo poté essere usato ed abusato come strumento della loro smania di distruzione e di dominio. Sì, non potevo non venire qui. Il 7 giugno 1979 ero qui come Arcivescovo di Monaco-Frisinga tra i tanti Vescovi che accompagnavano il Papa, che lo ascoltavano e pregavano con lui. Nel 1980 sono poi tornato ancora una volta in questo luogo di orrore con una delegazione di Vescovi tedeschi, sconvolto a causa del male e grato per il fatto che sopra queste tenebre era sorta la stella della riconciliazione. È ancora questo lo scopo per cui mi trovo oggi qui: per implorare la grazia della riconciliazione – da Dio innanzitutto che, solo, può aprire e purificare i nostri cuori; dagli uomini poi che qui hanno sofferto, e infine la grazia della riconciliazione per tutti coloro che, in quest'ora della nostra storia, soffrono in modo nuovo sotto il potere dell'odio e sotto la violenza fomentata dall'odio.

Quante domande ci si impongono in questo luogo! Sempre di nuovo emerge la domanda: Dove era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto? Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male? Ci vengono in mente le parole del Salmo 44, il lamento dell'Israele sofferente: “…Tu ci hai abbattuti in un luogo di sciacalli e ci hai avvolti di ombre tenebrose… Per te siamo messi a morte, stimati come pecore da macello. Svégliati, perché dormi, Signore? Déstati, non ci respingere per sempre! Perché nascondi il tuo volto, dimentichi la nostra miseria e oppressione? Poiché siamo prostrati nella polvere, il nostro corpo è steso a terra. Sorgi, vieni in nostro aiuto; salvaci per la tua misericordia!” (
Ps 44,20 Ps 44,23-27). Questo grido d'angoscia che l'Israele sofferente eleva a Dio in periodi di estrema angustia, è al contempo il grido d'aiuto di tutti coloro che nel corso della storia – ieri, oggi e domani – soffrono per amor di Dio, per amor della verità e del bene; e ce ne sono molti, anche oggi.

Noi non possiamo scrutare il segreto di Dio – vediamo soltanto frammenti e ci sbagliamo se vogliamo farci giudici di Dio e della storia. Non difenderemmo, in tal caso, l'uomo, ma contribuiremmo solo alla sua distruzione. No – in definitiva, dobbiamo rimanere con l'umile ma insistente grido verso Dio: Svégliati! Non dimenticare la tua creatura, l'uomo! E il nostro grido verso Dio deve al contempo essere un grido che penetra il nostro stesso cuore, affinché si svegli in noi la nascosta presenza di Dio – affinché quel suo potere che Egli ha depositato nei nostri cuori non venga coperto e soffocato in noi dal fango dell'egoismo, della paura degli uomini, dell'indifferenza e dell'opportunismo. Emettiamo questo grido davanti a Dio, rivolgiamolo allo stesso nostro cuore, proprio in questa nostra ora presente, nella quale incombono nuove sventure, nella quale sembrano emergere nuovamente dai cuori degli uomini tutte le forze oscure: da una parte, l'abuso del nome di Dio per la giustificazione di una violenza cieca contro persone innocenti; dall'altra, il cinismo che non conosce Dio e che schernisce la fede in Lui. Noi gridiamo verso Dio, affinché spinga gli uomini a ravvedersi, così che riconoscano che la violenza non crea la pace, ma solo suscita altra violenza – una spirale di distruzioni, in cui tutti in fin dei conti possono essere soltanto perdenti. Il Dio, nel quale noi crediamo, è un Dio della ragione – di una ragione, però, che certamente non è una neutrale matematica dell'universo, ma che è una cosa sola con l'amore, col bene. Noi preghiamo Dio e gridiamo verso gli uomini, affinché questa ragione, la ragione dell'amore e del riconoscimento della forza della riconciliazione e della pace prevalga sulle minacce circostanti dell'irrazionalità o di una ragione falsa, staccata da Dio.

Il luogo in cui ci troviamo è un luogo della memoria, è il luogo della Shoa. Il passato non è mai soltanto passato. Esso riguarda noi e ci indica le vie da non prendere e quelle da prendere. Come Giovanni Paolo II ho percorso il cammino lungo le lapidi che, nelle varie lingue, ricordano le vittime di questo luogo: sono lapidi in bielorusso, ceco, tedesco, francese, greco, ebraico, croato, italiano, yiddish, ungherese, neerlandese, norvegese, polacco, russo, rom, rumeno, slovacco, serbo, ucraino, giudeo-ispanico, inglese. Tutte queste lapidi commemorative parlano di dolore umano, ci lasciano intuire il cinismo di quel potere che trattava gli uomini come materiale non riconoscendoli come persone, nelle quali rifulge l'immagine di Dio. Alcune lapidi invitano ad una commemorazione particolare. C'è quella in lingua ebraica. I potentati del Terzo Reich volevano schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità; eliminarlo dall'elenco dei popoli della terra. Allora le parole del Salmo: "Siamo messi a morte, stimati come pecore da macello" si verificarono in modo terribile. In fondo, quei criminali violenti, con l'annientamento di questo popolo, intendevano uccidere quel Dio che chiamò Abramo, che parlando sul Sinai stabilì i criteri orientativi dell'umanità che restano validi in eterno. Se questo popolo, semplicemente con la sua esistenza, costituisce una testimonianza di quel Dio che ha parlato all'uomo e lo prende in carico, allora quel Dio doveva finalmente essere morto e il dominio appartenere soltanto all’uomo – a loro stessi che si ritenevano i forti che avevano saputo impadronirsi del mondo. Con la distruzione di Israele, con la Shoa, volevano, in fin dei conti, strappare anche la radice, su cui si basa la fede cristiana, sostituendola definitivamente con la fede fatta da sé, la fede nel dominio dell'uomo, del forte. C'è poi la lapide in lingua polacca: In una prima fase e innanzitutto si voleva eliminare l'élite culturale e cancellare così il popolo come soggetto storico autonomo per abbassarlo, nella misura in cui continuava ad esistere, a un popolo di schiavi. Un'altra lapide, che invita particolarmente a riflettere, è quella scritta nella lingua dei Sinti e dei Rom. Anche qui si voleva far scomparire un intero popolo che vive migrando in mezzo agli altri popoli. Esso veniva annoverato tra gli elementi inutili della storia universale, in una ideologia nella quale doveva contare ormai solo l'utile misurabile; tutto il resto, secondo i loro concetti, veniva classificato come lebensunwertes Leben – una vita indegna di essere vissuta. Poi c'è la lapide in russo che evoca l'immenso numero delle vite sacrificate tra i soldati russi nello scontro con il regime del terrore nazionalsocialista; al contempo, però, ci fa riflettere sul tragico duplice significato della loro missione: hanno liberato i popoli da una dittatura, ma sottomettendo anche gli stessi popoli ad una nuova dittatura, quella di Stalin e dell'ideologia comunista. Anche tutte le altre lapidi nelle molte lingue dell'Europa ci parlano della sofferenza di uomini dell'intero continente; toccherebbero profondamente il nostro cuore, se non facessimo soltanto memoria delle vittime in modo globale, ma se invece vedessimo i volti delle singole persone che sono finite qui nel buio del terrore. Ho sentito come intimo dovere fermarmi in modo particolare anche davanti alla lapide in lingua tedesca. Da lì emerge davanti a noi il volto di Edith Stein, Theresia Benedicta a Cruce: ebrea e tedesca scomparsa, insieme con la sorella, nell'orrore della notte del campo di concentramento tedesco-nazista; come cristiana ed ebrea, ella accettò di morire insieme con il suo popolo e per esso. I tedeschi, che allora vennero portati ad Auschwitz-Birkenau e qui sono morti, erano visti come Abschaum der Nation – come il rifiuto della nazione. Ora però noi li riconosciamo con gratitudine come i testimoni della verità e del bene, che anche nel nostro popolo non era tramontato. Ringraziamo queste persone, perché non si sono sottomesse al potere del male e ora ci stanno davanti come luci in una notte buia. Con profondo rispetto e gratitudine ci inchiniamo davanti a tutti coloro che, come i tre giovani di fronte alla minaccia della fornace babilonese, hanno saputo rispondere: "Solo il nostro Dio può salvarci. Ma anche se non ci liberasse, sappi, o re, che noi non serviremo mai i tuoi dèi e non adoreremo la statua d'oro che tu hai eretto" (cfr Dan 3,17s.).

Sì, dietro queste lapidi si cela il destino di innumerevoli esseri umani. Essi scuotono la nostra memoria, scuotono il nostro cuore. Non vogliono provocare in noi l'odio: ci dimostrano anzi quanto sia terribile l'opera dell'odio. Vogliono portare la ragione a riconoscere il male come male e a rifiutarlo; vogliono suscitare in noi il coraggio del bene, della resistenza contro il male. Vogliono portarci a quei sentimenti che si esprimono nelle parole che Sofocle mette sulle labbra di Antigone di fronte all'orrore che la circonda: "Sono qui non per odiare insieme, ma per insieme amare".

Grazie a Dio, con la purificazione della memoria, alla quale ci spinge questo luogo di orrore, crescono intorno ad esso molteplici iniziative che vogliono porre un limite al male e dar forza al bene. Poco fa ho potuto benedire il Centro per il Dialogo e la Preghiera. Nelle immediate vicinanze si svolge la vita nascosta delle suore carmelitane, che si sanno particolarmente unite al mistero della croce di Cristo e ricordano a noi la fede dei cristiani, che afferma che Dio stesso e sceso nell'inferno della sofferenza e soffre insieme con noi. A Oswiecim esiste il Centro di san Massimiliano e il Centro Internazionale di Formazione su Auschwitz e l'Olocausto. C'è poi la Casa Internazionale per gli Incontri della Gioventù. Presso una delle vecchie Case di Preghiera esiste il Centro Ebraico. Infine si sta costituendo l'Accademia per i Diritti dell'Uomo. Così possiamo sperare che dal luogo dell'orrore spunti e cresca una riflessione costruttiva e che il ricordare aiuti a resistere al male e a far trionfare l’amore.

L'umanità ha attraversato a Auschwitz-Birkenau una "valle oscura". Perciò vorrei, proprio in questo luogo, concludere con una preghiera di fiducia – con un Salmo d'Israele che, insieme, è una preghiera della cristianità: "Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome. Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza … Abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni" (Ps 23,1-4 Ps 23,6).




CERIMONIA DI CONGEDO Kraków, 28 maggio 2006

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Signor Presidente della Repubblica di Polonia,
Signor Cardinale Metropolita di Cracovia,
diletti fratelli e sorelle!

È giunto il tempo di congedarmi dalla Polonia. Per quattro giorni ho percorso come pellegrino la vostra terra, visitando luoghi particolarmente importanti per la vostra identità storica e spirituale. Varsavia, Jasna Góra, Cracovia, Wadowice, Kalwaria Zebrzydowska, Lagiewniki, Oswiecim - quanti ricordi evocano questi nomi! Quale ricchezza di significato essi hanno per i Polacchi!

Quando quattro anni fa, congedandosi dalla sua Patria per l'ultima volta, il mio amato Predecessore Giovanni Paolo II esortò la Nazione polacca a lasciarsi sempre guidare da sentimenti di misericordia, di fraterna solidarietà, di dedizione al bene comune, espresse la ferma fiducia che in tal modo essa non avrebbe trovato soltanto una collocazione appropriata nell'Europa Unita, ma avrebbe anche arricchito con la sua tradizione questo continente e il mondo intero. Oggi, mentre la vostra presenza nella famiglia degli Stati d'Europa va sempre più consolidandosi, desidero di tutto cuore ripetere quelle parole di speranza. Vi prego di rimanere fedeli custodi del deposito cristiano, e di trasmetterlo alle generazioni future.

Cari Polacchi! Vorrei confidarvi che questo pellegrinaggio, durante il quale ho visitato luoghi particolarmente cari al grande Giovanni Paolo II, mi ha avvicinato ancor più a voi, suoi connazionali. Vi ringrazio per la preghiera di cui mi avete circondato sin dal momento della mia elezione. Durante gli incontri con voi, nelle udienze in Vaticano, più volte ho sperimentato un legame di intensa preghiera e di spontanea simpatia. Vorrei che continuaste a ricordarmi nelle vostre preghiere, chiedendo al Signore di accrescere le mie forze nel servizio della Chiesa universale.

Ringrazio il signor Presidente della Repubblica di Polonia e l'Episcopato per l'invito. Ringrazio il Signor Primo Ministro per la fruttuosa collaborazione del Governo con i rappresentanti della Chiesa nella preparazione di questa visita. Esprimo la mia gratitudine alle autorità di ogni grado per il loro impegno, già prima dell'inizio della mia visita e durante il suo svolgimento. Ringrazio i rappresentanti dei mass media per la fatica affrontata nel trasmettere ampie informazioni su questo pellegrinaggio. Le mie espressioni di riconoscimento e di ringraziamento vanno pure ai servizi d'ordine, all'esercito, alla polizia, ai vigili del fuoco, al servizio sanitario e a tutti coloro che hanno contribuito a rendere splendido questo incontro del Papa con la Polonia e con i suoi abitanti.

Voglio concludere questa mia visita con le parole dell'apostolo Paolo che hanno accompagnato il mio pellegrinaggio in terra polacca: "Vigilate, state saldi nella fede, comportatevi da uomini, siate forti. Tutto si faccia tra voi nella carità" (
1Co 16,13-14). A tutti la mia Benedizione!



DURANTE LA CELEBRAZIONE MARIANA PER LA CONCLUSIONE DEL MESE DI MAGGIO IN VATICANO Grotta della Madonna di Lourdes nei Giardini Vaticani Mercoledì, 31 maggio 2006

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Cari fratelli e sorelle,

ho la gioia di unirmi a voi al termine di questo suggestivo incontro di preghiera mariana. Chiudiamo così, davanti alla Grotta di Lourdes nei Giardini Vaticani, il mese di maggio, caratterizzato quest’anno dall’accoglienza dell’effigie della Madonna di Fatima in Piazza San Pietro, nel 25° anniversario dell’attentato all’amato Giovanni Paolo II, e segnato anche dal viaggio apostolico che il Signore mi ha dato di compiere in Polonia, dove ho potuto visitare i luoghi cari al grande mio Predecessore. Di questo pellegrinaggio, del quale ho parlato questa mattina nell’udienza generale, mi torna ora in mente, in modo particolare, la sosta nel santuario di Jasna Góra a Czestochowa, dove ho compreso ancor più quanto la nostra celeste Avvocata accompagni il cammino dei suoi figli, e non lasci inascoltate le suppliche che a Lei vengono rivolte con umiltà e fiducia. Desidero ringraziarLa ancora una volta insieme a voi per avermi accompagnato durante la visita nella cara terra di Polonia. Voglio anche esprimere a Maria la mia gratitudine per il sostegno che mi offre nel quotidiano servizio alla Chiesa. So di poter contare sul suo aiuto in ogni situazione; anzi so che Lei previene con intuito materno ogni necessità dei suoi figli e interviene efficacemente per sostenerli: questa è l’esperienza del popolo cristiano fin dai suoi primi passi a Gerusalemme.

Nell’odierna festa della Visitazione, come in ogni pagina del Vangelo, vediamo Maria docile ai disegni divini e in atteggiamento di amore previdente verso i fratelli. L’umile fanciulla di Nazaret infatti, ancora sorpresa per quanto l’angelo Gabriele le ha annunciato – che cioè sarà la madre del Messia promesso - apprende che pure l’anziana parente Elisabetta attende un figlio nella sua vecchiaia. Senza indugio si pone in cammino, nota l’evangelista (cfr
Lc 1,39), per raggiungere “in fretta” la casa della cugina e mettersi a sua disposizione in un momento di particolare bisogno. Come non notare che, nell’incontro tra la giovane Maria e l’ormai matura Elisabetta, il nascosto protagonista è Gesù? Maria lo porta nel suo seno come in un sacro tabernacolo e lo offre come il dono più grande a Zaccaria, alla moglie di lui Elisabetta ed anche al bimbo che si sta sviluppando nel grembo di lei. “Ecco – le dice la madre di Giovanni Battista – appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo” (Lc 1,44). Dove giunge Maria è presente Gesù. Chi apre il suo cuore alla Madre incontra ed accoglie il Figlio ed è invaso dalla sua gioia. Mai la vera devozione mariana offusca o diminuisce la fede e l’amore per Gesù Cristo nostro Salvatore, unico mediatore tra Dio e gli uomini. Al contrario l’affidamento alla Madonna è una via privilegiata, sperimentata da tanti santi, per una più fedele sequela del Signore. A Lei, dunque, affidiamoci con filiale abbandono!

Con questi sentimenti saluto cordialmente ciascuno di voi, Signori Cardinali, venerati fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, ed anche voi, cari religiosi e religiose, cari fedeli laici che non avete voluto mancare a questo annuale appuntamento di fine maggio. Vorrei raccomandare alla vostra preghiera segnatamente la Veglia, che la sera di sabato prossimo si terrà in Piazza San Pietro con i Movimenti e le nuove Comunità laicali, queste promettenti realtà che sono fiorite nella Chiesa dopo il Concilio Vaticano II. La materna intercessione della Regina dei Santi ottenga per tutti i discepoli di Cristo il dono di una fede salda e di una invitta testimonianza evangelica. A voi tutti la mia Benedizione, che estendo volentieri alle persone a voi care, specialmente agli ammalati, agli anziani e a quanti si trovano in difficoltà.






AI MEMBRI DELL'XI CONSIGLIO ORDINARIO DELLA SEGRETERIA GENERALE DEL SINODO DEI VESCOVI Giovedì, 1° giugno 2006

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Venerati e cari Fratelli nell’Episcopato!

A tutti voi, membri dell'XI Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, rivolgo un fraterno saluto, che in particolare indirizzo a Mons. Nikola Eterovic, Segretario Generale, al quale sono grato anche per essersi fatto interprete dei vostri sentimenti. La vostra presenza mi richiama alla mente l’esperienza vissuta nell’Assemblea sinodale sul tema “Eucaristia, fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa”, che ha avuto luogo nell'autunno del 2005. Ora vi ringrazio di cuore per il lavoro che state facendo per raccogliere ed ordinare le proposte emerse dall'ultima Assemblea sinodale. L’odierno incontro è inoltre un'occasione propizia per porre ancora una volta in luce l'importanza della carità nell’attività dei Pastori della Chiesa. Devo dire che nelle visite « ad limina » diversi Vescovi mi chiedono : «Ma quando arriva finalmente il testo post-sinodale ». Ed io rispondo: « Lavorano. E certamente non possono più impiegarci tanto tempo ». Vedo qui riunite così tante competenze che posso soltanto sperare di vedere e di poter imparare io stesso tra poco da questo testo, il quale poi potrà essere pubblicato per l'utilità di tutta la Chiesa che lo aspetta realmente.

Est amoris officium pascere dominicum gregem: questa mirabile intuizione del Vescovo Agostino (In Io. Ev. tract. 123, 5: PL 35, 1967) torna ancora oggi di grande incoraggiamento per noi Vescovi, impegnati nella cura del gregge che non appartiene a noi ma al Signore. In adempimento del suo mandato, noi cerchiamo di proteggere il gregge, di nutrirlo e condurlo a Lui, il vero Buon Pastore che desidera la salvezza di tutti. Nutrire il gregge del Signore è pertanto ministero d'amore vigile, che esige totale dedizione fino all’esaurimento delle forze e, se necessario, al sacrificio della vita. E’ soprattutto l’Eucaristia la sorgente e il segreto dell’impulso permanente della nostra missione. In realtà, il Vescovo configura nella sua esistenza ecclesiale l'immagine di Cristo che ci nutre con la sua carne e il suo sangue. Dall’Eucaristia il Pastore trae vigore per esercitare quella particolare carità pastorale che consiste nel dispensare al popolo cristiano il cibo della verità. E questo testo che è in preparazione sarà uno di questi interventi per nutrire il popolo di Dio con il cibo della verità, per aiutarlo a crescere nella verità e soprattutto per far conoscere il mistero dell'Eucaristia, e per invitare ad una intensa vita eucaristica.

In particolare, se parliamo di verità, non può essere taciuta la verità dell’Amore, perché è l'essenza stessa di Dio. Predicarla sui tetti (cfr
Mt 10,27) è non solo amoris officium, ma messaggio necessario per l'uomo di ogni tempo. La verità dell’amore evangelico interessa ogni uomo e tutto l'uomo, ed impegna il pastore a proclamarla senza timori e reticenze, mai cedendo ai condizionamenti del mondo: opportune, importune (cfr 2Tm 4,2).

Cari Fratelli nell’Episcopato, in un tempo come il nostro, segnato dal crescente fenomeno della globalizzazione, si rende sempre più necessario far giungere con vigore e chiarezza a tutti la verità di Cristo e il suo Vangelo di salvezza. I campi nei quali proclamare e testimoniare con amore la verità sono innumerevoli; tanta gente ne è assetata e non può essere lasciata languire in cerca di cibo (cfr Lm 4,4). Questa è la nostra missione, venerati e cari Fratelli! Lo Spirito del Signore, che ci disponiamo ad accogliere nella prossima solennità della Pentecoste, scenda, per intercessione di Maria, su voi e vi renda Pastori sempre più disponibili alle esigenze del cuore di Dio. Con questi sentimenti benedico tutti voi e quanti sono affidati alle vostre cure pastorali.





AI SUPERIORI E AGLI ALUNNI DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA ECCLESIASTICA Venerdì, 2 giugno 2006

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Signor Presidente e cari Alunni
della Pontificia Accademia Ecclesiastica!

Sono lieto di incontrarvi quest’oggi e di rivolgere a ciascuno di voi e all’intera vostra comunità il mio cordiale saluto; saluto che, in primo luogo, va al vostro Presidente, Monsignor Justo Mullor García. Lo ringrazio per essersi fatto poc’anzi gentile interprete dei vostri devoti e filiali sentimenti. La vostra visita mi offre l’opportunità di esprimervi l’attenzione con cui seguo la vostra Accademia: in essa vi preparate con impegno e dedizione a quel particolare modo di esercitare il ministero sacerdotale che è il servizio alla Santa Sede. E’ un servizio importante, perché mira a far giungere alle Chiese particolari e alle Nazioni di tutto il mondo la testimonianza della sollecitudine del Successore di Pietro.

Cari Alunni, per un’adeguata preparazione alla missione che vi attende, voi siete chiamati anzitutto ad essere una comunità di preghiera, nella quale il rapporto con Dio sia costante, fedele, intenso e divenga per ognuno la linfa animatrice dell’intera esistenza. L’Eucaristia che celebrate quotidianamente sia il centro vitale, la sorgente e la radice di ogni vostra attività in questi anni e in futuro, quando svolgerete il ministero sacerdotale al servizio della Santa Sede nei vari Paesi. La vostra azione, infatti, sarà efficace nella misura in cui vi sforzerete di essere testimoni di Cristo, Verità che illumina e orienta il cammino dei popoli. Fatevi dunque portatori del suo Vangelo di amore, capace di rinnovare i cuori e di rendere pienamente umana la convivenza all’interno di ogni società. Soltanto se sarete fedeli alla vostra vocazione potrete rendere un valido servizio alla Sede Apostolica.

Oltre che scuola di preghiera, la vostra Accademia vuole continuare ad essere una palestra di autentica formazione umana e teologica. Il ministero pastorale a cui vi state preparando esige un’accurata formazione con specifiche competenze. Oggi più che mai è indispensabile una solida cultura, che preveda, accanto alla necessaria formazione teologica, un approfondimento della dottrina perenne della Chiesa e delle linee direttrici dell’attività della Santa Sede a livello ecclesiale ed internazionale. Fate tesoro delle possibilità didattiche che vi vengono offerte in questo tempo di studi, e proseguite in avvenire ad aggiornarvi costantemente mediante un personale e serio impegno di studio.

La vostra Accademia conta ormai tre secoli di storia e, nel solco del suo passato, deve continuare ad essere un luogo di comunione. La possibilità di risiedere a Roma, dove si avverte in modo unico la cattolicità della Chiesa, e il fatto che voi proveniate da vari continenti costituiscono una preziosa opportunità per alimentare lo spirito di unità e di comunione. In futuro avrete modo di entrare a contatto con popolazioni diverse per lingua e civiltà; eserciterete il ministero sacerdotale in Chiese particolari spesso culturalmente differenti da quella da cui provenite. Dovrete allora essere in grado di comprendere, amare, sostenere ed incoraggiare ogni comunità cristiana per essere dappertutto i fedeli servitori del carisma di Pietro, che è carisma di unità e di coesione per l’intera compagine ecclesiale. Ecco perché siete giustamente stimolati a trascorrere con spirito di vera fraternità sacerdotale il vostro soggiorno in Accademia, in modo da maturare il senso pastorale della comunione e dell’unità. Aprite, pertanto, sempre più gli orizzonti della vostra mente e del vostro cuore all’universalità della Chiesa, sì da superare ogni tentazione di particolarismi ed individualismi.

Nel vostro itinerario formativo non manchi, infine, una filiale e genuina devozione alla Vergine Maria. Sia Lei ad aiutarvi a crescere nell’amore per Cristo e per la Chiesa e a tendere sempre alla santità, suprema ed irrinunciabile aspirazione della nostra esistenza cristiana e sacerdotale. Con questi sentimenti e auspici, invoco su di voi l’abbondanza dei doni dello Spirito Santo, mentre con affetto imparto a ciascuno di voi e alle persone a voi care, una speciale Benedizione Apostolica.





AI DIRIGENTI, AI GIORNALISTI E AI TECNICI DEI MEZZI DI COMUNICAZIONE DELLA CEI Aula della Benedizione Venerdì, 2 giugno 2006

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Signor Cardinale,
venerati Fratelli nell’Episcopato,
cari fratelli e sorelle nel Signore!

Sono lieto di incontrare oggi in Vaticano il personale del quotidiano cattolico Avvenire, del canale televisivo Sat2000, del circuito radiofonico InBlu e dell’agenzia Sir. E’ un’assai significativa realtà mediatica, collegata alla Conferenza Episcopale Italiana, che è qui rappresentata dal suo Presidente, il Cardinale Camillo Ruini, al quale va in primo luogo il mio deferente saluto. Saluto poi con affetto ciascuno di voi, e ringrazio il Direttore di Avvenire e di Sat2000 per le gentili parole che mi ha rivolto a nome dei presenti. Cari amici, voi svolgete una funzione davvero importante: anche mediante il vostro contributo, infatti, trova continuità l’impegno dei cattolici italiani per portare il Vangelo di Cristo nella vita della Nazione. Mi è grato ricordare che, negli anni dell’immediato dopo-Concilio, Paolo VI ha fortemente voluto la nascita di Avvenire, come quotidiano cattolico nazionale. E’ stata poi una decisione coraggiosa quella di ampliare il vostro impegno al campo dell’emittenza radiotelevisiva, utilizzando le tecnologie più moderne, come auspica il Decreto conciliare Inter Mirifica (nn. 13-14). Siete diventati così uno degli strumenti per la diffusione del messaggio cristiano in Italia.

Per cogliere il significato complessivo del lavoro a cui vi dedicate ogni giorno, può essere utile una breve riflessione sui rapporti tra fede e cultura, come si sono sviluppati negli ultimi decenni. La cultura europea, come ben sapete, si è formata attraverso i secoli con il contributo del cristianesimo. A partire poi dall’illuminismo la cultura dell’occidente si è andata allontanando dai suoi fondamenti cristiani con velocità crescente. Specialmente nel periodo più recente la dissoluzione della famiglia e del matrimonio, gli attentati alla vita umana ed alla sua dignità, la riduzione della fede ad esperienza soggettiva e la conseguente secolarizzazione della coscienza pubblica, ci mostrano con drammatica chiarezza le conseguenze di questo allontanamento. Esistono tuttavia in varie parti d’Europa esperienze e modalità di cultura cristiana che si affermano o che nuovamente emergono con slancio crescente. In particolare, la fede cattolica è ancora sostanzialmente presente nella vita del popolo italiano e i segni di una sua rinnovata vitalità sono visibili a tutti. Nel vostro lavoro di comunicatori che si ispirano al Vangelo è pertanto necessario un costante discernimento. Come ben sapete, i Pastori della Chiesa in Italia sono solleciti nel conservare quelle forme cristiane che provengono dalla grande tradizione del popolo italiano e che plasmano la vita comunitaria, aggiornandole, purificandole laddove è necessario, ma soprattutto rafforzandole e incoraggiandole. E’ anche vostro compito sostenere e promuovere le nuove esperienze cristiane che stanno nascendo e aiutarle a maturare una sempre più chiara consapevolezza del proprio radicamento ecclesiale e del ruolo che possono svolgere nella società e nella cultura dell’Italia.

Tutto ciò, cari amici, fa parte della vostra fatica quotidiana, di un lavoro da compiere non in maniera astratta o puramente intellettuale, ma essendo attenti ai mille risvolti della vita concreta di un popolo, ai suoi problemi, ai suoi bisogni e alle sue speranze. Vi sostenga e vi doni coraggio in questa fatica la certezza che la fede cristiana è aperta a tutto ciò che di “vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato” vi è nella cultura dei popoli, come insegnava l’apostolo Paolo ai Filippesi (cfr 4,8). Andate avanti dunque nella vostra opera con questo spirito e con questo atteggiamento, dando voi stessi una testimonianza luminosa di profonda vita cristiana e restando per questo sempre tenacemente uniti a Cristo per poter guardare il mondo con gli stessi suoi occhi. Siate felici di appartenere alla Chiesa e di immettere nel grande circuito della comunicazione la sua voce e le sue ragioni. Non stancatevi di costruire dei ponti di comprensione e comunicazione tra l’esperienza ecclesiale e l’opinione pubblica. Potrete così essere protagonisti di una comunicazione non evasiva ma amica al servizio dell’uomo di oggi.

A una tale comunicazione auspico di cuore che vadano l’attenzione e il sostegno dei cattolici e di tutti gli italiani solleciti dei valori autentici. Da parte mia, vi assicuro una costante vicinanza e, affinché il vostro lavoro porti sempre maggiori frutti, imparto con affetto a voi e alle vostre famiglie la Benedizione Apostolica, propiziatrice della luce e della forza che solo Dio può infondere nell’animo dei suoi figli.




Discorsi 2005-13 27456