Discorsi 2005-13 17367


A SUA SANTITÀ MAR DINKHA IV, CATHOLICOS PATRIARCA DELLA CHIESA ASSIRA DELL’ORIENTE Giovedì, 21 giugno 2007

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Santità,

sono lieto di accoglierla in Vaticano, insieme ai Vescovi e ai sacerdoti che la accompagnano in questa visita. Estendo i miei affettuosi saluti a tutti i membri del Sacro Sinodo, al clero e ai fedeli della Chiesa Assira dell'Oriente. Con le parole di san Paolo prego affinché "Il Signore della pace, vi dia egli stesso la pace sempre e in ogni modo" (
2Th 3,16).

In diverse occasioni, lei, Santità, ha incontrato il mio amato predecessore Papa Giovanni Paolo II. Molto significativa è stata la sua visita nel novembre del 1994, quando è venuto a Roma, accompagnato dai membri del Sacro Sinodo, per firmare la Dichiarazione cristologica Comune. Tale Dichiarazione ha compreso la decisione di creare una Commissione Congiunta per il Dialogo Teologico fra la Chiesa cattolica e la Chiesa Assira dell'Oriente. La Commissione Congiunta ha intrapreso uno studio importante sulla vita sacramentale nelle nostre rispettive tradizioni e ha dato vita a un accordo sull'Anafora degli Apostoli Addai e Mari. Sono molto grato per i risultati di questo Dialogo che promette progressi ulteriori su altre questioni dibattute. Infatti, questi ottenimenti meritano di essere resi meglio noti e apprezzati poiché rendono possibili varie forme di cooperazione fra le nostre due comunità.

La Chiesa Assira dell'Oriente è radicata in terre antiche i cui nomi sono associati alla storia del piano salvifico di Dio per tutta l'umanità. Al tempo della Chiesa primitiva, i cristiani di queste terre resero un contributo importante alla diffusione del Vangelo, in particolare mediante la loro attività missionaria nelle aree più remote dell'Oriente. Oggi, tragicamente, i cristiani in questa regione soffrono sia materialmente sia spiritualmente. In particolare in Iraq, patria di così tanti fedeli assiri, famiglie e comunità cristiane percepiscono la pressione crescente esercitata dall'insicurezza e dall'aggressione e provano un senso di abbandono. Molti di loro non vedono altra possibilità che lasciare il Paese e cercare un nuovo futuro all'estero. Queste difficoltà sono fonte di grande preoccupazione per me e desidero esprimere la mia solidarietà ai Pastori e ai fedeli delle comunità cristiane che rimangono lì, spesso al prezzo di sacrifici eroici. In queste zone così provate, i fedeli, sia cattolici sia assiri, sono chiamati a cooperare. Spero e prego affinché trovino modi più efficaci per sostenersi e assistersi reciprocamente per il bene di tutti.

Quale conseguenza di successive ondate di emigrazione, molti cristiani delle Chiese Orientali vivono ora in Occidente. Questa nuova situazione pone una serie di sfide alla loro identità cristiana e alla loro vita come comunità. Al contempo, quando cristiani dell'Est e dell'Ovest vivono fianco a fianco, hanno una opportunità preziosa di arricchimento reciproco e la possibilità di comprendere più pienamente la cattolicità della Chiesa, che, pellegrina in questo mondo, vive, prega e rende testimonianza a Cristo in vari contesti umani, sociali e culturali. Con rispetto assoluto per la tradizione disciplinare e dottrinale degli altri, i cristiani cattolici e assiri sono chiamati a rifiutare atteggiamenti di antagonismo e dichiarazioni polemiche, al fine di accrescere la comprensione della fede cristiana che condividono e testimoniare come fratelli e sorelle Cristo "potenza di Dio e sapienza di Dio" (1Co 1,24).

Nuove speranze e possibilità suscitano, a volte, nuovi timori, e ciò vale anche per i rapporti ecumenici. Certi sviluppi recenti nella Chiesa Assira dell'Oriente hanno creato alcuni ostacoli alla promettente opera della Commissione Congiunta. Si deve sperare che l'opera feconda che la Commissione ha realizzato nel corso degli anni prosegua, senza mai perdere di vista il fine ultimo del nostro cammino comune, teso al raggiungimento della piena comunione.

Lavorare per l'unità dei cristiani, infatti, è un dovere che deriva dalla nostra fedeltà a Cristo, il Pastore della Chiesa, che ha dato la sua vita "per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi" (Jn 11,51-52). Tuttavia, per quanto il cammino verso l'unità possa sembrare lungo e laborioso, il Signore ci chiede di unire le nostre mani e i nostri cuori affinché insieme possiamo rendergli una testimonianza più chiara e servire meglio i nostri fratelli e le nostre sorelle, in particolare nelle tormentate regioni dell'Oriente dove molti dei nostri fedeli guardano a noi, loro Pastori, con speranza e attesa.

Con questi sentimenti, La ringrazio, ancora una volta, Santità, per la sua presenza qui, oggi, per il suo impegno a proseguire lungo il cammino del dialogo e dell'unità. Che il Signore benedica in abbondanza il vostro ministero e sostenga voi e i fedeli che servite con i suoi doni di saggezza, gioia e pace.



AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA DELLA RIUNIONE DELLE OPERE PER L' AIUTO ALLE CHIESE ORIENTALI (R.O.A.C.O.) Sala Clementina Giovedì, 21 giugno 2007

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Beatitudini,
Cari fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari amici della ROACO!

L’odierno incontro ravviva in me la gioia della recente visita alla Congregazione per le Chiese Orientali nel 90° anniversario della sua istituzione. In quella circostanza, il Cardinale Prefetto mi aveva espresso un particolare saluto a nome delle Agenzie legate al Dicastero ed ora si è fatto di nuovo interprete del vostro cordiale omaggio. Ricambio il gradito ricordo a Sua Beatitudine il Cardinale Ignace Moussa Daoud, all’Arcivescovo Segretario Antonio Maria Vegliò, ai Collaboratori della Congregazione, ai responsabili delle Opere che compongono la ROACO (Riunione Opere in Aiuto alle Chiese Orientali) e a tutti i partecipanti a questo annuale ritrovo.

La presenza di venerati Presuli Orientali mi consente di condividere la pena e la preoccupazione per la delicata situazione in cui versano vaste aree del Medio Oriente. La pace, tanto implorata e attesa, è purtroppo ancora largamente offesa. E’ offesa nel cuore dei singoli, e ciò compromette le relazioni interpersonali e comunitarie. La debolezza della pace si acuisce ulteriormente a motivo di ingiustizie antiche e nuove. Così essa si spegne, lasciando spazio alla violenza, che spesso degenera in guerra più o meno dichiarata fino a costituire, come ai nostri giorni, un assillante problema internazionale. Insieme a ciascuno di voi, sentendomi in comunione con tutte le Chiese e comunità cristiane, ma anche con coloro che venerano il nome di Dio e lo cercano in sincerità di coscienza, e a tutti gli uomini di buona volontà desidero bussare nuovamente al cuore di Dio, Creatore e Padre, per chiedere con immensa fiducia il dono della pace. Busso al cuore di coloro che hanno specifiche responsabilità perché aderiscano al grave dovere di garantire la pace a tutti, indistintamente, liberandola dalla malattia mortale della discriminazione religiosa, culturale, storica o geografica.

Con la pace, la terra tutta ritrovi la sua vocazione e missione di “casa comune” per ogni popolo e nazione, grazie all’impegno condiviso di un dialogo sempre sincero e responsabile. Assicuro ancora una volta che la Terra Santa, l’Iraq e il Libano sono presenti, con l’urgenza e la costanza che meritano, nella preghiera e nell’azione della Sede Apostolica e di tutta la Chiesa. Chiedo alla Congregazione per le Chiese Orientali e a ciascuna delle Opere ad essa collegate di confermare la stessa premura al fine di rendere più incisivi la vicinanza e l’intervento a favore di tanti nostri fratelli e sorelle. Essi sentano fin d’ora il conforto della fraternità ecclesiale e, come auspichiamo con orante fervore, possano presto intravedere lo spuntare dei giorni della pace.

Con questi sentimenti, rinnovo a Sua Beatitudine il Patriarca Caldeo, che oggi è con noi, il cordoglio del Papa per la barbara uccisione di un inerme sacerdote e di tre suddiaconi avvenuta al termine della Liturgia domenicale il 3 giugno scorso in Iraq. La Chiesa intera accompagna con affetto e ammirazione tutti i suoi figli e le sue figlie e li sostiene in quest’ora di autentico martirio per il nome di Cristo. Il mio abbraccio è rivolto con eguale intensità al Rappresentante Pontificio e ai Pastori provenienti da Israele e dalla Palestina, perché lo partecipino ai propri fedeli a rafforzamento della loro provata speranza. Estendo il mio pensiero cordiale al Nunzio Apostolico e ai cari Presuli venuti dalla Turchia, lieto come sono di constatare la considerazione riservata a quella amata comunità ecclesiale nel ricordo del mio viaggio apostolico.

Cari amici, nella citata visita al dicastero orientale, pensando all’attività della ROACO così mi esprimevo: “Dovrà continuare e anzi crescere quel movimento di carità che, per mandato del Papa, la Congregazione segue affinché in modo ordinato ed equo la Terra Santa e le altre regioni orientali ricevano il necessario sostegno spirituale e materiale per far fronte alla vita ecclesiastica ordinaria e a particolari necessità” (L’Osservatore Romano, 10 giugno 2007, p. 6). Vi ringrazio per avere consolidato una lodevole consuetudine di collaborazione con la Congregazione. Vi incoraggio a continuare, perché l’apporto insostituibile che voi recate alla testimonianza della carità ecclesiale trovi pieno sviluppo nella forma comunitaria del suo esercizio. La vostra presenza conferma la volontà di evitare una gestione individualistica della progettazione degli interventi e dell’erogazione delle encomiabili disponibilità generate dalla carità dei fedeli. Ben sapete, infatti, quanto sia nociva l’illusione di potere operare più proficuamente da soli: la fatica del confronto e della collaborazione è sempre garanzia di un servizio più ordinato ed equo. Ed è chiara attestazione che non sono i singoli, ma è piuttosto la Chiesa a dare ciò che il Signore ha destinato a tutti nella sua provvidente bontà.

Circa l’irreversibilità della scelta ecumenica e l’inderogabilità di quella interreligiosa, da me più volte ribadite, mi preme di sottolineare in questa occasione quanto esse traggano alimento dal movimento della carità ecclesiale. Tali scelte altro non sono che espressioni della stessa carità, la sola capace di stimolare i passi del dialogo e di aprire orizzonti insperati. Mentre imploriamo il Signore perché affretti il giorno della piena unità tra i cristiani e quello, pure molto atteso, di una serena convivenza interreligiosa animata da rispettosa reciprocità, Gli chiediamo di benedire i nostri sforzi e di illuminarci perché quanto operiamo mai sia a detrimento bensì ad incremento della comunità ecclesiale. Sia Lui a renderci sempre attenti perché, rifuggendo da ogni sorta di indifferentismo, mai eludiamo nell’esercizio della carità la missione della comunità cattolica locale. Sempre col suo coinvolgimento e nel più cordiale apprezzamento per le diverse espressioni rituali, dovrà trovare concretezza la nostra sensibilità ecumenica ed interreligiosa.

Memori poi della parola di San Paolo: “Né chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere” (
1Co 3,7), scorgeremo sempre nella preghiera la vera sorgente dell’impegno di carità e in essa verificheremo la sua autenticità. Chiaro è l’ammonimento dello stesso Apostolo: “Ciascuno stia attento come costruisce. Infatti, nessuno può porre diverso fondamento da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo” (1Co 10-11). La radicazione eucaristica è indispensabile alla nostra azione. Sulla “misura eucaristica” dovranno svilupparsi le prospettive del movimento della carità ecclesiale: solo ciò che non contraddice anzi si ritrova e trae alimento dal mistero dell’amore eucaristico e dalla visione sul cosmo, sull’uomo e sulla storia che da esso scaturisce dà garanzia di autenticità al nostro donare e sicuro fondamento al nostro edificare. E’ quanto ho affermato nell’Esortazione post-sinodale Sacramentum caritatis: “Il cibo della verità ci spinge a denunciare le situazioni indegne dell’uomo, in cui si muore per mancanza di cibo a causa dell’ingiustizia e dello sfruttamento, e ci dona nuova forza e coraggio per lavorare senza sosta all’edificazione della civiltà dell’amore” (n. 90). Ma proprio l’ispirazione eucaristica del nostro agire interpellerà in profondità l’uomo, il quale non può vivere di solo pane (cfr Lc 4,4), per annunciargli il cibo della vita eterna, preparato da Dio nel Figlio Gesù.

Vi affido queste prospettive con grande fiducia e rinnovo il più sentito ringraziamento a Sua Beatitudine il Cardinale Ignace Moussa Daoud, che si è molto prodigato in questi anni anche come Presidente della ROACO. Porgo a lui un beneaugurate saluto e lo estendo cordialmente all’Arcivescovo Leonardo Sandri, che ho chiamato a succedergli alla guida della Congregazione. Invocando sui vostri lavori l’intercessione della Santissima Madre di Dio, a tutti imparto di cuore la Benedizione Apostolica.



AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL TOGO IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Venerdì, 22 giugno 2007

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Cari Fratelli nell'Episcopato,

Sono lieto di ricevervi mentre realizzate la vostra visita ad limina. Il vostro pellegrinaggio sulle tombe degli Apostoli è un segno visibile della vostra comunione con il Successore di Pietro e dei vincoli che uniscono le vostre Chiese particolari alla Chiesa universale. Ringrazio il Presidente della Conferenza Episcopale del Togo, Monsignor Ambroise Djoliba, Vescovo di Sokodé, per le cordiali parole che mi ha rivolto a nome vostro. Attraverso di voi rivolgo un saluto affettuoso ai vostri diocesani, sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi, catechisti e a tutti i laici. Possano, in ogni circostanza, essere fedeli al comandamento del Signore: "Come io vi ho amati, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (
Jn 13,34). Trasmettete parimenti a tutto il popolo del Togo i saluti cordiali del Papa e i suoi ferventi voti, affinché possa proseguire senza posa nei suoi sforzi per edificare una società riconciliata e giusta, dove ognuno possa vivere nella dignità.

Cari Fratelli, desidero esprimervi la mia gratitudine per la vostra perseveranza e il vostro coraggio nelle numerose difficoltà che il vostro Paese ha conosciuto nel corso degli ultimi anni. In molte occasioni, avete contribuito al dialogo per la riconciliazione nazionale, ricordando a tutti le esigenze del bene comune, nella fedeltà alla verità di Dio e dell'uomo. Chiedo al Signore di far fruttificare questi sforzi affinché il vostro Paese conosca una vita prospera nella concordia e nella fraternità.

La vita ecclesiale stessa non è priva di situazioni preoccupanti. I vostri costanti sforzi per favorire l'unità della vostra Conferenza Episcopale sono il segno che in ogni circostanza la carità deve restare sempre più forte e che la comunione visibile dei discepoli di Cristo è una realtà fondamentale da preservare perché la testimonianza della Chiesa sia credibile. In questa stessa prospettiva, un'autentica fraternità fra i Vescovi e i sacerdoti, come anche fra i sacerdoti stessi, è il segno della loro piena comunione, indispensabile per il fecondo svolgimento del loro ministero. Tutti saranno allora in grado di adoperarsi veramente per la riconciliazione all'interno della Chiesa e fra tutti gli abitanti del Togo. Che tutti i sacerdoti delle vostre Diocesi, di cui conosco la generosità, siano fedeli alla loro vocazione, in un dono totale alla loro missione e in piena comunione con il loro Vescovo (cfr Ecclesia in Africa )!

Cari Fratelli nell'Episcopato, voi avete l'opportunità di assumere il vostro ministero pastorale partecipando, in ciò che vi compete, alla vita del popolo che vi è stato affidato. In effetti, "come corpo organizzato all'interno della comunità e della nazione, la Chiesa ha il diritto e il dovere di partecipare pienamente all'edificazione di una società giusta e pacifica con tutti i mezzi a sua disposizione" (Ecclesia in Africa ). Rendo omaggio in modo particolare al vostro impegno per la tutela e il rispetto della vita, che avete avuto l'opportunità di esprimere in diverse occasioni e anche di recente manifestando in maniera particolareggiata la vostra opposizione all'aborto.

D'altronde, la promozione della verità e della dignità del matrimonio, e anche la tutela dei valori familiari fondamentali devono essere fra le vostre priorità principali. La pastorale familiare è un elemento essenziale per l'evangelizzazione, facendo scoprire ai giovani cosa rappresenta un impegno unico e fedele. Vi esorto dunque a rivolgere un'attenzione particolare alla formazione delle coppie e delle famiglie. Attraverso le sue opere sociali e il suo operato nell'ambito della salute, dove sono impegnati numerosi religiosi, religiose e laici competenti, la Chiesa manifesta la presenza amorevole di Dio a quanti soffrono o vivono nello sconforto e contribuisce così al progresso della giustizia e al rispetto della dignità delle persone. In questa prospettiva, vi incoraggio a proseguire i vostri sforzi per promuovere scuole cattoliche, che sono ambiti di educazione integrale al servizio delle famiglie e della trasmissione della fede. Nonostante le grandi difficoltà che possono incontrare, il loro ruolo è fondamentale per permettere ai giovani di acquisire una salda formazione umana, culturale e religiosa. Che gli educatori e gli insegnanti siano essi stessi modelli di vita cristiana per i giovani!

Per riuscire a instaurare una società pienamente riconciliata, è fondamentale ripartire da Cristo, che è l'unico in grado di concedere definitivamente questa grazia agli uomini. L'opera di evangelizzazione stessa è una necessità urgente. Desidero, in modo particolare, salutare qui con affetto i catechisti che, nel vostro Paese, con i sacerdoti e gli altri agenti di pastorale, contribuiscono efficacemente e generosamente all'annuncio della Parola di Dio ai loro fratelli. Dinanzi alle sfide che il mondo attuale pone alla missione evangelizzatrice della Chiesa, l'Esortazione Apostolica Ecclesia in Africa resta per le vostre Diocesi una guida preziosa, dando la possibilità di confermare i fedeli nella fede e di aiutarli a "perseverare nella speranza che dona il Cristo risorto, vincendo ogni tentazione di scoraggiamento" (n. 7). L'inculturazione del messaggio evangelico, compiuta nella fedeltà all'insegnamento della Chiesa, contribuisce al radicamento effettivo della fede nel vostro popolo, permettendogli di accogliere la persona di Gesù Cristo in tutte le dimensioni della sua esistenza. È di fatto necessario che i fedeli si lascino trasformare dalla grazia di Dio che li rende liberi, bandendo dal loro cuore ogni timore, poiché "nell'amore non c'è timore" (1Jn 4,18). Pur rispettando le ricche tradizioni che sono l'espressione viva dell'anima del loro popolo, i cristiani devono rifiutare risolutamente ciò che va contro il messaggio liberatore di Cristo e che chiude l'uomo e la società nell'alienazione.

Per questo la formazione dei sacerdoti, delle persone consacrate e dei laici deve occupare un posto centrale nella pastorale delle vostre Diocesi. "Nessuno, infatti, può realmente conoscere le verità di fede che non ha mai avuto modo di apprendere, né è in grado di porre atti ai quali non è mai stato iniziato" (Ecclesia in Africa ). La formazione proposta ai cristiani deve conferire loro i mezzi per un approfondimento della fede, affinché siano in grado di affrontare le situazioni difficili che si presentano loro e di trasmettere il contenuto della fede attraverso la loro testimonianza di vita, sostenuti da convinzioni personali salde. Inoltre, questa formazione deve anche aiutare i fedeli laici ad acquisire competenze che permettano loro di impegnarsi nella vita sociale per lavorare al bene comune. Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa è ora uno strumento prezioso messo al servizio della formazione di tutti, e in modo particolare dei laici. Il loro impegno nella vita pubblica, attraverso il rispetto della vita, la promozione della giustizia, la difesa dei diritti umani e lo sviluppo integrale dell'uomo, è una testimonianza resa a Cristo. Così i fedeli partecipano all'edificazione e allo sviluppo della nazione, e anche al compito di evangelizzare il mondo.

Infine desidero sottolineare il bisogno di proseguire e di approfondire le relazioni cordiali che esistono con i musulmani nel vostro Paese. In effetti, esse sono indispensabili per la concordia e l'armonia fra tutti i cittadini, e anche per la promozione dei valori comuni all'umanità. Mediante la formazione di persone competenti nelle istituzioni ecclesiali fondate in vista del dialogo interreligioso, favorirete una migliore conoscenza reciproca, nella carità e nella verità, per una collaborazione efficace nell'ambito dello sviluppo delle persone e della società.

Cari Fratelli nell'Episcopato, al termine di questo incontro, vi invito a proseguire con coraggio e determinazione il vostro ministero al servizio del popolo che vi è stato affidato. Che il Signore vi accompagni con la sua forza e la sua luce! Affido ognuna delle vostre Diocesi all'intercessione materna della Vergine Maria e vi imparto di tutto cuore un'affettuosa Benedizione Apostolica, che estendo ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose, ai seminaristi, ai catechisti e a tutti i fedeli laici delle vostre Diocesi.



AI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO DEI RETTORI E DOCENTI DELLE UNIVERSITÀ EUROPEE Aula Paolo VI Sabato, 23 giugno 2007

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Eminenza,
Signore e Signori,
Cari amici,

Sono particolarmente lieto di ricevervi nel corso del primo Incontro dei Docenti e Rettori delle Università Europee, promosso dal Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee e organizzato dagli insegnanti delle università romane, coordinati dall'Ufficio per la Pastorale Universitaria del Vicariato di Roma.

Si svolge nel 50º anniversario del Trattato di Roma, che ha dato vita all'attuale Unione Europea, e fra i partecipanti vi sono docenti di tutti i Paesi del continente, inclusi quelli del Caucaso: Armenia, Georgia e Azerbaigian. Ringrazio il Cardinale Péter Erdo, Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, per le sue cordiali parole di introduzione. Saluto i rappresentanti del governo italiano, in particolare quelli del Ministero dell'Università e della Ricerca e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, così come i rappresentanti della Regione Lazio e della Provincia di Roma. I miei saluti vanno anche ad altre autorità civili e religiose, ai Rettori e ai docenti delle varie università così come ai Cappellani e agli studenti presenti.

Il tema del vostro incontro "Un nuovo umanesimo per l'Europa. Il ruolo delle Università" esorta a un'attenta valutazione della cultura contemporanea nel continente. Sebbene l'Europa stia vivendo attualmente una certa instabilità sociale e una certa diffidenza nei confronti dei valori tradizionali, la sua storia particolare e le sue solide istituzioni accademiche possono contribuire molto alla formazione di un futuro di speranza. La "questione dell'uomo", che è il centro dei nostri dibattiti, è essenziale per una comprensione corretta delle attuali evoluzioni culturali. Inoltre, offre un fermo punto di partenza allo sforzo delle università di creare una nuova presenza culturale e un'attività al servizio di una Europa più unita. Promuovere un nuovo umanesimo, infatti, implica una chiara comprensione di ciò che questa "novità" incarna veramente. Lungi dall'essere frutto di un superficiale desiderio di "nuovo", l'anelito a un nuovo umanesimo deve tener seriamente conto del fatto che l'Europa affronta oggi un sempre maggiore cambiamento culturale, in cui uomini e donne sono sempre più consapevoli della loro chiamata a impegnarsi attivamente nel plasmare la propria storia. Storicamente, l'umanesimo si è sviluppato in Europa grazie all'interazione feconda fra le varie culture dei suoi popoli e la fede cristiana. Oggi l'Europa deve tutelare la sua antica tradizione e riappropriarsene, se desidera restare fedele alla sua vocazione di culla dell'umanità.

L'attuale cambiamento culturale è spesso considerato una "sfida" alla cultura universitaria e al cristianesimo stesso, piuttosto che un "orizzonte" sullo sfondo del quale possono e devono essere trovate soluzioni creative. Voi, uomini e donne di istruzione superiore, siete chiamati a partecipare allo svolgimento di questo compito difficile, che richiede una riflessione profonda su un certo numero di questioni fondamentali.

Fra queste, desidero menzionare in primo luogo la necessità di uno studio esauriente della crisi della modernità. La crisi attuale, comunque, ha meno a che fare con l'insistenza della modernità sulla centralità dell'uomo e delle sue ansie, che con i problemi sollevati da un "umanesimo" che pretende di edificare un regnum hominis alieno dal suo necessario fondamento ontologico. Una falsa dicotomia fra teismo e autentico umanesimo, spinta all'estrema conseguenza di creare un conflitto irrisolvibile fra diritto divino e libertà umana, ha condotto a una situazione in cui l'umanità, per tutti i suoi progressi economici e tecnici, si sente profondamente minacciata. Come ha affermato il mio predecessore, Papa Giovanni Paolo II, dobbiamo chiederci "se l'uomo, come uomo, nel contesto di questo progresso, diventi veramente migliore, cioè più maturo spiritualmente, più cosciente della dignità della sua umanità, più responsabile, più aperto agli altri" (Redemptor hominis
RH 15). L'antropocentrismo che caratterizza la modernità non può mai essere alieno da un riconoscimento della verità piena sull'uomo, che include la sua vocazione trascendente.

Una seconda questione implica l'ampliamento della nostra idea di razionalità. Una corretta comprensione delle sfide lanciate dalla cultura contemporanea e la formulazione di risposte significative a tali sfide devono avere un approccio critico ai tentativi limitati e, in definitiva, irrazionali di restringere la sfera della ragione. Il concetto di ragione deve essere invece "ampliato" per essere in grado di esplorare e comprendere quegli aspetti della realtà che vanno oltre la dimensione meramente empirica. Ciò permetterà un approccio più fecondo e complementare al rapporto fra fede e ragione. Il sorgere delle università europee fu promosso dalla convinzione che fede e ragione cooperassero alla ricerca della verità, ognuna secondo la sua natura e la sua legittima autonomia, ma sempre operando insieme armoniosamente e creativamente al servizio della realizzazione della persona umana in verità e amore.

Una terza questione che deve essere indagata riguarda la natura del contributo che il cristianesimo può rendere all'umanesimo del futuro. La questione dell'uomo, e quindi della modernità sfida la Chiesa a escogitare modi efficaci di annuncio alla cultura contemporanea del "realismo" della propria fede nell'opera salvifica di Cristo. Il cristianesimo non va relegato al mondo del mito o dell'emozione, ma deve essere rispettato per il suo anelito a fare luce sulla verità sull'uomo, a essere in grado di trasformare spiritualmente gli uomini e le donne, e quindi a permettere loro di realizzare la propria vocazione nel corso della Storia. Durante la mia recente visita in Brasile, ho espresso la mia convinzione che "se non conosciamo Dio in Cristo e con Cristo, tutta la realtà si trasforma in un enigma indecifrabile" (Discorso ai Vescovi del Celam, n. 3). La conoscenza non si può mai limitare alla mera sfera intellettuale. Essa include anche una rinnovata abilità di guardare alle cose liberi da pregiudizi e preconcetti e di lasciarci "entusiasmare" dalla realtà, la cui verità si può scoprire unendo l'amore alla comprensione. Solo il Dio che ha un volto umano, rivelato in Gesù Cristo, può impedirci di limitare la realtà proprio quando essa richiede livelli sempre più nuovi e complessi di comprensione. La Chiesa è consapevole della propria responsabilità di offrire questo contributo alla cultura contemporanea.

In Europa, come ovunque, la società ha urgente bisogno del servizio alla sapienza che la comunità universitaria fornisce. Questo servizio si estende anche agli aspetti pratici dell'orientare la ricerca e l'attività alla promozione della dignità umana e all'arduo compito di edificare la civiltà dell'amore. I professori universitari, in particolare, sono chiamati a incarnare la virtù della carità intellettuale, riscoprendo la loro primordiale vocazione a formare le generazioni future non solo mediante l'insegnamento, ma anche attraverso la testimonianza profetica della propria vita. L'Università, da parte sua, non deve mai perdere di vista la sua chiamata particolare a essere una "universitas" in cui le varie discipline, ognuna a sua modo, siano considerate parte di un unum più grande. Quanto è urgente la necessità di riscoprire l'unità del sapere e di contrastare la tendenza alla frammentazione e all'assenza di comunicabilità come accade troppo spesso nelle nostre scuole! Lo sforzo di riconciliare la spinta alla specializzazione con la necessità di tutelare l'unità del sapere può incoraggiare la crescita dell'unità europea e aiutare il continente a riscoprire la sua specifica "vocazione" culturale nel mondo di oggi. Solo un'Europa consapevole della propria identità culturale può rendere un contributo specifico alle altre culture, pur rimanendo aperta al contributo di altri popoli.

Cari amici, auspico che le università divengano sempre più comunità impegnate nella ricerca instancabile della verità, "laboratori di cultura" in cui i docenti e gli studenti siano uniti nell'esplorare questioni di particolare importanza per la società, utilizzando metodi interdisciplinari e contando sulla collaborazione dei teologi. Ciò può avvenire facilmente in Europa, data la presenza di così tante e prestigiose istituzioni e facoltà di Teologia cattoliche. Sono convinto del fatto che maggiori e nuove forme di collaborazione fra le varie comunità accademiche permetteranno alle università cattoliche di rendere testimonianza della fecondità storica dell'incontro fra fede e ragione. Il risultato sarà un contributo concreto al raggiungimento degli obiettivi del Processo di Bologna e un incentivo allo sviluppo di un adatto apostolato universitario nelle Chiese locali. Un sostegno concreto a tali sforzi, che sono stati sempre più interesse delle Conferenze Episcopali Europee (cfr Ecclesia in Europa, n. 58-59), può giungere da quelle associazioni e da quei movimenti cattolici già impegnati nell'apostolato universitario.

Cari amici, che le vostre deliberazioni di questi giorni siano feconde e contribuiscano a creare una rete attiva di operatori universitari impegnati a portare la luce del Vangelo alla cultura contemporanea. Assicuro voi e le vostre famiglie di ricordarvi in maniera particolare nelle mie preghiere, e invoco su di voi, e sulle università nelle quali lavorate, la protezione materna di Maria, Sede di Sapienza. A ognuno di voi imparto con affetto la mia Benedizione Apostolica.




VISITA ALLA BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA E ALL'ARCHIVIO SEGRETO VATICANO Lunedì, 25 giugno 2007

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Signor Cardinale,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Ho accolto con gioia l'invito rivoltomi dal Signor Cardinale Jean-Louis Tauran, Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa, a visitare la Biblioteca Apostolica Vaticana e l'Archivio Segreto Vaticano. Ambedue queste istituzioni, per l’importante servizio che rendono alla Sede Apostolica e al mondo della cultura, ben meritano da parte del Papa un’attenzione particolare. Sono venuto pertanto volentieri ad incontrarvi e nel ringraziare per la calorosa accoglienza, rivolgo a tutti voi il mio saluto cordiale. Saluto in primo luogo il Signor Cardinale Jean-Louis Tauran, ringraziandolo per le parole che mi ha indirizzato e per i sentimenti che a vostro nome ha espresso. Con uguale affetto saluto il Vescovo Mons. Raffaele Farina, e il Prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano, Padre Sergio Pagano, come pure voi qui presenti e quanti, con funzioni diverse, prestano la loro collaborazione nella Biblioteca e nell’Archivio. Il vostro, cari amici, non è semplicemente un lavoro ma, come dicevo poc’anzi, un singolare servizio che rendete alla Chiesa e, in modo speciale, al Papa.

È noto, del resto, che la Biblioteca Vaticana, la quale – come il Cardinale Tauran ha annunciato - si appresta ad affrontare ingenti lavori di restauro, non a caso porta il nome di "Apostolica" in quanto è un’Istituzione considerata sin dalla sua fondazione come la "Biblioteca del Papa", di Sua diretta appartenenza. Anche in tempi recenti il Servo di Dio Giovanni Paolo II ha voluto richiamare questo vincolo che lega la Biblioteca Apostolica al Successore di Pietro, vincolo che ne pone in luce la missione peculiare, già sottolineata dal Papa Sisto IV: "Ad decorem militantis Ecclesiae et fidei augmentum - A decoro della Chiesa militante e per la diffusione della fede". Gli faceva eco un altro mio Predecessore, il Papa Niccolò V, il quale ne indicava la finalità con le parole: "Pro communi doctorum virorum commodo - per l'utilità e l'interesse comune degli uomini di scienza". Nel corso dei secoli la Biblioteca Vaticana ha assimilato e affinato questa sua missione con una caratterizzazione inconfondibile, sino ad essere oggi un’accogliente casa di scienza, di cultura e di umanità, che apre le porte a studiosi provenienti da ogni parte del mondo, senza distinzione di provenienza, religione e cultura. Vostro compito, cari amici che quotidianamente qui operate, è di custodire la sintesi tra cultura e fede che traspira dai preziosi documenti e dai tesori che custodite, dalle mura che vi circondano, dai Musei che vi sono vicini e dalla splendida Basilica che appare luminosa alle vostre finestre.

Conosco bene anche il lavoro che si svolge, con umile e quasi nascosto impegno quotidiano, nell’Archivio Segreto, méta di tanti ricercatori provenienti dal mondo intero: nei manoscritti, meno solenni dei ricchi codici della Biblioteca Apostolica, ma non meno rilevanti per interesse storico, essi ricercano le radici di tante Istituzioni ecclesiastiche e civili, studiano la storia dei tempi lontani e più recenti, possono delineare i contorni di figure illustri della Chiesa e delle civiltà, e far meglio conoscere l'opera multiforme dei Pontefici Romani e di tanti Pastori. All'Archivio Vaticano, aperto alla consultazione dei dotti dalla sapiente lungimiranza di Leone XIII nel 1881, hanno fatto riferimento intere generazioni di storici, anzi le stesse Nazioni europee, che, per favorire le indagini in così antico e ricco scrinium della Chiesa di Roma, hanno fondato nella Città eterna specifici Istituti culturali. All'Archivio Segreto ci si rivolge oggi non soltanto per ricerche erudite, pure in se stesse meritevoli e degnissime, riguardanti periodi lontani da noi, ma anche per interessi concernenti epoche e tempi a noi vicini, ed anche molto vicini. Ne sono prova i primi frutti che la recente apertura agli studiosi del pontificato di Pio XI, da me decisa nel giugno del 2006, ha fino ad oggi prodotto. Ricerche, studi e pubblicazioni possono a volte far nascere, accanto ad un interesse precipuamente storico, anche talune polemiche. A questo riguardo non posso che lodare l'atteggiamento di servizio disinteressato ed equanime che l’Archivio Segreto Vaticano ha reso, tenendosi lontano da sterili e spesso anche deboli visioni storiche di parte ed offrendo ai ricercatori, senza preclusioni o preconcetti, il materiale documentario in suo possesso, ordinato con serietà e competenza.

Da più parti giungono all'Archivio Segreto, come alla Biblioteca Apostolica, segni di apprezzamento e di stima da parte di Istituti culturali e di privati studiosi di diverse Nazioni. Questo a me pare sia il migliore riconoscimento a cui le due Istituzioni possono aspirare. E vorrei assicurare ad entrambe, ai loro Superiori e a tutto il Personale, nei diversi gradi degli organici, la mia gratitudine e la mia vicinanza. Confesso che, al compimento del mio settantesimo anno di età, avrei tanto desiderato che l’amato Giovanni Paolo II mi concedesse di potermi dedicare allo studio e alla ricerca di interessanti documenti e reperti da voi custoditi con cura, veri capolavori che ci aiutano a ripercorrere la storia dell’umanità e del Cristianesimo. Nei suoi disegni provvidenziali il Signore ha stabilito altri programmi per la mia persona ed eccomi oggi tra voi non come appassionato studioso di antichi testi, ma come Pastore chiamato a incoraggiare tutti i fedeli a cooperare alla salvezza del mondo, compiendo ciascuno la volontà di Dio là dove Egli ci pone a lavorare.

Per voi, cari amici, si tratta di realizzare la vostra vocazione cristiana a contatto con ricche testimonianze di cultura, di scienza e di spiritualità, spendendo le vostre giornate e, alla fine, buona parte della vostra vita nello studio, nelle pubblicazioni, nel servizio al pubblico e, in particolare, agli organismi della Curia Romana. Per questa vostra molteplice attività vi avvalete delle tecniche più avanzate nell'informatica, nella catalogazione, nel restauro, nella fotografia e, in genere, in tutto quanto concerne la tutela e la fruizione del ricchissimo patrimonio che custodite. Nel lodarvi per il vostro impegno, vi esorto a voler sempre considerare questo vostro lavoro come una vera missione da svolgere con passione e pazienza, gentilezza e spirito di fede. Preoccupatevi di offrire sempre un’immagine accogliente della Sede Apostolica, consapevoli che il messaggio evangelico passa anche attraverso la vostra coerente testimonianza cristiana.

Sono lieto ora, a conclusione di questo nostro incontro, di annunciare la nomina del Signor Card. Jean-Louis Tauran a Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Al suo posto, quale Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa, ho nominato Mons. Raffaele Farina, promuovendolo al tempo stesso alla dignità di Arcivescovo. A svolgere il compito di Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana ho chiamato Mons. Cesare Pasini, finora Vice-Prefetto della Veneranda Biblioteca Ambrosiana. A ciascuno di loro porgo fin d’ora l’augurio di un proficuo svolgimento delle nuove mansioni.

Ringrazio ancora una volta tutti voi per il prezioso servizio che svolgete nella Biblioteca Apostolica e nell'Archivio Vaticano e, mentre vi assicuro il mio ricordo nella preghiera, imparto di cuore a ciascuno con speciale affetto la mia Benedizione, che volentieri estendo alle rispettive famiglie ed alle persone care.






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