Discorsi 2005-13 12106

ALLA DELEGAZIONE DELL’"ANTI-DEFAMATION LEAGUE" Sala dei Papi Giovedì, 12 ottobre 2006

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Cari amici,

sono lieto di accogliere in Vaticano la delegazione della Anti-Defamation League. In numerose occasioni avete fatto visita al mio predecessore Papa Giovanni Paolo II e io continuo con gioia a incontrare i gruppi che rappresentano il popolo ebraico.

Nel mondo di oggi, i responsabili della religione, della politica, del mondo accademico e dell'economia vengono seriamente sfidati a migliorare il livello di dialogo fra popoli e fra culture. Per fare questo in maniera efficace sono necessari un approfondimento della nostra comprensione reciproca e una dedizione comune all'edificazione di una società caratterizzata da sempre maggiori giustizia e pace. Dobbiamo conoscerci meglio e, rafforzati da questa scoperta reciproca, instaurare rapporti non solo di tolleranza, ma anche di autentico rispetto. Infatti, ebrei, cristiani e musulmani hanno molte convinzioni comuni ed esistono numerose aree di impegno umanitario e sociale nelle quali possiamo e dobbiamo cooperare.

La Dichiarazione del Concilio Vaticano II Nostra Aetate ci ricorda che le radici ebraiche del cristianesimo ci obbligano a superare i conflitti del passato e a creare nuovi vincoli di amicizia e di collaborazione. Afferma in particolare che la Chiesa deplora tutte le forme di odio o persecuzione contro gli Ebrei e ogni manifestazione di antisemitismo in qualsiasi tempo e da qualsiasi fonte essa provenga (Cfr n. 4). I quaranta anni trascorsi dalla Dichiarazione hanno prodotto molti risultati positivi e sono stati anche testimoni di alcuni primi passi, forse ancora troppo esitanti, verso un dialogo più aperto sui temi religiosi. È proprio a tale livello di scambio e dialogo sinceri che troveremo la base e la motivazione per un rapporto solido e fecondo.

Che L'Eterno, nostro Padre nei Cieli, benedica ogni sforzo volto a eliminare dal mondo qualsiasi errato uso della religione quale pretesto per l'odio e per la violenza. Che Egli benedica tutti voi, le vostre famiglie e le vostre comunità.






AI VESCOVI DELLO ZAMBIA IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Venerdì, 14 ottobre 2006

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Miei cari fratelli in Cristo,

sono lieto di porgere il benvenuto a voi, Vescovi dello Zambia, in questo incontro fraterno in occasione della vostra visita ad Limina Apostolorum. In modo particolare, ringrazio il Rev.mo Telesphore George Mpundu che ha espresso la vostra devozione alla Santa Sede e a me quale Successore di Pietro. Sono grato per i vostri buoni auspici che ricambio volentieri. I nostri colloqui mi hanno condotto a un apprezzamento più profondo della Chiesa cattolica nel vostro Paese: le sue gioie, le sue difficoltà e le sue speranze. Mediante voi saluto e abbraccio il clero, i religiosi e i laici di Zambia. Di recente, in Germania, ho avuto occasione di affermare: "Come persone di preghiera, colme della Sua luce, raggiungiamo gli altri e, coinvolgendoli nella nostra preghiera, facciamoli entrare nel raggio della presenza di Dio il quale farà poi la sua parte" (Cattedrale di san Corbiniano, Frisinga, 14 settembre 2006). Vi incoraggio, quindi, a esortare il vostro popolo a dedicarsi alla preghiera e alla santità, scoprendo il tesoro di una vita basata sulla fede in Cristo. Che i membri del vostro popolo invitino tutti coloro che incontrano a condividere tale tesoro!

La luce di santità che risplende in quanti hanno scoperto questo tesoro viene accesa nel momento del Battesimo. Nel Battesimo Cristo affranca il credente dal dominio del peccato, liberandolo, dunque, da un'esistenza colma di paura e superstizione e invitandolo a una nuova vita. "Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio... chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro" (
1Jn 3,2-3). Infatti, il cristiano ha riposto la sua fiducia in Cristo e può essere sempre certo che Egli ascolta le sue preghiere e risponde a esse. Mentre lottate per preparare il vostro popolo ad una vita di autentica santità, assicuratevi di istruirlo nel valore e nella pratica della preghiera, in particolare della preghiera liturgica, nella quale, in modo sublime, la Chiesa è unita a Cristo, il Sommo Sacerdote, nella sua eterna intercessione per la salvezza del mondo. Inoltre, la Chiesa cattolica incoraggia i fedeli a praticare forme popolari di pietà. Quindi, insegnate sempre al vostro popolo il valore dell'intercessione dei santi, che sono i grandi amici di Gesù (cfr Gv Jn 12,20-22) e, in particolare, l'intercessione speciale di Maria, sua Madre, che è sempre attenta alle nostre necessità (cfr Jn 2,1-11).

Miei cari Fratelli Vescovi, sono certo che continuerete a dedicare la vostra vita con amore generoso al popolo di Dio in Zambia. Il Signore ha scelto voi per custodirlo e guidarlo sulla via che porta alla santità. Fatelo con saggezza, ferma determinazione e affetto paterno. San Gerolamo nel suo Commentario alla Lettera di san Paolo a Tito afferma: "Che il Vescovo pratichi l'astinenza rispetto a tutte le inquietudini che possono agitare la sua anima: non sia incline alla collera né devastato dalla tristezza né torturato dalla paura" (cfr vv.8-9, PL 26, 603b-42). Questo è vero in particolare nei vostri rapporti con i fratelli sacerdoti che, a volte, possono venir sviati dalle numerose tentazioni della società contemporanea. Quali Pastori e Padri dei vostri collaboratori nella vigna, dovete sempre comunicare loro la gioia di servire il Signore con un adeguato distacco dalle cose del mondo. Dite loro che sono vicini al cuore del Papa e presenti nelle sue preghiere quotidiane. Con voi, li incoraggio a restare saldi nella fede autentica e ad aspirare alla speranza viva del possesso gioioso di quel tesoro eterno e incorrotto, guadagnato per noi da Gesù Cristo (cfr 1P 1,4).

Crediamo che la Chiesa sia santa. Quando esortate i vostri sacerdoti a condurre vite sante in accordo con la loro vocazione, quando predicate l'amore generoso e la fedeltà nel matrimonio e quando invitate tutti a praticare le opere di misericordia, ricordate loro le parole del Signore: "Voi siete la luce del mondo... Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt 5,14-16). La Santità è un dono divino, che si manifesta nell'amore di Dio e nell'amore del prossimo. Cari Fratelli, mostrate al vostro popolo il bel volto di Cristo vivendo una vita di amore autentico. Mostrate la compassione di Cristo in particolare per i poveri, i rifugiati, i malati e tutti coloro che soffrono. Al contempo, nel vostro insegnamento continuate a proclamare la necessità dell'onestà, dell'affetto familiare, della disciplina e della fedeltà, che hanno un impatto decisivo sulla salute e la stabilità della società.

Questa visita a Roma è un segno visibile della vostra ricerca personale di santità e del vostro desiderio ardente di essere araldi del Vangelo, seguendo l'esempio eroico degli Apostoli Pietro e Paolo. San Matteo esprime così il mandato missionario ecclesiale: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,18-20). Questo passaggio è fonte di grande speranza per tutti coloro che dedicano le proprie energie al ministero apostolico. Queste parole ci ricordano la presenza attiva e costante del Cristo vivo nella sua Santa Chiesa cattolica. Invito voi e quanti cooperano al vostro ministero a meditare su tali parole e rinnovare la fiducia nel Signore. Tornando a casa, salutate affettuosamente da parte mia il popolo del vostro Paese! Che la vostra testimonianza di uomini pieni della speranza della risurrezione lo conduca a un sempre maggiore apprezzamento delle gioie che il Signore ci ha promesso. A ognuno di voi e tutti coloro che sono affidati alla vostra sollecitudine pastorale imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.




AI PARTECIPANTI AL PELLEGRINAGGIO DELLE OPERE DI SAN PIO DA PIETRELCINA Piazza San Pietro Sabato, 14 ottobre 2006

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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Con grande gioia vi incontro in questa Piazza, che nel 1999 e nel 2002 ha visto le memorabili celebrazioni di beatificazione e di canonizzazione di Padre Pio da Pietrelcina. Oggi siete venuti numerosi in occasione del 50° anniversario di quella che costituisce una parte cospicua e integrante della sua opera: la Casa Sollievo della Sofferenza. Vi accolgo con affetto e rivolgo a ciascuno di voi il mio saluto cordiale: all’Arcivescovo Umberto D’Ambrosio, che ringrazio per le sue gentili parole; ai Frati Cappuccini del Santuario e della Provincia; ai dirigenti, ai medici, agli infermieri e al personale dell’Ospedale; ai membri dei Gruppi di Preghiera, provenienti da ogni parte d’Italia e anche da altri Paesi; e ai pellegrini della diocesi di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo. Tutti insieme voi formate una grande famiglia spirituale, perché vi riconoscete figli di Padre Pio, un uomo semplice, un "povero Frate", come diceva lui, al quale Dio ha affidato il perenne messaggio del suo Amore crocifisso per l’intera umanità.

Primi eredi della sua testimonianza siete voi, cari Frati Cappuccini, che custodite il Santuario di Santa Maria delle Grazie e la nuova grande chiesa intitolata a San Pio da Pietrelcina. Voi siete i principali animatori di quei luoghi di grazia, meta ogni anno di milioni di pellegrini. Spronati e sostenuti dall’esempio di Padre Pio e dalla sua intercessione, sforzatevi di essere voi stessi suoi imitatori per aiutare tutti a vivere una profonda esperienza spirituale, centrata sulla contemplazione di Cristo Crocifisso, rivelatore e mediatore dell’amore misericordioso del Padre celeste.

Dal cuore di Padre Pio, ardente di carità, ha preso origine la Casa Sollievo della Sofferenza, che già col suo nome manifesta l’idea ispiratrice da cui è sorta ed il programma che intende realizzare. Padre Pio volle chiamarla "casa" perché il malato, specialmente quello povero, si sentisse in essa a proprio agio, accolto in un clima familiare, e in questa casa egli potesse trovare "sollievo" alla sua sofferenza. Sollievo grazie a due forze convergenti: la preghiera e la scienza. Questa era l’idea del Fondatore, che va sempre tenuta ben presente e fatta propria da tutti coloro che operano nell’Ospedale. La fede in Dio e la ricerca scientifica cooperano al medesimo fine, che si può esprimere nel modo migliore con le parole di Gesù stesso: "perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza" (
Jn 10,10). Sì, Dio è vita, e vuole che l’uomo sia guarito da ogni male del corpo e dello spirito. Per questo Gesù si prese cura instancabilmente dei malati, preannunciando con la loro guarigione il Regno di Dio ormai vicino. Per lo stesso motivo la Chiesa, grazie ai carismi di tanti santi e sante, ha prolungato e diffuso nel corso dei secoli questo ministero profetico di Cristo, mediante innumerevoli iniziative nel campo della sanità e del servizio ai sofferenti.

Se la dimensione scientifica e tecnologica è propria dell’Ospedale, la preghiera invece si estende a tutta l’opera di Padre Pio. E’ l’elemento, per così dire, trasversale: l’anima di ogni iniziativa, la forza spirituale che muove tutto e tutto orienta secondo l’ordine della carità, che è ultimamente Dio stesso. Dio è amore. Perciò il binomio fondamentale che desidero riproporre alla vostra attenzione è quello che sta al centro della mia Enciclica: amore di Dio e amore del prossimo, preghiera e carità (cfr Deus caritas est ). Padre Pio è stato anzitutto un "uomo di Dio". Fin da bambino, egli si è sentito chiamare da Lui e ha risposto "con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze" (cfr Dt 6,5). Così l’amore divino ha potuto prendere possesso della sua umile persona e farne uno strumento eletto dei suoi disegni di salvezza. Sia lodato Dio, che in ogni tempo sceglie anime semplici e generose per compiere grandi cose (cfr Lc 1,48-49)! Tutto nella Chiesa viene da Dio, e senza di Lui nulla può reggersi. Le opere di Padre Pio offrono un esempio straordinario di questa verità: la Casa Sollievo si può ben definire un "miracolo". Chi poteva umanamente pensare che accanto al piccolo convento di San Giovanni Rotondo sarebbe sorto uno degli Ospedali più grandi e più moderni del Meridione d’Italia? Chi, se non l’uomo di Dio, che guarda la realtà con gli occhi della fede e con una grande speranza, perché sa che a Dio nulla è impossibile?

Ecco perché la festa della Casa Sollievo della Sofferenza è al tempo stesso la festa dei Gruppi di Preghiera di Padre Pio, cioè di quella parte della sua opera che "bussa" continuamente al cuore di Dio, come un esercito di intercessori e di riparatori, per ottenere le grazie necessarie alla Chiesa e al mondo. Cari amici dei Gruppi di Preghiera, la vostra origine risale all’inverno del 1942, mentre la seconda guerra mondiale sconvolgeva l’Italia, l’Europa e il mondo. Il 17 febbraio di quell’anno il mio venerato Predecessore, Papa Pio XII, lanciò un appello al popolo cristiano perché molti si riunissero a pregare insieme per la pace. Padre Pio incitò i suoi figli spirituali a rispondere prontamente alla chiamata del Vicario di Cristo. Così nacquero i Gruppi di Preghiera, e come centro organizzativo ebbero proprio la Casa Sollievo della Sofferenza, che era ancora in costruzione. Un’immagine, questa, che rimane un simbolo eloquente: l’Opera di Padre di Pio come un grande "cantiere" animato dalla preghiera e destinato alla carità operosa. I Gruppi di Preghiera si sono diffusi nelle parrocchie, nei conventi, negli ospedali, ed oggi sono più di tremila sparsi in tutti i continenti. Voi, qui oggi, ne siete una folta rappresentanza! Quella originaria risposta data all’appello del Papa ha segnato per sempre il carattere della vostra "rete" spirituale: la vostra preghiera, come recita lo Statuto, è "con la Chiesa, per la Chiesa e nella Chiesa" (Proemio), da vivere sempre in adesione piena al Magistero, nell’obbedienza pronta al Papa e ai Vescovi, sotto la guida del presbitero nominato dal Vescovo. Sempre lo Statuto prescrive anche un impegno essenziale dei Gruppi di Preghiera, e cioè la "carità fattiva e operosa a sollievo dei sofferenti e dei bisognosi come attuazione pratica della carità verso Dio" (ibid.). Ecco nuovamente il binomio preghiera e carità, Dio e prossimo. Il Vangelo non consente scappatoie: chi si rivolge al Dio di Gesù Cristo viene spinto a servire i fratelli, e viceversa chi si dedica ai poveri vi scopre il misterioso volto di Dio.

Cari amici, il tempo è trascorso, ed è giunto il momento di concludere. Desidero lasciarvi il mio "grazie" sincero per il sostegno che mi date con la vostra preghiera. Il Signore vi ricompensi! Al tempo stesso, per la comunità di lavoro della Casa Sollievo della Sofferenza domando la speciale grazia di essere sempre fedele allo spirito e al progetto di Padre Pio. Affido questa preghiera alla celeste intercessione di Padre Pio e della Vergine Maria. Con questi sentimenti imparto di cuore a tutti voi e ai vostri cari la Benedizione Apostolica



MESSAGGIO TELEVISIVO PER LA "GIORNATA DEL PAPA" IN POLONIA


[Cari fratelli e sorelle,

Oggi, sedici ottobre, giorno in cui commemoriamo l’elezione di Karol Wojtyla alla Sede di Pietro, desidero unirmi spiritualmente a Voi nella preghiera di ringraziamento per il Pontificato del mio grande Predecessore. Accogliete dunque il mio cordiale saluto.]

Con voi voglio tornare con la memoria all’indimenticabile giorno della sua elezione alla Sede di Pietro. Sento ancora l’eco delle sue parole, umili, sagge e piene di dedizione, quando rispose alla domanda se accettava la scelta fatta dai Cardinali: "Nell’obbedienza della fede davanti a Cristo mio Signore, fidandomi della Madre di Cristo e della Chiesa – consapevole delle grandi difficoltà – accetto!" Ho davanti agli occhi la sua figura, forte e serena, sulla loggia della Basilica di San Pietro, quando per la prima volta diede la Benedizione Urbi et Orbi, affidandosi alla protezione della Madonna e all’amore di coloro dei quali in tutto il mondo doveva prendersi cura come pastore e guida. Non ho mai dimenticato il Suo profetico richiamo: "Non abbiate paura! Aprite le porte a Cristo!" Ringrazio Dio, che con queste immagini nel cuore ho potuto trascorrere più di due decenni al Suo fianco, godendo della sua benevolenza e amicizia, e che oggi posso continuare la sua opera sotto il Suo sguardo protettore dalla casa del Padre. Ringrazio Dio per la sua vita spesa nell’amore di Cristo e degli uomini, che ha arricchito le vicende di tutta l’umanità con la grazia dello Spirito Santo, in atteggiamento di fraternità e di pace. Infine ringrazio Dio per la testimonianza della sua sofferenza unita alla tribolazione di Cristo fino alla morte – testimonianza, che ci da la forza per vivere e ci consolida nella speranza dell’eternità.

Quanto cara era per Giovanni Paolo II la Chiesa che è in Polonia! Quante volte ha dato espressione a questo suo sentimento! La amava come madre che Gli aveva dato la vita nella fede e Lo aveva cresciuto nell’amore di Cristo e dei fratelli. Ma la amava anche come comunità sempre unita intorno ai Pastori, esposta nel passato alla sofferenza di diverse persecuzioni, ma sempre fedele ai valori evangelici. Quanto pregava e quanto si sforzava, affinché la Polonia riacquistasse la libertà! E quando questo avvenne, Egli non smise di darsi premura, affinché i suoi connazionali imparassero a vivere la libertà dei figli di Dio e non dei figli di questo mondo, e affinché conservassero la fede.

Consapevole di questa eredità che Egli ha lasciato alla Chiesa che è in Polonia sono venuto quest’anno tra voi con il richiamo paolino: "Rimanete forti nella fede". In questa occasione voglio ancora una volta ringraziarvi per la testimonianza di fede viva, che avete dato in quei tempi forti dello Spirito, e che ha rallegrato il mio cuore. Prego Dio affinché conservi la fede alle generazioni future di codesta nobile Terra. Vi ringrazio in modo speciale per tutti i segni di amorevole unione con il Papa che è succeduto al vostro grande Connazionale. Affido al vostro sostegno spirituale il mio servizio per la Chiesa e per il mondo.


[Infine in questo giorno saluto con gioia tutti i polacchi. La memoria di Giovanni Paolo II, lo studio della sua opera e del suo insegnamento, vi avvicinino a Cristo. Siano il nodo dell’unità nella comune premura per il futuro della Chiesa e della nazione. Benedico tutti di cuore: Nel nome del Padre e del Figlio, e dello Spirito Santo.]




VISITA PASTORALE A VERONA IN OCCASIONE DEL IV CONVEGNO NAZIONALE DELLA CHIESA ITALIANA




AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO Fiera di Verona Giovedì, 19 ottobre 2006

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Cari fratelli e sorelle!

Mi rallegro di essere con voi oggi, in questa tanto bella e storica città di Verona, per prendere parte attivamente al IV Convegno nazionale della Chiesa in Italia. Porgo a tutti e a ciascuno il più cordiale saluto nel Signore. Ringrazio il Cardinale Camillo Ruini, Presidente della Conferenza Episcopale, e la Dottoressa Giovanna Ghirlanda, rappresentante della Diocesi di Verona, per le gentili parole di accoglienza che mi hanno rivolto a nome di voi tutti e per le notizie che mi hanno dato sullo svolgimento del Convegno. Ringrazio il Cardinale Dionigi Tettamanzi, Presidente del Comitato preparatorio, e quanti hanno lavorato per la sua realizzazione. Ringrazio di cuore ognuno di voi, che rappresentate qui, in felice armonia, le varie componenti della Chiesa in Italia: il Vescovo di Verona, Mons. Flavio Roberto Carraro, che ci ospita, i Vescovi qui convenuti, i sacerdoti e i diaconi, i religiosi e le religiose, e voi fedeli laici, uomini e donne, che date voce alle molteplici realtà del laicato cattolico in Italia.

Questo IV Convegno nazionale è una nuova tappa del cammino di attuazione del Vaticano II, che la Chiesa italiana ha intrapreso fin dagli anni immediatamente successivi al grande Concilio: un cammino di comunione anzitutto con Dio Padre e con il suo Figlio Gesù Cristo nello Spirito Santo e quindi di comunione tra noi, nell'unità dell'unico Corpo di Cristo (cfr
1Jn 1,3 1Co 12,12-13); un cammino proteso all'evangelizzazione, per mantenere viva e salda la fede nel popolo italiano; una tenace testimonianza, dunque, di amore per l'Italia e di operosa sollecitudine per il bene dei suoi figli. Questo cammino la Chiesa in Italia lo ha percorso in stretta e costante unione con il Successore di Pietro: mi è grato ricordare con voi i Servi di Dio Paolo VI, che volle il I Convegno nell'ormai lontano 1976, e Giovanni Paolo II, con i suoi fondamentali interventi - li ricordiamo tutti - ai Convegni di Loreto e di Palermo, che hanno rafforzato nella Chiesa italiana la fiducia di poter operare affinché la fede in Gesù Cristo continui ad offrire, anche agli uomini e alle donne del nostro tempo, il senso e l'orientamento dell'esistenza ed abbia così "un ruolo-guida e un'efficacia trainante" nel cammino della Nazione verso il suo futuro (cfr Discorso al Convegno di Loreto, 11 aprile 1985, n. 7).

Il Signore risorto e la sua Chiesa

Nello stesso spirito sono venuto oggi a Verona, per pregare il Signore con voi, condividere - sia pure brevemente - il vostro lavoro di queste giornate e proporvi una mia riflessione su quel che appare davvero importante per la presenza cristiana in Italia. Avete compiuto una scelta assai felice ponendo Gesù Cristo risorto al centro dell'attenzione del Convegno e di tutta la vita e la testimonianza della Chiesa in Italia. La risurrezione di Cristo è un fatto avvenuto nella storia, di cui gli Apostoli sono stati testimoni e non certo creatori. Nello stesso tempo essa non è affatto un semplice ritorno alla nostra vita terrena; è invece la più grande "mutazione" mai accaduta, il "salto" decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l'ingresso in un ordine decisamente diverso, che riguarda anzitutto Gesù di Nazareth, ma con Lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l'intero universo: per questo la risurrezione di Cristo è il centro della predicazione e della testimonianza cristiana, dall'inizio e fino alla fine dei tempi. Si tratta di un grande mistero, certamente, il mistero della nostra salvezza, che trova nella risurrezione del Verbo incarnato il suo compimento e insieme l'anticipazione e il pegno della nostra speranza. Ma la cifra di questo mistero è l'amore e soltanto nella logica dell'amore esso può essere accostato e in qualche modo compreso: Gesù Cristo risorge dai morti perché tutto il suo essere è perfetta e intima unione con Dio, che è l'amore davvero più forte della morte. Egli era una cosa sola con la Vita indistruttibile e pertanto poteva donare la propria vita lasciandosi uccidere, ma non poteva soccombere definitivamente alla morte: in concreto nell'Ultima Cena egli ha anticipato e accettato per amore la propria morte in croce, trasformandola così nel dono di sé, quel dono che ci dà la vita, ci libera e ci salva. La sua risurrezione è stata dunque come un'esplosione di luce, un'esplosione dell'amore che scioglie le catene del peccato e della morte. Essa ha inaugurato una nuova dimensione della vita e della realtà, dalla quale emerge un mondo nuovo, che penetra continuamente nel nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé.

Tutto ciò avviene concretamente attraverso la vita e la testimonianza della Chiesa; anzi, la Chiesa stessa costituisce la primizia di questa trasformazione, che è opera di Dio e non nostra. Essa giunge a noi mediante la fede e il sacramento del Battesimo, che è realmente morte e risurrezione, rinascita, trasformazione in una vita nuova. È ciò che rileva San Paolo nella Lettera ai Galati: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (2, 20). È stata cambiata così la mia identità essenziale, tramite il Battesimo, e io continuo ad esistere soltanto in questo cambiamento. Il mio proprio io mi viene tolto e viene inserito in un nuovo soggetto più grande, nel quale il mio io c'è di nuovo, ma trasformato, purificato, "aperto" mediante l'inserimento nell'altro, nel quale acquista il suo nuovo spazio di esistenza. Diventiamo così "uno in Cristo" (Ga 3,28), un unico soggetto nuovo, e il nostro io viene liberato dal suo isolamento. "Io, ma non più io": è questa la formula dell'esistenza cristiana fondata nel Battesimo, la formula della risurrezione dentro al tempo, la formula della "novità" cristiana chiamata a trasformare il mondo. Qui sta la nostra gioia pasquale. La nostra vocazione e il nostro compito di cristiani consistono nel cooperare perché giunga a compimento effettivo, nella realtà quotidiana della nostra vita, ciò che lo Spirito Santo ha intrapreso in noi col Battesimo: siamo chiamati infatti a divenire donne e uomini nuovi, per poter essere veri testimoni del Risorto e in tal modo portatori della gioia e della speranza cristiana nel mondo, in concreto, in quella comunità di uomini e di donne entro la quale viviamo. E così, da questo messaggio fondamentale della risurrezione presente in noi e nel nostro operato quotidiano, vengo al tema del servizio della Chiesa in Italia alla Nazione, all'Europa e al mondo.

Il servizio della Chiesa in Italia alla Nazione all'Europa e al mondo

L'Italia di oggi si presenta a noi come un terreno profondamente bisognoso e al contempo molto favorevole per una tale testimonianza. Profondamente bisognoso, perché partecipa di quella cultura che predomina in Occidente e che vorrebbe porsi come universale e autosufficiente, generando un nuovo costume di vita. Ne deriva una nuova ondata di illuminismo e di laicismo, per la quale sarebbe razionalmente valido soltanto ciò che è sperimentabile e calcolabile, mentre sul piano della prassi la libertà individuale viene eretta a valore fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare. Così Dio rimane escluso dalla cultura e dalla vita pubblica, e la fede in Lui diventa più difficile, anche perché viviamo in un mondo che si presenta quasi sempre come opera nostra, nel quale, per così dire, Dio non compare più direttamente, sembra divenuto superfluo anzi estraneo. In stretto rapporto con tutto questo, ha luogo una radicale riduzione dell'uomo, considerato un semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale. Si ha così un autentico capovolgimento del punto di partenza di questa cultura, che era una rivendicazione della centralità dell'uomo e della sua libertà. Nella medesima linea, l'etica viene ricondotta entro i confini del relativismo e dell'utilitarismo, con l'esclusione di ogni principio morale che sia valido e vincolante per se stesso. Non è difficile vedere come questo tipo di cultura rappresenti un taglio radicale e profondo non solo con il cristianesimo ma più in generale con le tradizioni religiose e morali dell'umanità: non sia quindi in grado di instaurare un vero dialogo con le altre culture, nelle quali la dimensione religiosa è fortemente presente, oltre a non poter rispondere alle domande fondamentali sul senso e sulla direzione della nostra vita. Perciò questa cultura è contrassegnata da una profonda carenza, ma anche da un grande e inutilmente nascosto bisogno di speranza.

L'Italia però, come accennavo, costituisce al tempo stesso un terreno assai favorevole per la testimonianza cristiana. La Chiesa, infatti, qui è una realtà molto viva, - e lo vediamo! - che conserva una presenza capillare in mezzo alla gente di ogni età e condizione. Le tradizioni cristiane sono spesso ancora radicate e continuano a produrre frutti, mentre è in atto un grande sforzo di evangelizzazione e catechesi, rivolto in particolare alle nuove generazioni, ma ormai sempre più anche alle famiglie. È inoltre sentita con crescente chiarezza l'insufficienza di una razionalità chiusa in se stessa e di un'etica troppo individualista: in concreto, si avverte la gravità del rischio di staccarsi dalle radici cristiane della nostra civiltà. Questa sensazione, che è diffusa nel popolo italiano, viene formulata espressamente e con forza da parte di molti e importanti uomini di cultura, anche tra coloro che non condividono o almeno non praticano la nostra fede. La Chiesa e i cattolici italiani sono dunque chiamati a cogliere questa grande opportunità, e anzitutto ad esserne consapevoli. Il nostro atteggiamento non dovrà mai essere, pertanto, quello di un rinunciatario ripiegamento su noi stessi: occorre invece mantenere vivo e se possibile incrementare il nostro dinamismo, occorre aprirsi con fiducia a nuovi rapporti, non trascurare alcuna delle energie che possono contribuire alla crescita culturale e morale dell'Italia. Tocca a noi infatti - non con le nostre povere risorse, ma con la forza che viene dallo Spirito Santo - dare risposte positive e convincenti alle attese e agli interrogativi della nostra gente: se sapremo farlo, la Chiesa in Italia renderà un grande servizio non solo a questa Nazione, ma anche all'Europa e al mondo, perché è presente ovunque l'insidia del secolarismo e altrettanto universale è la necessità di una fede vissuta in rapporto alle sfide del nostro tempo.

Rendere visibile il grande "sì" della fede

Cari fratelli e sorelle, dobbiamo ora domandarci come, e su quali basi, adempiere un simile compito. In questo Convegno avete ritenuto, giustamente, che sia indispensabile dare alla testimonianza cristiana contenuti concreti e praticabili, esaminando come essa possa attuarsi e svilupparsi in ciascuno di quei grandi ambiti nei quali si articola l'esperienza umana. Saremo aiutati, così, a non perdere di vista nella nostra azione pastorale il collegamento tra la fede e la vita quotidiana, tra la proposta del Vangelo e quelle preoccupazioni e aspirazioni che stanno più a cuore alla gente. In questi giorni avete riflettuto perciò sulla vita affettiva e sulla famiglia, sul lavoro e sulla festa, sull'educazione e la cultura, sulle condizioni di povertà e di malattia, sui doveri e le responsabilità della vita sociale e politica.

Per parte mia vorrei sottolineare come, attraverso questa multiforme testimonianza, debba emergere soprattutto quel grande "sì" che in Gesù Cristo Dio ha detto all'uomo e alla sua vita, all'amore umano, alla nostra libertà e alla nostra intelligenza; come, pertanto, la fede nel Dio dal volto umano porti la gioia nel mondo. Il cristianesimo è infatti aperto a tutto ciò che di giusto, vero e puro vi è nelle culture e nelle civiltà, a ciò che allieta, consola e fortifica la nostra esistenza. San Paolo nella Lettera ai Filippesi ha scritto: "Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri" (4, 8). I discepoli di Cristo riconoscono pertanto e accolgono volentieri gli autentici valori della cultura del nostro tempo, come la conoscenza scientifica e lo sviluppo tecnologico, i diritti dell'uomo, la libertà religiosa, la democrazia. Non ignorano e non sottovalutano però quella pericolosa fragilità della natura umana che è una minaccia per il cammino dell'uomo in ogni contesto storico; in particolare, non trascurano le tensioni interiori e le contraddizioni della nostra epoca. Perciò l'opera di evangelizzazione non è mai un semplice adattarsi alle culture, ma è sempre anche una purificazione, un taglio coraggioso che diviene maturazione e risanamento, un'apertura che consente di nascere a quella "creatura nuova" (2Co 5,17 Ga 6,15) che è il frutto dello Spirito Santo.

Come ho scritto nell'Enciclica Deus caritas est, all'inizio dell'essere cristiano - e quindi all'origine della nostra testimonianza di credenti - non c'è una decisione etica o una grande idea, ma l'incontro con la Persona di Gesù Cristo, "che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva" (n. 1). La fecondità di questo incontro si manifesta, in maniera peculiare e creativa, anche nell'attuale contesto umano e culturale, anzitutto in rapporto alla ragione che ha dato vita alle scienze moderne e alle relative tecnologie. Una caratteristica fondamentale di queste ultime è infatti l'impiego sistematico degli strumenti della matematica per poter operare con la natura e mettere al nostro servizio le sue immense energie. La matematica come tale è una creazione della nostra intelligenza: la corrispondenza tra le sue strutture e le strutture reali dell'universo - che è il presupposto di tutti i moderni sviluppi scientifici e tecnologici, già espressamente formulato da Galileo Galilei con la celebre affermazione che il libro della natura è scritto in linguaggio matematico - suscita la nostra ammirazione e pone una grande domanda. Implica infatti che l'universo stesso sia strutturato in maniera intelligente, in modo che esista una corrispondenza profonda tra la nostra ragione soggettiva e la ragione oggettivata nella natura. Diventa allora inevitabile chiedersi se non debba esservi un'unica intelligenza originaria, che sia la comune fonte dell'una e dell'altra. Così proprio la riflessione sullo sviluppo delle scienze ci riporta verso il Logos creatore. Viene capovolta la tendenza a dare il primato all'irrazionale, al caso e alla necessità, a ricondurre ad esso anche la nostra intelligenza e la nostra libertà. Su queste basi diventa anche di nuovo possibile allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell'intrinseca unità che le tiene insieme. È questo un compito che sta davanti a noi, un'avventura affascinante nella quale merita spendersi, per dare nuovo slancio alla cultura del nostro tempo e per restituire in essa alla fede cristiana piena cittadinanza. Il "progetto culturale" della Chiesa in Italia è senza dubbio, a tal fine, un'intuizione felice e un contributo assai importante.

La persona umana. Ragione intelligenza, amore

La persona umana non è, d'altra parte, soltanto ragione e intelligenza, che pur ne sono elementi costitutivi. Porta dentro di sé, iscritto nel più profondo del suo essere, il bisogno di amore, di essere amata e di amare a sua volta. Perciò si interroga e spesso si smarrisce di fronte alle durezze della vita, al male che esiste nel mondo e che appare tanto forte e, al contempo, radicalmente privo di senso. In particolare nella nostra epoca, nonostante tutti i progressi compiuti, il male non è affatto vinto; anzi, il suo potere sembra rafforzarsi e vengono presto smascherati tutti i tentativi di nasconderlo, come dimostrano sia l'esperienza quotidiana sia le grandi vicende storiche. Ritorna dunque, insistente, la domanda se nella nostra vita ci possa essere uno spazio sicuro per l'amore autentico e, in ultima analisi, se il mondo sia davvero l'opera della sapienza di Dio. Qui, molto più di ogni ragionamento umano, ci soccorre la novità sconvolgente della rivelazione biblica: il Creatore del cielo e della terra, l'unico Dio che è la sorgente di ogni essere, questo unico "Logos" creatore, questa ragione creatrice, sa amare personalmente l'uomo, anzi lo ama appassionatamente e vuole essere a sua volta amato. Questa ragione creatrice, che è nello stesso tempo amore, dà vita perciò a una storia d'amore con Israele, il suo popolo, e in questa vicenda, di fronte ai tradimenti del popolo, il suo amore si mostra ricco di inesauribile fedeltà e misericordia, è l'amore che perdona al di là di ogni limite. In Gesù Cristo un tale atteggiamento raggiunge la sua forma estrema, inaudita e drammatica: in Lui infatti Dio si fa uno di noi, nostro fratello in umanità, e addirittura sacrifica la sua vita per noi. Nella morte in croce - apparentemente il più grande male della storia -, si compie dunque "quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l'uomo e salvarlo - amore, questo, nella sua forma più radicale", nel quale si manifesta cosa significhi che "Dio è amore" (1Jn 4,8) e si comprende anche come debba definirsi l'amore autentico (cfr Enc. Deus caritas est Deus caritas est, nn. 9-10 e 12).

Proprio perché ci ama veramente, Dio rispetta e salva la nostra libertà. Al potere del male e del peccato non oppone un potere più grande, ma - come ci ha detto il nostro amato Papa Giovanni Paolo II nell'Enciclica Dives in misericordia e, da ultimo, nel libro Memoria e identità, il suo vero testamento spirituale - preferisce porre il limite della sua pazienza e della sua misericordia, quel limite che è, in concreto, la sofferenza del Figlio di Dio. Così anche la nostra sofferenza è trasformata dal di dentro, è introdotta nella dimensione dell'amore e racchiude una promessa di salvezza. Cari fratelli e sorelle, tutto questo Giovanni Paolo II non lo ha soltanto pensato, e nemmeno soltanto creduto con una fede astratta: lo ha compreso e vissuto con una fede maturata nella sofferenza. Su questa strada, come Chiesa, siamo chiamati a seguirlo, nel modo e nella misura che Dio dispone per ciascuno di noi. La croce ci fa giustamente paura, come ha provocato paura e angoscia in Gesù Cristo (cfr Mc 14,33-36): essa però non è negazione della vita, da cui per essere felici occorra sbarazzarsi. È invece il "sì" estremo di Dio all'uomo, l'espressione suprema del suo amore e la scaturigine della vita piena e perfetta: contiene dunque l'invito più convincente a seguire Cristo sulla via del dono di sé. Qui mi è caro rivolgere un pensiero di speciale affetto alle membra sofferenti del corpo del Signore: esse, in Italia come ovunque nel mondo, completano quello che manca ai patimenti di Cristo nella propria carne (cfr Col 1,24) e contribuiscono così nella maniera più efficace alla comune salvezza. Esse sono i testimoni più convincenti di quella gioia che viene da Dio e che dona la forza di accettare la croce nell'amore e nella perseveranza.

Sappiamo bene che questa scelta della fede e della sequela di Cristo non è mai facile: è sempre, invece, contrastata e controversa. La Chiesa rimane quindi "segno di contraddizione", sulle orme del suo Maestro (cfr Lc 2,34), anche nel nostro tempo. Ma non per questo ci perdiamo d'animo. Al contrario, dobbiamo essere sempre pronti a dare risposta (apo-logia) a chiunque ci domandi ragione (logos) della nostra speranza, come ci invita a fare la prima Lettera di San Pietro (3, 15), che avete scelto assai opportunamente quale guida biblica per il cammino di questo Convegno. Dobbiamo rispondere "con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza" (3, 15-16), con quella forza mite che viene dall'unione con Cristo. Dobbiamo farlo a tutto campo, sul piano del pensiero e dell'azione, dei comportamenti personali e della testimonianza pubblica. La forte unità che si è realizzata nella Chiesa dei primi secoli tra una fede amica dell'intelligenza e una prassi di vita caratterizzata dall'amore reciproco e dall'attenzione premurosa ai poveri e ai sofferenti ha reso possibile la prima grande espansione missionaria del cristianesimo nel mondo ellenistico-romano. Così è avvenuto anche in seguito, in diversi contesti culturali e situazioni storiche. Questa rimane la strada maestra per l'evangelizzazione: il Signore ci guidi a vivere questa unità tra verità e amore nelle condizioni proprie del nostro tempo, per l'evangelizzazione dell'Italia e del mondo di oggi. Vengo così ad un punto importante e fondamentale, cioè l'educazione.

L'educazione

In concreto, perché l'esperienza della fede e dell'amore cristiano sia accolta e vissuta e si trasmetta da una generazione all'altra, una questione fondamentale e decisiva è quella dell'educazione della persona. Occorre preoccuparsi della formazione della sua intelligenza, senza trascurare quelle della sua libertà e capacità di amare. E per questo è necessario il ricorso anche all'aiuto della Grazia. Solo in questo modo si potrà contrastare efficacemente quel rischio per le sorti della famiglia umana che è costituito dallo squilibrio tra la crescita tanto rapida del nostro potere tecnico e la crescita ben più faticosa delle nostre risorse morali. Un'educazione vera ha bisogno di risvegliare il coraggio delle decisioni definitive, che oggi vengono considerate un vincolo che mortifica la nostra libertà, ma in realtà sono indispensabili per crescere e raggiungere qualcosa di grande nella vita, in particolare per far maturare l'amore in tutta la sua bellezza: quindi per dare consistenza e significato alla stessa libertà. Da questa sollecitudine per la persona umana e la sua formazione vengono i nostri "no" a forme deboli e deviate di amore e alle contraffazioni della libertà, come anche alla riduzione della ragione soltanto a ciò che è calcolabile e manipolabile. In verità, questi "no" sono piuttosto dei "sì" all'amore autentico, alla realtà dell'uomo come è stato creato da Dio. Voglio esprimere qui tutto il mio apprezzamento per il grande lavoro formativo ed educativo che le singole Chiese non si stancano di svolgere in Italia, per la loro attenzione pastorale alle nuove generazioni e alle famiglie: grazie per questa attenzione! Tra le molteplici forme di questo impegno non posso non ricordare, in particolare, la scuola cattolica, perché nei suoi confronti sussistono ancora, in qualche misura, antichi pregiudizi, che generano ritardi dannosi, e ormai non più giustificabili, nel riconoscerne la funzione e nel permetterne in concreto l'attività.

Testimonianze di carità

Gesù ci ha detto che tutto ciò che avremo fatto ai suoi fratelli più piccoli lo avremo fatto a Lui (cfr Mt 25,40). L'autenticità della nostra adesione a Cristo si verifica dunque specialmente nell'amore e nella sollecitudine concreta per i più deboli e i più poveri, per chi si trova in maggior pericolo e in più grave difficoltà. La Chiesa in Italia ha una grande tradizione di vicinanza, aiuto e solidarietà verso i bisognosi, gli ammalati, gli emarginati, che trova la sua espressione più alta in una serie meravigliosa di "Santi della carità". Questa tradizione continua anche oggi e si fa carico delle molte forme di nuove povertà, morali e materiali, attraverso la Caritas, il volontariato sociale, l'opera spesso nascosta di tante parrocchie, comunità religiose, associazioni e gruppi, singole persone mosse dall'amore di Cristo e dei fratelli. La Chiesa in Italia, inoltre, dà prova di una straordinaria solidarietà verso le sterminate moltitudini dei poveri della terra. È quindi quanto mai importante che tutte queste testimonianze di carità conservino sempre alto e luminoso il loro profilo specifico, nutrendosi di umiltà e di fiducia nel Signore, mantenendosi libere da suggestioni ideologiche e da simpatie partitiche, e soprattutto misurando il proprio sguardo sullo sguardo di Cristo: è importante dunque l'azione pratica ma conta ancora di più la nostra partecipazione personale ai bisogni e alle sofferenze del prossimo. Così, cari fratelli e sorelle, la carità della Chiesa rende visibile l'amore di Dio nel mondo e rende così convincente la nostra fede nel Dio incarnato, crocifisso e risorto.

Responsabilità civili e politiche dei cattolici

Il vostro Convegno ha giustamente affrontato anche il tema della cittadinanza, cioè le questioni delle responsabilità civili e politiche dei cattolici. Cristo infatti è venuto per salvare l'uomo reale e concreto, che vive nella storia e nella comunità, e pertanto il cristianesimo e la Chiesa, fin dall'inizio, hanno avuto una dimensione e una valenza anche pubblica. Come ho scritto nell'Enciclica Deus caritas est (cfr nn. 28-29), sui rapporti tra religione e politica Gesù Cristo ha portato una novità sostanziale, che ha aperto il cammino verso un mondo più umano e più libero, attraverso la distinzione e l'autonomia reciproca tra lo Stato e la Chiesa, tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio (cfr Mt 22,21). La stessa libertà religiosa, che avvertiamo come un valore universale, particolarmente necessario nel mondo di oggi, ha qui la sua radice storica. La Chiesa, dunque, non è e non intende essere un agente politico. Nello stesso tempo ha un interesse profondo per il bene della comunità politica, la cui anima è la giustizia, e le offre a un duplice livello il suo contributo specifico. La fede cristiana, infatti, purifica la ragione e l'aiuta ad essere meglio se stessa: con la sua dottrina sociale pertanto, argomentata a partire da ciò che è conforme alla natura di ogni essere umano, la Chiesa contribuisce a far sì che ciò che è giusto possa essere efficacemente riconosciuto e poi anche realizzato. A tal fine sono chiaramente indispensabili le energie morali e spirituali che consentano di anteporre le esigenze della giustizia agli interessi personali, o di una categoria sociale, o anche di uno Stato: qui di nuovo c'è per la Chiesa uno spazio assai ampio, per radicare queste energie nelle coscienze, alimentarle e irrobustirle. Il compito immediato di agire in ambito politico per costruire un giusto ordine nella società non è dunque della Chiesa come tale, ma dei fedeli laici, che operano come cittadini sotto propria responsabilità: si tratta di un compito della più grande importanza, al quale i cristiani laici italiani sono chiamati a dedicarsi con generosità e con coraggio, illuminati dalla fede e dal magistero della Chiesa e animati dalla carità di Cristo.

Una speciale attenzione e uno straordinario impegno sono richiesti oggi da quelle grandi sfide nelle quali vaste porzioni della famiglia umana sono maggiormente in pericolo: le guerre e il terrorismo, la fame e la sete, alcune terribili epidemie. Ma occorre anche fronteggiare, con pari determinazione e chiarezza di intenti, il rischio di scelte politiche e legislative che contraddicano fondamentali valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura dell'essere umano, in particolare riguardo alla tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, e alla promozione della famiglia fondata sul matrimonio, evitando di introdurre nell'ordinamento pubblico altre forme di unione che contribuirebbero a destabilizzarla, oscurando il suo carattere peculiare e il suo insostituibile ruolo sociale. La testimonianza aperta e coraggiosa che la Chiesa e i cattolici italiani hanno dato e stanno dando a questo riguardo sono un servizio prezioso all'Italia, utile e stimolante anche per molte altre Nazioni. Questo impegno e questa testimonianza fanno certamente parte di quel grande "sì" che come credenti in Cristo diciamo all'uomo amato da Dio.

Essere uniti a Cristo

Cari fratelli e sorelle, i compiti e le responsabilità che questo Convegno ecclesiale pone in evidenza sono certamente grandi e molteplici. Siamo stimolati perciò a tenere sempre presente che non siamo soli nel portarne il peso: ci sosteniamo infatti gli uni gli altri e soprattutto il Signore stesso guida e sostiene la fragile barca della Chiesa. Ritorniamo così al punto da cui siamo partiti: decisivo è il nostro essere uniti a Lui, e quindi tra noi, lo stare con Lui per poter andare nel suo nome (cfr Mc 3,13-15). La nostra vera forza è dunque nutrirci della sua parola e del suo corpo, unirci alla sua offerta per noi, come faremo nella Celebrazione di questo pomeriggio, adorarlo presente nell'Eucaristia: prima di ogni attività e di ogni nostro programma, infatti, deve esserci l'adorazione, che ci rende davvero liberi e ci dà i criteri per il nostro agire. Nell'unione a Cristo ci precede e ci guida la Vergine Maria, tanto amata e venerata in ogni contrada d'Italia. In Lei incontriamo, pura e non deformata, la vera essenza della Chiesa e così, attraverso di Lei, impariamo a conoscere e ad amare il mistero della Chiesa che vive nella storia, ci sentiamo fino in fondo parte di essa, diventiamo a nostra volta "anime ecclesiali", impariamo a resistere a quella "secolarizzazione interna" che insidia la Chiesa nel nostro tempo, in conseguenza dei processi di secolarizzazione che hanno profondamente segnato la civiltà europea.

Cari fratelli e sorelle, eleviamo insieme al Signore la nostra preghiera, umile ma piena di fiducia, affinché la comunità cattolica italiana, inserita nella comunione vivente della Chiesa di ogni luogo e di tutti i tempi, e strettamente unita intorno ai propri Vescovi, porti con rinnovato slancio a questa amata Nazione, e in ogni angolo della terra, la gioiosa testimonianza di Gesù risorto, speranza dell'Italia e del mondo.





Discorsi 2005-13 12106