Discorsi 2005-13 30106

AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI GRECIA IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Lunedì, 30 ottobre 2006

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Venerati Fratelli nell’Episcopato,

giungendo voi da una terra molto amata dall’Apostolo delle Genti, mi è caro salutarvi con le sue stesse parole: “Ringrazio cordialmente Dio per voi, a motivo della grazia che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni” (
1Co 1,4-5). Sono lieto di accogliervi come Successore di Pietro, l’Apostolo a cui Cristo affidò in modo particolare la responsabilità di promuovere l’unità della Chiesa, la Sposa per la quale Egli versò il proprio sangue sulla croce. La visita ad limina che state compiendo costituisce un adempimento di particolare rilievo nell’approfondimento della comunione che, per grazia di Dio, esiste tra noi. È un dono di Dio di cui siamo consapevoli e di cui ci proponiamo di essere gelosi custodi.

Negli incontri che ho avuto con ciascuno di voi ho potuto percepire la comune preoccupazione per il rapido evolversi della configurazione delle vostre comunità. Le vicende politiche e sociali, che si sono avute nell’area in cui sorgono le Chiese a voi affidate, hanno creato problemi pastorali che richiedono tempestive soluzioni. In particolare, l’afflusso notevole di cattolici provenienti dalle Nazioni circostanti pone a voi e al vostro clero nuove esigenze di servizio ministeriale a cui non è facile provvedere. Comprendo quindi le vostre ansie apostoliche nei confronti di un gregge notevolmente accresciuto e interiormente variegato a motivo della presenza di fedeli aventi lingue e riti differenti. Penso che lo sviluppo di un dialogo costruttivo con gli altri Episcopati sia quanto mai opportuno proprio alla luce della nuova situazione. Dal confronto emergeranno sicuramente provvide decisioni sotto il profilo del reperimento sia dei ministri sacri necessari sia delle risorse su cui contare. Ovviamente il rispetto delle specifiche identità sarà da tenere presente, ma senza sacrificare per questo la vita e i programmi delle Chiese che Cristo vi ha affidato. Siete voi i Pastori del Popolo di Dio in terra greca: non si tratta semplicemente di una titolarità onorifica, ma di una vera responsabilità con precisi compiti.

A questo proposito, vi esorto cordialmente a perseverare nei vostri sforzi per incentivare la pastorale vocazionale: occorre, da una parte, coltivare con cura i germi di vocazione che Dio continua a porre nel cuore di ragazzi e ragazze anche in questo nostro tempo; dall’altra, si dovranno invitare le comunità cristiane a pregare con più intensità “il Padrone della messe” affinché susciti nuovi ministri e nuove persone consacrate per il conveniente disimpegno dei diversi compiti richiesti dal Corpo mistico di Cristo. Auspico comunque che, con generosa dedizione da parte di tutti, si possa, anche nella presente situazione, venire incontro ai bisogni spirituali dei tanti immigrati che hanno trovato nel vostro Paese accoglienza dignitosa e cordiale. È questo lo stile proprio della vostra gente, che da sempre ha saputo aprirsi ad un contatto costruttivo con i popoli circostanti. Grazie anche a questa innata prerogativa, voi saprete sicuramente individuare il giusto approccio nel dialogo con gli altri Episcopati cattolici dei diversi riti, così da organizzare adeguati uffici pastorali per una fruttuosa testimonianza evangelica nella vostra terra.

La Provvidenza vi ha posto a stretto contatto con i nostri fratelli ortodossi che, numericamente, sono la maggioranza dei vostri concittadini. Grande è in tutti il desiderio di partecipare insieme all’unico altare sul quale si offre sotto i veli del Sacramento l’unico Sacrificio di Cristo! Vogliamo intensificare la preghiera perché si affretti il giorno benedetto in cui ci sarà dato di spezzare insieme il Pane e di bere insieme allo stesso Calice in cui è posto il prezzo della nostra salvezza. In tale contesto, auspico che si aprano sempre maggiori prospettive di un dialogo costruttivo tra la Chiesa Ortodossa di Grecia e la Chiesa cattolica e si moltiplichino le iniziative comuni di ordine spirituale, culturale e pratico. Mi è grato, altresì, indirizzare un pensiero beneaugurante a Sua Beatitudine l’Arcivescovo Christodoulos di Atene e di tutta la Grecia, chiedendo al Signore di sostenerne la lungimiranza e la prudenza nel compimento dell’impegnativo servizio affidatogli dal Signore. In lui intendo salutare con vivo affetto il Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa di Grecia e tutti i fedeli a cui essa amorevolmente serve con apostolica dedizione. Sono certo che voi, venerati Fratelli, offrirete la vostra efficace collaborazione al Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani e ai Membri del Collegio Episcopale della Chiesa Ortodossa di Grecia per favorire ulteriori progressi sulla strada della sospirata unità piena.

Nei colloqui avuti con voi ho pure raccolto i vostri desideri di vedere definito, da parte dello Stato, il diritto di avere uno statuto giuridico appropriato e riconosciuto. Sulla questione è in atto – come ben sapete - un dialogo che non vede come protagonista primaria la Sede Apostolica. Si tratta infatti di materia interna, alla quale tuttavia la Santa Sede è molto attenta, perché desiderosa di una adeguata soluzione dei problemi in gioco, in base non soltanto alla legislazione locale vigente e alle direttive europee, ma anche al diritto internazionale e alla prassi ormai consolidata di rapporti bilaterali cordiali e fruttuosi. Oltre al dialogo, occorre in tale campo la perseveranza. Non è necessario aggiungere che la Chiesa Cattolica non cerca alcun privilegio, ma chiede soltanto di veder riconosciuta la propria identità e missione, così da poter efficacemente recare il proprio contributo al benessere integrale del nobile Popolo greco, di cui voi siete parte integrante. Con pazienza e nel rispetto delle legittime procedure, sarà possibile giungere, grazie all’impegno di tutti, all’auspicata intesa.

Venerati Fratelli, con viva partecipazione ho appreso dalle vostre labbra del disagio di numerose comunità per gli spostamenti interni dei fedeli. Molti di loro si trovano in una situazione di dispersione nel territorio, con la conseguenza di gravi difficoltà nei rapporti con i rispettivi Pastori. Anche alla luce di questi fenomeni si rivela tutta l’importanza dell’unità affettiva ed effettiva di voi Vescovi, mediante un coordinamento interno sempre più efficace. L'analisi fatta insieme dei comuni problemi porta a soluzioni condivise e ad un percorso ecclesiale, in cui ciascuno è chiamato ad offrire il proprio apporto ai bisogni dell'altro, al fine di costruire insieme il Regno di Dio. Compito del ministro di Dio, infatti, è di fare quanto è nelle sue possibilità perché i doni dati da Dio a ciascuno giovino all'edificazione di tutti, rendendo così gloria all'unico Signore.

Carissimi, lo Spirito di Cristo vi ha posti nella Chiesa come Pastori e maestri. Non temete le difficoltà, ma in ogni cosa rendete grazie a Dio, cooperando con Lui per la salvezza delle anime. Siate certi che la Provvidenza non vi abbandonerà nei vostri sforzi. Tornati alle vostre rispettive sedi, recate il mio saluto cordiale ai vostri sacerdoti, ai religiosi e a tutti i fedeli, assicurandoli della mia fervente preghiera e del mio costante affetto. Mentre invoco su ciascuno la celeste intercessione di Maria, Regina degli Apostoli, imparto a voi ed a quanti sono affidati alle vostre sollecitudini pastorali una speciale Benedizione, auspicio delle abbondanti consolazioni del Signore.



AI MEMBRI DELLE ASSOCIAZIONI "PRO PETRI SEDE" ED "ETRENNES PONTIFICALES" Sala dei Papi Lunedì, 30 ottobre 2006

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Cari amici,

Vi accolgo con gioia, voi che siete venuti a Roma per manifestare, in particolare in questo momento, il vostro attaccamento alla Sede Apostolica.

Il senso della comunione ecclesiale che è in voi si esprime ogni anno con un gesto generoso di solidarietà, destinato a soccorrere i nostri fratelli più bisognosi. Già ai tempi degli Apostoli i membri della giovane comunità cristiana "tenevano ogni cosa in comune" (
Ac 2,44-45), e San Paolo si preoccupava di organizzare in ogni comunità che fondava il servizio della colletta a favore delle altre Chiese (cfr 1Co 16,1). Come ho già ricordato nell'Enciclica Deus caritas est, "la carità non è per la Chiesa una specie di attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza" (n. 25). E ho aggiunto: "La Chiesa è la famiglia di Dio nel mondo. In questa famiglia non deve esserci nessuno che soffra per mancanza del necessario" (Ibidem).

Voi conoscete i bisogni immensi della solidarietà, affinché i nostri fratelli siano rispettati nella loro dignità fondamentale, siano nutriti, ricevano un alloggio e un'educazione; ogni anno voi rispondete generosamente offrendo al Papa il frutto della vostra colletta. Siate vivamente ringraziati per questo a nome di tutte le comunità cristiane che i vostri doni contribuiranno ad aiutare, affinché esse siano sempre al servizio della missione, annunciando la Parola di Vita, offrendo i sacramenti della salvezza e mettendo in opera la carità di Cristo.

Affidando voi e le vostre famiglie all'intercessione benevola e materna della Madre di Dio, Nostra Signora del Rosario, vi imparto di tutto cuore una particolare Benedizione Apostolica, che estendo a tutti i membri delle vostre due associazioni e ai loro familiari.




VISITA DEL SANTO PADRE ALLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ GREGORIANA Venerdì, 3 novembre 2006

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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari Professori e cari studenti!

Sono lieto di incontrarmi oggi con voi. Un primo saluto va proprio a voi, studenti, che vedo numerosi in questo elegante ed austero quadriportico, ma che so essere presenti anche in diverse aule e in contatto con noi attraverso schermi e altoparlanti. Cari giovani, vi ringrazio per i sentimenti espressi dal vostro rappresentante e da voi stessi! In un certo senso l’Università è proprio vostra. Essa, fin dal lontano 1551, quando Sant’Ignazio di Loyola la fondò, esiste per voi, per gli studenti. Tutte le energie spese dai vostri Professori e Docenti, nell’insegnamento e nella ricerca, sono per voi. Per voi sono le preoccupazioni e gli sforzi quotidiani del Rettore Magnifico, dei Vice Rettori, dei Decani e dei Presidi. Voi di questo siete coscienti e sono certo che ne siete anche grati.

Uno speciale saluto va poi al Cardinale Zenon Grocholewski. In quanto Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, egli è il Gran Cancelliere di questa Università e rappresenta in essa il Romano Pontefice (cfr Statuta Universitatis, art. 6, § 2). Proprio per questo il mio predecessore Pio XI, di venerata memoria, dichiarava l’Università Gregoriana “plenissimo iure ac nomine” pontificia (cfr Lett. ap. Gregorianam studiorum, in AAS 24 [1932], 268). La storia stessa del Collegio Romano e dell’Università Gregoriana, sua erede, come ricordava il P. Rettore nel saluto che mi ha rivolto, è il fondamento di questo statuto del tutto particolare. Saluto il Rev. P. Peter-Hans Kolvenbach, S.J., che, come Preposito Generale della Compagnia di Gesù, è il Vice Gran Cancelliere dell’Università ed ha la cura più immediata di quest’opera, che non dubito di qualificare come uno dei più grandi servizi che la Compagnia di Gesù fa alla Chiesa universale.

Saluto i benefattori qui presenti. Il Freundeskreis der Gregoriana di Germania, la Gregorian University Foundation di New York, la Fondazione “La Gregoriana” di Roma, e altri gruppi di benefattori. Carissimi, vi sono grato per quanto generosamente fate per sostenere quest’opera che la Santa Sede ha affidato e continua ad affidare alla Compagnia di Gesù. Saluto i Padri gesuiti che qui svolgono il loro insegnamento con encomiabile spirito di abnegazione e austerità di vita; con essi saluto gli altri Professori, estendendo il mio pensiero anche ai Padri e ai Fratelli del Pontificio Istituto Biblico e del Pontificio Istituto Orientale, che, insieme alla Gregoriana, formano un consortium accademico (cfr Pio XI, M.p. Quod maxime, 30 settembre 1928) prestigioso per quanto attiene non solo l’insegnamento, ma anche il patrimonio librario delle tre biblioteche, fornite di fondi specializzati incomparabili. Saluto infine il personale non docente dell’Università, che ha voluto far sentire la propria voce attraverso quella del Segretario Generale, che ringrazio. Il personale non docente quotidianamente svolge un servizio nascosto, ma molto importante per la missione che la Gregoriana è chiamata ad adempiere per mandato della Santa Sede. A ciascuno di loro va il mio cordiale incoraggiamento.

Con gioia mi trovo in questo quadriportico, che ho attraversato in varie occasioni. Mi ricordo particolarmente della difesa della tesi del Padre Lohfink durante il Concilio, alla presenza di molti Cardinali e anche di poveri Periti come me. Mi è caro ricordare in modo particolare il tempo in cui, essendo professore Ordinario di Dogmatica e di Storia del Dogma presso l’Università di Regensburg, fui invitato nel 1972 dall’allora Rettore Hervé Carrier S.J. a tenere un corso agli studenti del II Ciclo della specializzazione di Teologia Dogmatica. Ho tenuto un corso sulla Santissima Eucaristia. Con la familiarità di allora, dico a voi, cari Professori e studenti, che la fatica dello studio e dell’insegnamento, per avere senso in relazione al Regno di Dio, deve essere sostenuta dalle virtù teologali. Infatti, l’oggetto immediato della scienza teologica, nelle sue diverse specificazioni, è Dio stesso, rivelatosi in Gesù Cristo, Dio con un volto umano. Anche quando, come nel Diritto canonico e nella Storia della Chiesa, l’oggetto immediato è il Popolo di Dio nella sua dimensione visibile e storica, l’analisi approfondita della materia risospinge alla contemplazione, nella fede, del mistero di Cristo risorto. E’ Lui che, presente nella sua Chiesa, la conduce tra gli eventi del tempo verso la pienezza escatologica, un traguardo verso cui camminiamo sostenuti dalla speranza. Non basta, però, conoscere Dio; per poterlo realmente incontrare, lo si deve anche amare. La conoscenza deve divenire amore. Lo studio della Teologia, del Diritto canonico e della Storia della Chiesa non è solo conoscenza delle proposizioni della fede nella loro formulazione storica e nella loro applicazione pratica, ma è anche sempre intelligenza di esse nella fede, nella speranza e nella carità. Solo lo Spirito scruta le profondità di Dio (cfr
1Co 2,10), quindi solo nell’ascolto dello Spirito si può scrutare la profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio (cfr Rm 11,33). Lo Spirito si ascolta nella preghiera, quando il cuore si apre alla contemplazione del mistero di Dio, che ci si è rivelato nel Figlio Gesù Cristo, immagine del Dio invisibile (cfr Col 1,15), costituito Capo della Chiesa e Signore di tutte le cose (cfr Ep 1,10 Col 1,18).

L’Università Gregoriana, fin dalle sue origini con il Collegio Romano, si è distinta per lo studio della filosofia e della teologia. Sarebbe troppo lungo enumerare i nomi degli insigni filosofi e teologi che si sono succeduti sulle cattedre di questo Centro accademico; ad essi dovremmo aggiungere anche quelli di famosi canonisti e di storici della Chiesa, che hanno speso le loro energie fra queste mura prestigiose. Tutti hanno contribuito grandemente al progredire delle scienze da loro coltivate e quindi hanno offerto un prezioso servizio alla Sede Apostolica nell’espletamento della sua funzione dottrinale, disciplinare e pastorale. Con l’evolversi dei tempi necessariamente mutano le prospettive. Oggi non si può non tener conto del confronto con la cultura secolare, che in molte parti del mondo tende sempre più non solo a negare ogni segno della presenza di Dio nella vita della società e del singolo, ma con vari mezzi, che disorientano e offuscano la retta coscienza dell’uomo, cerca di corrodere la sua capacità di mettersi in ascolto di Dio. Non si può prescindere, poi, dal rapporto con le altre religioni, che si rivela costruttivo solo se evita ogni ambiguità che in qualche modo indebolisca il contenuto essenziale della fede cristiana in Cristo unico Salvatore di tutti gli uomini (cfr Ac 4,12) e nella Chiesa sacramento necessario di salvezza per tutta l’umanità (cfr Dich. Dominus Iesus, nn. 13-15; 20-22: AAS 92 [2000], 742-765).

Non posso in questo momento dimenticare le altre scienze umane che in questa insigne Università vengono coltivate, sulla scia della gloriosa tradizione accademica del Collegio Romano. Quale grande prestigio abbia assunto il Collegio Romano nel campo della matematica, della fisica, dell’astronomia, è a tutti noto. Basti ricordare che il calendario, cosiddetto “Gregoriano”, perché voluto dal mio predecessore Gregorio XIII, attualmente in uso in tutto il mondo, fu elaborato nel 1582 dal P. Cristoforo Clavio, professore del Collegio Romano. Basti anche fare menzione del P. Matteo Ricci, che portò fin nella lontana Cina, insieme alla sua testimonianza di fede, il sapere acquisito come discepolo del P. Clavio. Oggi queste discipline non vengono più coltivate nella Gregoriana, ma sono subentrate altre scienze umane, quali la psicologia, le scienze sociali, la comunicazione sociale. Con esse vuole essere più profondamente compreso l’uomo sia nella sua dimensione personale profonda, che nella sua dimensione esterna di costruttore della società, nella giustizia e nella pace, e di comunicatore della verità. Proprio perché tali scienze riguardano l’uomo non possono prescindere dal riferimento a Dio. Infatti, l’uomo, sia nella sua interiorità che nella sua esteriorità, non può essere pienamente compreso se non lo si riconosce aperto alla trascendenza.

Privo del suo riferimento a Dio, l’uomo non può rispondere alle domande fondamentali che agitano e agiteranno sempre il suo cuore riguardo al fine e quindi al senso della sua esistenza. Conseguentemente neppure è possibile immettere nella società quei valori etici che soli possono garantire una convivenza degna dell’uomo. Il destino dell’uomo senza il suo riferimento a Dio non può che essere la desolazione dell'angoscia che conduce alla disperazione. Solo in riferimento al Dio-Amore, che si è rivelato in Gesù Cristo, l’uomo può trovare il senso della sua esistenza e vivere nella speranza, pur nell’esperienza dei mali che feriscono la sua esistenza personale e la società in cui vive. La speranza fa sì che l’uomo non si chiuda in un nichilismo paralizzante e sterile, ma si apra all’impegno generoso nella società in cui vive per poterla migliorare. È il compito che Dio ha affidato all’uomo nel crearlo a sua immagine e somiglianza, un compito che riempie ogni uomo della più grande dignità, ma anche di un’immensa responsabilità.

E’ in questa prospettiva che voi, Professori e Docenti della Gregoriana, siete chiamati a formare gli studenti che la Chiesa vi affida. La formazione integrale dei giovani è uno degli apostolati tradizionali della Compagnia di Gesù fin dalle sue origini; per questo è una missione di cui fin dall’inizio il Collegio Romano si è fatto carico. L’affidamento alla Compagnia di Gesù, a Roma presso la Sede Apostolica, del Collegio Germanico, del Seminario Romano, del Collegio Ungarico, unito al Germanico, del Collegio Inglese, del Collegio Greco, del Collegio Scozzese e del Collegio Irlandese, aveva l’intento di assicurare una formazione del clero di quelle nazioni, dove era infranta l’unità della fede e la comunione con la Sede Apostolica. Tuttora questi Collegi inviano, o quasi esclusivamente o in buon numero, i loro alunni all’Università Gregoriana, in continuità con quella missione originaria. A tali Collegi menzionati lungo la storia se ne sono aggiunti molti altri. Quanto mai impegnativo è dunque il compito che grava sulle vostre spalle, cari Professori e Docenti! Opportunamente quindi, dopo profonda riflessione avete redatto una “Dichiarazione d’Intenti”, essenziale per un’istituzione come la vostra, perché indica sinteticamente la sua natura e missione. Sulla sua base state portando a termine il rinnovamento degli Statuti dell’Università e dei Regolamenti Generali, come anche degli Statuti e dei Regolamenti delle diverse Facoltà, Istituti e Centri. Questo contribuirà a meglio definire l’identità della Gregoriana, consentendo la redazione di programmi accademici più adeguati all’adempimento della missione che le è propria. Una missione facile e difficile insieme. Facile, perché l’identità e la missione della Gregoriana sono chiare fin dalle sue prime origini, sulla base delle indicazioni ribadite da tanti Romani Pontefici, tra i quali ben sedici furono alunni di questa Università. Missione al tempo stesso difficile, perché suppone costante fedeltà alla propria storia e tradizione, per non perdere le proprie radici storiche, e insieme apertura alla realtà attuale per rispondere, dopo un attento discernimento, con spirito creativo alle necessità della Chiesa e del mondo di oggi.

Come Università ecclesiastica pontificia, questo Centro accademico è impegnato a sentire in Ecclesia et cum Ecclesia. E’ un impegno che nasce dall’amore per la Chiesa, nostra Madre e Sposa di Cristo. Noi dobbiamo amarla come Cristo stesso l’ha amata, assumendo su di noi le sofferenze del mondo e della Chiesa per completare quello che manca ai patimenti di Cristo nella nostra carne (cfr Col 1,24). E’ così che si possono formare le nuove generazioni di sacerdoti, di religiosi, di laici impegnati. E’ doveroso infatti domandarsi a che tipo di sacerdote si vuole formare gli studenti, a che tipo di religioso o di religiosa, di laico o di laica. Certamente è vostro intento, cari Professori e Docenti, formare sacerdoti dotti, ma pronti al tempo stesso a consumare la loro vita nel servire con cuore indiviso, nell’umiltà e nell’austerità della vita, tutti coloro che il Signore affiderà al loro ministero. Così intendete offrire una formazione intellettuale solida a religiosi e religiose, affinché sappiano vivere nella gioia la consacrazione di cui Dio ha fatto loro dono, e proporsi come segno escatologico di quella vita futura a cui tutti siamo chiamati. Ugualmente, voi volete preparare laici e laiche, che con competenza sappiano svolgere servizi e uffici nella Chiesa e, innanzitutto, essere fermento del Regno di Dio nella sfera del temporale. In questa prospettiva, proprio quest’anno l’Università ha dato inizio ad un programma interdisciplinare per formare i laici a vivere la loro vocazione specificamente ecclesiale di impegno etico nella sfera pubblica.

La formazione, tuttavia, è anche vostra responsabilità, cari studenti. Lo studio certamente richiede costante ascesi e abnegazione. Ma proprio per questa strada la persona si forma al sacrificio e al senso del dovere. Infatti ciò che apprendete oggi è ciò che voi domani comunicherete, quando vi sarà affidato dalla Chiesa il ministero sacro o altri servizi ed uffici a vantaggio della comunità. Ciò che in ogni circostanza potrà dare gioia al vostro cuore sarà la consapevolezza di aver sempre coltivato la rettitudine di intenzione, grazie alla quale si ha la certezza di aver cercato e fatto solo la volontà di Dio. Ovviamente, tutto questo richiede purificazione del cuore e discernimento.

Cari figli di Sant’Ignazio, ancora una volta il Papa vi affida questa Università, opera così importante per la Chiesa universale e per tante Chiese particolari. Essa costituisce da sempre una priorità tra le priorità degli apostolati della Compagnia di Gesù. È nell’ambiente universitario di Parigi che Sant’Ignazio di Loyola e i suoi primi compagni maturarono il desiderio ardente di aiutare le anime amando e servendo Dio in tutto, a sua maggior gloria. Spinto dall’interiore mozione dello Spirito, Sant’Ignazio venne a Roma, centro della Cristianità, sede del Successore di Pietro, e qui fondò il Collegio Romano, prima Università della Compagnia di Gesù. L’Università Gregoriana è oggi l’ambiente universitario nel quale si realizza in modo pieno ed evidente, ancora a distanza di 456 anni, il desiderio di Sant’Ignazio e dei suoi primi compagni di aiutare le anime ad amare e servire Dio in tutto, a sua maggior gloria. Direi che qui, tra queste mura, si realizza quanto il Papa Giulio III il 21 luglio 1550 fissava nella “formula Istituti”, stabilendo che ogni membro della Compagnia di Gesù è tenuto a “sub crucis vexillo Deo militare, et soli Domino ac Ecclesiae Ipsius sponsae, sub Romano Pontifice, Christi in terris Vicario, servire”, impegnandosi “potissimum… ad fidei defensionem et propagationem, et profectum animarum in vita et doctrina christiana, per publicas praedicationes, lectiones et aliud quodcumque verbi Dei ministerium…” (Lett. ap. Exposcit debitum, 1). Questa specificità carismatica della Compagnia di Gesù, espressa istituzionalmente nel quarto voto di disponibilità totale al Romano Pontefice in qualsiasi cosa Egli voglia comandare “ad profectum animarum et fidei propagationem” (ibid., n. 3), trova attuazione anche nel fatto che il Preposito Generale della Compagnia di Gesù chiama da tutto il mondo i Gesuiti più adatti perché svolgano il compito di Professori in questa Università. La Chiesa, consapevole com’è che questo può comportare il sacrificio di altre opere e servizi, pure validi per i fini che la Compagnia si propone di raggiungere, è ad essa sinceramente grata e desidera che la Gregoriana conservi lo spirito ignaziano che la anima, espresso nel suo metodo pedagogico e nell’impostazione degli studi.

Carissimi, con affetto di Padre affido tutti voi, che siete le componenti vive dell’Università Gregoriana - Professori e Docenti, studenti, personale non docente, benefattori e amici - all’intercessione di Sant’Ignazio di Loyola, di San Roberto Bellarmino e della Beata Vergine Maria, Regina della Compagnia di Gesù, che nello stemma dell’Università è indicata col titolo di Sedes Sapientiae. Con questi sentimenti a tutti imparto, propiziatrice di copiosi favori celesti, l’Apostolica Benedizione.





AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA DELLE SCIENZE Sala Clementina Lunedì, 6 novembre 2006

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Eccellenze,
Distinti Signore e Signori,

Sono lieto di salutare i membri della Pontificia Accademia delle Scienze in occasione di questa Assemblea Plenaria, e ringrazio il Professor Nicola Cabibbo per le gentili parole di saluto che mi ha rivolto a nome vostro. Il tema del vostro incontro - "La prevedibilità nella scienza: accuratezza e limiti" - riguarda una caratteristica distintiva della scienza moderna. La prevedibilità, in effetti, è una delle ragioni principali del prestigio di cui gode la scienza nella società contemporanea. L'istituzione del metodo scientifico ha dato alle scienze la capacità di prevedere i fenomeni, di studiarne lo sviluppo e, quindi, di controllare l'ambiente in cui l'uomo vive.

La crescente "avanzata" della scienza, e specialmente la sua capacità di controllare la natura attraverso la tecnologia, talvolta è stata collegata a una corrispondente "ritirata" della filosofia, della religione e perfino della fede cristiana. In effetti, alcuni hanno visto nel progresso della scienza e della tecnologia moderna una delle principali cause della secolarizzazione e del materialismo: perché invocare il controllo di Dio su questi fenomeni quando la scienza si è dimostrata capace di fare lo stesso? Certamente la Chiesa riconosce che l'uomo "coll'aiuto della scienza e della tecnica, ha dilatato e continuamente dilata il suo dominio su quasi tutta intera la natura" e che pertanto "molti beni, che un tempo l'uomo si aspettava dalle forze superiori, oggi ormai se li procura con la sua iniziativa e con le sue forze" (Gaudium et spes
GS 33). Al contempo, il cristianesimo non presuppone un conflitto inevitabile tra la fede soprannaturale e il progresso scientifico. Il punto di partenza stesso della rivelazione biblica è l'affermazione che Dio ha creato gli esseri umani, dotati di ragione, e li ha posti al di sopra di tutte le creature della terra. In questo modo l'uomo è diventato colui che amministra la creazione e l'"aiutante" di Dio. Se pensiamo, per esempio, a come la scienza moderna, prevedendo i fenomeni naturali, ha contribuito alla protezione dell'ambiente, al progresso dei Paesi in via di sviluppo, alla lotta contro le epidemie e all'aumento della speranza di vita, appare evidente che non vi è conflitto tra la Provvidenza di Dio e l'impresa umana. In effetti, potremmo dire che il lavoro di prevedere, controllare e governare la natura, che la scienza oggi rende più attuabile rispetto al passato, è di per se stesso parte del piano del Creatore.

La scienza, tuttavia, pur donando generosamente, dà solo ciò che deve donare. L'uomo non può riporre nella scienza e nella tecnologia una fiducia talmente radicale e incondizionata da credere che il progresso scientifico e tecnologico possa spiegare qualsiasi cosa e rispondere pienamente a tutti i suoi bisogni esistenziali e spirituali. La scienza non può sostituire la filosofia e la rivelazione rispondendo in mondo esaustivo alle domande più radicali dell'uomo: domande sul significato della vita e della morte, sui valori ultimi, e sulla stessa natura del progresso. Per questa ragione, il Concilio Vaticano II, dopo aver riconosciuto i benefici ottenuti dai progressi scientifici, ha sottolineato che "il metodo di investigazione (...) viene innalzato a torto a norma suprema di ricerca della verità totale", aggiungendo che "vi è il pericolo che l'uomo, troppo fidandosi delle odierne scoperte, pensi di bastare a se stesso e più non cerchi cose più alte" (Ibidem, n. 57).

La prevedibilità scientifica solleva anche la questione delle responsabilità etiche dello scienziato. Le sue conclusioni devono essere guidate dal rispetto della verità e dall'onesto riconoscimento sia dell'accuratezza sia degli inevitabili limiti del metodo scientifico. Certamente ciò significa evitare le previsioni inutilmente allarmanti quando queste non sono sostenute da dati sufficienti o vanno oltre le capacità effettive di previsione della scienza. Significa però anche evitare il contrario, vale a dire il silenzio, nato dalla paura, dinanzi ai problemi autentici. L'influenza degli scienziati nel formare l'opinione pubblica sulla base della loro conoscenza è troppo importante per essere minata da una fretta inopportuna o dalla ricerca di una pubblicità superficiale. Come il mio predecessore Papa Giovanni Paolo II una volta ha osservato: "Gli scienziati, quindi, proprio perché "sanno di più", sono chiamati a "servire di più". Poiché la libertà di cui godono nella ricerca dà loro accesso al sapere specializzato, hanno la responsabilità di utilizzare quest'ultimo saggiamente per il bene di tutta la famiglia umana" (Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 11 novembre 2002).

Cari Accademici, il nostro mondo continua a guardare a voi e ai vostri colleghi per una chiara comprensione delle possibili conseguenze di molti importanti fenomeni naturali. Penso, per esempio, alle continue minacce all'ambiente che colpiscono intere popolazioni, e al bisogno urgente di scoprire fonti energetiche alternative, sicure, accessibili a tutti. Gli scienziati troveranno il sostegno della Chiesa nei loro sforzi per affrontare simili questioni, poiché la Chiesa ha ricevuto dal suo divino Fondatore il compito di guidare la coscienza delle persone verso il bene, la solidarietà e la pace. Proprio per questa ragione considera suo dovere insistere sul fatto che la capacità della scienza di prevedere e controllare non venga mai utilizzata contro la vita umana e la sua dignità, ma che sia sempre messa al suo servizio, al servizio della generazione presente e di quelle future.

Vi è un'ultima riflessione che il tema della vostra Assemblea ci può suggerire oggi. Come hanno evidenziato alcune delle relazioni presentate negli ultimi giorni, il metodo scientifico stesso, nel suo raccogliere dati, nell'elaborarli e nell'utilizzarli nelle sue proiezioni, ha dei limiti insiti che necessariamente restringono la prevedibilità scientifica a contesti ed approcci specifici. La scienza, pertanto, non può pretendere di fornire una rappresentazione completa, deterministica, del nostro futuro e dello sviluppo di ogni fenomeno da essa studiato. La filosofia e la teologia potrebbero dare un importante contributo a questa questione fondamentalmente epistemologica, per esempio aiutando le scienze empiriche a riconoscere la differenza tra l'incapacità matematica di prevedere determinati eventi e la validità del principio di causalità, o tra l'indeterminismo o la contingenza (casualità) scientifici e la causalità a livello filosofico o, più radicalmente, tra l'evoluzione come origine ultima di una successione nello spazio e nel tempo e la creazione come prima origine dell'essere partecipato nell'Essere essenziale.

Al contempo, vi è un livello più alto che necessariamente trascende le previsioni scientifiche, ossia il mondo umano della libertà e della storia. Mentre il cosmo fisico può avere un proprio sviluppo spaziale-temporale, solo l'umanità, in senso stretto, ha una storia, la storia della sua libertà. La libertà, come la ragione, è una parte preziosa dell'immagine di Dio dentro di noi e non può essere ridotta a un'analisi deterministica. La sua trascendenza rispetto al mondo materiale deve essere riconosciuta e rispettata, poiché è un segno della nostra dignità umana. Negare questa trascendenza in nome di una supposta capacità assoluta del metodo scientifico di prevedere e condizionare il mondo umano comporterebbe la perdita di ciò che è umano nell'uomo e, non riconoscendo la sua unicità e la sua trascendenza, potrebbe aprire pericolosamente la porta al suo sfruttamento.

Cari amici, mentre concludo queste riflessioni, ancora una volta vi assicuro del mio profondo interesse per le attività di questa Pontificia Accademia e delle mie preghiere per voi e per le vostre famiglie. Su tutti voi invoco le benedizioni della sapienza, della gioia e della pace di Dio Onnipotente.






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