Discorsi 2005-13 10116

AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Venerdì, 10 novembre 2006

10116

Signori Cardinali!
Cari Fratelli nell’Episcopato!

Benvenuti nella casa del Successore di Pietro! Nella gioia della fede, il cui annuncio è il nostro servizio comune di Pastori, vi porgo il benvenuto a questo incontro con il primo gruppo di Vescovi tedeschi in occasione della visita ad limina.Dopo le mie visite in Germania per la Giornata Mondiale della Gioventù nel 2005 e, più recentemente, a settembre, visite durante le quali ho potuto, almeno brevemente, incontrare molti di voi, sono lieto di accogliervi qui per gettare insieme uno sguardo sulla situazione della Chiesa nel nostro Paese. Certamente non occorre che lo dica espressamente: i cattolici nelle Diocesi tedesche e in generale tutti i cristiani nel nostro Paese mi stanno a cuore. Prego ogni giorno perché Dio benedica il popolo tedesco e tutte le persone che vivono nella nostra Patria. Possa il grande amore di Dio toccare e trasformare i cuori di tutti! Sono grato di potere, attraverso il dialogo con ciascuno di voi, non soltanto approfondire la nostra amicizia e il nostro legame personale, ma anche apprendere molto sulla situazione nelle vostre Diocesi. Nei due discorsi, con cui concludiamo gli incontri personali, vorrei evidenziare alcuni aspetti della vita ecclesiale che, in questo momento della nostra storia, mi stanno particolarmente a cuore.

La Repubblica Federale di Germania condivide con tutto il mondo occidentale una cultura caratterizzata dalla secolarizzazione, in cui Dio scompare sempre più dalla coscienza pubblica, in cui l’unicità della figura di Cristo sbiadisce e in cui i valori formati dalla tradizione della Chiesa perdono sempre più la loro efficacia. Così, anche per il singolo la fede diventa sempre più difficile; sempre più i progetti di vita e il modo di vivere vengono determinati secondo il gusto personale. E’ questa la situazione che devono affrontare sia i Pastori della Chiesa sia i fedeli. Non pochi, pertanto, si sono fatti prendere dallo scoraggiamento e dalla rassegnazione, atteggiamenti che ostacolano la testimonianza del Vangelo liberatore e salvifico di Cristo. Non è forse in fondo anche il cristianesimo solo una tra tante altre proposte volte a dare un senso alla vita? È una domanda che parecchi si pongono. Al contempo, però, dinanzi alla fragilità e alla breve durata della maggior parte di tali proposte, molti guardano, domandando e sperando, al messaggio cristiano e si aspettano da noi risposte convincenti.

Ritengo che la Chiesa in Germania debba considerare la situazione appena accennata come una sfida provvidenziale e affrontarla con coraggio. Noi cristiani non dobbiamo temere il confronto spirituale con una società che dietro la sua ostentata superiorità intellettuale nasconde la perplessità dinanzi alle domande esistenziali ultime. Le risposte che la Chiesa trae dal Vangelo del Logos fatto uomo in verità si sono dimostrate valide nei confronti con il pensiero degli ultimi due millenni; hanno una valenza duratura. Rafforzati da questa consapevolezza, possiamo dare conto a tutti coloro che ci chiedono ragione della speranza che è in noi (cfr.
1P 3,15). Questo vale anche per i nostri rapporti con i fedeli delle altre religioni, soprattutto con i molti musulmani che vivono in Germania, e ai quali andiamo incontro con rispetto e benevolenza. Proprio loro, che osservano le loro convinzioni e i loro riti religiosi spesso con grande serietà, hanno diritto di ricevere la nostra testimonianza umile e salda in favore di Gesù Cristo. Per poterla dare con una forza persuasiva, occorre però un impegno serio. Per questo, nei luoghi in cui la popolazione musulmana è numerosa, dovrebbero essere disponibili degli interlocutori cattolici con conoscenze adeguate sia linguistiche sia della storia delle religioni, che li rendano capaci di dialogare con i musulmani. Questo dialogo, però, presuppone innanzitutto una solida conoscenza della propria fede cattolica.

Con questo è toccato un altro tema molto centrale: quello dell’insegnamento della religione, delle scuole cattoliche e della formazione cattolica degli adulti. Questo ambito esige una nuova e particolare attenzione da parte dei Vescovi. Innanzitutto occorre preoccuparsi dei programmi di studio per l’insegnamento della religione, che devono essere ispirati al Catechismo della Chiesa Cattolica, affinché nel corso degli studi venga trasmessa la totalità della fede e delle consuetudini della Chiesa. In passato, non di rado il contenuto della catechesi veniva posto in secondo piano rispetto ai metodi didattici. La presentazione integrale e comprensibile dei contenuti della fede è un aspetto decisivo per l’approvazione dei libri di testo per l’insegnamento della religione. Non meno importante è anche la fedeltà degli insegnanti alla fede della Chiesa e la loro partecipazione alla vita liturgica e pastorale delle parrocchie o delle comunità ecclesiali nel cui territorio svolgono il loro lavoro. Nelle scuole cattoliche, inoltre, è importante che l’introduzione alla visione cattolica del mondo e alla pratica della fede, come pure l'integrale formazione cattolica della personalità, siano trasmesse in modo convincente non soltanto durante l’ora di religione, bensì durante tutta la giornata scolastica – non da ultimo attraverso la testimonianza personale degli insegnanti. Altrettanta importanza va data alle molteplici istituzioni e attività nell’ambito della formazione degli adulti. Occorre qui rivolgere una particolare attenzione alla scelta dei temi e dei formatori affinché, in favore di questioni superficialmente attuali o problemi marginali, non vengano trascurati i contenuti centrali della fede e dell'impostazione cristiana della vita.

La trasmissione completa e fedele della fede nella scuola e nella formazione degli adulti dipende, a sua volta, in modo determinante dalla formazione dei candidati al sacerdozio e degli insegnanti di religione nelle Facoltà teologiche e nelle università.Non si sottolineerà mai abbastanza che la fedeltà al Depositum fidei, così come viene presentato dal magistero della Chiesa, è per eccellenza il presupposto per una seria ricerca e un insegnamento serio. Questa fedeltà è anche un’esigenza dell’onestà intellettuale per chiunque svolge un compito di insegnamento accademico su incarico della Chiesa. I Vescovi hanno qui il dovere di dare il loro “nihil obstat” da Responsabili di vertice solo dopo un esame coscienzioso. Solo una Facoltà teologica che si sente obbligata a rispettare questo principio potrà essere in grado di dare un contributo autentico allo scambio spirituale all'interno delle università.

Consentitemi, venerati Confratelli, di parlare anche della formazione nei Seminari maggiori. Al riguardo, il Concilio Vaticano II, nel suo decreto Optatam totius, ha stabilito norme importanti che, purtroppo, non sono ancora state pienamente attuate. Ciò vale in particolare per l’istituzione del cosiddetto corso introduttivo prima dell’inizio degli studi veri e propri. Questo non dovrebbe soltanto trasmettere una solida conoscenza delle lingue classiche, che occorre espressamente esigere per lo studio della filosofia e della teologia, ma anche la familiarità con il catechismo, con la pratica religiosa, liturgica e sacramentale della Chiesa. Dinanzi al crescente numero di persone interessate e di candidati che non provengono più da una formazione cattolica tradizionale, un tale anno introduttivo è urgentemente necessario. Inoltre, durante questo anno lo studente può raggiungere una chiarezza maggiore sulla sua vocazione al sacerdozio. D’altro canto, le persone responsabili della formazione sacerdotale hanno la possibilità di farsi un’idea del candidato, della sua maturità umana e della sua vita di fede. I cosiddetti giochi delle parti con una dinamica di gruppo, i gruppi di autocoscienza ed altri esperimenti psicologici sono invece meno adatti allo scopo e possono creare piuttosto confusione ed incertezza.

In questo contesto più ampio, desidero raccomandare a voi, cari Fratelli nell’Episcopato, in modo particolare l’Università cattolica di Eichstätt-Ingolstadt. Con essa, la Germania cattolica dispone di un luogo eccellente per un confronto ad alto livello accademico e alla luce della fede cattolica con le correnti spirituali e i problemi, e per la formazione di un’elite spirituale che possa affrontare le sfide del presente e del futuro nello spirito del Vangelo. Il consolidamento economico dell’unica Università cattolica in Germania dovrebbe essere riconosciuto come impegno comune di tutte le Diocesi tedesche, poiché in futuro gli oneri ad essa collegati non potranno più essere sostenuti soltanto dalle Diocesi bavaresi che, tuttavia, continuano ad avere una particolare responsabilità per questa Università.

Infine vorrei soffermarmi ancora su un problema tanto urgente quanto carico di emotività: il rapporto tra sacerdoti e laici nell’adempimento della missione della Chiesa. Quanto sia importante la collaborazione attiva dei laici per la vita della Chiesa, lo scopriamo sempre di più nella nostra cultura secolare. Desidero ringraziare di cuore tutti i laici che, in virtù della forza del battesimo, sostengono in modo vivo la Chiesa. Proprio perché la testimonianza attiva dei laici è tanto importante, è altrettanto importante che i profili specifici delle diverse missioni non vengano confusi. L'omelia durante la Santa Messa è un compito legato al ministero ordinato; quando è presente un numero sufficiente di sacerdoti e di diaconi, spetta a loro la distribuzione della Santa Comunione. Inoltre, continua ad essere avanzata la richiesta perché i laici possano svolgere delle funzioni di guida pastorale. A tale riguardo, non possiamo discutere le questioni che vi sono connesse solo alla luce della convenienza pastorale, poiché qui si tratta di verità della fede, vale a dire della struttura sacramentale-gerachica voluta da Gesù Cristo per la sua Chiesa. Poiché questa si fonda sulla Sua volontà come anche la delega apostolica poggia sul Suo mandato, esse sono sottratte all’intervento umano. Solo il sacramento dell’Ordinazione autorizza chi lo riceve a parlare e ad agire in persona Christi. E’ questo, cari Confratelli, che bisogna inculcare sempre di nuovo con grande pazienza e sapienza, traendone poi le necessarie conseguenze.

Cari Confratelli nell’Episcopato! La Chiesa in Germania possiede profonde radici spirituali e mezzi eccezionali per la promozione della fede e per il sostegno delle persone bisognose nel Paese stesso come all’estero. Il numero dei fedeli impegnati e anche la qualità del loro operare per il bene della Chiesa e della società sono davvero notevoli. Alla realizzazione della missione della Chiesa serve anche la collaborazione generalmente buona tra lo Stato e la Chiesa per il bene delle persone in Germania. Per poter affrontare in modo adeguato le sfide dovute al persistente processo di secolarizzazione, di cui si è parlato all’inizio, la Chiesa in Germania deve soprattutto rendere nuovamente visibili la forza e la bellezza della fede cattolica: per poterlo fare, deve crescere nella comunione con Cristo. L’unità dei Vescovi, del clero e dei laici tra di loro e anche con la Chiesa universale, specialmente con il Successore di Pietro, è in questo di fondamentale importanza. La potente intercessione di Maria, Vergine e Madre di Dio, che nella nostra Patria tedesca possiede molti santuari meravigliosi, come anche l’intercessione di san Bonifacio e di tutti i santi del nostro Paese, possano ottenere per voi e per tutti i fedeli la forza e la perseveranza per proseguire con coraggio e fiducia la grande opera di un rinnovamento autentico della vita di fede in fedele adesione alle indicazioni della Chiesa universale! A voi tutti, nei compiti del vostro servizio di Pastori, come a tutti i fedeli in Germania imparto di cuore la Benedizione Apostolica.



ALLA "FONDAZIONE SACRA FAMIGLIA DI NAZARETH" E ALL’ASSOCIAZIONE LAICALE "COMUNITÀ DOMENICO TARDINI" Aula Paolo VI Sabato, 11 novembre 2006

11116

Signor Cardinale,
venerati Fratelli nell’Episcopato,
cari fratelli e sorelle!

Con gioia sono oggi in mezzo a voi per celebrare i sessant’anni della originale Istituzione, nata dalla sapiente intuizione dell’allora Mons. Domenico Tardini, in seguito guidata dal compianto Cardinal Antonio Samorè, e dal nostro Cardinale Silvestrini con il contributo di amici del mondo della scuola, della cultura e del lavoro, e di benefattori sia italiani sia americani. Saluto con affetto tutti voi studenti, ex-alunni, amici e tutte le vostre famiglie e vi ringrazio per la calorosa accoglienza. Saluto, in particolare, il Cardinale Achille Silvestrini, Presidente della "Fondazione Sacra Famiglia di Nazareth", e gli sono riconoscente per le parole con cui mi ha presentato quest’opera educativa ed ecclesiale a cui dedica tanta intelligenza ed amore. Saluto la Vicepresidente, Prof.ssa Angela Groppelli, psicologa, che da oltre cinquant’anni si prodiga per Villa Nazareth, e l’Arcivescovo Claudio Maria Celli con i Vescovi e i sacerdoti che vi hanno profuso o vi profondono i doni della vita spirituale, i membri del Consiglio della Fondazione e dell’Associazione laicale "Comunità Domenico Tardini" con il Vicepresidente Pier Silverio Pozzi e tutti gli associati. Villa Nazareth è una realtà ricca che continua a svilupparsi grazie all’impegno degli studenti nel periodo di formazione, e poi all’inserimento professionale e alle nuove famiglie che nascono. E’ questa grande famiglia che desidero salutare tutta intera con particolare, paterno affetto.

Villa Nazareth, che ha accolto nei trascorsi sessant’anni diverse generazioni di fanciulli e giovani, si propone di valorizzare l'intelligenza dei suoi alunni nel rispetto della libertà della persona, orientata a vedere nel servizio degli altri l’autentica espressione dell'amore cristiano. Villa Nazareth vuole formare i suoi giovani al coraggio delle decisioni, in un atteggiamento di apertura al dialogo, con riferimento alla ragione purificata nel crogiuolo della fede. La fede infatti è in grado di offrire prospettive di speranza ad ogni progetto che abbia a cuore il destino dell'uomo. La fede scruta l’invisibile ed è perciò amica della ragione che si pone gli interrogativi essenziali da cui attende senso il nostro cammino quaggiù.

Può essere illuminante, a questo riguardo, la domanda che, secondo il racconto di Luca negli Atti degli Apostoli, il diacono Filippo pone all’Etiope incontrato sulla strada da Gerusalemme a Gaza: "Capisci quello che stai leggendo?" (
Ac 8,30). L’Etiope risponde: "E come lo potrei se nessuno mi istruisce?" (Ac 8,31). Filippo allora gli parla di Cristo. L’Etiope scopre così la risposta ai propri interrogativi nella persona di Cristo annunciato con parole velate dal profeta Isaia. È dunque importante che qualcuno arrivi accanto a chi è in cammino e gli annunci "la buona novella di Gesù", come fece Filippo. E’ qui adombrata la "diaconia" che la cultura cristiana può svolgere nell’aiutare le persone in ricerca a scoprire Colui che è nascosto nelle pagine della Bibbia come nelle vicende della vita di ciascuno. Ma non si deve dimenticare che il Signore si dice sfamato, dissetato, ospitato, vestito, visitato in ogni persona bisognosa (cfr Mt 25,31-46). Egli dunque è pure "nascosto" in tali persone ed eventi. So che su questi ed altri simili testi della Bibbia voi, cari amici, siete soliti riflettere. Sono parole che vi accompagnano nelle vostre giornate. Unendo tra loro queste immagini e questi ammonimenti voi potete comprendere chiaramente quanto siano inscindibili la verità e l’amore. Nessuna cultura può essere contenta di se stessa finché non scopre che deve farsi attenta alle necessità reali e profonde dell’uomo, di ogni uomo.

A Villa Nazareth, vi è dato di sperimentare come la parola di Dio richieda un ascolto attento ed un cuore generoso e maturo per essere vissuta in pienezza. I contenuti della rivelazione di Gesù sono concreti ed un intellettuale cristianamente ispirato deve sempre essere pronto a comunicarli quando dialoga con coloro che sono alla ricerca di soluzioni capaci di migliorare l'esistenza e di rispondere all'inquietudine che assilla ogni cuore umano. Occorre mostrare soprattutto la corrispondenza profonda che esiste tra le istanze che emergono dalla riflessione sulle vicende umane e il Logos divino che "si è fatto carne" ed è venuto "ad abitare in mezzo a noi" (cfr Jn 1,14). Si crea così una convergenza feconda tra i postulati della ragione e le risposte della Rivelazione e proprio di qui scaturisce una luce che illumina la strada su cui orientare il proprio impegno.

Nel quotidiano contatto con la Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa si sviluppa la vostra maturazione sul piano umano, professionale e spirituale, e voi potete così entrare sempre più nel mistero di quella Ragione creatrice che continua ad amare il mondo e a dialogare con la libertà delle creature. Un intellettuale cristiano – e tali vogliono essere sicuramente quanti escono da Villa Nazareth - deve coltivare sempre in sé lo stupore per questa verità di fondo. Ciò facilita l’adesione docile allo Spirito di Dio e, al tempo stesso, spinge a servire i fratelli con pronta disponibilità.

Potete desumere lo "stile" del vostro impegno da una parola di san Paolo alla comunità cristiana che viveva a Filippi: "Fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri" (Ph 4,8). E’ proprio in questa prospettiva che voi potete tessere un dialogo fecondo con la cultura, e recare il vostro contributo per far sì che tante persone trovino la risposta in Gesù Cristo. Sentitevi anche voi mossi dallo Spirito di Gesù, come avvenne al diacono Filippo che si sentì dire: "Alzati e va' verso il mezzogiorno, sulla strada che discende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta" (cfr Ac 8,26). Anche oggi, cari giovani, non sono poche le "strade deserte" sulle quali vi troverete a camminare nella vostra esistenza di credenti: proprio lungo esse potrete affiancarvi a chi cerca il senso della vita. Preparatevi ad essere anche voi a servizio di una cultura che favorisca l’incontro di fraternità dell’uomo con l’uomo e la scoperta della salvezza che ci viene da Cristo.

Cari fratelli e sorelle, Villa Nazareth è sempre stata oggetto, sin dal suo inizio, di speciale benevolenza da parte dei miei venerati Predecessori: dal servo di Dio Pio XII che la vide nascere, al servo di Dio Giovanni Paolo II che venne a visitarvi dieci anni or sono, in occasione del 50° di fondazione. Questa benevolenza dei Papi ha alimentato e deve continuare ad alimentare il vostro legame spirituale con la Santa Sede. Al tempo stesso, questo vincolo di stima e di affetto vi impegna a camminare fedelmente sulle orme di quel grande "uomo di Dio" che fu il Cardinale Domenico Tardini. Con le sue parole ed il suo esempio egli vi esorta ad essere particolarmente sensibili, attenti e ricettivi verso gli insegnamenti della Chiesa. Con questi sentimenti, mentre invoco su di voi la speciale protezione della Madonna "Mater Ecclesiae", assicuro per ciascuno un ricordo nella preghiera e con affetto vi benedico tutti, cominciando dai numerosi vostri bambini.



AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL'UNITÀ DEI CRISTIANI Sala Clementina Venerdì, 17 novembre 2006

17116

Signor Cardinale,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari Fratelli e Sorelle!

“Grazia e pace a voi da Dio, Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo” (
Rm 1,7). Con questo augurio di san Paolo ai Romani mi rivolgo a voi, che dedicate la vostra intelligenza, il vostro amore e il vostro zelo alla promozione della piena comunione di tutti i cristiani, secondo la volontà del Signore stesso che per quella unità ha pregato alla vigilia della sua passione, morte e resurrezione. Ringrazio innanzitutto il vostro Presidente, il Signor Cardinale Walter Kasper, per il suo saluto e per il denso resoconto del lavoro della vostra Plenaria, e ringrazio voi tutti che avete portato a questo incontro la vostra esperienza e la vostra speranza, impegnandovi ad individuare risposte adeguate a una situazione in cambiamento. Proprio su questo si concentra il tema da voi scelto e studiato: «La situazione ecumenica in cambiamento». Viviamo in un periodo di grandi cambiamenti in quasi tutti i settori della vita; non c’è quindi da stupirsi se questo incide anche sulla vita della Chiesa e sulle relazioni fra i cristiani.

Va tuttavia detto in partenza che, pur in presenza di mutamenti di situazioni, di sensibilità, di problematiche, lo scopo del movimento ecumenico rimane immutato: l’unità visibile della Chiesa. Com’è noto, il Concilio Vaticano II considerò come uno dei suoi principali intenti il ristabilimento della piena unità fra tutti i cristiani (cfr Unitatis redintegratio UR 1). E’, questo, anche il mio intento. Mi valgo volentieri di questa occasione per ripetere e confermare, con rinnovata convinzione, quanto ho affermato all’inizio del mio ministero sulla Cattedra di Pietro: “L’attuale suo [di Pietro] successore – ho detto allora - si assume come impegno primario quello di lavorare senza risparmio di energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo. Questa è la sua ambizione, questo il suo impellente dovere”. Ed ho aggiunto: “L’attuale successore di Pietro si lascia interpellare in prima persona da questa domanda ed è disposto a fare quanto è in suo potere per promuovere la fondamentale causa dell’ecumenismo” (Insegnamenti, vol. I, 2005, p. 11).

In verità, dal Concilio Vaticano II ad oggi molti passi sono stati fatti verso la piena comunione. Ho davanti agli occhi l’immagine dell’Aula del Concilio, dove gli Osservatori delegati delle altre Chiese e Comunità ecclesiali stavano attenti, ma silenziosi. Questa immagine ha fatto posto nei decenni successivi alla realtà di una Chiesa in dialogo con tutte le Chiese e Comunità ecclesiali di Oriente e di Occidente. Il silenzio si è trasformato in parola di comunione. Un enorme lavoro è stato compiuto a livello universale e a livello locale. La fraternità fra tutti i cristiani è stata riscoperta e ristabilita come condizione di dialogo, di cooperazione, di preghiera comune, di solidarietà. E’ quanto il mio Predecessore, Papa Giovanni Paolo II di felice memoria, ha messo in rilievo nell’Enciclica sull’impegno ecumenico, dove ha esplicitamente affermato, tra l’altro, che “frutto prezioso delle relazioni tra i cristiani e del dialogo teologico che essi intrattengono è la crescita di comunione. Le une e l’altro hanno reso consapevoli i cristiani degli elementi di fede che essi hanno in comune” (Enc. Ut unum sint UUS 49). Quell’Enciclica poneva in rilievo i positivi frutti delle relazioni ecumeniche tra i cristiani sia d’Oriente che d’Occidente. Come non ricordare, in questo contesto, l’esperienza di comunione vissuta con i rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali venuti da ogni continente per prendere parte ai funerali dell’indimenticabile Papa Giovanni Paolo II ed anche all’inaugurazione del mio pontificato? La condivisione del dolore e della gioia è segno visibile della nuova situazione creata tra i cristiani. Ne sia benedetto Iddio! Anche la mia imminente visita a Sua Santità Bartolomeo I e al Patriarcato Ecumenico sarà un ulteriore segno di considerazione per le Chiese ortodosse, ed agirà come stimolo – così confidiamo - per affrettare il passo verso il ristabilimento della piena comunione.

Realisticamente, tuttavia, dobbiamo riconoscere che molto cammino resta ancora da fare. Dal Concilio Vaticano II la situazione, sotto molti aspetti, è cambiata. I rapidi rivolgimenti nel mondo hanno avuto le loro ripercussioni anche sull’ecumenismo. Molte delle venerate Chiese d’Oriente, al tempo del Concilio, vivevano in condizioni di oppressione ad opera di regimi dittatoriali. Oggi esse hanno ricuperato la libertà e sono impegnate in un ampio processo di riorganizzazione e di rivitalizzazione. Siamo ad esse vicini con i nostri sentimenti e la nostra preghiera. La parte orientale e quella occidentale dell’Europa si stanno riavvicinando; questo stimola le Chiese a coordinare i loro sforzi per la salvaguardia della tradizione cristiana e per l’annuncio del Vangelo alle nuove generazioni. Una tale collaborazione è resa particolarmente urgente dalla situazione di avanzata secolarizzazione soprattutto del mondo occidentale. Fortunatamente, dopo un periodo di molteplici difficoltà, il dialogo teologico fra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse ha preso nuovo slancio. La Commissione Mista Internazionale di dialogo ha potuto positivamente incontrarsi a Belgrado, ospitata generosamente dalla Chiesa ortodossa di Serbia. Nutriamo grandi speranze per il futuro cammino che sarà fatto nel rispetto delle legittime varietà teologiche, liturgiche e disciplinari, per il raggiungimento di una sempre più piena comunione di fede e di amore in cui sia possibile un sempre più profondo scambio tra le ricchezze spirituali di ogni Chiesa.

Anche con le Comunità ecclesiali d’Occidente, abbiamo vari dialoghi bilaterali, aperti ed amichevoli, che registrano progressi nella reciproca conoscenza, nel superamento di pregiudizi, nella conferma di alcune convergenze, e nella stessa identificazione più precisa delle vere divergenze. Vorrei soprattutto menzionare la “Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione” raggiunta nel dialogo con la Federazione Luterana Mondiale, e il fatto che a questa Dichiarazione il Consiglio Mondiale Metodista, da parte sua, ha dato il proprio assenso. Sono nel frattempo emerse varie importanti problematiche che richiedono un approfondimento e un accordo. Permane innanzitutto la difficoltà di trovare una comune concezione sul rapporto fra il Vangelo e la Chiesa e, in relazione a ciò, sul mistero della Chiesa e della sua unità e sulla questione del ministero nella Chiesa. Nuove difficoltà sono poi apparse in campo etico, con la conseguenza che le differenti posizioni assunte dalle Confessioni cristiane sulle attuali problematiche ne hanno ridotto l’incidenza orientativa nei confronti dell’opinione pubblica. C’è bisogno, proprio da questo punto di vista, di un approfondito dialogo sull’antropologia cristiana oltre che sull’interpretazione del Vangelo e sulla sua concreta applicazione.

Ciò che, comunque, va innanzitutto promosso, è l’ecumenismo dell’amore, che discende direttamente dal comandamento nuovo lasciato da Gesù ai suoi discepoli. L’amore accompagnato da gesti coerenti crea fiducia, fa aprire i cuori e gli occhi. Il dialogo della carità per sua natura promuove e illumina il dialogo della verità: è infatti nella piena verità che si avrà l’incontro definitivo a cui conduce lo Spirito di Cristo. Non sono certamente il relativismo o il facile e falso irenismo che risolvono la ricerca ecumenica. Essi anzi la travisano e la disorientano. Va poi intensificata la formazione ecumenica partendo dai fondamenti della fede cristiana, cioè dall’annuncio dell’amore di Dio che si è rivelato nel volto di Gesù Cristo e contemporamente in Cristo ha svelato l’uomo all’uomo e gli ha fatto comprendere la sua altissima vocazione (cfr Gaudium et spes GS 22). A queste due essenziali dimensioni dà sostegno la cooperazione pratica tra i cristiani, che “esprime vivamente quella unità che già vige tra di essi e pone in più piena luce il volto di Cristo servo” (Unitatis redintegratio UR 12).

A conclusione di queste mie parole voglio ribadire l’importanza del tutto speciale dell’ecumenismo spirituale. Giustamente, pertanto, il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani si impegna in esso, facendo leva sulla preghiera, sulla carità, sulla conversione del cuore per un rinnovamento personale e comunitario. Vi esorto a proseguire su questa strada, che già tanti frutti ha dato ed altri ancora ne darà. Per parte mia, vi assicuro il sostegno della mia preghiera mentre, a conferma della mia fiducia e del mio affetto, a tutti imparto una speciale Benedizione Apostolica.



AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Sabato, 18 novembre 2006

18116

Signori Cardinali!
Cari Confratelli nell’Episcopato!

Con particolare gioia vi porgo il benvenuto, cari Confratelli della nostra comune patria tedesca e bavarese, qui nella casa del Papa. La vostra visita “ad limina Apostolorum” vi conduce presso le tombe degli Apostoli, che però non parlano soltanto del passato, ma ci rimandano soprattutto al Signore Risorto, che è sempre presente nella sua Chiesa e sempre la “precede” (
Mc 16,7). Le tombe ci parlano del fatto che la Chiesa rimane sempre legata alla testimonianza dei primordi, ma che al contempo continua ad essere viva nel sacramento della successione degli Apostoli; che il Signore, attraverso il ministero apostolico, ci parla sempre al presente. Con ciò è toccato il nostro compito come successori degli Apostoli: viviamo nel vincolo che ci lega a Colui, che è l’Alfa e l’Omega (cfr. Ap Ap 1,8 Ap 21,6 Ap 22,13), a Colui che è, che era e che viene (Ap 1,4). Annunciamo il Signore nella comunità vivente del suo corpo animata dal suo Spirito – nella comunione viva con il Successore di Pietro e il Collegio dei Vescovi. La visita ad limina deve rafforzarci in questa comunione; deve aiutarci affinché, in misura crescente, possiamo essere giudicati come amministratori fedeli e saggi dei beni affidatici dal Signore (cfr. Lc Lc 12,42).

Per rimanere fedele al Signore e quindi a se stessa, la Chiesa deve essere continuamente rinnovata. Ma come lo si realizza? Per rispondere a questa domanda dobbiamo innanzitutto sondare la volontà del Signore, Capo della Chiesa, e riconoscere chiaramente che ogni riforma ecclesiale nasce dall'impegno serio per giungere ad una conoscenza più profonda delle verità della fede cattolica e dall'aspirazione persistente alla purificazione morale ed alla virtù. È questo un appello che si rivolge innanzitutto ad ogni singolo e poi all’intero popolo di Dio.

La ricerca della riforma può facilmente scivolare verso un attivismo esteriore se chi agisce non conduce un'autentica vita spirituale e se non verifica costantemente le motivazioni del suo agire alla luce della fede. Questo vale per tutti i membri della Chiesa: per i Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e tutti i fedeli. Il santo Papa Gregorio Magno, nella sua Regula pastoralis, pone come uno specchio davanti al Vescovo: “Per l’impegno esteriore il Vescovo non trascuri la vita interiore (…) Spesso ritiene di essere superiore a tutti grazie alla sua alta posizione (…) Dall’esterno riceve lodi inopportune, ma interiormente perde la verità” (2,1). Si tratta – e questo è certamente anche il compito quotidiano di ogni cristiano – di prescindere dal proprio io e di esporsi allo sguardo amorevole ed interpellante di Gesù. Al centro del nostro servizio vi è sempre l’incontro con il Cristo vivo, un incontro che dà alla nostra vita l’orientamento decisivo. In Lui ci guarda l’amore di Dio che, attraverso il nostro ministero sacerdotale ed episcopale, si trasmette agli uomini nelle situazioni più diverse, al sano come al malato, al sofferente come a chi si è reso colpevole. Dio ci dona il suo amore che perdona, che risana e che santifica. Sempre di nuovo ci viene incontro “attraverso uomini nei quali Egli traspare; attraverso la sua Parola, nei Sacramenti, specialmente nell’Eucaristia. Nella liturgia della Chiesa, nella sua preghiera, nella comunità viva dei credenti, noi sperimentiamo l’amore di Dio, percepiamo la sua presenza e impariamo in questo modo anche a riconoscerla nel nostro quotidiano” (Enciclica Deus caritas est ).

Naturalmente nella Chiesa occorre anche una pianificazione istituzionale e strutturale. Istituzioni ecclesiali, programmazioni pastorali e altre strutture giuridiche sono, fino a un certo grado, semplicemente necessarie. Ma a volte vengono presentate come la cosa essenziale, impedendo così di vedere ciò che è veramente essenziale. Esse corrispondono al loro autentico significato solo se vengono misurate ed orientate secondo il criterio della verità della fede. In definitiva, deve essere e sarà la fede stessa a scandire, in tutta la sua grandezza, chiarezza e bellezza, il ritmo della riforma che è fondamentale e di cui abbiamo bisogno. Certo, in tutto questo non si deve mai dimenticare che coloro dalle cui capacità e dalla cui buona volontà dipende la realizzazione delle misure di riforma sono sempre esseri umani. Per quanto possa apparire difficile nel singolo caso, a tale riguardo devono essere prese sempre di nuovo decisioni personali chiare.

Cari Fratelli nel ministero episcopale! So che molti di voi, con buona ragione, sono preoccupati per uno sviluppo delle strutture pastorali che sia adeguato alla situazione presente. Dinanzi al numero attualmente in diminuzione sia di sacerdoti, sia purtroppo anche di fedeli che frequentano la Messa (domenicale), in diverse Diocesi di lingua tedesca vengono applicati modelli per la modifica e la ristrutturazione della cura pastorale in cui l’immagine del parroco, vale a dire del sacerdote che come uomo di Dio e della Chiesa guida una comunità parrocchiale, minaccia di offuscarsi. Sono certo che voi, cari Confratelli, non lasciate l’elaborazione di questi progetti a freddi pianificatori, ma li affidate solo a sacerdoti e collaboratori che dispongano non soltanto del necessario giudizio illuminato dalla fede e di un’adeguata formazione teologica, canonistica, storica e pratica, come anche di un'esperienza pastorale sufficiente, ma che abbiano veramente a cuore la salvezza degli uomini e che quindi, come avremmo detto in passato, si distinguano per lo “zelo per le anime” ed abbiano la salvezza integrale e quindi eterna dell’uomo come suprema lex del loro pensiero e della loro azione. Soprattutto darete la vostra approvazione soltanto a quelle riforme strutturali che siano in piena sintonia con l’insegnamento della Chiesa sul sacerdozio e con le sue norme giuridiche, avendo cura che l'applicazione delle riforme non sminuisca la forza di attrazione del ministero sacerdotale.

Se talvolta si sostiene che i laici non potrebbero inserirsi sufficientemente nelle strutture della Chiesa, è perché vi è alla base una fissazione restrittiva sulla collaborazione negli organi direttivi, sulle posizioni di rilievo all'interno delle strutture finanziate dalla Chiesa o sull’esercizio di determinate funzioni liturgiche. Anche questi ambiti hanno naturalmente la loro importanza. Tuttavia, non devono portare a dimenticare il campo ampio ed aperto dell’apostolato laicale urgentemente necessario e i suoi molteplici compiti: l’annuncio della Buona Novella a milioni di concittadini che ancora non conoscono Cristo e la sua Chiesa; la catechesi dei bambini e degli adulti nelle nostre comunità parrocchiali; i servizi caritativi; il lavoro nei mezzi di comunicazione sociale, come pure l’impegno sociale per una tutela integrale della vita umana, per la giustizia sociale e nell’ambito delle iniziative culturali cristiane. Davvero, non mancano i compiti per i laici cattolici impegnati, ma forse c’è oggi talvolta una mancanza di spirito missionario, di creatività e di coraggio per percorrere cammini anche nuovi.

Nel discorso al primo gruppo di Vescovi tedeschi ho già accennato brevemente ai molteplici servizi liturgici da parte dei laici che oggi sono possibili nella Chiesa: quello di ministro straordinario dell’Eucaristia, al quale si aggiungono quello di lettore e quello di guida della liturgia della Parola. Non vorrei ritornare di nuovo su questo tema. È importante che tali compiti non vengano eseguiti, rivendicandoli quasi come un diritto bensì con uno spirito di servizio. La Liturgia ci chiama tutti al servizio di Dio, per Dio e per gli uomini, nel quale non vogliamo mettere in mostra noi stessi, ma porci con umiltà dinanzi a Dio e renderci permeabili per la sua luce. In questo discorso vorrei trattare brevemente altri quattro punti che mi stanno a cuore.

Il primo è l’annuncio della fede ai giovani del nostro tempo. I giovani d’oggi vivono in una cultura secolarizzata, orientata totalmente alle cose materiali. Nella quotidianità – nei mezzi di comunicazione, nel lavoro, nel tempo libero – sperimentano per lo più una cultura nella quale Dio non è presente. E tuttavia essi attendono Dio. Le Giornate Mondiali della Gioventù ci dimostrano quale attesa e disponibilità per Dio e per il Vangelo vi sia nei giovani del nostro tempo. La nostra risposta a quest’attesa deve essere multiforme. Le Giornate Mondiali della Gioventù presuppongono che i giovani possano ottenere nei loro ambiti di vita, in particolare nella parrocchia, l’incontro con la fede. Qui, per esempio, è importante il servizio dei ministranti, che porta i bambini e i giovani a contatto con l’altare, con la parola di Dio, con la vita intima della Chiesa. E’ stato bello, durante il pellegrinaggio dei ministranti, vedere gioiosamente riuniti nella fede tanti giovani provenienti dalla Germania. Proseguite questo impegno e fate in modo che i ministranti possano nella Chiesa davvero incontrare Dio, la sua Parola, il sacramento della sua presenza, e che possano imparare a modellare, a partire da questo, la loro vita. Una via importante è anche il lavoro con i cori, dove i giovani possono ottenere l’educazione al bello, l’educazione alla comunione, sperimentare la gioia di partecipare alla Messa, e in questo modo ricevere una formazione alla fede. Dopo il Concilio lo Spirito Santo ci ha donato i “movimenti”. Talvolta essi possono apparire al parroco o al Vescovo un po’ strani, ma sono luoghi di fede in cui i giovani e gli adulti sperimentano un modello di vita nella fede come opportunità per la vita di oggi. Per questo vi chiedo di andare incontro ai movimenti con molto amore. Qua e là devono essere corretti, inseriti nell’insieme della parrocchia o della Diocesi. Dobbiamo però rispettare lo specifico carattere dei loro carismi ed essere lieti che nascano forme comunitarie di fede in cui la parola di Dio diventi vita.

Il secondo tema che desidero toccare almeno brevemente sono le opere caritative ecclesiali.Nella mia Enciclica “Deus caritas est” ho parlato del servizio della carità come espressione fondamentale e irrinunciabile della fede nella vita della Chiesa, accennando anche al principio interiore delle opere caritative. “L’amore del Cristo ci spinge” ha detto San Paolo (2Co 5,14). Lo stesso “dovere” della carità (1Co 9,16), che spinse San Paolo ad andare in tutto il mondo per annunciare il Vangelo, questo stesso “dovere” dell’amore di Cristo, ha portato i cattolici tedeschi a fondare le opere caritative per aiutare le persone che vivono nella povertà a rivendicare il loro diritto alla partecipazione ai beni della terra. Ora è importante fare attenzione, perché queste opere caritative, nei loro programmi e nelle loro azioni, corrispondano veramente a questo impulso interiore dell’amore sorretto dalla fede. È importante fare attenzione che non cadano in dipendenze politiche, ma che servano unicamente al loro compito di giustizia e di amore. Per questo, a sua volta, occorre una stretta collaborazione con i Vescovi e con le Conferenze Episcopali, che conoscono veramente la situazione in loco e sono in grado di far sì che il dono dei fedeli venga tenuto fuori dalla confusione degli interessi politici e di altro genere e venga utilizzato per il bene delle persone. Il Pontificio Consiglio “Cor Unum” dispone di una grande esperienza in questo ambito e offrirà di buon grado il suo aiuto con i suoi consigli in tutte queste questioni.

Infine mi sta particolarmente a cuore il tema matrimonio e famiglia. L'ordine del matrimonio come è stabilito nella creazione, e di cui la Bibbia ci parla espressamente al termine del racconto della creazione (Gn 2,24), viene oggi progressivamente offuscato. Nella stessa misura, in cui l’uomo cerca di costruirsi in modo nuovo il mondo nel suo insieme, mettendo così in pericolo in maniera sempre più percettibile le sue basi, egli perde anche la visione dell’ordine della creazione riguardo alla propria esistenza. Ritiene di poter definire se stesso a piacere in virtù di una libertà vacua. Così, le fondamenta sulle quali poggiano l’esistenza sua e quella della società cominciano a vacillare. Per i giovani diventa difficile legarsi definitivamente. Hanno paura della definitività, che appare loro irrealizzabile ed opposta alla libertà. Così diventa sempre più difficile accettare figli e dare loro quello spazio duraturo di crescita e di maturazione che può essere solo la famiglia fondata sul matrimonio. In questa situazione appena accennata è molto importante aiutare i giovani a dirsi il “sì” definitivo, che non è in contrasto con la libertà, ma rappresenta la sua più grande opportunità. Nella pazienza dello stare insieme per tutta la vita l’amore raggiunge la sua vera maturità. In questo ambiente di amore per tutta la vita anche i figli imparano a vivere e ad amare. Desidero pertanto chiedervi di fare tutto il possibile affinché il matrimonio e la famiglia vengano formati, promossi ed incoraggiati.

E infine qualche breve parola sull’ecumenismo. Tutte le lodevoli iniziative sul cammino verso la piena unità di tutti i cristiani trovano nella preghiera comune e nella riflessione sulle Sacre Scritture un terreno fertile sul quale può crescere e maturare la comunione. In Germania i nostri sforzi devono essere diretti soprattutto verso i cristiani di fede luterana e riformata. Al contempo, non perdiamo di vista i fratelli e le sorelle delle Chiese ortodosse, sebbene questi in proporzione siano meno numerosi. Il mondo ha il diritto di attendersi da tutti i cristiani una professione univoca di fede in Gesù Cristo, il Redentore dell'umanità. L’impegno ecumenico, pertanto, non può esaurirsi con documenti congiunti. Diventa visibile ed efficace laddove i cristiani di diverse Chiese e comunità ecclesiali, in un contesto sociale sempre più estraneo alla religione, professano insieme e in modo convincente i valori trasmessi dalla fede cristiana e li evidenziano con forza nel loro agire politico e sociale.

Cari Fratelli nell’Episcopato! Poiché io stesso provengo dal vostro Paese a me tanto caro, mi sento particolarmente toccato dalle realizzazioni della Chiesa in Germania come pure dalle sfide che essa deve affrontare. Tutto quanto è buono nella Chiesa nel nostro Paese lo conosco non soltanto per osservazione ed esperienza personale, ma anche perché ripetutamente Vescovi, sacerdoti e altri visitatori provenienti dall’Europa e da molte parti del mondo mi parlano del bene effettivo che ricevono attraverso strutture e persone ecclesiali. La Chiesa in Germania dispone davvero di grandi risorse spirituali e religiose. Soprattutto il fedele servizio, spesso troppo poco apprezzato, di tanti sacerdoti, diaconi, religiosi e collaboratori ecclesiali professionali in situazioni pastorali non sempre facili, merita rispetto e riconoscimento. Sono inoltre sinceramente grato perché vi sono sempre numerosi cristiani disposti ad impegnarsi nelle comunità parrocchiali e nelle diocesi, nelle associazioni e nei movimenti, e ad assumersi, come cattolici credenti, la responsabilità anche in seno alla società. In questo contesto condivido con voi la salda speranza che la Chiesa in Germania diventi ancor più missionaria e trovi dei modi per trasmettere la fede alle generazioni future.

Conosco bene, cari Confratelli nell’Episcopato, il vostro impegno generoso e anche quello di tanti sacerdoti, diaconi, religiosi e laici nelle vostre Diocesi. Pertanto desidero testimoniarvi oggi nuovamente il mio affetto ed incoraggiarvi a svolgere uniti e fiduciosi il vostro servizio di Pastori. Sono certo che il Signore accompagnerà e ricompenserà la vostra fedeltà e il vostro zelo con la sua Benedizione. La Santissima Vergine e Madre di Dio Maria, Madre della Chiesa e Ausilio dei cristiani, possa impetrare per voi, per il clero e per i fedeli della nostra patria la forza, la gioia e la perseveranza per affrontare l’impegno necessario per un autentico rinnovamento della vita di fede con coraggio e con la salda fiducia nell’aiuto dello Spirito Santo. Per la sua intercessione materna e per quella di tutti i santi e le sante venerate nel nostro Paese, imparto di cuore a voi e a tutti i fedeli in Germania la Benedizione Apostolica.



Discorsi 2005-13 10116