Discorsi 2005-13 25116

AI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO PROMOSSO DALLA FEDERAZIONE ITALIANA DEI SETTIMANALI CATTOLICI Sala Clementina Sabato, 25 novembre 2006

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Cari fratelli e sorelle,

con gioia vi accolgo e vi sono grato per questa vostra gentile visita. A tutti il mio cordiale saluto, che va in primo luogo a Mons. Giuseppe Betori, Segretario della Conferenza Episcopale Italiana, e a don Giorgio Zucchelli, Presidente della Federazione Italiana dei Settimanali Cattolici, ringraziandolo anche per essersi fatto interprete dei comuni sentimenti. Il mio saluto si estende ai Direttori delle oltre 160 testate diocesane e ai tanti collaboratori che, in vario modo, contribuiscono alla redazione dei singoli settimanali. Saluto il Direttore e i giornalisti dell’agenzia Sir, come pure il Direttore del quotidiano Avvenire. Vi sono particolarmente riconoscente perché, a conclusione del vostro convegno sul tema "Cattolici in politica. Liberi o dispersi?", avete voluto far visita al Successore dell’apostolo Pietro, rinnovando così l’attestazione della vostra fedeltà alla Chiesa, al cui servizio ogni giorno dedicate le vostre energie umane e professionali. A questo proposito, sento anche il dovere di ringraziarvi per l’opera di sensibilizzazione che svolgete presso i fedeli nei confronti delle iniziative di bene del Successore di Pietro per le necessità della Chiesa universale.

La Federazione Italiana Settimanali Cattolici che, come ha ricordato poco fa il vostro Presidente, riunisce i periodici diocesani, celebra in questi giorni quarant’anni dalla sua nascita. Era infatti il 27 novembre del 1966, quando i vostri predecessori pensarono di unire insieme le potenzialità intellettuali e creative dei vari organi d’informazione, che già svolgevano un proficuo servizio nelle diocesi italiane. L’iniziativa scaturì dal desiderio di dare maggiore visibilità e incisività alla presenza e all’azione pastorale della Chiesa, di cui si intendeva sostenere l’impegno soprattutto nei momenti di maggiore fatica. Sfogliando i vostri settimanali dei trascorsi quattro decenni, è possibile ripercorre la vita della Chiesa e della società in Italia: tanti gli eventi che l’hanno segnata e notevoli i cambiamenti sociali e religiosi sopravvenuti. Tali eventi e mutamenti sono puntualmente registrati e commentati in queste pagine con un’attenzione speciale al vissuto quotidiano delle parrocchie e delle comunità diocesane. Di fronte ad una multiforme azione tesa a scardinare le radici cristiane della civiltà occidentale, la peculiare funzione degli strumenti di comunicazione sociale di ispirazione cattolica è quella di educare l’intelligenza e formare l’opinione pubblica secondo lo spirito del Vangelo. Loro compito è di servire con coraggio la verità, aiutando l’opinione pubblica a guardare, a leggere e a vivere la realtà con gli occhi di Dio. Obiettivo del giornale diocesano è di offrire a tutti un messaggio di verità e di speranza, sottolineando fatti e realtà dove il Vangelo è vissuto, il bene e la verità trionfano, l’uomo con operosità e fantasia costruisce e ricostruisce il tessuto umano delle piccole realtà comunitarie.

Cari amici, il rapido evolversi dei mezzi di comunicazione sociale e l’avvento di molteplici ed avanzate tecnologie nel campo dei media non hanno reso vana la vostra funzione; anzi, per taluni versi, essa è diventata ancor più significativa ed importante, perché dà voce alle comunità locali che non possono trovare eco adeguata nei grandi organi di informazione. Le pagine dei vostri periodici, raccontando ed alimentando la vitalità e lo slancio apostolico delle singole comunità, costituiscono un prezioso veicolo di informazione e un mezzo di penetrazione evangelica. L’importanza della vostra presenza, opportunamente ribadita anche nel recente Convegno della Chiesa Italiana a Verona, è testimoniata dalla vostra capillare diffusione. Voi potete giungere anche là dove non si riesce ad incidere con i tradizionali strumenti della pastorale.

I vostri settimanali sono poi definiti giustamente "giornali del popolo", perché restano legati ai fatti e alla vita della gente del territorio e tramandano le tradizioni popolari e il ricco patrimonio culturale e religioso dei vostri paesi e città. Raccontando le vicende quotidiane, fate conoscere quella realtà intrisa di fede e di bontà che non fa rumore, ma costituisce l’autentico tessuto della società italiana. Continuate, cari amici, a fare delle vostre testate una rete di collegamento che faciliti le relazioni e l’incontro tra i singoli cittadini e le istituzioni, tra le associazioni, i diversi gruppi sociali, le parrocchie e i movimenti ecclesiali. Continuate ad essere "giornali della gente e tra la gente", palestre di confronto e di dibattito leale fra opinioni diverse, così da favorire un autentico dialogo, indispensabile per la crescita della comunità civile ed ecclesiale. E’ un servizio questo che voi potete svolgere anche in campo sociale e politico. Se infatti, come avete ribadito nel vostro Convegno, il legittimo pluralismo delle scelte politiche non ha nulla a che fare con una diaspora culturale dei cattolici, i vostri settimanali possono rappresentare alcuni significativi "luoghi" d’incontro e di attento discernimento per i fedeli laici impegnati in campo sociale e politico, al fine di dialogare e trovare convergenze ed obiettivi di azione condivisa al servizio del Vangelo e del bene comune.

Cari amici, per portare a compimento il vostro importante compito occorre innanzitutto che coltiviate voi stessi un rapporto costante e profondo con Cristo nella preghiera, nell’ascolto della sua parola e in una intensa vita sacramentale. E’ necessario al tempo stesso che vi manteniate attivi e responsabili membri della comunità ecclesiale in comunione con i vostri Pastori. Come Direttori, redattori e amministratori di settimanali cattolici, siatene convinti, voi non svolgete un "qualsiasi lavoro", ma siete "cooperatori" della grande missione evangelizzatrice della Chiesa. Le difficoltà che non mancano, gli ostacoli che talora possono persino apparire insormontabili, non vi scoraggino mai. L’esperienza del passato dimostra che la gente ha bisogno di fonti d’informazione come le vostre testate. Affido alla Vergine Maria la vostra Federazione e il vasto pubblico dei lettori dei settimanali diocesani. Sia Lei ad aiutarvi nel quotidiano servizio che diligentemente svolgete. Mentre invoco su di voi anche la celeste intercessione di san Francesco di Sales, protettore dei giornalisti, tutti di cuore vi benedico insieme con i vostri familiari e con le vostre comunità diocesane.



VIAGGIO APOSTOLICO IN TURCHIA

(28 NOVEMBRE - 1° DICEMBRE 2006)



INCONTRO CON I GIORNALISTI PRIMA DELLA PARTENZA PER LA TURCHIA Aeroporto di Roma-Fiumicino Martedì, 28 novembre 2006

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Cari amici, giornalisti, cameramen, tutti, vi saluto cordialmente in questo volo e vorrei esprimere sinceramente la mia gratitudine per il lavoro che fate. Lo so che questo è un lavoro difficile, un lavoro spesso in condizioni difficili, in tempo breve informare su cose complesse e difficili, dare la sintesi e rendere comprensibili l'essenza di quanto è successo e di quanto è stato detto. Tutti gli avvenimenti arrivano all'umanità solo tramite la vostra mediazione, e così fate realmente un servizio di grande importanza, per il quale sono cordialmente grato. Noi sappiamo che lo scopo di questo viaggio è il dialogo, la fraternità: un impegno per la comprensione tra le culture, per l'incontro delle culture con le religioni, per la riconciliazione. Tutti sentiamo la stessa responsabilità in questo momento difficile della storia e collaboriamo, e il vostro lavoro è di grande importanza. Perciò ripeto ancora una volta grazie.

Questo viaggio che inizia oggi, per le tensioni che si sono andate aggiungendo attorno al suo nucleo ecumenico, si presenta come uno dei più delicati nella storia dei viaggi papali moderni. Con che spirito lo affronta?

Lo affronto con grande fiducia e speranza. Io so che tante persone ci accompagnano con la loro simpatia, con la loro preghiera. So che anche il popolo turco è un popolo ospitale, aperto, che desidera la pace. So che la Turchia è da sempre un ponte tra le culture e così è anche un luogo di incontro e di dialogo. Vorrei sottolineare che questo non è un viaggio politico, è un viaggio pastorale e proprio quale viaggio pastorale ha come sua definizione caratteristica il dialogo e l'impegno comune per la pace. Dialogo in diverse dimensioni: tra le culture, dialogo tra cristianesimo e islam, dialogo con i nostri fratelli cristiani, soprattutto la Chiesa ortodossa di Costantinopoli, e generalmente dialogo per una migliore comprensione tra noi tutti. Naturalmente non dobbiamo esagerare, non ci si può aspettare da tre giorni grandi risultati, il valore direi è simbolico, il frutto degli incontri come tali, degli incontri in amicizia e nel rispetto, il fatto di incontrarsi come servitori della pace ha il suo peso. Mi sembra che questo simbolismo dell'impegno per la pace e per la fraternità dovrebbe essere il risultato di questo viaggio.

Santità, Lei arriva in un Paese con tante tensioni ma anche tante speranze, che desidera diventare una nazione europea. Pensa che l'Europa possa dare un aiuto alla Turchia perché si possa parlare in modo più consapevole di integrazione, di rispetto delle varie identità culturali e anche religiose?

Forse è utile ricordarsi che il Padre della Turchia moderna, Kemal Atatürk, aveva davanti a sé come modello per la ricostruzione della Turchia la costituzione francese. Alla culla della Turchia moderna sta il dialogo con la ragione europea e con il suo pensiero, il suo modo di vivere, per essere realizzato in modo nuovo in un contesto storico e religioso diverso. Quindi il dialogo tra la ragione europea e la tradizione musulmana turca è iscritto proprio nella esistenza della Turchia moderna e in questo senso abbiamo una responsabilità reciproca, gli uni per gli altri. In Europa abbiamo la discussione tra laicità "sana" e laicismo. E mi sembra proprio che questo sia anche importante per il vero dialogo con la Turchia. Il laicismo, cioè un'idea che separa totalmente la vita pubblica da ogni valore delle tradizioni, è una strada cieca, senza uscita. Dobbiamo ridefinire il senso di una laicità che sottolinea e conserva la vera differenza e autonomia tra le sfere, ma anche la loro coesistenza, la comune responsabilità. Solo su un sottofondo di valori che hanno fondamentalmente una comune origine, la religione e la laicità possono vivere, in una fecondazione reciproca. Dobbiamo noi europei ripensare la nostra ragione laica, laicista e la Turchia deve, partendo dalla sua storia, dalle sue origini, con noi pensare a come ricostruire per il futuro questo nesso tra laicità e tradizione, tra una ragione aperta, tollerante, che ha come elemento fondamentale la libertà, e i valori che danno contenuto alla libertà.

In questo viaggio ha un posto importante la visita e l'incontro con il Patriarca Bartolomeo. Quale significato ha questo nel programma di impegno per il riavvicinamento con le Chiese cristiane che Lei ha affermato fin dall'inizio del suo Pontificato?

Non contano i numeri, la quantità: è il peso simbolico, storico e spirituale che conta. E sappiamo che Costantinopoli è come la "seconda Roma". È stata sempre il punto di riferimento per l'Ortodossia, ci ha donato la grande cultura bizantina ortodossa, e rimane sempre un punto di riferimento per tutto il mondo ortodosso e così anche per tutta la cristianità. Quindi è il valore simbolico del Patriarcato di Costantinopoli che esiste anche oggi. Anche se il Patriarca non ha una giurisdizione come il Papa, tuttavia è un punto di orientamento per il mondo ortodosso. È un incontro con il Patriarca, un incontro con la Chiesa dell'apostolo Andrea, fratello di San Pietro. È un incontro di grande qualità tra le due Chiese sorelle di Roma e di Costantinopoli e perciò un momento molto importante nella ricerca dell'unità dei cristiani. Ci sono altre comunità cristiane; con tutte, anche se sono piccole, ma sono presenti, ci incontriamo, naturalmente anche con la piccola comunità cattolica. Diciamo che è un avvenimento di comunione, oltre che di rapporto tra sfere geografiche e culturali. In questo senso penso che il simbolo non è solo una cosa a sé, vuota, ma una cosa densa di realtà. E questo simbolismo di Costantinopoli, questa funzione vera e reale del Patriarca per l'Ortodossia, gli dà anche grande importanza per tutto il cammino ecumenico.
E adesso chiedo scusa perché non possiamo fare una vera conferenza stampa, il tempo non è sufficiente, spero che almeno abbia detto qualcosa che possa essere utile.



INCONTRO CON IL PRESIDENTE DEL DIRETTORATO DEGLI AFFARI RELIGIOSI Conference Room della "Diyanet", Ankara Martedì, 28 novembre 2006

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Eccellenze, Signore e Signori!

Sono grato dell'opportunità di visitare questa terra, così ricca di storia e di cultura, per ammirarne le bellezze naturali, per vedere con i miei occhi la creatività del Popolo turco, e per gustare la vostra antica cultura come pure la vostra lunga storia, sia civile che religiosa.

Appena sono giunto in Turchia, sono stato gentilmente ricevuto dal Presidente della Repubblica. E’ stato per me un grande onore incontrare anche e salutare il Primo Ministro, Signor Erdogan, all’aeroporto. Nel salutarli, ho avuto il piacere di esprimere il mio profondo rispetto per tutti gli abitanti di questa grande Nazione e di onorare, nel suo Mausoleo, il fondatore della moderna Turchia, Mustafa Kemal Atatürk.

Ora ho la gioia di incontrare Lei, che è il Presidente del Direttorato degli Affari Religiosi. Le porgo l’espressione dei miei sentimenti di stima, riconoscendo le Sue grandi responsabilità, ed estendo il mio saluto a tutti i leader religiosi della Turchia, specialmente ai Gran Muftì di Ankara e Istanbul. Nella Sua persona, Signor Presidente, saluto tutti i musulmani della Turchia con particolare stima ed affettuosa considerazione.

Il Suo Paese è molto caro ai cristiani: molte delle primitive comunità della Chiesa furono fondate qui e vi raggiunsero la maturità, ispirate dalla predicazione degli Apostoli, particolarmente di san Paolo e di san Giovanni. La tradizione giunta sino a noi afferma che Maria, la Madre di Gesù, visse ad Efeso, nella casa dell'apostolo san Giovanni.

Questa nobile terra ha visto, inoltre, una ragguardevole fioritura della civiltà islamica nei più svariati campi, inclusa la letteratura e l'arte, come pure le istituzioni.

Vi sono tantissimi monumenti cristiani e musulmani che testimoniano il glorioso passato della Turchia. Voi ne andate giustamente fieri, preservandoli per l'ammirazione di un numero sempre crescente di visitatori che qui accorrono numerosi.

Mi sono preparato a questa visita in Turchia con i medesimi sentimenti espressi dal mio Predecessore, il Beato Giovanni XXIII, quando giunse qui come Arcivescovo Angelo Giuseppe Roncalli, per adempiere l'incarico di Rappresentante Pontificio ad Istanbul: "Io sento di voler bene al Popolo turco – affermò -, presso il quale il Signore mi ha mandato... Io amo i Turchi, apprezzo le qualità naturali di questo Popolo, che ha pure il suo posto preparato nel cammino della civilizzazione" (Giornale dell'anima, 231.237).

Per parte mia, desidero anch’io sottolineare le qualità della popolazione turca. Qui faccio mie le parole del mio immediato Predecessore, Papa Giovanni Paolo II di beata memoria, il quale disse, in occasione della sua visita nel 1979: "Mi domando se non sia urgente, proprio oggi in cui i cristiani e i musulmani sono entrati in un nuovo periodo della storia, riconoscere e sviluppare i vincoli spirituali che ci uniscono, al fine di 'promuovere e difendere insieme i valori morali, la pace e la libertà'" (Alla comunità cattolica di Ankara, 29 novembre 1979, 3).

Tali questioni hanno continuato a presentarsi lungo gli anni successivi; in effetti, come ho rilevato proprio all'inizio del mio Pontificato, esse ci sospingono a portare avanti il nostro dialogo come un sincero scambio tra amici. Quando ebbi la gioia di incontrare i membri delle comunità islamiche lo scorso anno a Colonia, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, ho ribadito la necessità di affrontare il dialogo interreligioso e interculturale con ottimismo e speranza. Esso non può essere ridotto ad un extra opzionale: al contrario, esso è "una necessità vitale, dalla quale dipende in larga misura il nostro futuro" (Ai rappresentanti delle comunità islamiche, Colonia, 20 agosto 2005).

I cristiani e i musulmani, seguendo le loro rispettive religioni, richiamano l’attenzione sulla verità del carattere sacro e della dignità della persona. È questa la base del nostro reciproco rispetto e stima, questa è la base per la collaborazione al servizio della pace fra nazioni e popoli, il desiderio più caro di tutti i credenti e di tutte le persone di buona volontà.

Per più di quarant'anni, l'insegnamento del Concilio Vaticano II ha ispirato e guidato l'approccio della Santa Sede e delle Chiese locali di tutto il mondo nei rapporti con i seguaci delle altre religioni. Seguendo la tradizione biblica, il Concilio insegna che tutto il genere umano condivide un'origine comune e un comune destino: Dio, nostro Creatore e termine del nostro pellegrinaggio terreno. I cristiani e i musulmani appartengono alla famiglia di quanti credono nell'unico Dio e che, secondo le rispettive tradizioni, fanno riferimento ad Abramo (cfr Concilio Vaticano II, Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane Nostra Aetate
NAE 1,3). Questa unità umana e spirituale nelle nostre origini e nei nostri destini ci sospinge a cercare un comune itinerario, mentre facciamo la nostra parte in quella ricerca di valori fondamentali che è così caratteristica delle persone del nostro tempo. Come uomini e donne di religione, siamo posti di fronte alla sfida della diffusa aspirazione alla giustizia, allo sviluppo, alla solidarietà, alla libertà, alla sicurezza, alla pace, alla difesa dell'ambiente e delle risorse della terra. Ciò perché anche noi, mentre rispettiamo la legittima autonomia delle cose temporali, abbiamo un contributo specifico da offrire nella ricerca di soluzioni adatte a tali pressanti questioni.

In particolare, possiamo offrire una risposta credibile alla questione che emerge chiaramente dalla società odierna, anche se essa è spesso messa da parte, la questione, cioè, riguardante il significato e lo scopo della vita, per ogni individuo e per l'intera umanità. Siamo chiamati ad operare insieme, così da aiutare la società ad aprirsi al trascendente, riconoscendo a Dio Onnipotente il posto che Gli spetta. Il modo migliore per andare avanti è quello di un dialogo autentico fra cristiani e musulmani, basato sulla verità ed ispirato dal sincero desiderio di conoscerci meglio l'un l'altro, rispettando le differenze e riconoscendo quanto abbiamo in comune. Ciò contemporaneamente porterà ad un autentico rispetto per le scelte responsabili che ogni persona compie, specialmente quelle che attengono ai valori fondamentali e alle personali convinzioni religiose.

Come esempio del rispetto fraterno con cui cristiani e musulmani possono operare insieme, mi piace citare alcune parole indirizzate da Papa Gregorio VII, nell’anno 1076, ad un principe musulmano del Nord Africa, che aveva agito con grande benevolenza verso i cristiani posti sotto la sua giurisdizione. Papa Gregorio VII parlò della speciale carità che cristiani e musulmani si devono reciprocamente, poiché “noi crediamo e confessiamo un solo Dio, anche se in modo diverso, ogni giorno lo lodiamo e veneriamo come Creatore dei secoli e governatore di questo mondo” (PL 148, 451).

La libertà di religione, garantita istituzionalmente ed effettivamente rispettata, sia per gli individui sia per le comunità, costituisce per tutti i credenti la condizione necessaria per il loro leale contributo all'edificazione della società, in atteggiamento di autentico servizio, specialmente nei confronti dei più vulnerabili e dei più poveri.

Signor Presidente, desidero terminare dando lode all'Onnipotente e Misericordioso Iddio per questa felice occasione che ci consente di trovarci insieme nel suo nome. Prego affinché questo sia un segno del nostro comune impegno al dialogo fra cristiani e musulmani, come pure un incoraggiamento a perseverare lungo questa via, nel rispetto e nell'amicizia. Auspico che possiamo giungere a conoscerci meglio, rafforzando i vincoli di affetto fra di noi, nel comune desiderio di vivere insieme in armonia, in pace e nella vicendevole fiducia. Come credenti, noi traiamo dalla preghiera la forza necessaria per superare ogni traccia di pregiudizio e offrire comune testimonianza della nostra salda fede in Dio. Possa la sua benedizione essere sempre sopra di noi! Grazie!





INCONTRO CON IL CORPO DIPLOMATICO PRESSO LA REPUBBLICA DI TURCHIA Nunziatura Apostolica di Ankara Martedì, 28 novembre 2006

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Eccellenze,
Signore e Signori,

ho preparato il mio discorso in francese in quanto lingua della diplomazia, e spero che potrà essere compreso. Vi saluto con grande gioia, voi che, come Ambasciatori, esercitate il nobile incarico di rappresentare i vostri Paesi presso la Repubblica di Turchia e che volentieri avete voluto incontrare il Successore di Pietro in questa Nunziatura. Ringrazio il vostro Vice-Decano, il Signor Ambasciatore del Libano, per le amabili parole che mi ha or ora rivolto. Sono lieto di confermare la stima che la Santa Sede ha innumerevoli volte espresso per le vostre alte funzioni, che rivestono oggi una dimensione sempre più globale. In effetti, se la vostra missione vi porta prima di tutto a proteggere e a promuovere gli interessi legittimi delle singole vostre Nazioni, “l’inevitabile interdipendenza che oggi collega sempre di più tutti i popoli del mondo invita tutti i diplomatici a essere, in uno spirito sempre nuovo e originale, gli artefici dell’intesa tra i popoli, della sicurezza internazionale e della pace tra le Nazioni” (Giovanni Paolo II, Discorso al Corpo Diplomatico, Messico, 26 gennaio 1979).

Desidero anzitutto evocare davanti a voi il ricordo delle memorabili visite dei miei due predecessori in Turchia, il Papa Paolo VI, nel 1967, e il Papa Giovanni Paolo II, nel 1979. Parimenti, come non far memoria del papa Benedetto XV, artefice infaticabile della pace nel corso del primo conflitto mondiale, e del Beato Giovanni XXIII, il Papa "amico dei Turchi", che fu Delegato Apostolico in Turchia e Amministratore Apostolico del Vicariato latino di Istanbul, lasciando in tutti il ricordo di un pastore attento e colmo di carità, desideroso in maniera speciale di incontrare e conoscere la popolazione turca, della quale era ospite riconoscente! Sono pertanto lieto di essere oggi ospite della Turchia, giunto qui come amico e come apostolo del dialogo e della pace.

Oltre quarant'anni orsono, il Concilio Vaticano II scriveva che "la pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi al solo rendere stabile l'equilibrio delle forze contrastanti", ma "è il frutto dell'ordine impresso nell'umana società dal suo Fondatore e che deve essere attuato dagli uomini che aspirano ardentemente ad una giustizia sempre più perfetta" (Gaudium et spes
GS 78). In realtà, abbiamo imparato che la vera pace ha bisogno della giustizia, per correggere le disuguaglianze economiche e i disordini politici che sono sempre fattori di tensioni e minacce in tutta la società. Lo sviluppo recente del terrorismo e l'evoluzione di certi conflitti regionali, d'altra parte, hanno posto in evidenza la necessità di rispettare le decisioni delle Istituzioni internazionali ed anzi di sostenerle, dotandole in particolare di mezzi efficaci per prevenire i conflitti e per mantenere, grazie a forze di interposizione, zone di neutralità fra i belligeranti. Questo rimane, tuttavia, insufficiente se non si giunge al vero dialogo, cioè alla concertazione tra le esigenze delle parti coinvolte, al fine di giungere a soluzioni politiche accettabili e durature, rispettose delle persone e dei popoli. Penso, in modo particolare, al conflitto del Medio Oriente, che perdura in modo inquietante pesando su tutta la vita internazionale, con il rischio di veder espandersi conflitti periferici e diffondersi le azioni terroristiche; saluto gli sforzi di numerosi Paesi che si sono impegnati oggi nella ricostruzione della pace in Libano, e fra di essi la Turchia. Faccio appello ancora una volta, davanti a voi, Signore e Signori Ambasciatori, alla vigilanza della comunità internazionale perché non si sottragga alle sue responsabilità e dispieghi tutti gli sforzi necessari per promuovere, tra tutte le parti in causa, il dialogo, che solo permette di assicurare il rispetto verso gli altri, pur salvaguardando gli interessi legittimi e rifiutando il ricorso alla violenza. Come avevo scritto nel mio primo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, "La verità della pace chiama tutti a coltivare relazioni feconde e sincere, stimola a ricercare e a percorrere le strade del perdono e della riconciliazione, ad essere trasparenti nelle trattazioni e fedeli alla parola data" (1° gennaio 2006, n. 6).

La Turchia, che da sempre si trova in una situazione di ponte fra l'Oriente e l'Occidente, fra il Continente asiatico e quello europeo, di incrocio di culture e di religioni, si è dotata nel secolo scorso dei mezzi per divenire un grande Paese moderno, in particolare facendo la scelta di un regime di laicità, distinguendo chiaramente la società civile e la religione, così da permettere a ciascuna di essere autonoma nel proprio ambito, sempre rispettando la sfera dell'altra. Il fatto che la maggioranza della popolazione di questo Paese sia musulmana costituisce un elemento significativo nella vita della società di cui lo Stato non può che tener conto, ma la Costituzione turca riconosce ad ogni cittadino i diritti alla libertà di culto e alla libertà di coscienza. È compito delle Autorità civili in ogni Paese democratico garantire la libertà effettiva di tutti i credenti e permettere loro di organizzare liberamente la vita della propria comunità religiosa. Ovviamente, mi auguro che i credenti, a qualsiasi comunità religiosa appartengano, continuino a beneficiare di tali diritti, nella certezza che la libertà religiosa è una espressione fondamentale della libertà umana e che la presenza attiva delle religioni nella società è un fattore di progresso e di arricchimento per tutti. Ciò implica, certo, che le religioni per parte loro non cerchino di esercitare direttamente un potere politico, poiché a questo non sono chiamate e, in particolare, che rinuncino assolutamente a giustificare il ricorso alla violenza come espressione legittima della pratica religiosa. Saluto a questo proposito la comunità cattolica di questo Paese, poco numerosa ma molto desiderosa di partecipare nel modo migliore allo sviluppo del Paese, specialmente attraverso l'educazione dei giovani, e l’edificazione della pace e dell’armonia tra tutti i cittadini.

Come ho recentemente ricordato, "abbiamo assolutamente bisogno d’un dialogo autentico tra le religioni e tra le culture, un dialogo in grado di aiutarci a superare insieme tutte le tensioni in uno spirito di proficua intesa" (Discorso all'incontro con gli Ambasciatori dei Paesi musulmani, Castel Gandolfo, 25 settembre 2006). Tale dialogo deve permettere alle diverse religioni di conoscersi meglio e di rispettarsi reciprocamente, al fine di agire sempre più al servizio delle aspirazioni più nobili dell'uomo, che è alla ricerca di Dio e della felicità. Desidero, per parte mia, di poter dire nuovamente durante questo viaggio in Turchia tutta la mia stima per i musulmani, invitandoli a continuare ad impegnarsi insieme, grazie al reciproco rispetto, in favore della dignità di ogni essere umano e per la crescita di una società dove la libertà personale e l'attenzione nei confronti dell'altro permettano a ciascuno di vivere nella pace e nella serenità. È così che le religioni potranno fare la loro parte nell'affrontare le numerose sfide con le quali le nostre società attualmente si confrontano. Sicuramente, il riconoscimento del ruolo positivo che svolgono le religioni in seno al corpo sociale può e deve spingere le nostre società ad approfondire sempre di più la loro conoscenza dell'uomo e a rispettarne sempre meglio la dignità, ponendolo al centro dell'azione politica, economica, culturale e sociale. Il nostro mondo deve prendere coscienza sempre più del fatto che tutti gli uomini sono profondamente solidali ed invitarli a porre in risalto le loro differenze storiche e culturali non per scontrarsi ma per rispettarsi reciprocamente.

La Chiesa, voi ben lo sapete, ha ricevuto dal suo Fondatore una missione spirituale ed essa non intende dunque intervenire direttamente nella vita politica o economica. Tuttavia, a causa della sua missione e forte della sua lunga esperienza della storia delle società e delle culture, essa si augura di far udire la propria voce nel concerto delle nazioni, perché venga sempre onorata la dignità fondamentale dell'uomo e specialmente dei più deboli. Di fronte allo sviluppo recente del fenomeno della globalizzazione degli scambi, la Santa Sede si attende dalla comunità internazionale che essa si organizzi ulteriormente, per darsi regole che permettano di governare meglio le evoluzioni economiche, di regolare i mercati, come ad esempio suscitando intese regionali fra i Paesi. Non dubito affatto, Signore e Signori, che voi abbiate a cuore, nella vostra missione di diplomatici, di far incontrare gli interessi particolari del vostro Paese e le necessità di comprendersi gli uni gli altri, e che voi possiate così contribuire grandemente al servizio di tutti.

La voce della Chiesa sulla scena diplomatica si caratterizza sempre per la volontà, contenuta nel Vangelo, di servire la causa dell'uomo, ed io mancherei a questo obbligo fondamentale se non richiamassi di fronte a voi la necessità di porre la dignità umana sempre più al centro delle nostre preoccupazioni. Lo sviluppo straordinario delle scienze e delle tecniche che il mondo oggi conosce, con le conseguenze quasi immediate per la medicina, l'agricoltura e la produzione di risorse alimentari, ma ugualmente per la comunicazione del sapere, non deve essere perseguito senza finalità e senza riferimenti, dato che si tratta della nascita dell'uomo, della sua educazione, della sua maniera di vivere e di lavorare, della sua vecchiaia e della sua morte. È più che necessario reinserire il progresso di oggi nella continuità della storia umana e dunque di gestirlo secondo il progetto che abita in noi tutti di far crescere l'umanità e che il libro della Genesi esprimeva già a suo modo: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela" (1,28). Permettetemi infine, pensando alle prime comunità cristiane cresciute in questa terra e particolarmente all'apostolo Paolo, che ne ha fondate personalmente diverse, di citare le sue parole ai Galati. Egli dice: "Voi, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri” (5, 13). La libertà è servizio degli uni verso gli altri. Formulo voti affinché l'intesa fra le nazioni, da voi rispettivamente servite, contribuisca sempre di più a far crescere l'umanità dell'uomo, creato ad immagine di Dio. Un così nobile obiettivo richiede il concorso di tutti. E’ per questo che la Chiesa cattolica intende rafforzare la collaborazione con la Chiesa ortodossa e io auspico vivamente che il mio prossimo incontro con il Patriarca Bartolomeo I al Fanar vi contribuisca efficacemente. Come sottolineava il Concilio Ecumenico Vaticano II, la Chiesa cerca ugualmente di collaborare con i credenti e i responsabili di tutte le religioni, e particolarmente con i Musulmani, per “difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà” (Nostra aetate NAE 3). Spero che, in questa prospettiva, il mio viaggio in Turchia porti numerosi frutti.

Signore e Signori Ambasciatori, sulle vostre persone, sulle vostre famiglie e sui vostri collaboratori, invoco di gran cuore le Benedizioni dell'Altissimo.





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