Discorsi 2005-13 12017

AI DIRIGENTI E AGENTI DELL’ISPETTORATO GENERALE DI PUBBLICA SICUREZZA PRESSO IL VATICANO Sala Clementina Venerdì, 12 gennaio 2007

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Signor Questore,
Signor Dirigente,
Cari Funzionari ed Agenti!

Dopo le solenni festività natalizie e all’inizio di un nuovo anno, l’incontro con voi che formate l’Ispettorato Generale di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano rappresenta un momento sempre gradito e familiare. Rivolgo a ciascuno il mio cordiale saluto e sono lieto di questa occasione per esprimervi il mio apprezzamento e la mia riconoscenza per il vostro prezioso servizio. Ringrazio in particolare il Dirigente Generale, Dottor Vincenzo Caso, per le cortesi espressioni che mi ha presentato; e rivolgo il mio grato pensiero anche al Capo della Polizia, Prefetto Gianni De Gennaro, e al Prefetto Salvatore Festa. A tutti sono lieto di formulare i migliori auguri per l’anno da poco iniziato.

Questo appuntamento, cari amici, ci offre sempre, oltre alla gioia di ritrovarci insieme, anche un motivo di riflessione, e contribuisce a rafforzare in voi le motivazioni del compito che vi è stato assegnato. So bene, anche per esperienza diretta, quanto sia importante per i pellegrini e i turisti la vostra discreta presenza presso i luoghi che costituiscono il cuore di Roma cristiana. Ognuno di loro, che desidera visitare la Basilica di San Pietro e sosta entro l’imponente Colonnato del Bernini, incontra i vostri volti e non di rado si avvale delle vostre premure. C’è un aspetto di questo insostituibile lavoro che vorrei oggi sottolineare: è quello della custodia dei luoghi e della cura delle persone. Cura e custodia sono elementi essenziali per comprendere il reale significato dell’impegno specifico che vi viene richiesto. Avete il compito di custodire e di sorvegliare luoghi che hanno un valore inestimabile per la memoria e la fede di milioni di pellegrini; luoghi che contengono grandi tesori di storia e di arte, ma dove soprattutto avviene, per imperscrutabile mistero, l’incontro vivo dei fedeli con il Signore Gesù. Il popolo di Dio, il pellegrino, ogni persona comprende, passando accanto a voi, di godere di una speciale, rassicurante protezione. Possa ciascuno sentirsi aiutato e custodito dalla vostra presenza, e sia così favorito nel partecipare al grande patrimonio spirituale della comunità cristiana. Come componenti di questo speciale Corpo di Pubblica Sicurezza, abbiate la sollecitudine di vegliare affinché ogni persona possa giungere con tranquillità fin sulla soglia dei luoghi santi; da voi vigilati, i pellegrini spalanchino poi il cuore all’incontro con il Dio vero e vivificante.

E’ questa, cari fratelli e sorelle, una riflessione che vale per ognuno di noi: siamo tutti chiamati ad essere custodi del nostro prossimo. Il Signore ci chiederà conto della responsabilità a noi affidata, del bene o del male che avremo compiuto nei confronti dei nostri fratelli: se li avremo accompagnati con attenzione nel cammino quotidiano, facendoci partecipi delle ansie e delle gioie manifestate dal loro cuore; se ci saremo affiancati, in modo discreto ma costante, al loro viaggio e li avremo aiutati e sorretti quando la strada si faceva più impegnativa e faticosa.

Cari amici, portiamo insieme i pesi gli uni degli altri, condividendo la gioia di appartenere al Signore e di vivere costantemente alla luce del suo Vangelo, parola di verità che salva. Domandiamo la materna protezione della Vergine Madre, all’inizio di questo nuovo anno, affidandole ogni tristezza, ogni ansia e speranza, perché in tutte le circostanze della vita possiamo amare, gioire e vivere nella fede del Figlio di Dio che per noi si è fatto uomo. Con questi sentimenti, mentre vi auguro un sereno e proficuo lavoro, invoco su di voi, sulle vostre famiglie e su tutti i vostri cari l’abbondanza dei doni celesti, e di cuore vi imparto una speciale Benedizione Apostolica.



ALLA DELEGAZIONE ECUMENICA DALLA FINLANDIA Venerdì, 19 gennaio 2007

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Cari Vescovi Peura e Wróbel.
Distinti amici,

Con gioia vi porgo il benvenuto, membri della delegazione ecumenica della Finlandia, mentre visitate Roma in occasione della festa di sant'Enrico, Patrono della vostra Nazione.

La vostra presenza qui coincide con la Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani di quest'anno. Il tema della settimana è: "Fa udire i sordi e fa parlare i muti" (
Mc 7,37), illustra come Gesù liberi tutti noi dalla sordità spirituale, permettendoci di ascoltare la sua Parola salvifica e di proclamarla agli altri. Questo incarico di testimonianza comune nelle parole e nelle azioni pervade il nostro cammino ecumenico. Nello spingerci più vicino a Gesù, convertendoci alla sua verità e al suo amore, ci spinge più vicini gli uni agli altri.

In tempi recenti, i rapporti fra i cristiani in Finlandia si sono sviluppati in un modo che offre molta speranza per il futuro dell'ecumenismo. Prontamente pregano e operano insieme, rendendo una testimonianza comune delle verità orientatrici e salvifiche del Vangelo che tutti gli uomini e che tutte le donne cercano o hanno bisogno di ascoltare. Da parte dei cristiani ciò richiede coraggio. Infatti, come ho suggerito in occasione dei Vespri Ecumenici, nel corso della mia visita in Baviera, dietro qualsiasi "risveglio del tema della giustificazione e del perdono dei peccati c'è definitivamente un risveglio del tema del nostro rapporto con Dio. In questo senso il nostro primo compito sarà forse quello di riscoprire in un nuovo modo il Dio vivo presente nella nostra vita e nella nostra società".

Nella Dichiarazione Congiunta sulla Giustificazione i Luterani e i Cattolici hanno coperto una considerevole distanza dal punto di vista teologico. Inoltre c'è ancora molto da fare e così è incoraggiante che il dialogo Nordico Luterano-Cattolico in Finlandia e in Svezia stia affrontando il tema: "Giustificazione nella Vita delle Chiesa". Spero e prego che questi colloqui contribuiscano efficacemente alla esigenza di una unità piena e visibile per la Chiesa, offrendo, al contempo, una risposta sempre più chiara alle questioni fondamentali che interessano la vita e la società.

Fiducioso nella conoscenza che lo Spirito Santo sia il vero protagonista dello sforzo ecumenico (cfr Unitatis redintegratio UR 1 UR 4), continuiamo a pregare e ad operare per l'edificazione di vincoli più stretti di amore e di cooperazione fra Luterani e Cattolici in Finlandia. Su di voi e tutto l'amato popolo della Finlandia invoco le abbondanti benedizioni del Signore di pace e di gioia.





ALLA COMUNITÀ DELL’ALMO COLLEGIO CAPRANICA DI ROMA Sala del Concistoro Venerdì, 19 gennaio 2007

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Signor Cardinale, Venerati Fratelli,
Monsignor Rettore, cari Alunni del Collegio Capranica!

Sono lieto di accogliervi nell’imminenza della festa della vostra Patrona, sant’Agnese. Vi saluto tutti con affetto, a partire dal Cardinale Vicario Camillo Ruini e dagli Arcivescovo Pio Vigo che formano la Commissione Episcopale preposta al Collegio. Saluto il Rettore, Monsignor Ermenegildo Manicardi. Do uno speciale benvenuto a voi, cari Alunni, che fate parte della comunità del più antico collegio ecclesiastico romano.

Sono trascorsi infatti 550 anni da quel 5 gennaio 1457, quando il Cardinale Domenico Capranica, Arcivescovo di Fermo, fondò il Collegio che da lui prese nome, destinando ad esso tutti i suoi beni e il suo palazzo presso Santa Maria in Aquiro, perché potesse accogliere giovani studenti chiamati al sacerdozio. La nascente istituzione era la prima nel suo genere a Roma; inizialmente riservata ai giovani romani e fermani, estese in seguito l’ospitalità ad alunni di altre regioni italiane e di diverse nazionalità. Il Cardinale Capranica morì meno di due anni dopo, ma la sua fondazione aveva ormai iniziato il suo cammino, che è proseguito fino ad oggi, subendo soltanto un decennio di chiusura dal 1798 al 1807, durante la cosiddetta Repubblica Romana. Due Papi furono alunni del Capranica: per quasi quattro anni il Papa Benedetto XV, che giustamente voi considerate “Parens alter” per lo speciale affetto che sempre nutrì per la vostra casa, e poi, per un periodo più breve, il Servo di Dio Pio XII. Al vostro Collegio hanno sempre mostrato la loro benevolenza i miei venerati Predecessori, alcuni dei quali sono venuti a visitarvi in particolari circostanze.

Anche l’odierno nostro incontro si svolge, oltre che nel ricordo di sant’Agnse, nel contesto di un significativo anniversario della vostra istituzione. In questa prospettiva storica e spirituale è utile domandarsi quali motivazioni abbiano spinto il Cardinale Capranica a fondare questa provvida opera, e quale valore esse conservino per voi, oggi. Occorre innanzitutto ricordare che il fondatore aveva avuto esperienza diretta dei collegi delle Università di Padova e di Bologna, dove era stato studente, nonché di quelli di Siena, Firenze e Perugia. Si trattava di istituzioni sorte per ospitare giovani versati negli studi e non appartenenti a famiglie facoltose. Mutuando alcuni elementi da tali modelli, ne ideò uno che fosse esclusivamente destinato alla formazione dei futuri sacerdoti, con attenzione preferenziale per i candidati meno abbienti. In questo modo precorse di oltre un secolo l’istituzione dei “seminari” attuata dal Concilio di Trento. Ma non abbiamo ancora messo a fuoco la motivazione di fondo della provvida iniziativa: essa consiste nella convinzione che la qualità del clero dipende dalla serietà della sua formazione. Ora, ai tempi del Cardinale Capranica, mancava un’accurata selezione degli aspiranti ai sacri Ordini: talvolta essi venivano esaminati sulla letteratura e sul canto, ma non sulla teologia, sulla morale e sul diritto canonico, con immaginabili ripercussioni negative sulla Comunità ecclesiale. Ecco perché, nelle Costituzioni del suo Collegio, il Cardinale impose agli studenti di teologia l’accostamento ai migliori autori, specialmente a Tommaso d’Aquino; a quelli di diritto la dottrina del Papa Innocenzo III, e per tutti l’etica aristotelica. Non accontentandosi poi delle lezioni dello Studium Urbis, egli assicurò ripetizioni supplementari fornite da specialisti direttamente all’interno del Collegio. Questa impostazione degli studi era inserita in un quadro di formazione integrale, incentrata sulla dimensione spirituale, che aveva come pilastri i Sacramenti dell’Eucaristia – quotidiana – e della Penitenza – almeno mensile – ed era sostenuta dalle pratiche di pietà prescritte o suggerite dalla Chiesa. Grande importanza aveva anche l’educazione caritativa, sia nella vita fraterna ordinaria che nell’assistenza ai malati; come pure quella che oggi chiamiamo “esperienza pastorale”. Era previsto infatti che nei giorni festivi gli alunni svolgessero servizio in Cattedrale o nelle altre chiese del luogo. Un valido apporto formativo lo dava infine lo stesso stile comunitario, caratterizzato da forte compartecipazione nelle decisioni riguardanti la vita del Collegio.

Troviamo qui la medesima scelta di fondo che in seguito avranno i Seminari diocesani, naturalmente con un più compiuto senso dell’appartenenza alla Chiesa particolare, la scelta cioè di una seria formazione umana, culturale e spirituale, aperta alle esigenze proprie dei tempi e dei luoghi. Cari amici, domandiamo al Signore, per intercessione di Maria Santissima e di sant’Agnese, che l’almo Collegio Capranica prosegua in questo suo cammino, fedele alla sua lunga tradizione e agli insegnamenti del Concilio Vaticano II. A voi, cari Alunni, auguro di rinnovare ogni giorno dal profondo del cuore la vostra offerta a Dio e alla santa Chiesa, conformandovi sempre più a Cristo Buon Pastore, che vi ha chiamati a seguirLo e a lavorare nella sua vigna. Vi ringrazio per questa gradita visita e, mentre vi assicuro la mia preghiera, imparto con affetto a voi tutti e alle persone a voi care, una speciale Benedizione Apostolica.



AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DELLA PONTIFICIA COMMISSIONE PER L’AMERICA LATINA Sala Clementina Sabato, 20 gennaio 2007

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Signori Cardinali,
Cari Fratelli nell'Episcopato,

Sono molto lieto di ricevere e di salutare con affetto i Consiglieri e i Membri della Pontificia Commissione per l'America Latina in occasione della sua Riunione Plenaria. Ringrazio il suo Presidente, il Cardinale Giovanni Battista Re, per le sue cortesi parole che esprimono i sentimenti di tutti voi e il desiderio profondo di rinnovare il vostro impegno di servire, cum Petro et sub Petro, la Chiesa che peregrina in America Latina, seguendo l'esempio di Cristo, il Buon Pastore, che ama e si dona per le sue pecore.

Pensando alle sfide che all'inizio di questo terzo millennio si pongono all'Evangelizzazione, è stato scelto come tema di riflessione di questo incontro "La famiglia e l'educazione cristiana in America Latina", in particolare consonanza con l'indimenticabile Incontro Mondiale delle Famiglie tenutosi la scorsa estate a Valencia, in Spagna. È stato un bell'evento che ho potuto condividere con le famiglie cattoliche di tutto il mondo, molte di esse latinoamericane.

La vostra presenza qui mi fa pensare alla V Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, che ho convocato ad Aparecida, in Brasile, e che avrò il piacere di inaugurare. Chiedo allo Spirito Santo, che assiste sempre la sua Chiesa, che la gloria di Dio Padre misericordioso e la presenza pasquale di suo Figlio illuminino e guidino i lavori di questo importante evento ecclesiale affinché sia segno, testimonianza e forza di comunione per tutta la Chiesa in America Latina.

Questa Conferenza, in continuità con le quattro precedenti, è chiamata a dare un rinnovato impulso all'Evangelizzazione in questa vasta regione del mondo eminentemente cattolica, nella quale vive gran parte della comunità dei credenti. È necessario proclamare in modo integrale il Messaggio della Salvezza, affinché riesca a impregnare le radici della cultura e s'incarni nel momento storico latinoamericano attuale, per rispondere meglio ai suoi bisogni e alle sue legittime aspirazioni.

Allo stesso tempo, occorre riconoscere e difendere sempre la dignità di ogni essere umano come criterio fondamentale dei progetti sociali, culturali ed economici, perché contribuiscano a costruire la storia secondo il disegno di Dio. In effetti, la storia latinoamericana offre moltissime testimonianze di uomini e donne che hanno seguito fedelmente Cristo in un modo così radicale, colmi di quel fuoco divino che tutto consuma, da forgiare l'identità cristiana dei loro popoli. La loro vita è un esempio e un invito a seguire i loro passi.

La Chiesa in America Latina affronta sfide enormi: il cambiamento culturale generato da una comunicazione sociale che condiziona i modi di pensare e i costumi di milioni di persone; i flussi migratori, con tante ripercussioni sulla vita familiare e sulla pratica religiosa nei nuovi ambiti; la riapparizione di interrogativi su come i popoli devono assumere la loro memoria storica e il loro futuro democratico; la globalizzazione, il secolarismo, la povertà crescente e il deterioramento ecologico, soprattutto nelle grandi città, e anche la violenza e il narcotraffico.

Di fronte a tutto ciò, si osserva il bisogno urgente di una nuova Evangelizzazione, che ci spinga ad approfondire i valori della nostra fede, affinché siano linfa e configurino l'identità di questi amati popoli che un giorno hanno ricevuto la luce del Vangelo. Perciò risulta opportuno il tema scelto come guida per le riflessioni di questa Conferenza: Discepoli e missionari di Gesù Cristo, perché i nostri popoli in Lui abbiano vita. In effetti, la V Conferenza deve far sì che ogni cristiano divenga un vero discepolo di Gesù Cristo, inviato da Lui come apostolo, e, come diceva Papa Giovanni Paolo II, "non certo di rievangelizzazione, bensì di una nuova evangelizzazione. Nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nelle sue espressioni", affinché la Buona Novella si radichi nella vita e nella coscienza di tutti gli uomini e le donne dell'America Latina (Discorso di apertura della XIX Assemblea del Consiglio dell'Episcopato Latinoamericano, Port-au-Prince, Haiti, 9 marzo 1983).

Cari Fratelli, gli uomini e le donne dell'America Latina hanno una grande sete di Dio. Quando nella vita delle comunità si prova la sensazione di sentirsi orfani rispetto a Dio Padre, diviene vitale l'opera dei Vescovi, dei sacerdoti e degli altri agenti di pastorale, che rendono testimonianza, come Cristo, del fatto che Dio Padre è sempre Amore provvidente che si è rivelato in suo Figlio. Quando la fede non si alimenta della preghiera e della meditazione della Parola divina, quando la vita sacramentale langue, allora prosperano le sette e i nuovi gruppi pseudo-religiosi, provocando l'allontanamento dalla Chiesa da parte di molti cattolici. Nel non ricevere risposte alle loro aspirazioni più profonde, risposte che potrebbero trovare nella vita di fede condivisa, si producono anche situazioni di vuoto spirituale. Nell'opera evangelizzatrice è fondamentale ricordare sempre che il Padre e il Figlio hanno mandato lo Spirito Santo nella Pentecoste, e che questo stesso Spirito continua a dare impulso alla vita della Chiesa. Per questo è importante il senso di appartenenza ecclesiale, dove il cristiano cresce e matura nella comunione con i suoi fratelli, figli di uno stesso Dio e Padre.

"Io sono la Vita, la Verità e la Vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me" (
Jn 14,6). Come ha indicato il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II nella sua Esortazione Apostolica Ecclesia in America, "Gesù Cristo è, dunque, la risposta definitiva alla domanda sul senso della vita, agli interrogativi fondamentali che assillano anche oggi tanti uomini e donne del Continente americano" (n. 10). Solo vivendo intensamente il loro amore per Gesù Cristo e dedicandosi generosamente al servizio della carità, i suoi discepoli saranno testimoni eloquenti e credibili dell'immenso amore di Dio per ogni essere umano. In tal modo, amando con lo stesso amore di Dio, diventeranno agenti della trasformazione del mondo, instaurando in esso una nuova civiltà, che l'amato Papa Paolo VI chiamava giustamente "la civiltà dell'amore" (cfr Discorso di chiusura dell'Anno Santo, 25 dicembre 1975).

Per il futuro della Chiesa in America Latina e nei Caraibi è importante che i cristiani approfondiscano e assumano lo stile di vita proprio dei discepoli di Gesù: semplice e gioioso, con una fede salda radicata nel più intimo del loro cuore e alimentata dalla preghiera e dai sacramenti. In effetti la fede cristiana si nutre soprattutto della celebrazione domenicale dell'Eucaristia, nella quale si realizza un incontro comunitario, unito e speciale con Cristo, con la sua vita e la sua parola.

Il vero discepolo cresce e matura nella famiglia, nella comunità parrocchiale e diocesana; diviene missionario quando annuncia la persona di Cristo e il suo Vangelo in tutti gli ambiti: la scuola, l'economia, la cultura, la politica e i mezzi di comunicazione sociale. In modo particolare, i frequenti fenomeni di sfruttamento e ingiustizia, di corruzione e violenza, sono un appello pressante affinché i cristiani vivano con coerenza la loro fede e si sforzino di ricevere una salda formazione dottrinale e spirituale, contribuendo così all'edificazione di una società più giusta, più umana e cristiana.

È un dovere importante incoraggiare i cristiani affinché, animati dal loro spirito di fede e di carità, si adoperino instancabilmente per offrire nuove opportunità a quanti vivono nella povertà o nelle zone periferiche più abbandonate, affinché possano essere protagonisti attivi del proprio sviluppo, portando loro un messaggio di fede, di speranza e di solidarietà.

Per concludere, ritorno al tema del vostro incontro di questi giorni sulla famiglia cristiana, ambito privilegiato per vivere e trasmettere la fede e le virtù. Nel focolare domestico si custodisce il patrimonio della fede; in esso i figli ricevono il dono della vita, si sentono amati così come sono e apprendono i valori che li aiuteranno a vivere come figli di Dio. In tal modo, la famiglia, accogliendo il dono della vita, diviene l'ambito propizio per rispondere al dono della vocazione (cfr Angelus, Valencia, 8 luglio 2006), soprattutto ora che si sente tanto il bisogno che il Signore invii operai per la sua messe.

Chiediamo a Maria, modello di madre nella Santa Famiglia e Madre della Chiesa, Stella dell'Evangelizzazione, di guidare con la sua intercessione materna le comunità ecclesiali dell'America Latina e dei Caraibi e di assistere i partecipanti alla V Conferenza affinché trovino le vie più adeguate perché quei popoli abbiano la vita in Cristo ed edifichino, nel cosiddetto "Continente della speranza", un futuro degno per ogni uomo e ogni donna. Vi incoraggio tutti nel vostro lavoro e vi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.



A S.E. IL SIGNOR ANTUN SBUTEGA NUOVO AMBASCIATORE DELLA REPUBBLICA DEL MONTENEGRO PRESSO LA SANTA SEDE Lunedì, 22 gennaio 2007

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Signor Ambasciatore,

è per me motivo di singolare letizia accogliere le Lettere con cui S. E. il Sig. Filip Vujanovic, Presidente della Repubblica del Montenegro, La accredita quale primo Ambasciatore presso la Sede Apostolica. Sia il benvenuto! Il sentimento del Successore di Pietro, oggi, ha origini antiche e si nutre di una memoria, che riannoda un dialogo mai interrotto nei secoli fra le stirpi montenegrine e il Vescovo di Roma. Per il suo tramite, Signor Ambasciatore, desidero esprimere vivo compiacimento, in primo luogo, al Signor Presidente della Repubblica, che ho avuto la gioia di incontrare di recente, e poi anche alle altre Autorità dello Stato e all’intera società civile montenegrina che, nella sua pluralità etnica, ha voluto instaurare un dialogo diretto e cordiale con la Santa Sede.

Come Le è noto, sin dai tempi apostolici la Buona Novella ha raggiunto le terre che oggi formano la Repubblica a cui Ella appartiene. Tali legami di ordine spirituale si sono rafforzati ad opera dell’apostolato dei monaci benedettini, tanto da giungere, durante il pontificato del grande Papa Gregorio VII, al pubblico riconoscimento dell’indipendenza del Regno di Doclea, quando pervennero al Principe Mihail le insegne della regalità dalla Sede di Pietro. Lungo le alterne vicende dei secoli, i popoli attivi nell’attuale Crna Gora hanno conservato sempre un dinamico e cordiale rapporto con le altre genti vicine, tanto da offrire interessanti apporti alla vita di Nazioni europee, non ultima all’Italia stessa, alla quale, nel secolo passato, diedero persino una Regina.

Le antiche carte parlano di un fruttuoso dialogo fra la Sede Apostolica e il Principe Nicola del Montenegro, che portò nel 1886 alla stipula di una convenzione con la quale si provvedeva ai bisogni spirituali dei cittadini cattolici, dipendenti dall’allora capitale Cetinje. La lungimiranza delle risoluzioni adottate da quel Capo di Stato quanto al riconoscimento dei diritti di una parte dei suoi concittadini si impone ancor oggi alla nostra ammirazione, sottolineando la necessità di una giusta considerazione delle obiettive esigenze della pratica religiosa di ciascuno. Ogni cattolico è ben cosciente delle prerogative dello Stato, ma al tempo stesso è altrettanto conscio dei propri doveri nei confronti degli imperativi evangelici. Riflettendo, dunque, sui secoli trascorsi, quando il messaggio evangelico della salvezza ha raggiunto le terre del Montenegro, abbracciando la tradizione orientale e insieme quella occidentale, la Sua Patria, Signor Ambasciatore, si è caratterizzata sempre come luogo privilegiato di quell’incontro ecumenico che è da tutti auspicato. Anche l’incontro tra cristiani e musulmani ha trovato in Montenegro realizzazioni convincenti.

Occorre proseguire su questa strada, sulla quale la Chiesa si augura che tutti convergano nell’impegno di unire gli sforzi a servizio della nativa nobiltà dell’essere umano. La Chiesa infatti vede in questo una parte significativa della sua missione a servizio dell’uomo nella sua interezza di pensiero, di azione, di progettazione, nel rispetto delle tradizioni che identificano una terra come tale. Sono certo che, in campo europeo, il Montenegro non mancherà di dare il proprio attivo apporto sia nell’ambito civile, quanto in quello politico, sociale, culturale e religioso.

Una delle priorità sulle quali sicuramente sta riflettendo la nuova Repubblica indipendente, che Ella rappresenta, è il rafforzamento dello stato di diritto nei vari ambiti della vita pubblica, mediante l'adozione di provvedimenti che garantiscano l'effettivo godimento di tutti quei diritti che sono previsti dalle leggi fondamentali dello Stato. Ciò promuoverà la crescita nei cittadini della fiducia sociale, consentendo loro di sentirsi liberi di perseguire i loro legittimi obiettivi sia come singoli sia come comunità all’interno delle quali hanno scelto di raggrupparsi, e questo si tradurrà in una generale maturazione nella cultura della legalità.

Il Montenegro appartiene alla famiglia delle Nazioni europee, alle quali, pur nella propria piccola dimensione, ha dato e intende continuare a dare il suo generoso contributo. Il pieno riconoscimento della vita e degli scopi della comunità cattolica nel contesto della società montenegrina, attuato oltre un secolo fa, è risultato utile alla sovranità dello Stato e gradito alla missione specifica della Chiesa. In quella specifica circostanza storica, come non notare il rispettoso atteggiamento della Chiesa Ortodossa del tempo, che non si oppose ad una intesa con la Sede Apostolica? Essa, anzi, vide in questo passo un utile strumento per meglio sovvenire ai bisogni spirituali della popolazione. È auspicabile che tale cristiana disposizione possa evolversi ulteriormente.

Come in passato, la Sede Apostolica desidera riaffermare anche oggi la propria stima, il proprio affetto e la propria considerazione per le nobili stirpi che abitano il Montenegro, anche perseguendo un dialogo fraterno con l'Ortodossia, tanto presente e viva nel Paese. Di tale atteggiamento sono testimoni i millenari rapporti di reciproca considerazione. Anche oggi occorre approfondire tale atteggiamento costruttivo, per servire al meglio le genti da Lei qui oggi degnamente rappresentate. Esse, con grande apertura d’animo, guardano contemporaneamente sia ad Oriente che ad Occidente, ponendosi come ponte tra l’una e l’altra realtà. In piena cordialità, come nei secoli trascorsi, è possibile stabilire quelle intese che vanno a beneficio del Paese e della comunità cattolica, senza minimamente ledere i legittimi diritti di altre comunità religiose. Questa è la via imboccata dall'Europa odierna e che il Suo Paese intende percorrere con tanta speranza.

Signor Ambasciatore, le odierne credenziali che Ella mi presenta sono il segno di una volontà positiva di contribuire alla vita internazionale con la propria identità specifica. In tal senso, Ella troverà nella Sede Apostolica un’interlocutrice che ben conosce la storia, il presente e i desideri del Suo popolo. In me e nei miei validi collaboratori, Ella incontrerà attenzione e considerazione, basata sui millenari cordiali rapporti reciproci. Nel chiederLe di rendersi interprete presso le Autorità che L’accreditano della mia stima e della mia gratitudine, Le chiedo di trasmettere l’espressione del mio vivo auspicio di prosperità, di pace e di progresso per tutti gli abitanti del Montenegro, sui quali invoco le abbondanti benedizioni dell’Altissimo.



AI MEMBRI DEL CONSIGLIO ORDINARIO DEL SINODO DEI VESCOVI Sala del Concistoro Giovedì, 25 gennaio 2007

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Cari e venerati Fratelli,

grazie per la vostra visita. Vi saluto tutti con affetto, a cominciare dal Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, che ringrazio per le parole rivoltemi a nome di voi tutti. Sotto la sua guida vi siete riuniti per la quinta volta con lo scopo di provvedere agli adempimenti previsti a seguito dell'undicesima Assemblea Generale Ordinaria e dare inizio alla preparazione della prossima Assemblea. Vi accolgo con il saluto dell'Apostolo delle Genti, del quale oggi commemoriamo la straordinaria conversione: “Grazia e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo” (
1Co 1,3). Gesù è il Pastore supremo della Chiesa, ed è nel suo nome e mandato che noi abbiamo la cura di custodire il suo gregge con piena disponibilità, fino al dono totale delle nostre esistenze.

La futura Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, la dodicesima, avrà come tema: La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. A nessuno sfugge l'importanza di un tale argomento, che è risultato del resto il più richiesto nella consultazione tra i Pastori delle Chiese particolari. E questo si comprende facilmente, poiché l’azione spirituale, che esprime e alimenta la vita e la missione della Chiesa, si fonda necessariamente sulla Parola di Dio. Questa, inoltre, essendo destinata a tutti i discepoli del Signore - come ci ha ricordato la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani - richiede speciale venerazione e obbedienza, affinché sia accolta anche quale urgente richiamo alla piena comunione tra i credenti in Cristo.

Sul tema sopra menzionato voi avete lavorato con impegno e siete già pervenuti allo stadio finale della stesura dei Lineamenta, un documento che vuole rispondere all'esigenza, tanto avvertita dai Pastori, di favorire sempre più il contatto con la Parola di Dio nella meditazione e nella preghiera. Vi sono grato per l’apprezzato lavoro che, insieme alla Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi e ad un valido gruppo di esperti, state portando a termine. Sono certo che, una volta pubblicati, i Lineamenta serviranno come strumento prezioso affinché tutta la Chiesa possa approfondire la tematica della prossima Assemblea sinodale. Formulo di cuore l’auspicio che ciò aiuti a riscoprire l’importanza della Parola di Dio nella vita di ogni cristiano, di ogni comunità ecclesiale ed anche civile. La Parola di Dio, come ricorda la Lettera agli Ebrei, è viva ed efficace (cfr 4,12), ed illumina il nostro cammino nel pellegrinaggio terreno verso il pieno compimento del Regno di Dio.

Grazie ancora, cari Fratelli, per l’odierna vostra visita. Assicuro uno speciale ricordo nella preghiera per le vostre intenzioni, invocando su di voi la materna protezione della Beata Vergine Maria, che diede al mondo Gesù Cristo, Parola fatta carne. In segno di gratitudine e come auspicio dell'assistenza dello Spirito Santo nella futura consultazione della Chiesa universale, imparto l’apostolica Benedizione a voi tutti, volentieri estendendola a quanti sono affidati alle vostre cure pastorali.



AL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA IN OCCASIONE DELL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO Sala Clementina Sabato, 27 gennaio 2007

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Carissimi Prelati Uditori, Officiali e Collaboratori del Tribunale della Rota Romana!

Sono particolarmente lieto di incontrarmi nuovamente con voi in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Saluto cordialmente il Collegio dei Prelati Uditori, ad iniziare dal Decano, Mons. Antoni Stankiewicz, che ringrazio per le parole con le quali ha introdotto questo nostro incontro. Saluto poi gli Officiali, gli avvocati e gli altri collaboratori di codesto Tribunale, come pure i membri dello Studio rotale e tutti i presenti. Colgo volentieri l’occasione per rinnovarvi l’espressione della mia stima e per ribadire, al tempo stesso, la rilevanza del vostro ministero ecclesiale in un settore tanto vitale qual è l’attività giudiziaria. Ho ben presente il prezioso lavoro che siete chiamati a svolgere con diligenza e scrupolo a nome e per mandato di questa Sede Apostolica. Il vostro delicato compito di servizio alla verità nella giustizia è sostenuto dalle insigni tradizioni di codesto Tribunale, al cui rispetto ciascuno di voi deve sentirsi personalmente impegnato.

L’anno scorso, nel mio primo incontro con voi, ho cercato di esplorare le vie per superare l’apparente contrapposizione tra l’istituto del processo di nullità matrimoniale e il genuino senso pastorale. In tale prospettiva, emergeva l’amore alla verità quale punto di convergenza tra ricerca processuale e servizio pastorale alle persone. Non dobbiamo però dimenticare che nelle cause di nullità matrimoniale la verità processuale presuppone la "verità del matrimonio" stesso. L’espressione "verità del matrimonio" perde però rilevanza esistenziale in un contesto culturale segnato dal relativismo e dal positivismo giuridico, che considerano il matrimonio come una mera formalizzazione sociale dei legami affettivi. Di conseguenza, esso non solo diventa contingente come lo possono essere i sentimenti umani, ma si presenta come una sovrastruttura legale che la volontà umana potrebbe manipolare a piacimento, privandola perfino della sua indole eterosessuale.

Questa crisi di senso del matrimonio si fa sentire anche nel modo di pensare di non pochi fedeli. Gli effetti pratici di quella che ho chiamato "ermeneutica della discontinuità e della rottura" circa l’insegnamento del Concilio Vaticano II (cfr Discorso alla Curia Romana, 22 dicembre 2005) si avvertono in modo particolarmente intenso nell’ambito del matrimonio e della famiglia. Infatti, ad alcuni sembra che la dottrina conciliare sul matrimonio, e concretamente la descrizione di questo istituto come "intima communitas vitae et amoris" (Cost. past. Gaudium et spes
GS 48), debba portare a negare l’esistenza di un vincolo coniugale indissolubile, perché si tratterebbe di un «ideale» al quale non possono essere "obbligati" i "cristiani normali". Di fatto, si è diffusa anche in certi ambienti ecclesiali la convinzione secondo cui il bene pastorale delle persone in situazione matrimoniale irregolare esigerebbe una sorta di loro regolarizzazione canonica, indipendentemente dalla validità o nullità del loro matrimonio, indipendentemente cioè dalla "verità" circa la loro condizione personale. La via della dichiarazione di nullità matrimoniale viene di fatto considerata uno strumento giuridico per raggiungere tale obiettivo, secondo una logica in cui il diritto diventa la formalizzazione delle pretese soggettive. Al riguardo, va innanzitutto sottolineato che il Concilio descrive certamente il matrimonio come intima communitas vitae et amoris, ma tale comunità viene determinata, seguendo la tradizione della Chiesa, da un insieme di principi di diritto divino, che fissano il suo vero senso antropologico permanente (cfr. ibid.).

Poi, in fedele continuità ermeneutica con il Concilio, si è mosso il magistero di Paolo VI e di Giovanni Paolo II, come anche l’opera legislativa dei Codici tanto latino quanto orientale. Da tali Istanze infatti è stato portato avanti, anche a riguardo della dottrina e della disciplina matrimoniale, lo sforzo della "riforma" o del "rinnovamento nella continuità" (cfr Discorso alla Curia Romana, cit.). Questo sforzo si è sviluppato poggiando sull'indiscusso presupposto che il matrimonio abbia una sua verità, alla cui scoperta e al cui approfondimento concorrono armonicamente ragione e fede, cioè la conoscenza umana, illuminata dalla Parola di Dio, sulla realtà sessualmente differenziata dell’uomo e della donna, con le loro profonde esigenze di complementarietà, di donazione definitiva e di esclusività.

La verità antropologica e salvifica del matrimonio - anche nella sua dimensione giuridica - viene presentata già nella Sacra Scrittura. La risposta di Gesù a quei farisei che gli chiedevano il suo parere circa la liceità del ripudio è ben nota: "Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola?Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi" (Mt 19,4-6). Le citazioni della Genesi (1,27; 2,24) ripropongono la verità matrimoniale del "principio", quella verità la cui pienezza si trova in rapporto all’unione di Cristo con la Chiesa (cfr Ep 5,30-31), e che è stata oggetto di così ampie e profonde riflessioni da parte del Papa Giovanni Paolo II nei suoi cicli di catechesi sull’amore umano nel disegno divino. A partire da questa unità duale della coppia umana si può elaborare un’autentica antropologia giuridica del matrimonio. In tal senso, sono particolarmente illuminanti le parole conclusive di Gesù: "Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi". Ogni matrimonio è certamente frutto del libero consenso dell’uomo e della donna, ma la loro libertà traduce in atto la capacità naturale inerente alla loro mascolinità e femminilità. L’unione avviene in virtù del disegno di Dio stesso, che li ha creati maschio e femmina e dà loro il potere di unire per sempre quelle dimensioni naturali e complementari delle loro persone. L’indissolubilità del matrimonio non deriva dall’impegno definitivo dei contraenti, ma è intrinseca alla natura del "potente legame stabilito dal Creatore" (Giovanni Paolo II, Catechesi del 21 novembre 1979, n. 2). I contraenti si devono impegnare definitivamente proprio perché il matrimonio è tale nel disegno della creazione e della redenzione. E la giuridicità essenziale del matrimonio risiede proprio in questo legame, che per l’uomo e la donna rappresenta un’esigenza di giustizia e di amore a cui, per il loro bene e per quello di tutti, essi non si possono sottrarre senza contraddire ciò che Dio stesso ha fatto in loro.

Occorre approfondire quest’aspetto, non solo in considerazione del vostro ruolo di canonisti, ma anche perché la comprensione complessiva dell’istituto matrimoniale non può non includere anche la chiarezza circa la sua dimensione giuridica. Tuttavia, le concezioni circa la natura di tale rapporto possono divergere in maniera radicale. Per il positivismo, la giuridicità del rapporto coniugale sarebbe unicamente il risultato dell’applicazione di una norma umana formalmente valida ed efficace. In questo modo, la realtà umana della vita e dell’amore coniugale rimane estrinseca all’istituzione «giuridica» del matrimonio. Si crea uno iato tra diritto ed esistenza umana che nega radicalmente la possibilità di una fondazione antropologica del diritto.

Del tutto diversa è la via tradizionale della Chiesa nella comprensione della dimensione giuridica dell’unione coniugale, sulla scia degli insegnamenti di Gesù, degli Apostoli e dei Santi Padri. Sant’Agostino, ad esempio, citando San Paolo afferma con forza: "Cui fidei [coniugali] tantum iuris tribuit Apostolus, ut eam potestatem appellaret, dicens: Mulier non habet potestatem corporis sui, sed vir; similiter autem et vir non habet potestatem corporis sui, sed mulier (1Co 7,4)" (De bono coniugali, 4,4). San Paolo che così profondamente espone nella Lettera agli Efesini il "mystérion mega" dell’amore coniugale in rapporto all’unione di Cristo con la Chiesa (5,22-31), non esita ad applicare al matrimonio i termini più forti del diritto per designare il vincolo giuridico con cui sono uniti i coniugi fra loro, nella loro dimensione sessuale. Così pure, per Sant’Agostino, la giuridicità è essenziale in ciascuno dei tre beni (proles,fides, sacramentum), che costituiscono i cardini della sua esposizione dottrinale sul matrimonio.

Di fronte alla relativizzazione soggettivistica e libertaria dell’esperienza sessuale, la tradizione della Chiesa afferma con chiarezza l’indole naturalmente giuridica del matrimonio, cioè la sua appartenenza per natura all’ambito della giustizia nelle relazioni interpersonali. In quest’ottica, il diritto s’intreccia davvero con la vita e con l’amore come un suo intrinseco dover essere. Perciò, come ho scritto nella mia prima Enciclica, "in un orientamento fondato nella creazione, l’eros rimanda l’uomo al matrimonio, a un legame caratterizzato da unicità e definitività; così, e solo così, si realizza la sua intima destinazione" (Deus caritas est ). Amore e diritto possono così unirsi fino al punto da far sì che marito e moglie si debbano a vicenda l’amore che spontaneamente si vogliono: l’amore è in essi il frutto del loro libero volere il bene dell’altro e dei figli; il che, del resto, è anche esigenza dell’amore verso il proprio vero bene.

L’intero operato della Chiesa e dei fedeli in campo familiare deve fondarsi su questa verità circa il matrimonio e la sua intrinseca dimensione giuridica. Ciò nonostante, come ricordavo prima, la mentalità relativistica, in forme più o meno aperte o subdole, può insinuarsi anche nella comunità ecclesiale. Voi siete ben consapevoli dell’attualità di questo rischio, che si manifesta a volte in una distorta interpretazione delle norme canoniche vigenti. A questa tendenza occorre reagire con coraggio e fiducia, applicando costantemente l’ermeneutica del rinnovamento nella continuità e non lasciandosi sedurre da vie interpretative che implicano una rottura con la tradizione della Chiesa. Queste vie si allontanano dalla vera essenza del matrimonio nonché dalla sua intrinseca dimensione giuridica e, sotto svariati nomi più o meno attraenti, cercano di dissimulare una contraffazione della realtà coniugale. Si arriva così a sostenere che niente sarebbe giusto o ingiusto nelle relazioni di coppia, ma unicamente rispondente o no alla realizzazione delle aspirazioni soggettive di ciascuna delle parti. In quest’ottica l’idea del "matrimonio in facto esse" oscilla tra relazione meramente fattuale e facciata giuridico-positivistica, trascurando la sua essenza di vincolo intrinseco di giustizia tra le persone dell’uomo e della donna.

Il contributo dei tribunali ecclesiastici al superamento della crisi di senso sul matrimonio, nella Chiesa e nella società civile, potrebbe sembrare ad alcuni piuttosto secondario e di retroguardia. Tuttavia, proprio perché il matrimonio ha una dimensione intrinsecamente giuridica, l’essere saggi e convinti servitori della giustizia in questo delicato ed importantissimo campo ha un valore di testimonianza molto significativo e di grande sostegno per tutti. Voi, cari Prelati Uditori, siete impegnati su un fronte nel quale la responsabilità per la verità si fa sentire in modo speciale ai nostri tempi. Rimanendo fedeli al vostro compito, fate sì che la vostra azione s’inserisca armonicamente in una globale riscoperta della bellezza di quella "verità sul matrimonio" – la verità del "principio" – che Gesù ci ha pienamente insegnato e che lo Spirito Santo ci ricorda continuamente nell’oggi della Chiesa.

Sono queste, cari Prelati Uditori, Officiali e Collaboratori, le considerazioni che mi premeva proporre alla vostra attenzione, nella certezza di trovare in voi giudici e magistrati pronti a condividere e a fare propria una dottrina di tanta importanza e gravità. Esprimo a tutti e a ciascuno in particolare il mio compiacimento, nella piena fiducia che il Tribunale Apostolico della Rota Romana, efficace e autorevole manifestazione della sapienza giuridica della Chiesa, continuerà a svolgere con coerenza il proprio non facile munus a servizio del disegno divino perseguito dal Creatore e dal Redentore mediante l’istituzione matrimoniale. Invocando la divina assistenza sulla vostra fatica, di cuore imparto a tutti una speciale Benedizione Apostolica.




Discorsi 2005-13 12017