Discorsi 2005-13 10027

AI MEMBRI DELL'"ACCADEMIA DELLE SCIENZE MORALI E POLITICHE" DI PARIGI Sabato, 10 febbraio 2007

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Signor Segretario perpetuo,
Signor Cardinale,
Cari Amici Accademici, Signore e Signori,

È con piacere che vi accolgo oggi, membri dell'Accademia delle Scienze morali e politiche. In primo luogo, ringrazio il signor Michel Albert, Segretario perpetuo, per le parole con le quali si è fatto interprete della vostra delegazione, e anche per la medaglia che ricorda il mio ingresso come membro associato straniero della vostra nobile Istituzione.

L'Accademia delle Scienze morali e politiche è un luogo di scambi e di dibattiti, che propone a tutti i cittadini e al legislatore riflessioni per contribuire a "trovare le forme di organizzazione politica più favorevoli al bene pubblico e allo sviluppo dell'individuo". Di fatto, la riflessione e l'azione delle Autorità e dei cittadini devono essere incentrate su due elementi: il rispetto di ogni essere umano e la ricerca del bene comune. Nel mondo attuale è più che mai urgente invitare i nostri contemporanei a un'attenzione rinnovata per questi due elementi. In effetti, lo sviluppo del soggettivismo, che fa sì che ognuno tenda a considerarsi come unico punto di riferimento e a ritenere che quello che lui pensa abbia carattere di verità, ci esorta a formare le coscienze sui valori fondamentali, che non possono essere scherniti senza mettere in pericolo l'uomo e la società stessa, e sui criteri obiettivi di una decisione, che presuppongono un atto della ragione.

Come ho sottolineato durante la mia conferenza su la nuova Alleanza, tenuta dinanzi alla vostra Accademia nel 1995, la persona umana è "un essere costitutivamente in relazione", chiamato a sentirsi sempre più responsabile dei suoi fratelli e sorelle in umanità. La domanda posto da Dio, fin dal primo testo della Scrittura, deve risuonare incessantemente nel cuore di ognuno: "Dov'è... tuo fratello?". Il senso della fraternità e della solidarietà, e il senso del bene comune, si fondano sulla vigilanza rispetto ai propri fratelli e all'organizzazione della società, conferendo un posto ad ognuno, affinché possa vivere nella dignità, avere un tetto e il necessario per la propria esistenza e per quella della famiglia di cui è responsabile. È in questo spirito che bisogna intendere la mozione che avete votato, lo scorso ottobre, riguardo ai diritti dell'uomo e la libertà di espressione, che fa parte dei diritti fondamentali, avendo sempre a cuore di non schernire la dignità fondamentale delle persone e dei gruppi umani, e di rispettare le loro credenze religiose.

Che mi sia permesso di ricordare anche dinanzi a voi la figura di Andreï Dimitrijevitch Sakharov, al quale sono succeduto nell'Accademia. Quest'alta personalità ci ricorda che è necessario, nella vita personale e nella vita pubblica, avere il coraggio di dire la verità e di seguirla, di essere liberi rispetto al mondo circostante che tende spesso a imporre i suoi modi di vedere e i comportamenti da adottare. La vera libertà consiste nel procedere lungo il cammino della verità, secondo la propria vocazione, sapendo che ognuno dovrà rendere conto della propria vita al suo Creatore e Salvatore.

È importante che sappiamo proporre ai giovani un simile cammino, ricordando loro che il vero sviluppo non è a qualsiasi costo, e invitandoli a non accontentarsi di seguire tutte le mode che si presentano. Così, sapranno, con coraggio e tenacia, discernere il cammino della libertà e della felicità che presuppone vivere un certo numero di esigenze e compiere gli sforzi, i sacrifici e le rinunce necessarie per agire bene.

Una delle sfide per i nostri contemporanei, e in particolari per i giovani, consiste nell'accettare di non vivere semplicemente nell'esteriorità, nell'apparire, ma nello sviluppare la vita interiore, ambito unificatore dell'essere e dell'agire, luogo del riconoscimento della nostra dignità di figli di Dio chiamati alla libertà, non separandosi dalla fonte della vita, ma rimanendo legati ad essa. Ciò che allieta il cuore degli uomini è il riconoscersi figli o figlie di Dio, è una vita bella e buona sotto lo sguardo di Dio, come anche le vittorie ottenute sul male e contro la menzogna. Permettendo a ognuno di scoprire che la vita ha un senso e che egli ne è responsabile, apriamo la via a una maturazione delle persone e a una umanità riconciliata, desiderosa del bene comune.

Lo studioso russo Sakharov ne è un esempio; mentre, nel periodo comunista, la sua libertà esteriore veniva ostacolata, la sua libertà interiore, che nessuno poteva togliergli, l'autorizzava a prendere la parola per difendere con fermezza i suoi concittadini, nel nome del bene comune. Anche oggi è importante che l'uomo non si lasci ostacolare da catene esteriori, come il relativismo, la ricerca del potere e del profitto a ogni costo, la droga, rapporti affettivi sregolati, la confusione nel campo del matrimonio, il non riconoscimento dell'essere umano in tutte le fasi della sua esistenza, dal suo concepimento alla sua fine naturale, che lascia pensare che vi siano periodi in cui l'essere umano non esisterebbe realmente. Dobbiamo avere il coraggio di ricordare ai nostri contemporanei cos'è l'uomo e cos'è l'umanità. Invito le Autorità civili e le persone che hanno una funzione nella trasmissione dei valori ad avere sempre questo coraggio della verità sull'uomo.

Al termine del nostro incontro, permettetemi di auspicare che, attraverso i suoi lavori, l'Accademia delle Scienze morali e politiche, insieme ad altre istituzioni, possa sempre aiutare gli uomini a costruire una vita migliore e a edificare una società dove è bello vivere come fratelli. Questo auspicio si unisce alla preghiera che levo al Signore per voi, per le vostre famiglie e per tutti i membri dell'Accademia delle Scienze morali e politiche.



ALLA CONFEDERAZIONE NAZIONALE DELLE MISERICORDIE D’ITALIA E DEI DONATORI DI SANGUE "FRATRES" Aula Paolo VI Sabato, 10 febbraio 2007

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Cari amici delle Misericordie d’Italia!

Sono lieto di accogliervi e rivolgo il mio cordiale benvenuto a tutti voi qui presenti, grato per questa visita, che mi offre l’occasione di conoscervi meglio. Saluto il Presidente della vostra Confederazione e ringrazio il caro Cardinale Antonelli per le gentili parole che mi ha indirizzato a nome di tutti voi. Le Misericordie – è doveroso sottolinearlo - sono la più antica forma di volontariato organizzato sorta nel mondo. Esse risalgono, infatti, all’iniziativa di san Pietro Martire da Verona, il quale, nel 1244, a Firenze, radunò alcuni cittadini, di ogni età e ceto sociale, desiderosi di "onorare Dio con opere di misericordia verso il prossimo", nel più assoluto anonimato ed in totale gratuità. Oggi la Confederazione delle Misericordia d’Italia riunisce oltre 700 "confraternite" – come voi eloquentemente le chiamate –, concentrate specialmente in Toscana, ma presenti in tutto il territorio nazionale, in particolare nelle regioni centrali e meridionali. A queste bisogna aggiungere i numerosi gruppi di donatori di sangue denominati "Fratres". Più di centomila sono pertanto i volontari riuniti nella vostra benefica organizzazione; essi sono in modo permanente impegnati nell’ambito socio-sanitario. La varietà dei vostri interventi, oltre ad essere una risposta ai bisogni emergenti nella società, è segno di uno zelo, di una "fantasia" nella carità che deriva da un cuore pulsante, di cui è "motore" l’amore per l’uomo in difficoltà.

Proprio per questo meritate apprezzamento: con la vostra presenza e la vostra azione contribuite a diffondere il Vangelo dell’amore di Dio per tutti gli uomini. Come, infatti, non ricordare l’impressionante pagina evangelica nella quale san Matteo ci presenta l’incontro definitivo con il Signore? Allora, così ci ha detto Gesù stesso, ci sarà chiesto dal Giudice del mondo se nel corso della nostra esistenza abbiamo dato da mangiare all’affamato, da bere all’assetato; se abbiamo accolto il forestiero ed aperto le porte del cuore al bisognoso. In una parola, nel giudizio finale Dio ci domanderà se abbiamo amato non in modo astratto, ma concretamente, con i fatti (cfr
Mt 25,31-46). E mi tocca sempre veramente il cuore, leggendo di nuovo queste righe, che Gesù, il Figlio dell’uomo e Giudice finale, ci precede con questa azione facendosi lui stesso uomo, facendosi povero e assetato e, alla fine, ci abbraccia stringendoci al cuore. E così Dio fa quanto vuole che noi facciamo: essere aperto per gli altri e vivere l’amore non con le parole, ma con i fatti. Alla fine della vita, amava ripetere san Giovanni della Croce, saremo giudicati sull’amore. Quanto è necessario che anche oggi, anzi specialmente in questa nostra epoca segnata da tante sfide umane e spirituali, i cristiani proclamino con le opere l’amore misericordioso di Dio! Ogni battezzato dovrebbe essere un "vangelo vissuto". Tante persone, infatti, che non facilmente accolgono Cristo ed i suoi esigenti insegnamenti, sono però sensibili alla testimonianza di quanti comunicano il suo messaggio mediante la testimonianza concreta della carità. L’amore è un linguaggio che giunge diretto al cuore e lo apre alla fiducia. Vi esorto allora, come faceva san Pietro con i primi cristiani, ad essere sempre pronti "a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (1P 3,15).

Vorrei poi aggiungere un’altra riflessione: la vostra realtà associativa costituisce un tipico esempio dell’importanza che ha il conservare le proprie "radici cristiane" in Italia e in Europa. Le vostre confraternite, le Misericordie sono una presenza viva e vivace, molto realistica, di queste radici cristiane. Al giorno d’oggi le Misericordie non sono un’aggregazione ecclesiale, ma le loro radici storiche restano inequivocabilmente cristiane. Lo esprime il nome stesso: "Misericordie", e lo manifesta anche il fatto, già ricordato, che alla vostre origini c’è l’iniziativa di un Santo. Ora, le radici, per continuare a portare frutti, devono mantenersi vive e salde. E’ per questo che opportunamente proponete per i vostri soci dei periodici momenti di qualificazione e di formazione, per approfondire sempre più le motivazioni umane e cristiane delle vostre attività. Il rischio, in effetti, è che il volontariato possa ridursi a semplice attivismo. Se invece resta vitale la carica spirituale, può comunicare agli altri ben di più che le cose materialmente necessarie: può offrire al prossimo in difficoltà lo sguardo di amore di cui ha bisogno (cfr Enc. Deus caritas est ).

Desidero, infine, manifestarvi un terzo motivo di apprezzamento: insieme con altre associazioni di volontariato, voi svolgete un’importante funzione educativa. Contribuite cioè a tener viva la sensibilità ai valori più nobili, quali la fraternità e l’aiuto disinteressato a chi si trova in difficoltà. In particolare i giovani possono trarre beneficio dall’esperienza del volontariato, perché, se bene impostato, esso diventa per loro una "scuola di vita", che li aiuta a dare alla propria esistenza un senso e un valore più alto e fecondo. Possano le Misericordie stimolarli a crescere nella dimensione del servizio al prossimo e a scoprire una grande verità evangelica: che cioè "c’è più gioia nel dare che nel ricevere" (Ac 20,35 cfr Deus caritas est ).

Cari amici, domani, 11 febbraio, festa della Madonna di Lourdes, ricorre la Giornata Mondiale del Malato, giunta ormai alla sua 15.ma edizione. Quest’anno l’attenzione è rivolta in modo speciale alle persone affette da malattie inguaribili. A molti di questi anche voi, cari amici, dedicate i vostri servizi. La Vergine Immacolata, Madre della Misericordia, vegli su ogni vostra confraternita, anzi, su ciascuno dei membri delle Misericordie d’Italia. Vi aiuti a compiere con autentico amore la vostra missione, contribuendo così a diffondere nel mondo l’amore di Dio, sorgente di vita per ogni essere umano. A voi qui presenti, a tutte le Misericordie d’Italia e ai donatori di sangue Fratres imparto di cuore la mia Benedizione.





XV GIORNATA MONDIALE DEL MALATO - DISCORSO AGLI AMMALATI AL TERMINE DELLA MESSA Basilica Vaticana Domenica, 11 febbraio 2007

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Cari fratelli e sorelle,

con grande gioia vi incontro qui, nella Basilica Vaticana, in occasione della festa della Madonna di Lourdes e dell'annuale Giornata Mondiale del Malato, al termine della Celebrazione eucaristica presieduta dal Cardinale Camillo Ruini. A lui, in primo luogo, rivolgo il mio cordiale saluto, che estendo a tutti voi qui presenti: all'Arciprete della Basilica, Mons. Angelo Comastri, agli altri Vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose. Saluto i responsabili e i membri dell'UNITALSI, che si occupano del trasporto e della cura degli ammalati nei pellegrinaggi e in altri momenti significativi. Saluto i responsabili e i pellegrini dell'Opera Romana Pellegrinaggi e quanti prenderanno parte al XV Convegno Nazionale Teologico-Pastorale, che vedrà l'adesione di molti dall'Italia e dall'estero. Saluto, inoltre, la delegazione dei rappresentanti dei "Cammini d'Europa". Ma il saluto più cordiale vorrei indirizzarlo a voi, cari ammalati, ai vostri familiari e ai volontari che con amore vi seguono e vi accompagnano anche quest'oggi. Insieme a tutti voi desidero unirmi a coloro che in questo stesso giorno prendono parte ai vari momenti della Giornata Mondiale del Malato che si tiene nella città di Seul, in Corea. Là, a mio nome, presiede le celebrazioni il Cardinale Javier Lozano Barragán, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari.

Quest'oggi dunque è la festa della Beata Vergine Maria di Lourdes, che poco meno di centocinquanta anni or sono apparve a una semplice ragazza, s. Bernardetta Soubirous, manifestandosi come l'Immacolata Concezione. Anche in quella apparizione la Madonna si è mostrata tenera madre verso i suoi figli, ricordando che i piccoli, i poveri sono i prediletti di Dio ed a loro è rivelato il mistero del Regno dei cieli. Cari amici, Maria, che con la sua fede ha accompagnato il Figlio fin sotto la croce, Lei che fu associata per un disegno misterioso alle sofferenze di Cristo, suo Figlio, mai si stanca di esortarci a vivere e a condividere con serena fiducia l'esperienza del dolore e della malattia, offrendola con fede al Padre, completando così ciò che manca nella nostra carne ai patimenti di Cristo (cfr
Col 1,24). A questo riguardo, mi tornano in mente le parole con le quali il mio venerato predecessore Paolo VI concludeva l'Esortazione apostolica Marialis cultus: "All'uomo contemporaneo, non di rado tormentato tra l'angoscia e la speranza, prostrato dal senso dei suoi limiti e assalito da aspirazioni senza confini, la Beata Vergine Maria, contemplata nella sua vicenda evangelica e nella realtà che già possiede nella Città di Dio, offre una visione serena e una parola rassicurante: la vittoria della speranza sull'angoscia, della comunione sulla solitudine, della pace sul turbamento, della gioia e della bellezza sul tedio e la nausea, delle prospettive eterne su quelle temporali, della vita sulla morte" (n. 57). Sono parole che illuminano il nostro cammino, anche quando sembra svanire il senso della speranza e la certezza della guarigione; sono parole che vorrei fossero di conforto specialmente per quanti sono colpiti da malattie gravi e dolorose.

Ed è proprio a questi nostri fratelli particolarmente provati che l'odierna Giornata Mondiale del Malato dedica la sua attenzione. Ad essi vorremmo far sentire la vicinanza materiale e spirituale dell'intera comunità cristiana. È importante non lasciarli nell'abbandono e nella solitudine mentre si trovano ad affrontare un momento tanto delicato della loro vita. Meritevoli sono pertanto coloro che con pazienza ed amore mettono a loro servizio competenze professionali e calore umano. Penso ai medici, agli infermieri, agli operatori sanitari, ai volontari, ai religiosi e alle religiose, ai sacerdoti che senza risparmiarsi si chinano su di essi, come il buon Samaritano, non guardando alla loro condizione sociale, al colore della pelle o all'appartenenza religiosa, ma solo a ciò di cui abbisognano. Nel volto di ogni essere umano, ancor più se provato e sfigurato dalla malattia, brilla il volto di Cristo, il quale ha detto: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40).

Cari fratelli e sorelle, tra poco una suggestiva fiaccolata farà rivivere il clima che si crea tra i pellegrini e i devoti a Lourdes, al calare della sera. Il pensiero nostro va alla grotta di Massabielle, dove si incrociano il dolore umano e la speranza, la paura e la fiducia. Quanti pellegrini, confortati dallo sguardo della Madre, trovano a Lourdes la forza di compiere più facilmente la volontà di Dio anche quando costa rinuncia e dolore, consapevoli che, come afferma l'apostolo Paolo, tutto concorre al bene di coloro che amano il Signore (cfr Rm 8,28). La candela, che tenete accesa tra le mani, sia anche per voi, cari fratelli e sorelle, il segno di un sincero desiderio di camminare con Gesù, fulgore di pace che rischiara le tenebre e ci spinge, a nostra volta, ad essere luce e sostegno per chi ci vive accanto. Nessuno, specialmente chi si trova in condizioni di dura sofferenza, si senta mai solo e abbandonato. Tutti vi affido questa sera alla Vergine Maria. Lei, dopo aver conosciuto indicibili sofferenze, è stata assunta in Cielo, dove ci attende e dove anche noi speriamo di poter condividere un giorno la gloria del suo divin Figlio, la gioia senza fine. Con questi sentimenti imparto la mia Benedizione a voi tutti qui presenti e a quanti vi sono cari.



AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO INTERNAZIONALE SULLA LEGGE MORALE NATURALE PROMOSSO DALLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE Sala Clementina Lunedì, 12 febbraio 2007

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Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Stimati Professori,
Gentili Signore e Signori!

E' con particolare piacere che vi accolgo all'inizio dei lavori congressuali, che vi vedranno impegnati nei prossimi giorni su un tema di rilevante importanza per l'attuale momento storico, quello della legge morale naturale. Ringrazio Mons. Rino Fisichella, Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense, per i sentimenti espressi nell’indirizzo con il quale ha voluto introdurre questo incontro.

E' fuori dubbio che viviamo un momento di straordinario sviluppo nella capacità umana di decifrare le regole e le strutture della materia e nel conseguente dominio dell’uomo sulla natura. Tutti vediamo i grandi vantaggi di questo progresso e vediamo sempre più anche le minacce di una distruzione della natura per la forza del nostro fare. C’è un altro pericolo meno visibile, ma non meno inquietante: il metodo che ci permette di conoscere sempre più a fondo le strutture razionali della materia ci rende sempre meno capaci di vedere la fonte di questa razionalità, la Ragione creatrice. La capacità di vedere le leggi dell’essere materiale ci rende incapaci di vedere il messaggio etico contenuto nell’essere, messaggio chiamato dalla tradizione lex naturalis, legge morale naturale. Una parola, questa, per molti oggi quasi incomprensibile a causa di un concetto di natura non più metafisico, ma solamente empirico. Il fatto che la natura, l’essere stesso non sia più trasparente per un messaggio morale, crea un senso di disorientamento che rende precarie ed incerte le scelte della vita di ogni giorno. Lo smarrimento, naturalmente, aggredisce in modo particolare le generazioni più giovani, che devono in questo contesto trovare le scelte fondamentali per la loro vita.

E’ proprio alla luce di queste constatazioni che appare in tutta la sua urgenza la necessità di riflettere sul tema della legge naturale e di ritrovare la sua verità comune a tutti gli uomini. Tale legge, a cui accenna anche l’apostolo Paolo (cfr
Rm 2,14-15), è scritta nel cuore dell’uomo ed è, di conseguenza, anche oggi non semplicemente inaccessibile. Questa legge ha come suo primo e generalissimo principio quello di “fare il bene ed evitare il male”. E’, questa, una verità la cui evidenza si impone immediatamente a ciascuno. Da essa scaturiscono gli altri principi più particolari, che regolano il giudizio etico sui diritti e sui doveri di ciascuno. Tale è il principio del rispetto per la vita umana dal suo concepimento fino al suo termine naturale, non essendo questo bene della vita proprietà dell’uomo ma dono gratuito di Dio. Tale è pure il dovere di cercare la verità, presupposto necessario di ogni autentica maturazione della persona. Altra fondamentale istanza del soggetto è la libertà. Tenendo conto, tuttavia, del fatto che la libertà umana è sempre una libertà condivisa con gli altri, è chiaro che l’armonia delle libertà può essere trovata solo in ciò che è comune a tutti: la verità dell’essere umano, il messaggio fondamentale dell’essere stesso, la lex naturalis appunto. E come non menzionare, da una parte, l’esigenza di giustizia che si manifesta nel dare unicuique suum e, dall’altra, l’attesa di solidarietà che alimenta in ciascuno, specialmente se disagiato, la speranza di un aiuto da parte di chi ha avuto una sorte migliore? Si esprimono, in questi valori, norme inderogabili e cogenti che non dipendono dalla volontà del legislatore e neppure dal consenso che gli Stati possono ad esse prestare. Sono infatti norme che precedono qualsiasi legge umana: come tali, non ammettono interventi in deroga da parte di nessuno.

La legge naturale è la sorgente da cui scaturiscono, insieme a diritti fondamentali, anche imperativi etici che è doveroso onorare. Nell’attuale etica e filosofia del Diritto, sono largamente diffusi i postulati del positivismo giuridico. La conseguenza è che la legislazione diventa spesso solo un compromesso tra diversi interessi: si cerca di trasformare in diritti interessi privati o desideri che stridono con i doveri derivanti dalla responsabilità sociale. In questa situazione è opportuno ricordare che ogni ordinamento giuridico, a livello sia interno che internazionale, trae ultimamente la sua legittimità dal radicamento nella legge naturale, nel messaggio etico iscritto nello stesso essere umano. La legge naturale è, in definitiva, il solo valido baluardo contro l’arbitrio del potere o gli inganni della manipolazione ideologica. La conoscenza di questa legge iscritta nel cuore dell’uomo aumenta con il progredire della coscienza morale. La prima preoccupazione per tutti, e particolarmente per chi ha responsabilità pubbliche, dovrebbe quindi essere quella di promuovere la maturazione della coscienza morale. E’ questo il progresso fondamentale senza il quale tutti gli altri progressi finiscono per risultare non autentici. La legge iscritta nella nostra natura è la vera garanzia offerta ad ognuno per poter vivere libero e rispettato nella propria dignità. Quanto fin qui detto ha applicazioni molto concrete se si fa riferimento alla famiglia, cioè a quell’“intima comunità di vita e d’amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie” (Cost. past. Gaudium et spes GS 48). Il Concilio Vaticano II ha, al riguardo, opportunamente ribadito che l’istituto del matrimonio “ha stabilità per ordinamento divino”, e perciò “questo vincolo sacro, in vista del bene sia dei coniugi e della prole che della società, non dipende dall’arbitrio dell’uomo” (ibid.). Nessuna legge fatta dagli uomini può perciò sovvertire la norma scritta dal Creatore, senza che la società venga drammaticamente ferita in ciò che costituisce il suo stesso fondamento basilare. Dimenticarlo significherebbe indebolire la famiglia, penalizzare i figli e rendere precario il futuro della società.

Sento infine il dovere di affermare ancora una volta che non tutto ciò che è scientificamente fattibile è anche eticamente lecito. La tecnica, quando riduce l’essere umano ad oggetto di sperimentazione, finisce per abbandonare il soggetto debole all’arbitrio del più forte. Affidarsi ciecamente alla tecnica come all’unica garante di progresso, senza offrire nello stesso tempo un codice etico che affondi le sue radici in quella stessa realtà che viene studiata e sviluppata, equivarrebbe a fare violenza alla natura umana con conseguenze devastanti per tutti. L'apporto degli uomini di scienza è d’importanza primaria. Insieme col progredire delle nostre capacità di dominio sulla natura, gli scienziati devono anche contribuire ad aiutarci a capire in profondità la nostra responsabilità per l’uomo e per la natura a lui affidata. Su questa base è possibile sviluppare un fecondo dialogo tra credenti e non credenti; tra teologi, filosofi, giuristi e uomini di scienza, che possono offrire anche al legislatore un materiale prezioso per il vivere personale e sociale. Auspico pertanto che queste giornate di studio possano portare non solo a una maggior sensibilità degli studiosi nei confronti della legge morale naturale, ma spingano anche a creare le condizioni perché su questa tematica si arrivi a una sempre più piena consapevolezza del valore inalienabile che la lex naturalis possiede per un reale e coerente progresso della vita personale e dell'ordine sociale. Con questo augurio, assicuro il mio ricordo nella preghiera per voi e per il vostro impegno accademico di ricerca e di riflessione, mentre a tutti imparto con affetto l'Apostolica Benedizione.



AI RAPPRESENTANTI PONTIFICI IN AMERICA LATINA Sala del Concistoro Sabato, 17 febbraio 2007

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Venerati Fratelli,

sono molto lieto di accogliervi, al termine della vostra riunione in preparazione alla V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano. Porgo a ciascuno il mio cordiale saluto, ad iniziare dal Signor Cardinale Tarcisio Bertone, mio Segretario di Stato, che ringrazio per le parole con cui si è fatto interprete dei comuni sentimenti. Ringrazio i Signori Cardinali presidenti della V Conferenza Generale dell'Episcopato Latino-Americano e i responsabili dei Dicasteri della Curia Romana, che hanno offerto il loro contributo ai vostri lavori. Colgo soprattutto questa occasione per rinnovare a voi, Nunzi Apostolici presenti, e a tutti i Rappresentanti Pontifici l’espressione del mio apprezzamento per l’importante servizio ecclesiale che svolgete, spesso tra non poche difficoltà dovute alla lontananza dalla patria d’origine, ai frequenti spostamenti e, talora, anche alle tensioni socio-politiche presenti là dove operate. Nello svolgimento del vostro delicato ufficio, che certamente è sempre animato da profondo spirito di fede, ognuno di voi si senta accompagnato dalla stima, dall’affetto e dalla preghiera del Papa.

Ogni Nunzio Apostolico è chiamato a consolidare i legami di comunione tra le Chiese particolari e il Successore di Pietro. A lui è affidata la responsabilità di promuovere, insieme con i Pastori e l’intero Popolo di Dio, il dialogo e la collaborazione con la società civile per realizzare il bene comune. I Rappresentanti Pontifici sono la presenza del Papa, che si fa vicino attraverso di loro a quanti Egli non può incontrare di persona e, in modo speciale, a chi vive in condizioni di difficoltà e di sofferenza. Il vostro, cari Fratelli, è un ministero di comunione ecclesiale e un servizio alla pace e alla concordia nella Chiesa e tra i popoli. Siate sempre consapevoli dell’importanza, della grandezza e della bellezza di questa vostra missione e tendete senza stancarvi a realizzarla con generosa dedizione.

La Provvidenza divina ha chiamato voi, qui presenti, a svolgere il vostro servizio in America Latina, definita dall’amato Giovanni Paolo II – che più volte l’ha visitata - “Continente della speranza”, come è già stato detto. Avrò la gioia di prendere, se Dio vuole, personalmente contatto con la realtà di quei Paesi intervenendo, a Dio piacendo, all’apertura della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano, ad Aparecida, in Brasile, nel prossimo mese di maggio. In un certo senso, tale assemblea ricapitola e dà seguito alle Conferenze Generali precedenti, mentre si arricchisce dei numerosi doni “post-conciliari” del Magistero Pontificio – il pensiero va in particolare all’Esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in America – come anche dei frutti del cammino sinodale della Chiesa Cattolica. Si propone di definire le grandi priorità e di suscitare un rinnovato slancio alla missione della Chiesa al servizio dei popoli latino-americani nelle circostanze concrete dell'inizio di questo secolo XXI. Tale ricapitolazione rinvia alla tradizione della cattolicità, la quale, grazie ad una straordinaria epopea missionaria, si è fatta presente ed ha segnato con la sua impronta la struttura culturale che caratterizza fino ad oggi l'identità latino-americana. Tale è la vocazione originale - come diceva il mio compianto predecessore Giovanni Paolo II a Santo Domingo – “di popoli che la stessa geografia, la fede cristiana, la lingua e la cultura hanno unito definitivamente nel cammino della Storia” (Discorso di apertura della IV Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano, 12.X.1992, n. 15: Insegnamenti, XV, 2 [1992], p. 326).

A partire proprio dal tema di tale importante riunione: “Discípulos y misioneros de Jesucristo para que nuestros pueblos en Él tengan vida”, anche voi, in questi giorni, avete avuto modo di evidenziare alcune sfide che la Chiesa incontra nella vasta area latino-americana, inserita nelle dinamiche mondiali e condizionata sempre più dagli effetti della globalizzazione. Davanti a questa sfida le nazioni che la compongono cercano in diversi modi di affermare la propria identità ed il loro proprio peso nel cammino storico del mondo di oggi; cercano, non raramente tra tante difficoltà, di consolidare la pace interna della propria Nazione. Sentendosi come “sorelle”, mirano a diventare anche una comunità, unita nella pace e nello sviluppo culturale ed economico. La Chiesa, segno e strumento di unità per l’intero genere umano (cfr Lumen gentium
LG 1), si trova naturalmente in sintonia con ogni legittima aspirazione dei popoli ad una maggiore armonia e cooperazione, e reca il contributo che le è proprio, cioè quello del Vangelo. Essa auspica che nei Paesi latino-americani dove le Carte costituzionali si limitano a “concedere” libertà di credo e di culto, ma non “riconoscono” ancora la libertà religiosa, si possano quanto prima definire le reciproche relazioni fondate sui principi di autonomia e di sana e rispettosa collaborazione. Ciò permetterà alla Comunità ecclesiale di sviluppare tutte le sue potenzialità a vantaggio della società e di ogni singola persona umana, creata ad immagine di Dio. Una corretta formulazione giuridica di tali relazioni non potrà non tenere conto del ruolo storico, spirituale, culturale e sociale svolto dalla Chiesa Cattolica nell’America Latina.

Questo ruolo continua ad essere primario, grazie pure alla felice fusione tra l’antica e ricca sensibilità dei popoli indigeni con il cristianesimo e con la cultura moderna. Alcuni ambienti, lo sappiamo, affermano un contrasto tra la ricchezza e profondità delle culture precolombiane e la fede cristiana presentata come un’imposizione esteriore o un’alienazione per i popoli dell’America Latina. In verità, l’incontro tra queste culture e la fede in Cristo fu una risposta interiormente aspettata da tali culture. Questo incontro quindi non è da rinnegare, ma da approfondire e ha creato la vera identità dei popoli dell’America Latina. Infatti, la Chiesa Cattolica è l’istituzione che gode del maggior credito da parte delle popolazioni latino-americane. E’ attiva nella vita della gente, stimata per il lavoro che compie negli ambiti dell’educazione, della salute e della solidarietà verso i bisognosi. L’aiuto per i poveri e la lotta contro la povertà sono e rimangono una fondamentale priorità nella vita delle Chiese in America Latina. La Chiesa e anche attiva per gli interventi di mediazione che non raramente le vengono richiesti in occasione di conflitti interni. Una così consolidata presenza deve però oggi tener conto, tra l’altro, del proselitismo delle sette e dell’influenza crescente del secolarismo edonista postmoderno. Sulle cause dell’attrazione delle sette dobbiamo seriamente riflettere per trovare le risposte giuste. Dinanzi alle sfide dell’attuale momento storico le nostre comunità sono chiamate a rinsaldare la loro adesione a Cristo per testimoniare una fede matura e piena di gioia e veramente – nonostante tutti i problemi – enormi sono le potenzialità. E veramente enormi sono le potenzialità spirituali a cui può attingere l’America Latina, dove i misteri della fede sono celebrati con fervida devozione e la fiducia nel futuro è alimentata dall’aumento delle vocazioni sacerdotali e religiose. È naturalmente necessario accompagnare con grande attenzione i giovani nel cammino della vocazione, ed aiutare i sacerdoti, i religiosi e le religiose a perseverare nella loro vocazione. Un immenso potenziale missionario ed evangelizzatore è poi offerto dai giovani, che costituiscono più dei due terzi della popolazione, mentre la famiglia resta “una caratteristica primordiale della cultura latino-americana”, come ebbe a dire il mio venerato predecessore, Giovanni Paolo II, nell’incontro di Puebla, in Messico, nel gennaio del 1979.

Un’attenzione prioritaria merita proprio la famiglia, che mostra segni di cedimento sotto le pressioni di lobbies capaci di incidere negativamente sui processi legislativi. Divorzi e unioni libere sono in aumento, mentre l’adulterio è guardato con ingiustificabile tolleranza. Occorre ribadire che il matrimonio e la famiglia hanno il loro fondamento nel nucleo più intimo della verità sull’uomo e sul suo destino; solo sulla roccia dell’amore coniugale, fedele e stabile, tra un uomo e una donna si può edificare una comunità degna dell’essere umano. Mi piacerebbe evidenziare altre tematiche religiose e sociali sulle quali avete avuto modo di riflettere. Mi limito a citare il fenomeno della migrazione, strettamente collegato con la famiglia; l’importanza della scuola e l’attenzione ai valori e alla coscienza, per formare laici maturi che siano in grado di offrire un contributo qualificato nella vita sociale e civile; l’educazione dei giovani con piani vocazionali appropriati che accompagnino, in particolar modo, i seminaristi e gli aspiranti alla vita consacrata nel loro cammino formativo; l’impegno ad informare in modo adeguato l’opinione pubblica sulle grandi questioni etiche secondo i principi del Magistero della Chiesa e una presenza efficace nel campo degli strumenti di comunicazione anche per rispondere alle sfide delle sette. I movimenti ecclesiali costituiscono certo una valida risorsa per l’apostolato, ma vanno aiutati a mantenersi sempre fedeli al Vangelo e all’insegnamento della Chiesa, anche quando operano nel campo sociale e politico. In particolare, sento il dovere di ribadire che non spetta agli ecclesiastici capeggiare aggregazioni sociali o politiche, ma ai laici maturi e professionalmente preparati.

Cari Fratelli, in questi giorni avete pensato e dialogato insieme; insieme avete soprattutto pregato. Domandiamo al Signore, per intercessione di Maria, che i frutti di questa vostra riunione e della prossima Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano vadano a beneficio di tutta la Chiesa. A voi ancora grazie per il lavoro che avete compiuto. Tornando nei vostri Paesi fatevi interpreti dei miei cordiali sentimenti presso i Pastori e le Comunità cristiane, i Governi e le popolazioni. Assicurate la vicinanza spirituale del Papa in special modo ai vostri collaboratori, alle religiose e a quanti cooperano al buon andamento delle sedi delle vostre Nunziature. A tutti e ciascuno imparto di cuore una speciale Benedizione Apostolica.





Discorsi 2005-13 10027