Discorsi 2005-13 26018

AL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA IN OCCASIONE DELL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO Sala Clementina Sabato, 26 gennaio 2008

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Carissimi Prelati Uditori, Officiali e Collaboratori
del Tribunale della Rota Romana!

La ricorrenza del primo centenario del ristabilimento del Tribunale Apostolico della Rota Romana, sancito da San Pio X nel 1908 con la Costituzione apostolica Sapienti consilio, è stata appena ricordata dalle cordiali parole del vostro Decano, Mons. Antoni Stankiewicz. Questa circostanza rende ancor più vivi i sensi di apprezzamento e di gratitudine con cui vi incontro già per la terza volta. A tutti ed a ciascuno di voi va il mio saluto cordiale. In voi, cari Prelati Uditori, e anche in tutti coloro che in diversi modi partecipano all’attività di questo Tribunale, vedo impersonata un’istituzione della Sede Apostolica il cui radicamento nella tradizione canonica si rivela fonte di costante vitalità. Spetta a voi il compito di mantenere viva quella tradizione, nella convinzione di rendere così un servizio sempre attuale all’amministrazione della giustizia nella Chiesa.

Questo centenario è occasione propizia per riflettere su un aspetto fondamentale dell’attività della Rota, cioè sul valore della giurisprudenza rotale nel complesso dell’amministrazione della giustizia nella Chiesa. È un profilo messo in risalto nella stessa descrizione che della Rota fa la Costituzione apostolica Pastor bonus: «Questo Tribunale funge ordinariamente da istanza superiore nel grado di appello presso la Sede Apostolica per tutelare i diritti nella Chiesa, provvede all’unità della giurisprudenza e, attraverso le proprie sentenze, è di aiuto ai Tribunali di grado inferiore» (art. 126). I miei amati Predecessori nei loro annuali discorsi parlarono spesso con apprezzamento e fiducia della giurisprudenza della Rota Romana sia in generale sia con riferimento ad argomenti concreti, specialmente matrimoniali.

Se è giusto e doveroso ricordare il ministero di giustizia svolto dalla Rota durante la sua plurisecolare esistenza, e particolarmente negli ultimi cento anni, risulta anche opportuno, nella presente ricorrenza, cercare di approfondire il senso di tale servizio, di cui i volumi annuali delle decisioni sono una manifestazione e nel contempo uno strumento operativo. In particolare, ci possiamo chiedere perché le sentenze rotali possiedono una rilevanza giuridica che oltrepassa l’ambito immediato delle cause in cui vengono emesse. A prescindere dal valore formale che ogni ordinamento giuridico possa attribuire ai precedenti giudiziari, è indubbio che le singole decisioni interessano in qualche modo l’intera società. Infatti, esse vanno determinando ciò che tutti possono attendersi dai tribunali, il che certamente influisce sull’andamento della vita sociale. Qualsiasi sistema giudiziario deve cercare di offrire soluzioni nelle quali, insieme alla valutazione prudenziale dei casi nella loro irripetibile concretezza, siano applicati i medesimi principi e norme generali di giustizia. Solo in questo modo si crea un clima di fiducia nell’operato dei tribunali, e si evita l’arbitrarietà dei criteri soggettivi. Inoltre, all’interno di ogni organizzazione giudiziaria vi è una gerarchia tra i vari tribunali, di modo che la possibilità stessa di ricorrere ai tribunali superiori costituisce di per sé uno strumento di unificazione della giurisprudenza.

Le anzidette considerazioni sono perfettamente applicabili anche ai tribunali ecclesiastici. Anzi, siccome i processi canonici riguardano gli aspetti giuridici dei beni salvifici o di altri beni temporali che servono alla missione della Chiesa, l’esigenza di unità nei criteri essenziali di giustizia e la necessità di poter prevedere ragionevolmente il senso delle decisioni giudiziarie, diventa un bene ecclesiale pubblico di particolare rilievo per la vita interna del Popolo di Dio e per la sua testimonianza istituzionale nel mondo. Oltre alla valenza intrinseca di ragionevolezza insita nell’operato di un Tribunale che decide le cause ordinariamente in ultima istanza, è chiaro che il valore della giurisprudenza della Rota Romana dipende dalla sua natura di istanza superiore nel grado di appello presso la Sede Apostolica. Le disposizioni legali che riconoscono tale valore (cfr can. 19 CIC; Cost. ap. Pastor bonus, art. 126) non creano, ma dichiarano quel valore. Esso proviene in definitiva dalla necessità di amministrare la giustizia secondo parametri uguali in tutto ciò che, per l’appunto, è in sé essenzialmente uguale.

Di conseguenza, il valore della giurisprudenza rotale non è una questione fattuale d’ordine sociologico, ma è d’indole propriamente giuridica, in quanto si pone al servizio della giustizia sostanziale. Pertanto, sarebbe improprio ravvisare una contrapposizione fra la giurisprudenza rotale e le decisioni dei tribunali locali, i quali sono chiamati a compiere una funzione indispensabile, nel rendere immediatamente accessibile l’amministrazione della giustizia, e nel poter indagare e risolvere i casi nella loro concretezza talvolta legata alla cultura e alla mentalità dei popoli. In ogni caso, tutte le sentenze devono essere sempre fondate sui principi e sulle norme comuni di giustizia. Tale bisogno, comune ad ogni ordinamento giuridico, riveste nella Chiesa una specifica pregnanza, nella misura in cui sono in gioco le esigenze della comunione, che implica la tutela di ciò che è comune alla Chiesa universale, affidata in modo peculiare all’Autorità Suprema e agli organi che ad normam iuris partecipano alla sua sacra potestà.

Nell’ambito matrimoniale la giurisprudenza rotale ha svolto un lavoro molto cospicuo in questi cento anni. In particolare, ha offerto contributi assai significativi che sono sfociati nella codificazione vigente. Dopodiché non si può pensare che sia diminuita l’importanza dell’interpretazione giurisprudenziale del diritto da parte della Rota. In effetti, proprio l’applicazione dell’attuale legge canonica esige che se ne colga il vero senso di giustizia, legato anzitutto all’essenza stessa del matrimonio. La Rota Romana è costantemente chiamata a un compito arduo, che influisce molto sul lavoro di tutti i tribunali: quello di cogliere l’esistenza o meno della realtà matrimoniale, che è intrinsecamente antropologica, teologica e giuridica. Per meglio comprendere il ruolo della giurisprudenza, vorrei insistere su ciò che vi ho detto l’anno scorso circa la dimensione intrinsecamente giuridica del matrimonio (cfr discorso del 27 gennaio 2007, in AAS 99 [2007], PP 86-91). Il diritto non può essere ridotto ad un mero insieme di regole positive che i tribunali sono chiamati ad applicare. L’unico modo per fondare solidamente l’opera giurisprudenziale consiste nel concepirla quale vero esercizio della prudentia iuris, di una prudenza che è tutt’altro che arbitrarietà o relativismo, poiché consente di leggere negli eventi la presenza o l’assenza dello specifico rapporto di giustizia che è il matrimonio, con il suo reale spessore umano e salvifico. Soltanto in questo modo le massime giurisprudenziali acquistano il loro vero valore, e non diventano una compilazione di regole astratte e ripetitive, esposte al rischio di interpretazioni soggettive e arbitrarie.

Perciò, la valutazione oggettiva dei fatti, alla luce del Magistero e del diritto della Chiesa, costituisce un aspetto molto importante dell’attività della Rota Romana, ed influisce molto sull’operato dei ministri di giustizia dei tribunali delle Chiese locali. La giurisprudenza rotale va vista come esemplare opera di saggezza giuridica, compiuta con l’autorità del Tribunale stabilmente costituito dal Successore di Pietro per il bene di tutta la Chiesa. Grazie a tale opera, nelle cause di nullità matrimoniale la realtà concreta viene oggettivamente giudicata alla luce dei criteri che riaffermano costantemente la realtà del matrimonio indissolubile, aperta ad ogni uomo e ad ogni donna secondo il disegno di Dio Creatore e Salvatore. Ciò richiede uno sforzo costante per raggiungere quell’unità di criteri di giustizia che caratterizza in modo essenziale la nozione stessa di giurisprudenza e ne è presupposto fondamentale di operatività. Nella Chiesa, proprio per la sua universalità e per la diversità delle culture giuridiche in cui è chiamata ad operare, c’è sempre il rischio che si formino, sensim sine sensu, ‘giurisprudenze locali’ sempre più distanti dall’interpretazione comune delle leggi positive e persino dalla dottrina della Chiesa sul matrimonio. Auspico che si studino i mezzi opportuni per rendere la giurisprudenza rotale sempre più manifestamente unitaria, nonché effettivamente accessibile a tutti gli operatori della giustizia, in modo da trovare uniforme applicazione in tutti i tribunali della Chiesa.

In quest’ottica realistica va inteso pure il valore degli interventi del Magistero ecclesiastico sulle questioni giuridiche matrimoniali, compresi i discorsi del Romano Pontefice alla Rota Romana. Essi sono una guida immediata per l’operato di tutti i tribunali della Chiesa in quanto insegnano con autorità ciò che è essenziale circa la realtà del matrimonio. Il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II, nel suo ultimo discorso alla Rota, mise in guardia contro la mentalità positivistica nella comprensione del diritto, che tende a separare le leggi e gli indirizzi giurisprudenziali dalla dottrina della Chiesa. Egli affermò: "In realtà, l’interpretazione autentica della parola di Dio, operata dal magistero della Chiesa, ha valore giuridico nella misura in cui riguarda l’ambito del diritto, senza aver bisogno di nessun ulteriore passaggio formale per diventare giuridicamente e moralmente vincolante. Per una sana ermeneutica giuridica è poi indispensabile cogliere l’insieme degli insegnamenti della Chiesa, collocando organicamente ogni affermazione nell’alveo della tradizione. In questo modo si potrà rifuggire sia da interpretazioni selettive e distorte, sia da critiche sterili a singoli passi" (AAS 97 [2005], p. 166, n. 6).

Il presente centenario è destinato ad andare oltre la commemorazione formale. Esso diviene occasione di una riflessione che deve ritemprare il vostro impegno vivificandolo con un sempre più profondo senso ecclesiale della giustizia, che è vero servizio alla comunione salvifica. Vi incoraggio a pregare quotidianamente per la Rota Romana e per tutti coloro che operano nel settore dell’amministrazione della giustizia nella Chiesa, ricorrendo all’intercessione materna di Maria Santissima, Speculum iustitiae. Questo invito potrebbe sembrare meramente devozionale e piuttosto estrinseco rispetto al vostro ministero: invece, non dobbiamo dimenticare che nella Chiesa tutto si realizza mediante la forza dell’orazione, che trasforma tutta la nostra esistenza e ci riempie della speranza che Gesù ci porta. Questa preghiera, inseparabile dall’impegno quotidiano, serio e competente, apporterà luce e forza, fedeltà e autentico rinnovamento nella vita di questa venerabile Istituzione, mediante la quale, ad normam iuris,il Vescovo di Roma esercita la sua sollecitudine primaziale per l’amministrazione della giustizia nell’intero Popolo di Dio. La mia benedizione odierna, piena di affetto e di gratitudine, vuol abbracciare perciò sia voi qui presenti sia quanti servono la Chiesa e i fedeli in questo campo in tutto il mondo.



AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO INTER-ACCADEMICO "L'IDENTITÀ MUTEVOLE DELL'INDIVIDUO" Sala dei Papi Lunedì, 28 gennaio 2008

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PROMOSSO DALLA "ACADÉMIE DES SCIENCES" DI PARIGI E DALLA PONTIFICIA ACCADEMIA DELLE SCIENZE


Signori Cancellieri,
Eccellenze,
Cari Amici Accademici,
Signore e Signori,

È con piacere che vi accolgo al termine del vostro Convegno che si conclude qui a Roma, dopo essersi svolto nell'Istituto di Francia, a Parigi, e che è stato dedicato al tema "L'Identità mutevole dell'individuo". Ringrazio prima di tutto il Principe Gabriel de Broglie per le parole di omaggio con le quali ha voluto introdurre il nostro incontro. Desidero parimenti salutare i membri di tutte le istituzioni sotto la cui egida è stato organizzato questo Convegno: la Pontificia Accademia delle Scienze, la Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, l'Accademia delle Scienze Morali e Politiche, l'Accademia delle Scienze, l'Istituto Cattolico di Parigi. Sono lieto del fatto che, per la prima volta, una collaborazione interaccademica di tale natura si sia potuto instaurare, aprendo la via ad ampie ricerche pluridisciplinari sempre più feconde.

Mentre le scienze esatte, naturali e umane, hanno fatto prodigiosi progressi nella conoscenza dell'uomo e del suo universo, grande è la tentazione di voler circoscrivere completamente l'identità dell'essere umano e di chiuderlo nel sapere che ne può derivare. Per non intraprendere questa via, è importante dare voce alla ricerca antropologica, filosofica e teologica, che permette di far apparire e mantenere nell'uomo il suo mistero, poiché nessuna scienza può dire chi è l'uomo, da dove viene e dove va. La scienza dell'uomo diviene dunque la più necessaria di tutte le scienze. È il concetto espresso da Giovanni Paolo II nell'Enciclica Fides et ratio: "Una grande sfida che ci aspetta al termine di questo millennio è quella di saper compiere il passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno al fondamento. Non è possibile fermarsi alla sola esperienza; anche quando questa esprime e rende manifesta l'interiorità dell'uomo e la sua spiritualità, è necessario che la riflessione speculativa raggiunga la sostanza spirituale e il fondamento che la sorregge" (n. 83). L'uomo va sempre al di là di quello che di lui si vede o si percepisce attraverso l'esperienza. Trascurare l'interrogativo sull'essere dell'uomo porta inevitabilmente a rifiutare di ricercare la verità obiettiva sull'essere nella sua integrità e, in tal modo, a non essere più capaci di riconoscere il fondamento sul quale riposa la dignità dell'uomo, di ogni uomo, dalla fase embrionale fino alla sua morte naturale.

Nel corso del vostro convegno, avete sperimentato che le scienze, la filosofia e la teologia possono aiutarsi nel percepire l'identità dell'uomo, che è sempre in divenire. A partire da un interrogativo sul nuovo essere derivato dalla fusione cellulare, che è portatore di un patrimonio genetico nuovo e specifico, avete messo in luce elementi fondamentali del mistero dell'uomo, caratterizzato dalla alterità: essere creato da Dio, essere a immagine di Dio, essere amato fatto per amare. In quanto essere umano, non è mai chiuso in se stesso; è sempre portatore di alterità e si trova fin dalla sua origine ad interagire con altri esseri umani, come ci rivelano sempre più le scienze umane. Come non ricordare qui la meravigliosa meditazione del salmista sull'essere umano, tessuto nel segreto del seno di sua madre e allo stesso tempo conosciuto, nella sua identità e nel suo mistero, da Dio solo, che lo ama e lo protegge (cfr
Ps 138,1-16)!

L'uomo non è il frutto del caso, e neppure di un insieme di convergenze, di determinismi o di interazioni psico-chimiche; è un essere che gode di una libertà che, pur tenendo conto della sua natura, la trascende, e che è il segno del mistero di alterità che lo abita. È in questa prospettiva che il grande pensatore Pascal diceva che "l'uomo supera infinitamente l'uomo". Questa libertà, che è propria dell'essere uomo, fa sì che quest'ultimo possa orientare la sua vita verso un fine, possa, con le azioni che compie, volgersi verso la felicità alla quale è chiamato per l'eternità. Questa libertà dimostra che l'esistenza dell'uomo ha un senso. Nell'esercizio della sua autentica libertà, la persona soddisfa la sua vocazione; si realizza e dà forma alla sua identità profonda. È anche nella messa in atto della sua libertà che esercita la propria responsabilità sulle sue azioni. In tal senso, la dignità particolare dell'essere umano è al contempo un dono di Dio e la promessa di un futuro.

L'uomo ha in sé una capacità specifica: quella di discernere ciò che è buono e bene. Posta in lui dal Creatore come un sigillo, la sinderesi lo spinge a fare il bene. Maturo grazie ad essa, l'uomo è chiamato a sviluppare la propria coscienza attraverso la formazione e l'esercizio, per procedere liberamente nell'esistenza, fondandosi sulle leggi fondamentali che sono la legge naturale e quella morale. Nella nostra epoca, in cui lo sviluppo delle scienze attira e seduce mediante le possibilità offerte, è più importante che mai educare le coscienze dei nostri contemporanei, affinché la scienza non divenga il criterio del bene e l'uomo sia rispettato come il centro del creato e non sia oggetto di manipolazioni ideologiche, né di decisioni arbitrarie o abusi dei più forti sui più deboli. Pericoli di cui abbiamo conosciuto le manifestazioni nel corso della storia umana, e in particolare nel corso del ventesimo secolo.

Qualsiasi pratica scientifica deve essere anche una pratica di amore, chiamata a mettersi al servizio dell'uomo e dell'umanità, e ad apportare il suo contribuito all'edificazione dell'identità delle persone. In effetti, come ho sottolineato nell'Enciclica Deus caritas est, "L'amore comprende la totalità dell'esistenza in ogni sua dimensione, anche in quella del tempo... Amore è "estasi"... ma estasi come cammino, come esodo permanente dell'io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, proprio così verso il ritrovamento di sé" (n. 6). L'amore fa uscire da se stessi per scoprire e riconoscere l'altro; aprendo all'alterità, afferma anche l'identità del soggetto, poiché l'altro mi rivela me stesso. In tutta la Bibbia è questa l'esperienza fatta, a partire da Abramo, da numerosi credenti. Il modello per eccellenza dell'amore è Cristo. È nell'atto di dare la propria vita per i fratelli, di donarsi completamente che si manifesta la sua identità profonda e che troviamo la chiave di lettura del mistero insondabile del suo essere e della sua missione.

Affidando le vostre ricerche all'intercessione di San Tommaso d'Aquino, che la Chiesa onora in questo giorno e che resta un "un autentico modello per quanti ricercano la verità" (Fides et ratio FR 78), vi assicuro della mia preghiera per voi, per le vostre famiglie e per i vostri collaboratori, e imparto a tutti con affetto la Benedizione Apostolica.



AI PARTECIPANTI ALLA SESSIONE PLENARIA DELLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE Sala Clementina Giovedì, 31 gennaio 2008

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Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
carissimi e fedeli Collaboratori!

E’ per me motivo di grande gioia incontrarvi in occasione della vostra Sessione Plenaria. Posso così parteciparvi i sentimenti di profonda riconoscenza e di cordiale apprezzamento che provo per il lavoro che il vostro Dicastero svolge al servizio del ministero di unità, affidato in special modo al Romano Pontefice. E’ un ministero che si esprime primariamente in funzione dell’unità di fede, poggiante sul “sacro deposito”, di cui il Successore di Pietro è il primo custode e difensore (cfr Cost. ap. Pastor Bonus, 11). Ringrazio il Signor Cardinale William Levada per i sentimenti che, a nome di tutti, ha espresso nel suo indirizzo e per il richiamo dei temi che sono stati oggetto di alcuni Documenti della vostra Congregazione in questi ultimi anni e delle tematiche che tuttora impegnano l’esame del Dicastero.

In particolare, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato l’anno scorso due Documenti importanti, che hanno offerto alcune precisazioni dottrinali su aspetti essenziali della dottrina sulla Chiesa e sull’Evangelizzazione. Sono precisazioni necessarie per lo svolgimento corretto del dialogo ecumenico e del dialogo con le religioni e le culture del mondo. Il primo Documento porta il titolo “Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina della Chiesa” e ripropone anche nelle formulazioni e nel linguaggio l’insegnamento del Concilio Vaticano II, in piena continuità con la dottrina della Tradizione cattolica. Viene così confermato che l’una e unica Chiesa di Cristo ha la sua sussistenza, permanenza e stabilità nella Chiesa Cattolica e che pertanto l’unità, l’indivisibilità e l’indistruttibilità della Chiesa di Cristo non vengono annullate dalle separazioni e divisioni dei cristiani. Accanto a questa precisazione dottrinale fondamentale, il Documento ripropone l’uso linguistico corretto di certe espressioni ecclesiologiche, che rischiano di essere fraintese, e richiama a tal fine l’attenzione sulla differenza che ancora permane tra le diverse Confessioni cristiane nei riguardi della comprensione dell’essere Chiesa, in senso propriamente teologico. Ciò, lungi dall’impedire l’impegno ecumenico autentico, sarà di stimolo perché il confronto sulle questioni dottrinali avvenga sempre con realismo e piena consapevolezza degli aspetti che ancora separano le Confessioni cristiane, oltre che nel riconoscimento gioioso delle verità di fede comunemente professate e della necessità di pregare incessantemente per un cammino più solerte verso una maggiore e alla fine piena unità dei cristiani. Coltivare una visione teologica che ritenesse l’unità e identità della Chiesa come sue doti “nascoste in Cristo”, con la conseguenza che storicamente la Chiesa esisterebbe di fatto in molteplici configurazioni ecclesiali, riconciliabili soltanto in prospettiva escatologica, non potrebbe che generare un rallentamento e ultimamente la paralisi dell’ecumenismo stesso.

L’affermazione del Concilio Vaticano II che la vera Chiesa di Cristo “sussiste nella Chiesa cattolica” (Cost. dogm. Lumen gentium
LG 8) non riguarda soltanto il rapporto con le Chiese e comunità ecclesiali cristiane, ma si estende anche alla definizione dei rapporti con le religioni e le culture del mondo. Lo stesso Concilio Vaticano II nella Dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa afferma che “questa unica vera religione sussiste nella Chiesa cattolica, alla quale il Signore Gesù ha affidato il compito di diffonderla a tutti gli uomini” (n. 1). La “Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione” - l’altro Documento pubblicato dalla vostra Congregazione nel dicembre 2007 -, a fronte del rischio di un persistente relativismo religioso e culturale, ribadisce che la Chiesa, nel tempo del dialogo tra le religioni e le culture, non si dispensa dalla necessità dell’evangelizzazione e dell’attività missionaria verso i popoli, né cessa di chiedere agli uomini di accogliere la salvezza offerta a tutte le genti. Il riconoscimento di elementi di verità e bontà nelle religioni del mondo e della serietà dei loro sforzi religiosi, lo stesso colloquio e spirito di collaborazione con esse per la difesa e la promozione della dignità della persona e dei valori morali universali, non possono essere intesi come una limitazione del compito missionario della Chiesa, che la impegna ad annunciare incessantemente Cristo come la via, la verità e la vita (cfr Jn 14,6).

Vi invito inoltre, carissimi, a seguire con particolare attenzione i problemi difficili e complessi della bioetica. Le nuove tecnologie biomediche, infatti, interessano non soltanto alcuni medici e ricercatori specializzati, ma vengono divulgate attraverso i moderni mezzi di comunicazione sociale, provocando attese ed interrogativi in settori sempre più vasti della società. Il Magistero della Chiesa certamente non può e non deve intervenire su ogni novità della scienza, ma ha il compito di ribadire i grandi valori in gioco e di proporre ai fedeli e a tutti gli uomini di buona volontà principi e orientamenti etico-morali per le nuove questioni importanti. I due criteri fondamentali per il discernimento morale in questo campo sono a) il rispetto incondizionato dell’essere umano come persona, dal suo concepimento fino alla morte naturale, b) il rispetto dell’originalità della trasmissione della vita umana attraverso gli atti propri dei coniugi. Dopo la pubblicazione nel 1987 dell’Istruzione Donum vitae, che aveva enunciato tali criteri, molti hanno criticato il Magistero della Chiesa, denunciandolo come se fosse un ostacolo alla scienza e al vero progresso dell’umanità. Ma i nuovi problemi connessi, ad esempio, con il congelamento degli embrioni umani, con la riduzione embrionale, con la diagnosi pre-impiantatoria, con le ricerche sulle cellule staminali embrionali e con i tentativi di clonazione umana, mostrano chiaramente come, con la fecondazione artificiale extra-corporea, sia stata infranta la barriera posta a tutela della dignità umana. Quando esseri umani, nello stato più debole e più indifeso della loro esistenza, sono selezionati, abbandonati, uccisi o utilizzati quale puro “materiale biologico”, come negare che essi siano trattati non più come un “qualcuno”, ma come un “qualcosa”, mettendo così in questione il concetto stesso di dignità dell’uomo?

Certamente la Chiesa apprezza e incoraggia il progresso delle scienze biomediche che aprono prospettive terapeutiche finora sconosciute, mediante, ad esempio, l’uso delle cellule staminali somatiche oppure mediante le terapie volte alla restituzione della fertilità o alla cura delle malattie genetiche. Nel contempo essa sente il dovere di illuminare le coscienze di tutti, affinché il progresso scientifico sia veramente rispettoso di ogni essere umano, a cui va riconosciuta la dignità di persona, essendo creato ad immagine di Dio. Lo studio su tali tematiche, che ha impegnato in special modo la vostra Assise in questi giorni, contribuirà certamente a promuovere la formazione della coscienza di tanti nostri fratelli, secondo quanto afferma il dettato del Concilio Vaticano II nella Dichiarazione Dignitatis humanae: “I cristiani... nella formazione della loro coscienza devono considerare diligentemente la dottrina sacra e certa della Chiesa. Infatti per volontà di Cristo la Chiesa cattolica è maestra di verità, e il suo compito è di annunziare e di insegnare in modo autentico la verità che è Cristo, e nello stesso tempo di dichiarare e di confermare con la sua autorità i principi dell'ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana” (n. 14).

Nell’incoraggiarvi a proseguire nel vostro impegnativo ed importante lavoro, vi esprimo anche in questa circostanza la mia spirituale vicinanza, ed imparto di cuore a tutti voi, in pegno di affetto e di gratitudine, la Benedizione Apostolica.





AI PRESULI DELLA CHIESA GRECO-CATTOLICA DELL'UCRAINA IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Venerdì, 1 febbraio 2008

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Beatitudine,
Venerati Fratelli nell'Episcopato,

sono veramente lieto di accogliervi quest’oggi, a conclusione della vostra visita ad limina Apostolorum. Gravi ed oggettive ragioni vi hanno impedito di compiere insieme questo pellegrinaggio alla Sede di Pietro. L’ultima visita “ad limina” dei Vescovi greco-cattolici risale al 1937. Ora, dopo che le vostre rispettive Chiese hanno ritrovato la piena libertà, voi siete qui a rappresentare comunità rinate e vibranti nella fede, che mai hanno smesso di sentirsi in piena comunione con il Successore di Pietro. Siate benvenuti, carissimi Fratelli, in questa casa nella quale si è sempre levata intensa ed incessante la preghiera per l'amata Chiesa greco-cattolica in Ucraina. Nel venerato Cardinale Lubomyr Husar, Arcivescovo Maggiore di Kyiv-Halyc, che ringrazio per le toccanti espressioni di affetto che mi ha rivolto a vostro nome, nell'Amministratore Apostolico dell’Eparchia di Mukachevo di rito bizantino, e in tutti voi, mi piace salutare le vostre rispettive comunità, gli instancabili sacerdoti, i consacrati, le consacrate e quanti con dedizione svolgono il ministero pastorale al servizio del Popolo di Dio.

Dalle relazioni circa la situazione delle vostre Eparchie ed Esarcati ho potuto notare quanto grande sia il vostro impegno a promuovere, consolidare e verificare costantemente l'unità e la collaborazione all’interno delle vostre comunità, per poter affrontare uniti le sfide che vi interpellano come Pastori e che sono al centro delle vostre preoccupazioni e dei vostri programmi pastorali. Ammiro, pertanto, l’opera generosa e la infaticabile testimonianza che offrite al vostro Popolo e alla Chiesa. In tale sforzo pastorale e missionario vi sono di necessario aiuto i sacerdoti, che il Buon Pastore ha posto come collaboratori al vostro fianco. Profitto volentieri dell’occasione per manifestare sincero apprezzamento per la loro quotidiana azione apostolica. Incoraggiateli, venerati Fratelli, nelle varie iniziative di aggiornamento a non inseguire le novità del mondo, ma ad offrire alla società quelle risposte che solo Cristo può dare alle attese di giustizia e di pace del cuore umano. Per questo occorre un’adeguata preparazione intellettuale e spirituale, che suppone un itinerario formativo permanente, iniziato nei seminari, dove la disciplina e la vita spirituale devono sempre essere ben curate, e proseguito poi nel corso degli anni di ministero. Nei vivai di vocazioni, che sono appunto i seminari, c’è bisogno di educatori e formatori qualificati e competenti in ambito umano, scientifico, dottrinale, ascetico e pastorale, per aiutare i futuri presbiteri a crescere nella loro relazione personale con Cristo, grazie ad una progressiva identificazione con Lui. Solo così potranno assumere con spirito di autentico servizio ecclesiale le responsabilità pastorali che il Vescovo assegnerà loro.

In questa prospettiva, vi esorto ad intensificare per i vostri sacerdoti corsi di esercizi spirituali, di formazione e di aggiornamento teologico e pastorale, se possibile in collaborazione anche con l'Episcopato latino, rispettando ciascuno le proprie tradizioni. E’ innegabile che tale collaborazione dei due riti farebbe crescere una maggiore sintonia dei cuori fra quanti servono l'unica Chiesa. E sono certo che, con tale disposizione interiore, si potranno più facilmente lenire eventuali malintesi, nella consapevolezza che ambedue i riti appartengono all'unica Comunità Cattolica, e ambedue hanno piena e uguale cittadinanza nell'unico Popolo ucraino. In questa luce, sembrerebbe utile, venerati Fratelli, che vi incontraste regolarmente, per esempio una volta all’anno, con i Vescovi latini.

Rilevante importanza riveste la Vita Consacrata nelle Eparchie e negli Esarcati a voi affidati e di questo insieme con voi rendo grazie a Dio. Mi avete tuttavia informato che, al riguardo, ci sono alcune difficoltà, specie nell'ambito della formazione, per quanto concerne la responsabile obbedienza dei religiosi e delle religiose e la loro cooperazione alle necessità della Chiesa. Con la magnanimità di Pastori e la pazienza di Padri, esortate questi fratelli e sorelle a difendere instancabilmente l’indole “a-secolare” della loro peculiare vocazione. Aiutateli a coltivare lo spirito delle Beatitudini e ad osservare fedelmente i voti di povertà, castità e obbedienza con fedeltà evangelica, perché possano rendere nella Chiesa quella tipica testimonianza che a loro è richiesta.

Vi è un’ulteriore preoccupazione che vi sta a cuore ed è l'impegno ecumenico. Bisogna umilmente riconoscere che in questo campo permangono ostacoli concreti e oggettivi. Non bisogna tuttavia perdersi di animo di fronte alle difficoltà, ma occorre proseguire il cammino avviato con la preghiera e la paziente carità. D'altra parte, in Ucraina da secoli ortodossi e cattolici cercano di tessere un quotidiano, umile e sereno dialogo che abbraccia tanti aspetti della vita. Gli insuccessi, che sono da mettere sempre in conto, non devono rallentare l'entusiasmo per perseguire l'obiettivo voluto dal Signore: “Che tutti siano una sola cosa” (
Jn 17,20). Qualche tempo fa, incontrando i Padri della Plenaria del Dicastero per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, osservavo come “ciò che, comunque, va innanzitutto promosso, è l’ecumenismo dell’amore, che discende direttamente dal comandamento nuovo lasciato da Gesù ai suoi discepoli. L’amore accompagnato da gesti coerenti crea fiducia, fa aprire i cuori e gli occhi. Il dialogo della carità per sua natura promuove e illumina il dialogo della verità: è infatti nella piena verità che si avrà l’incontro definitivo a cui conduce lo Spirito di Cristo” (Insegnamenti di Benedetto XVI, II, 2, 2006, p. 632). Un valido sostegno all’azione ecumenica può senz’altro offrire l'Università cattolica ucraina.

Importante è, inoltre, coinvolgere sempre più i fedeli laici nella vita della Chiesa, perché rechino il loro apporto specifico al bene comune della società ucraina. Ciò esige, da parte vostra, una costante cura della loro formazione mediante iniziative adeguate alla loro vocazione laicale: essi potranno così concorrere attivamente alla missione della Chiesa ed essere “fermento” di Vangelo vivo nei vari ambienti della società.

Venerati Fratelli, l'odierno incontro, che avviene dopo oltre settant'anni, ci permette di elevare insieme a Dio un commosso ringraziamento per la rinascita della vostra Chiesa, dopo il drammatico periodo della persecuzione. Mi preme, in questa occasione, assicurarvi che il Papa vi porta tutti nel suo cuore, con affetto vi accompagna e vi sostiene nella vostra non facile missione. Vi chiedo di trasmettere il mio cordiale saluto ai sacerdoti, vostri primi collaboratori, ai religiosi e alle religiose, come pure all’intero popolo cristiano, particolarmente ai bambini, ai giovani, alle famiglie, ai malati e a quanti si trovano in difficoltà. Per ciascuno assicuro un ricordo nella preghiera, invocando su tutti la costante protezione della celeste Madre di Dio e dei vostri santi Patroni. Con affetto, infine, imparto una speciale Benedizione Apostolica a voi, alle vostre Comunità e alla cara popolazione dell’Ucraina.




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