Discorsi 2005-13 7038

AI MEMBRI DEL PONTIFICIO COMITATO DI SCIENZE STORICHE Sala dei Papi Venerdì, 7 marzo 2008

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Reverendo Monsignore,
Illustri Signori, gentili Signore!

Sono lieto di rivolgerVi una speciale parola di saluto e di apprezzamento per il lavoro che svolgete in un campo di grande interesse per la vita della Chiesa. Mi congratulo col vostro Presidente e con ciascuno di voi per il cammino fatto in questi anni.

Come voi ben sapete, fu Leone XIII che, di fronte a una storiografia orientata dallo spirito del suo tempo e ostile alla Chiesa, pronunciò la nota frase: “Non abbiamo paura della pubblicità dei documenti” e rese accessibile alla ricerca l'archivio della Santa Sede. Al contempo, creò quella commissione di Cardinali per la promozione degli studi storici, che voi, professoresse e professori, potete considerare come antenata del Pontifico Comitato di Scienze Storiche, di cui siete membri. Leone XIII era convinto del fatto che lo studio e la descrizione della storia autentica della Chiesa non potessero che rivelarsi favorevoli ad essa.

Da allora il contesto culturale ha vissuto un profondo cambiamento. Non si tratta più solo di affrontare una storiografia ostile al cristianesimo e alla Chiesa. Oggi è la storiografia stessa ad attraversare una crisi più seria, dovendo lottare per la propria esistenza in una società plasmata dal positivismo e dal materialismo. Entrambe queste ideologie hanno condotto a uno sfrenato entusiasmo per il progresso che, animato da spettacolari scoperte e successi tecnici, malgrado le disastrose esperienze del secolo scorso, determina la concezione della vita di ampi settori della società. Il passato appare, così, solo come uno sfondo buio, sul quale il presente e il futuro risplendono con ammiccanti promesse. A ciò è legata ancora l'utopia di un paradiso sulla terra, a dispetto del fatto che tale utopia si sia dimostrata fallace.

Tipico di questa mentalità è il disinteresse per la storia, che si traduce nell’emarginazione delle scienze storiche. Dove sono attive queste forze ideologiche, la ricerca storica e l’insegnamento della storia all'università e nelle scuole di ogni livello e grado vengono trascurati. Ciò produce una società che, dimentica del proprio passato e quindi sprovvista di criteri acquisiti attraverso l’esperienza, non è più in grado di progettare un’armonica convivenza e un comune impegno nella realizzazione di obiettivi futuri. Tale società si presenta particolarmente vulnerabile alla manipolazione ideologica.

Il pericolo cresce in misura sempre maggiore a causa dell’eccessiva enfasi data alla storia contemporanea, soprattutto quando le ricerche in questo settore sono condizionate da una metodologia ispirata al positivismo e alla sociologia. Vengono ignorati, altresì, importanti ambiti della realtà storica, perfino intere epoche. Ad esempio, in molti piani di studio l’insegnamento della storia inizia solamente a partire dagli eventi della Rivoluzione Francese. Prodotto inevitabile di tale sviluppo è una società ignara del proprio passato e quindi priva di memoria storica. Non è chi non veda la gravità di una simile conseguenza: come la perdita della memoria provoca nell’individuo la perdita dell’identità, in modo analogo questo fenomeno si verifica per la società nel suo complesso.

E’ evidente come tale oblío storico comporti un pericolo per l’integrità della natura umana in tutte le sue dimensioni. La Chiesa, chiamata da Dio Creatore ad adempiere al dovere di difendere l’uomo e la sua umanità, ha a cuore una cultura storica autentica, un effettivo progresso delle scienze storiche. La ricerca storica ad alto livello rientra infatti anche in senso più stretto nello specifico interesse della Chiesa. Pur quando non riguarda la storia propriamente ecclesiastica, l’analisi storica concorre comunque alla descrizione di quello spazio vitale in cui la Chiesa ha svolto e svolge la sua missione attraverso i secoli. Indubbiamente la vita e l’azione ecclesiali sono sempre state determinate, facilitate o rese più difficili dai diversi contesti storici. La Chiesa non è di questo mondo ma vive in esso e per esso.

Se ora prendiamo in considerazione la storia ecclesiastica dal punto di vista teologico, rileviamo un altro aspetto importante. Suo compito essenziale si rivela infatti la complessa missione di indagare e chiarire quel processo di ricezione e di trasmissione, di paralépsis e di paràdosis, attraverso il quale si è sostanziata, nel corso dei secoli, la ragione d’essere della Chiesa. E’ indubbio infatti che la Chiesa possa trarre ispirazione nelle sue scelte attingendo al suo plurisecolare tesoro di esperienze e di memorie.

Desidero dunque, illustri Membri del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, incoraggiarVi di tutto cuore a impegnarVi come avete finora fatto al servizio della Santa Sede per il raggiungimento di questi obiettivi, mantenendo il Vostro diuturno e meritorio impegno nella ricerca e nell’insegnamento. Mi auguro che, in sinergia con l’attività di altri, seri e autorevoli colleghi, possiate riuscire a perseguire con efficacia i pur ardui obiettivi che Vi siete proposti e a operare per una sempre più autentica scienza storica.

Con questi sentimenti ed assicurando un ricordo per Voi e per il Vostro delicato impegno nella mia preghiera, a tutti imparto una speciale Benedizione Apostolica.



AI PARTECIPANTI AL CORSO ANNUALE PROMOSSO DALLA PENITENZIERIA APOSTOLICA Aula delle Benedizioni Venerdì, 7 marzo 2008

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Signor Cardinale,
Venerati fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari Penitenzieri delle Basiliche Romane!

Sono lieto di accogliervi, mentre volge al termine il corso sul foro interno che la Penitenzieria Apostolica promuove da diversi anni durante la Quaresima. Con un programma accuratamente preparato, questo annuale incontro rende un prezioso servizio alla Chiesa e contribuisce a mantenere vivo il senso della santità del sacramento della Riconciliazione. Rivolgo, pertanto, un cordiale ringraziamento a chi lo organizza e, in particolare, al Penitenziere Maggiore, il Cardinale James Francis Stafford, che saluto ringraziandolo per le cortesi parole da lui rivoltemi. Insieme a lui saluto e ringrazio il Reggente e il personale della Penitenzieria, come pure i benemeriti Religiosi di diversi Ordini che amministrano il sacramento della Penitenza nelle Basiliche Papali dell’Urbe. Saluto inoltre tutti i partecipanti al corso.

La Quaresima è un tempo quanto mai propizio per meditare sulla realtà del peccato alla luce dell’infinita misericordia di Dio, che il sacramento della Penitenza manifesta nella sua forma più alta. Colgo, pertanto, volentieri l’occasione per proporre alla vostra attenzione alcune riflessioni sull’amministrazione di questo Sacramento nella nostra epoca, che purtroppo va sempre più smarrendo il senso del peccato. Occorre oggi far sperimentare a chi si confessa quella tenerezza divina verso i peccatori pentiti che tanti episodi evangelici mostrano con accenti di intensa commozione. Prendiamo ad esempio la pagina famosa del Vangelo di Luca che presenta la peccatrice perdonata (cfr
Lc 7,36-50). Simone, fariseo e ricco “notabile” della città, tiene in casa sua un banchetto in onore di Gesù. Inaspettatamente dal fondo della sala entra un’ospite non invitata né prevista: una nota prostituta. Comprensibile il disagio dei presenti, di cui tuttavia la donna non pare preoccuparsi. Essa avanza e, in modo piuttosto furtivo, si ferma ai piedi di Gesù. Le sono giunte all’orecchio le sue parole di perdono e di speranza per tutti, anche per le prostitute; è commossa e se ne sta lì silenziosa. Bagna con le lacrime i piedi di Gesù, li asciuga con i capelli, li bacia e li unge di un soave profumo. Così facendo la peccatrice vuole esprimere l’affetto e la riconoscenza che nutre verso il Signore con gesti a lei familiari, anche se socialmente censurati.

Di fronte all'imbarazzo generale, è proprio Gesù ad affrontare la situazione: “Simone, ho una cosa da dirti”. “Parla pure, Maestro”, gli risponde il padrone di casa. Conosciamo tutti la risposta di Gesù con una parabola che potremmo riassumere nelle seguenti parole che il Signore sostanzialmente dice a Simone: “Vedi? Questa donna sa di essere peccatrice e, mossa dall’amore, chiede comprensione e perdono. Tu, invece, presumi di essere giusto e sei forse convinto di non aver nulla di grave da farti perdonare”.

Eloquente il messaggio che traspare dal brano evangelico: a chi molto ama, Iddio tutto perdona. Chi confida in se stesso e nei propri meriti è come accecato dal suo io e il suo cuore si indurisce nel peccato. Chi invece si riconosce debole e peccatore si affida a Dio e da Lui ottiene grazia e perdono. E’ proprio questo il messaggio che occorre trasmettere: ciò che più conta è di far comprendere che nel sacramento della Riconciliazione, qualsiasi peccato si sia commesso, se lo si riconosce umilmente e ci si accosta fiduciosi al sacerdote confessore, si sperimenta sempre la gioia pacificatrice del perdono di Dio. In questa prospettiva, assume notevole importanza il vostro Corso, che mira a preparare confessori ben formati dal punto di vista dottrinale e capaci di far sperimentare ai penitenti l’amore misericordioso del Padre celeste. Non è forse vero che oggi si assiste ad una certa disaffezione nei confronti di questo Sacramento? Quando si insiste solo sull’accusa dei peccati, che pure deve esserci e occorre aiutare i fedeli a comprenderne l’importanza, si rischia di relegare in secondo piano ciò che in esso è centrale, e cioè l'incontro personale con Dio, Padre di bontà e di misericordia. Nel cuore della celebrazione sacramentale non sta il peccato, ma la misericordia di Dio, che è infinitamente più grande di ogni nostra colpa.

L’impegno dei Pastori, e specialmente dei confessori, deve essere anche quello di porre in evidenza il legame stretto che esiste tra il sacramento della Riconciliazione e un’esistenza orientata decisamente alla conversione. Occorre che tra la pratica del sacramento della Confessione e una vita tesa a seguire sinceramente il Cristo si instauri una sorta di “circolo virtuoso” inarrestabile, nel quale la grazia del Sacramento sostenga ed alimenti l’impegno ad essere fedeli discepoli del Signore. Il tempo quaresimale, nel quale ci troviamo, ci ricorda che la nostra vita cristiana deve tendere sempre alla conversione e quando ci si accosta frequentemente al sacramento della Riconciliazione resta vivo nel credente l’anelito alla perfezione evangelica. Se viene meno quest’anelito incessante, la celebrazione del Sacramento rischia purtroppo di diventare qualche cosa di formale che non incide nel tessuto della vita quotidiana. D’altra parte, se, pur essendo animati dal desiderio di seguire Gesù, non ci si confessa regolarmente, si rischia poco a poco di rallentare il ritmo spirituale sino a indebolirlo sempre di più e forse anche spegnerlo.

Cari fratelli, non è difficile comprendere il valore che ha nella Chiesa il vostro ministero di dispensatori della misericordia divina per la salvezza delle anime. Seguite ed imitate l’esempio di tanti santi confessori, che, con il loro intuito spirituale, aiutavano i penitenti a rendersi conto che la celebrazione regolare del sacramento della Penitenza e la vita cristiana tesa alla santità sono componenti inscindibili d’uno stesso itinerario spirituale per ogni battezzato. E non dimenticate di essere voi stessi esempi di autentica vita cristiana. La Vergine Maria, Madre di misericordia e di speranza, aiuti voi qui presenti, e tutti i confessori a svolgere con zelo e gioia questo grande servizio da cui dipende così intensamente la vita della Chiesa. Io vi assicuro un ricordo nella preghiera e con affetto vi benedico.



AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA Sala Clementina Sabato, 8 marzo 2008

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Signori Cardinali,
cari Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
gentili Signore, illustri Signori!

Sono lieto di accogliervi, in occasione dell'Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, congratulandomi per il lavoro che svolgete e, in particolare, per il tema scelto per questa Sessione: "La Chiesa e la sfida della secolarizzazione". È questa una questione fondamentale per il futuro dell’umanità e della Chiesa. La secolarizzazione, che spesso si muta in secolarismo abbandonando l’accezione positiva di secolarità, mette a dura prova la vita cristiana dei fedeli e dei pastori, e voi l’avete, durante i vostri lavori, interpretata e trasformata anche in una sfida provvidenziale così da proporre risposte convincenti ai quesiti e alle speranze dell’uomo, nostro contemporaneo.

Ringrazio l’Arcivescovo Mons. Gianfranco Ravasi, da pochi mesi Presidente del Dicastero, per le cordiali parole con le quali si è fatto vostro interprete e ha illustrato la scansione dei vostri lavori. Sono grato anche a voi tutti per l’impegno profuso nel far sì che la Chiesa si ponga in dialogo con i movimenti culturali di questo nostro tempo, e sia così conosciuto sempre più capillarmente l’interesse che la Santa Sede nutre per il vasto e variegato mondo della cultura. Oggi più che mai, infatti, la reciproca apertura tra le culture è un terreno privilegiato per il dialogo tra uomini e donne impegnati nella ricerca di un autentico umanesimo, aldilà delle divergenze che li separano. La secolarizzazione, che si presenta nelle culture come impostazione del mondo e dell’umanità senza riferimento alla Trascendenza, invade ogni aspetto della vita quotidiana e sviluppa una mentalità in cui Dio è di fatto assente, in tutto o in parte, dall’esistenza e dalla coscienza umana. Questa secolarizzazione non è soltanto una minaccia esterna per i credenti, ma si manifesta già da tempo in seno alla Chiesa stessa. Snatura dall’interno e in profondità la fede cristiana e, di conseguenza, lo stile di vita e il comportamento quotidiano dei credenti. Essi vivono nel mondo e sono spesso segnati, se non condizionati, dalla cultura dell’immagine che impone modelli e impulsi contraddittori, nella negazione pratica di Dio: non c’è più bisogno di Dio, di pensare a Lui e di ritornare a Lui. Inoltre, la mentalità edonistica e consumistica predominante favorisce, nei fedeli come nei pastori, una deriva verso la superficialità e un egocentrismo che nuoce alla vita ecclesiale.

La "morte di Dio" annunciata, nei decenni passati, da tanti intellettuali cede il posto ad uno sterile culto dell’individuo. In questo contesto culturale, c’è il rischio di cadere in un’atrofia spirituale e in un vuoto del cuore, caratterizzati talvolta da forme surrogate di appartenenza religiosa e di vago spiritualismo. Si rivela quanto mai urgente reagire a simile deriva mediante il richiamo dei valori alti dell’esistenza, che danno senso alla vita e possono appagare l’inquietudine del cuore umano alla ricerca della felicità: la dignità della persona umana e la sua libertà, l’uguaglianza tra tutti gli uomini, il senso della vita e della morte e di ciò che ci attende dopo la conclusione dell’esistenza terrena. In questa prospettiva il mio predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II, consapevole dei cambiamenti radicali e rapidi delle società, con insistenza richiamò l’urgenza di incontrare l’uomo sul terreno della cultura per trasmettergli il Messaggio evangelico. Proprio per questo istituì il Pontificio Consiglio della Cultura, per dare un nuovo impulso all’azione della Chiesa nel fare incontrare il Vangelo con la pluralità delle culture nelle varie parti del mondo (cfr Lettera al Card. Casaroli, in: AAS LXXIV, 6, PP 683-688). La sensibilità intellettuale e la carità pastorale del Papa Giovanni Paolo II lo spinsero a mettere in risalto il fatto che la rivoluzione industriale e le scoperte scientifiche hanno permesso di rispondere a domande che prima erano parzialmente soddisfatte solo dalla religione. La conseguenza è stata che l’uomo contemporaneo ha spesso l’impressione di non aver più bisogno di nessuno per comprendere, spiegare e dominare l’universo; si sente il centro di tutto, la misura di tutto.

Più recentemente la globalizzazione, per mezzo delle nuove tecnologie dell’informazione, ha avuto non di rado come esito anche la diffusione in tutte le culture di molte componenti materialistiche e individualistiche dell’Occidente. Sempre più la formula "Etsi Deus non daretur" diventa un modo di vivere che trae origine da una specie di "superbia" della ragione – realtà pur creata e amata da Dio – la quale si ritiene sufficiente a se stessa e si chiude alla contemplazione e alla ricerca di una Verità che la supera. La luce della ragione, esaltata, ma in realtà impoverita, dall’Illuminismo, si sostituisce radicalmente alla luce della fede, alla luce di Dio (cfr Benedetto XVI, Allocuzione per l’incontro con l’Università di Roma "La Sapienza", 17 gennaio 2008). Grandi, perciò, sono le sfide con le quali la missione delle Chiesa deve confrontarsi in questo ambito. Quanto mai importante si rivela perciò l’impegno del Pontificio Consiglio della Cultura per un dialogo fecondo tra scienza e fede. È un confronto tanto atteso dalla Chiesa, ma anche dalla comunità scientifica, e vi incoraggio a proseguirlo. In esso la fede suppone la ragione e la perfeziona, e la ragione, illuminata dalla fede, trova la forza per elevarsi alla conoscenza di Dio e delle realtà spirituali. In questo senso la secolarizzazione non favorisce lo scopo ultimo della scienza che è al servizio dell’uomo, "imago Dei". Questo dialogo continui nella distinzione delle caratteristiche specifiche della scienza e della fede. Infatti, ognuna ha propri metodi, ambiti, oggetti di ricerca, finalità e limiti, e deve rispettare e riconoscere all’altra la sua legittima possibilità di esercizio autonomo secondo i propri principi (cfr Gaudium et spes
GS 36); entrambe sono chiamate a servire l’uomo e l’umanità, favorendo lo sviluppo e la crescita integrale di ciascuno e di tutti.

Esorto soprattutto i Pastori del gregge di Dio a una missione instancabile e generosa per affrontare, sul terreno del dialogo e dell’incontro con le culture, dell’annuncio del Vangelo e della testimonianza, il preoccupante fenomeno della secolarizzazione, che indebolisce la persona e la ostacola nel suo innato anelito verso la Verità tutta intera. Possano, così, i discepoli di Cristo, grazie al servizio reso in particolare dal vostro Dicastero, continuare ad annunciare Cristo nel cuore delle culture, perché Egli è la luce che illumina la ragione, l’uomo e il mondo. Siamo posti anche noi di fronte al monito rivolto all’angelo della Chiesa di Efeso: "Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua costanza ... Ho, però, da rimproverarti che hai abbandonato il tuo primo amore" (Ap 2,2 Ap 2,4). Facciamo nostro il grido dello Spirito e della Chiesa: "Vieni!" (Ap 22,17), e lasciamoci invadere il cuore dalla risposta del Signore: "Sì, verrò presto!" (Ap 22,20). Egli è la nostra speranza, la luce per il nostro cammino, la forza per annunciare la salvezza con coraggio apostolico giungendo fino al cuore di tutte le culture. Dio vi assista nello svolgimento della vostra ardua ma esaltante missione!

Affidando a Maria, Madre della Chiesa e Stella della Nuova Evangelizzazione, il futuro del Pontificio Consiglio della Cultura e quello di tutti i suoi membri, vi imparto di tutto cuore la Benedizione Apostolica.



AI MEMBRI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI HAITI IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Giovedì, 13 marzo 2008

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Cari fratelli nell'episcopato,

Vi porgo un affettuoso benvenuto, mentre compite la vostra visita ad limina Apostolorum, occasione per rafforzare la vostra comunione con il successore di Pietro e fra di voi, e per condividere con la Curia romana i motivi di gioia e di speranza, e anche d'inquietudine, vissuti dal popolo di Dio affidato alla vostra cura pastorale. Desidero prima di tutto ringraziare monsignor Louis Kébreau, nuovo arcivescovo di Cap-Haïtien e presidente della Conferenza episcopale, per le parole che mi ha rivolto a nome vostro, ricordando la situazione del paese e l'azione della Chiesa. Saluto in modo particolare i vescovi che hanno appena lasciato il loro incarico pastorale e che ne hanno ricevuto uno nuovo. Il mio pensiero va anche ai vostri fedeli e a tutto il caro popolo haitiano.

Desidero ricordare il viaggio ad Haiti che fece il mio predecessore, Papa Giovanni Paolo II, venticinque anni fa, al termine del congresso eucaristico nazionale, ricordando il tema centrale di quell'incontro: "Bisogna che qui qualche cosa cambi". Le cose sono cambiate? Il vostro paese ha conosciuto momenti dolorosi, che la Chiesa segue con attenzione: divisioni, ingiustizie, miseria, disoccupazione, elementi che sono fonte di profonda inquietudine per il popolo. Chiedo al Signore di infondere nel cuore di tutti gli haitiani, soprattutto delle persone che hanno una responsabilità sociale, il coraggio di promuovere il cambiamento e la riconciliazione, affinché tutti gli abitanti del paese abbiamo condizioni di vita degne e beneficino dei beni della terra, in una solidarietà sempre più grande. Non posso dimenticare quanti sono obbligati ad andare nel paese vicino per sopperire ai loro bisogni. Auspico che la comunità internazionale prosegua e intensifichi il proprio sostegno al popolo haitiano, per permettergli di prendere sempre più in mano il suo futuro e il suo sviluppo.

Fra le preoccupazioni presenti nei vostri resoconti quinquennali, vi è la situazione della struttura familiare, resa instabile dalla crisi che attraversa il paese, ma anche dall'evoluzione dei costumi e dalla perdita progressiva del significato del matrimonio e della famiglia, mettendo sullo stesso piano altre forme di unione. È in gran parte a partire dalla famiglia che la società e la Chiesa si sviluppano.

La vostra attenzione per questo aspetto della vita pastorale è dunque fondamentale, poiché si tratta dell'ambito primordiale di educazione dei giovani. "La famiglia cristiana, poiché nasce dal matrimonio, che è l'immagine e la partecipazione del patto d'amore del Cristo e della Chiesa, renderà manifesta a tutti la viva presenza del Salvatore nel mondo e la genuina natura della Chiesa, sia con amore, la fecondità generosa, l'unità e la fedeltà degli sposi, sia con l'amorevole cooperazione di tutti i suoi membri" (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes
GS 48). Vi incoraggio dunque a sostenere i coniugi e le giovani famiglie attraverso un accompagnamento e una formazione sempre più adeguati, insegnando loro anche il rispetto della vita.

Nel vostro ministero episcopale, i sacerdoti occupano un posto privilegiato. Sono i vostri principali collaboratori. Prestando attenzione alla loro formazione permanente e stabilendo con essi relazioni fraterne e fiduciose, li aiuterete a esercitare un ministero fecondo, invitandoli anche ad astenersi da impegni politici. È importante che siano organizzati regolarmente incontri fra i sacerdoti, affinché facciano un'esperienza tangibile del presbiterio e si sostengano mediante la preghiera. Trasmettete i miei saluti affettuosi a tutti i vostri sacerdoti; conosco la fedeltà e il coraggio di cui devono dare prova per vivere in situazioni spesso difficili. Che fondino il proprio apostolato sulla loro relazione con Cristo, sul mistero eucaristico che ci ricorda che il Signore si è donato completamente per la salvezza del mondo, sul sacramento del perdono, sul loro amore per la Chiesa, recando con la loro vita retta, umile e povera, una testimonianza eloquente del loro impegno sacerdotale.

Siete attenti alla pastorale delle vocazioni e alla formazione dei giovani che si presentano e per i quali occorre compiere un discernimento profondo. A tal fine, ricercate gruppi di formatori per i vostri seminari. Vi invito a considerare con gli episcopati di altri paesi la disponibilità di formatori esperti, dalla vita sacerdotale esemplare, per accompagnare nel corso delle diverse tappe della loro formazione umana, morale, spirituale e pastorale, i futuri sacerdoti di cui le vostre diocesi hanno bisogno. Il futuro della Chiesa ad Haiti dipende da questo. Possano le Chiese locali udire questo appello e accettare di fare dono di sacerdoti per aiutarvi nella formazione dei seminaristi, secondo lo spirito dell'Enciclica Fidei donum! Sarà per loro anche un'apertura, una ricchezza e una fonte di numerose grazie.

Le scuole cattoliche, nonostante i loro esigui mezzi, svolgono un ruolo importante ad Haiti; esse sono apprezzate dalle autorità e dalla popolazione. Rendo grazie per le persone impegnate nella bella missione dell'educazione dei giovani. Trasmettete loro i miei cordiali saluti. Attraverso l'insegnamento, si realizzano la formazione e la maturazione delle personalità, mediante il riconoscimento dei valori fondamentali e la pratica delle virtù, e si trasmette anche una concezione dell'uomo e della società. La Scuola cattolica è un ambito importante di evangelizzazione, attraverso la testimonianza di vita data dagli educatori, la scoperta del messaggio evangelico o le celebrazioni vissute in seno alla comunità educativa. Fate sapere ai giovani haitiani che il Papa ha fiducia in loro, che conosce la loro generosità e il loro desiderio di realizzarsi, che Cristo li invita a un'esistenza sempre più bella, ricordando che Lui solo è portatore del vero messaggio di felicità e da un senso pieno all'esistenza. Sì, i vostri giovani sono per me motivo di gioia e di speranza. Un paese che vuole svilupparsi e una Chiesa che vuole essere più dinamica devono prima di tutto concentrare i loro sforzi sui giovani. Spetta a voi anche promuovere la formazione dei laici adulti, affinché possano compiere sempre meglio la loro missione cristiana nel mondo e nella Chiesa.

Cari Fratelli nell'Episcopato, al termine di questo incontro, tengo a esprimere di nuovo la mia vicinanza spirituale alla Chiesa ad Haiti, pregando il Signore di darle la forza per la sua missione. Che mi sia permesso di rendere omaggio anche al lavoro dei religiosi, delle religiose e dei volontari, spesso impegnati fra i più poveri e diseredati della società, mostrando che, lottando contro la povertà, si lotta anche contro numerosi problemi sociali che da essa dipendono. Possano essere sostenuti da tutti in questo compito! A ognuno di voi imparto di tutto cuore un'affettuosa Benedizione Apostolica, che estendo ai sacerdoti, alle persone consacrate e a tutti i fedeli laici delle vostre diocesi.





A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR CARLOS FEDERICO DE LA RIVA GUERRA AMBASCIATORE DI BOLIVIA PRESSO LA SANTA SEDE Venerdì, 14 marzo 2008

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Signor ambasciatore,

1. È per me motivo di particolare gioia riceverla in questa udienza in cui mi presenta le lettere credenziali che la accreditano come ambasciatore straordinario e plenipotenziario presso la Santa Sede. Nel porgerle il più cordiale benvenuto, desidero ringraziarla per le attente parole che mi ha rivolto e augurarle un fecondo lavoro nell'alta missione che le è stata affidata. Parimenti, le chiedo di trasmettere la mia vicinanza e il mio affetto a tutti i figli e le figlie di questo amato paese, e anche il mio deferente saluto al signor presidente della repubblica.

2. Le profonde radici cristiane della Bolivia hanno sostenuto i suoi popoli, accompagnato le vicissitudini della sua storia e promosso il senso di rispetto e di riconciliazione, tanto necessario nei momenti difficili che questa nazione ha dovuto affrontare. A tale proposito, è stata particolarmente significativa la massiccia e calorosa accoglienza riservata da tutti i boliviani, della città e della campagna, dell'altopiano e dell'oriente, al mio venerato predecessore, Giovanni Paolo II, durante la visita che ha compiuto venti anni fa nel vostro paese e che ha messo in evidenza la forte impronta religiosa e lo spirito di comunione e di fraternità, come dimostrazione di fede di tutto un popolo.
Ricordare quell'evento è importante in un momento in cui la vostra nazione sta vivendo un profondo processo di cambiamento, che genera situazioni difficili e a volte preoccupanti. In effetti, non è possibile restare indifferenti quando la tensione sociale aumenta e si diffonde un clima che non favorisce l'intesa. Credo che tutti condividiamo la convinzione che le posizioni contrapposte, a volte incentivate e applaudite, ostacolano il dialogo costruttivo volto a trovare soluzioni di equità economica e di giustizia in vista del bene comune, specialmente a favore di quanti hanno difficoltà a vivere in modo degno.

Le autorità che reggono i destini del popolo, e anche i responsabili delle organizzazioni politiche, sociali e civili, hanno bisogno della prudenza e della saggezza che nascono dall'amore per l'uomo, al fine di promuovere in tutta la popolazione le condizioni necessarie per il dialogo e l'intesa. Questo lodevole obiettivo si vedrà favorito se tutti i boliviani apporteranno il meglio di sé con franchezza e provvida sollecitudine non esente, spesso, da abnegazione e sacrificio. In tal modo, la collaborazione sincera e altruistica di persone e istituzioni contribuisce a sradicare i mali che affliggono il nobile popolo boliviano, tante volte colpito anche da catastrofi naturali, i quali richiedono da tutti misure efficaci e sentimenti di fraternità che aiutino ad affrontare le loro gravi conseguenze.

La rinascita civile e sociale, politica ed economica, esige sempre una disinteressata laboriosità e generosa dedizione a favore di un popolo che reclama aiuto materiale, morale e spirituale. Il conseguimento della pace deve essere fondato sulla giustizia, la verità e la libertà, e anche sulla cooperazione reciproca, l'amore e la riconciliazione fra tutti.

3. La Chiesa, conoscendo bene i bisogni e le speranze del popolo boliviano, offre l'annuncio della fede e la sua esperienza in umanità per aiutarlo a crescere spiritualmente e a ottenere la sua piena realizzazione umana. Fedele alla sua missione, è sempre disposta a collaborare alla pacificazione e alla sviluppo umano e spirituale del paese, proclamando la sua dottrina ed esprimendo anche pubblicamente il suo parere su questioni riguardanti l'ordine sociale. A tal fine, riconoscendo le competenze specifiche dello stato, assume come proprio dovere quello di orientare i suoi fedeli, proponendo loro, e a tutta la società, di accantonare l'odio razziale, la rappresaglia e la vendetta e, in definitiva, invece di adottare atteggiamenti di divisione, di intraprendere il cammino della solidarietà e della fiducia reciproca nel rispetto della diversità.

Nel documento conclusivo della V Conferenza dell'Episcopato dell'America Latina e dei Caraibi, ad Aparecida, i vescovi hanno considerato urgente collaborare con gli organismi politici e sociali per creare nuove strutture che consolidino l'ordine sociale, economico e politico, promuovano un'autentica convivenza umana, impediscano la prepotenza di alcuni e agevolino il dialogo fraterno, sincero e costruttivo per i necessari consensi sociali (cfr n. 384).

A tal fine, è necessario che la difesa e la salvaguardia dei diritti umani siano fermamente sostenute da valori etici, come la giustizia e l'anelito alla pace, l'onestà e la trasparenza, come pure la solidarietà effettiva, affinché si correggano le ingiuste disuguaglianze sociali.

Perciò l'insegnamento del bene morale, di ciò che è giusto o ingiusto, senza il quale nessuna società potrebbe sostenersi, spetta all'educazione fin dalla più tenera età. In questo compito la famiglia svolge un ruolo decisivo e deve pertanto poter contare sugli aiuti necessari per compiere il suo mandato ed essere quella "principale "agenzia" di pace" a beneficio di tutti (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 2008, n. 5).

4. Signor ambasciatore, prima di concludere questo incontro, desidero reiterare i migliori voti per il felice svolgimento della sua missione, affinché si rafforzino i vincoli di dialogo fra il suo paese e questa Sede Apostolica.

Auspichiamo per la sua nazione un'autentica rinascita spirituale, materiale e civile. Aneliamo di cuore che in ogni persona umana risplenda l'immagine del suo Creatore e Signore e che l'amore di Cristo Gesù sia fonte di speranza per ogni figlio e figlia dell'amata terra boliviana. Chiedo al Signore che in Bolivia trionfi la verità che cerca il rispetto dell'altro, anche di chi non condivide le stesse idee, la pace che fraternizza con la giustizia e apre le porte allo sviluppo armonioso e stabile, il buonsenso che si sforza di trovare soluzioni equanimi e sensate ai problemi e la concordia che unisce le volontà nel superamento delle avversità e nel conseguimento del bene comune.

Che la materna protezione di Nuestra Señora de Copacabana accompagni sua eccellenza, la sua famiglia, i suoi collaboratori e tutti gli amati figli e figlie della nobile nazione boliviana!





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