Discorsi 2005-13 15038

A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR MILTIADIS HISKAKIS AMBASCIATORE DELLA REPUBBLICA ELLENICA PRESSO LA SANTA SEDE Sabato, 15 marzo 2008

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Eccellenza,

è un piacere per me accoglierla in Vaticano e accettare le Lettere che la accreditano quale ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica Ellenica presso la Santa Sede. Sono grato per il cortese saluto che mi ha trasmesso da parte di Sua Eccellenza il signor Karolos Papoulias e vorrei che assicurasse lui, i responsabili del suo paese e il popolo della Grecia dei miei buoni auspici e delle mie preghiere per il loro benessere e per la pace.

Di recente, diversi incontri significativi hanno rafforzato i vincoli di buona volontà fra la Grecia e la Santa Sede. Sulla scia dell'Anno giubilare del 2000, il mio venerabile predecessore Papa Giovanni Paolo II ha visitato il vostro paese nel corso del suo pellegrinaggio sulle orme di San Paolo. Ciò ha portato a uno scambio di visite fra le delegazioni ortodossa e cattolica a Roma e ad Atene. Nel 2006, sono stato lieto di ricevere il suo presidente qui, in Vaticano, e sono stato onorato da una visita di Sua Beatitudine Christodoulos, per la cui recente morte i cristiani nel vostro paese e in tutto il mondo continuano a piangere. Prego affinché il Signore conceda a questo devoto Pastore riposo dalle sue fatiche e lo benedica per i suoi valenti sforzi volti a ricomporre la frattura fra i cristiani dell'Est e dell'Ovest. Colgo questa occasione per trasmettere al nuovo Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, Sua Beatitudine Ieronimos, i miei sinceri saluti fraterni di pace, insieme all'assicurazione delle mie costanti preghiere per il suo fecondo ministero e per la sua buona salute.

Colgo anche questa opportunità per reiterare il mio vivo desiderio di cooperare lungo il cammino verso l'unità dei cristiani. A questo proposito, Lei, Eccellenza, ha evidenziato i segni di speranza emersi dagli incontri ecumenici degli ultimi decenni. Non solo hanno riaffermato quanto i cattolici e gli ortodossi già hanno in comune, ma hanno anche avviato dibattiti più approfonditi sul significato preciso dell'unità della Chiesa. Senza dubbio, saranno necessarie onestà e fiducia da parte di tutti per continuare ad affrontare in maniera efficace le importanti questioni emerse da questo dialogo. Traiamo coraggio dal "nuovo spirito" di amicizia che ha caratterizzato i nostri colloqui, invitando tutti i partecipanti a una conversione e a una preghiera permanenti che sole possono garantire ai cristiani di raggiungere, un giorno, l'unità per la quale Gesù ha pregato tanto fervidamente (cfr
Jn 17,21).

L'imminente giubileo dedicato al bimillenario della nascita di San Paolo sarà un' occasione particolarmente propizia per intensificare i nostri sforzi ecumenici perché Paolo fu un uomo che "si è totalmente prodigato per l'unità e la concordia di tutti i cristiani" (cfr Omelia per la celebrazione dei vespri in occasione della solennità dei Santi Pietro e Paolo, 28 giugno 2007). Questo brillante "Apostolo dei Gentili" dedicò le proprie energie alla predicazione della saggezza della croce di Cristo al popolo greco, plasmato dalla cultura ellenistica estremamente sofisticata. Poiché il ricordo di Paolo sarà per sempre radicato nel suo suolo, la Grecia svolgerà un ruolo importante in questa celebrazione. Confido nel fatto che i pellegrini che si recheranno in Grecia per venerare i sacri luoghi legati alla sua vita e al suo insegnamento saranno accolti con il caloroso spirito di ospitalità per cui la sua nazione è rinomata.

Lo scambio vivace fra cultura ellenistica e Cristianesimo ha permesso alla prima di venire trasformata dall'insegnamento cristiano e alla seconda di trarre un arricchimento dalla lingua e dalla filosofia greche. Questo ha permesso ai cristiani di annunciare il Vangelo in modo più coerente e persuasivo al mondo. Anche oggi, chi visita Atene può contemplare le parole di Paolo, ora iscritte sul monumento prospiciente l'Areopago, che proclamò ai cittadini istruiti della polis. Parlò dell'unico Dio in cui "viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" (cfr Atti 17, 6-34). La vigorosa predicazione di Paolo del mistero di Cristo ai Corinzi, che avevano in massima stima la propria eredità filosofica (cfr 1Co 2,5), aprì la loro cultura all'influenza benefica della Parola di Dio. Le sue parole risuonano ancora nel cuore degli uomini e delle donne di oggi. Possono aiutare i contemporanei ad apprezzare in modo più profondo la propria dignità di uomini e, quindi, promuovere il bene di tutta la famiglia umana. Auspico che l'Anno Paolino divenga un catalizzatore in grado di suscitare la riflessione sulla storia dell'Europa e spinga i suoi abitanti a riscoprire l'inestimabile tesoro di valori che hanno ereditato dalla sapienza integrale della cultura ellenistica e del Vangelo.

Signor Ambasciatore, la ringrazio per l'assicurazione dell'intenzione di affrontare le questioni amministrative relative alla Chiesa cattolica nella sua nazione. Fra queste, la questione del suo status giuridico riveste un particolare significato. I fedeli cattolici, sebbene pochi, attendono con ansia i risultati positivi di queste deliberazioni. Infatti, quando i responsabili religiosi e le autorità civili cooperano per elaborare una legislazione corretta sulla vita delle comunità ecclesiali locali, migliorano il benessere spirituale dei fedeli e il bene di tutta la società.

Nell'arena internazionale, lodo gli sforzi della Grecia per promuovere la pace e la riconciliazione, in particolare nell'area circostante il bacino del Mediterraneo. I suoi sforzi per allentare le tensioni e per dissipare le nubi del sospetto che da molto tempo incombono sul cammino verso una coesistenza pienamente armoniosa nella regione contribuiranno a riaccendere lo spirito di buona volontà fra individui e nazioni.

Infine, signor Ambasciatore, non posso non ricordare la devastazione causata dagli incendi divampati in Grecia l'estate scorsa. Continuo a ricordare nelle mie preghiere quanti sono stati colpiti da quel disastro e invoco la grazia e la potenza di Dio su quanti sono impegnati nel processo di ricostruzione. Mentre assume le sue responsabilità in seno alla comunità diplomatica accreditata presso la Santa Sede, le offro i miei oranti auspici per il buon esito della sua missione e le garantisco che i vari dicasteri della Curia Romana saranno sempre pronti ad assisterla nello svolgimento dei suoi compiti. Su di lei e su tutto l'amato popolo della Grecia invoco di cuore le abbondanti benedizioni di Dio onnipotente.





VIA CRUCIS AL COLOSSEO Venerdì Santo, 21 marzo 2008

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Cari fratelli e sorelle,

anche quest’anno abbiamo ripercorso il cammino della croce, la Via Crucis, rievocando con fede le tappe della Passione di Cristo. I nostri occhi hanno rivisto la sofferenza e l’angoscia che il nostro Redentore ha dovuto sopportare nell’ora del grande dolore, che ha segnato il culmine della sua missione terrena. Gesù muore in croce e giace nel sepolcro. La giornata del Venerdì Santo, così impregnata di umana mestizia e di religioso silenzio, si chiude nel silenzio della meditazione e della preghiera. Tornando a casa, anche noi come coloro che assistettero al sacrificio di Gesù, ci "percuotiamo il petto", ripensando a quanto è accaduto (cf
Lc 23,48). Si può forse restare indifferenti dinanzi alla morte di un Dio? Per noi, per la nostra salvezza si è fatto uomo ed è morto in croce.

Fratelli e sorelle, i nostri sguardi spesso distratti da dispersivi ed effimeri interessi terreni, oggi volgiamoli verso Cristo; fermiamoci a contemplare la sua Croce. La Croce è sorgente di vita immortale, è scuola di giustizia e di pace, è patrimonio universale di perdono e di misericordia; è prova permanente di un amore oblativo e infinito che ha spinto Dio a farsi uomo vulnerabile come noi sino a morire crocifisso. Le sue braccia inchiodate si aprono per ciascun essere umano e ci invitano ad accostarci a Lui certi che ci accoglie e ci stringe in un abbraccio di infinita tenerezza: "Quando sarò elevato da terra, - aveva detto - attirerò tutti a me" (Jn 12,32).

Attraverso il cammino doloroso della croce gli uomini di ogni epoca, riconciliati e redenti dal sangue di Cristo, sono diventati amici di Dio, figli del Padre celeste. "Amico!", così Gesù chiama Giuda e gli rivolge l’ultimo drammatico appello alla conversione; amico chiama ognuno di noi perché è amico vero di tutti. Purtroppo non sempre gli uomini riescono a percepire la profondità di quest’amore sconfinato che Iddio nutre per le sue creature. Per Lui non c’è differenza di razza e cultura. Gesù Cristo è morto per affrancare l’intera umanità dalla ignoranza di Dio, dal cerchio di odio e vendetta, dalla schiavitù del peccato. La Croce ci rende fratelli.

Ci domandiamo: ma che abbiamo fatto di questo dono? Che abbiamo fatto della rivelazione del volto di Dio in Cristo, della rivelazione dell’amore di Dio che vince l’odio? Tanti, anche nella nostra epoca, non conoscono Dio e non possono trovarlo nel Cristo crocifisso; tanti sono alla ricerca di un amore e di una libertà che escluda Dio; tanti credono di non aver bisogno di Dio. Cari amici, dopo aver vissuto insieme la passione di Gesù, lasciamo questa sera che il suo sacrifico sulla Croce ci interpelli; permettiamo a Lui di porre in crisi le nostre umane certezze; apriamogli il cuore: Gesù è la Verità che ci rende liberi di amare. Non temiamo! Morendo il Signore ha salvato i peccatori, cioè tutti noi. Scrive l’apostolo Pietro: Gesù "portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti" (1P 2,24). Questa è la verità del Venerdì Santo: sulla croce il Redentore ci ha restituito la dignità che ci appartiene, ci ha resi figli adottivi di Dio che ci ha creati a sua immagine e somiglianza. Restiamo dunque in adorazione davanti alla Croce. O Cristo, Re crocifisso, donaci la vera conoscenza di Te, la gioia a cui aneliamo, l’amore che colmi il nostro cuore assetato d’infinito. Così Ti preghiamo questa sera, Gesù, Figlio di Dio, morto per noi in Croce e risorto il terzo giorno. Amen!



AI PARTECIPANTI AL CAPITOLO GENERALE DELLA SOCIETÀ SALESIANA DI SAN GIOVANNI BOSCO (SALESIANI) Sale Clementina Lunedì, 31 marzo 2008

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Cari Membri del Capitolo Generale
della Congregazione Salesiana,

mi è gradito incontrarvi quest’oggi mentre i vostri lavori capitolari stanno ormai giungendo alla loro fase conclusiva. Ringrazio innanzitutto il Rettore Maggiore, Don Pascual Chávez Villanueva, per i sentimenti che ha espresso a nome di tutti voi, confermando la volontà della Congregazione di operare sempre con la Chiesa e per la Chiesa, in piena sintonia col Successore di Pietro. Lo ringrazio pure per il servizio generoso svolto nel sessennio scorso e gli porgo i miei auguri per l’incarico che gli è stato appena rinnovato. Saluto anche i membri del nuovo Consiglio Generale, che aiuteranno il Rettore Maggiore nel suo compito di animazione e di governo di tutta la vostra Congregazione.

Nel messaggio indirizzato all’inizio dei vostri lavori al Rettore Maggiore, e per suo tramite a voi Capitolari, avevo espresso alcune attese che la Chiesa ripone in voi Salesiani ed avevo pure offerto alcune considerazioni per il cammino della vostra Congregazione. Oggi intendo riprendere ed approfondire alcune di queste indicazioni, anche alla luce del lavoro che state svolgendo. Il vostro XXVI Capitolo Generale si colloca in un periodo di grandi cambiamenti sociali, economici, politici; di accentuati problemi etici, culturali ed ambientali; di irrisolti conflitti tra etnie e nazioni. In questo nostro tempo vi sono, d’altra parte, comunicazioni più intense fra i popoli, nuove possibilità di conoscenza e di dialogo, un più vivace confronto sui valori spirituali che danno senso all’esistenza. In particolare, gli appelli che i giovani ci rivolgono, soprattutto le loro domande sui problemi di fondo, fanno riferimento agli intensi desideri di vita piena, di amore autentico, di libertà costruttiva che essi nutrono. Sono situazioni che interpellano a fondo la Chiesa e la sua capacità di annunciare oggi il Vangelo di Cristo con tutta la sua carica di speranza. Auguro perciò vivamente che tutta la Congregazione salesiana, grazie anche ai risultati del vostro Capitolo Generale, possa vivere con rinnovato slancio e fervore la missione per cui lo Spirito Santo, per l’intervento materno di Maria Ausiliatrice, l’ha suscitata nella Chiesa. Voglio oggi incoraggiare voi e tutti i Salesiani a continuare sulla strada di questa missione, in piena fedeltà al vostro carisma originario, nel contesto ormai dell’imminente bicentenario della nascita di Don Bosco.

Con il tema “Da mihi animas, cetera tolle” il vostro Capitolo Generale si è proposto di ravvivare la passione apostolica in ogni Salesiano ed in tutta la Congregazione. Ciò aiuterà a caratterizzare meglio il profilo del Salesiano, in modo che egli diventi sempre più consapevole della sua identità di persona consacrata “per la gloria di Dio” e sia sempre più infiammato di slancio pastorale “per la salvezza delle anime”. Don Bosco volle che la continuità del suo carisma nella Chiesa fosse assicurata dalla scelta della vita consacrata. Anche oggi il movimento salesiano può crescere in fedeltà carismatica solo se al suo interno continua a permanere un nucleo forte e vitale di persone consacrate. Perciò, al fine di irrobustire l’identità di tutta la Congregazione, il vostro primo impegno consiste nel rafforzare la vocazione di ogni Salesiano a vivere in pienezza la fedeltà alla sua chiamata alla vita consacrata. Tutta la Congregazione deve tendere ad essere continuamente “memoria vivente del modo di essere e di agire di Gesù come Verbo incarnato di fronte al Padre e di fronte ai fratelli” (Vita consecrata
VC 22). Cristo sia il centro della vostra vita! Occorre lasciarsi afferrare da Lui e da Lui bisogna sempre ripartire. Tutto il resto sia considerato “una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù” ed ogni cosa sia ritenuta “come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo” (Ph 3,8). Da qui nasce l’amore ardente per il Signore Gesù, l’aspirazione ad immedesimarsi con Lui assumendone i sentimenti e la forma di vita, l’abbandono fiducioso al Padre, la dedizione alla missione evangelizzatrice, che devono caratterizzare ogni Salesiano: egli deve sentirsi scelto per porsi al seguito di Cristo obbediente, povero e casto, secondo gli insegnamenti e gli esempi di Don Bosco.

Il processo di secolarizzazione, che avanza nella cultura contemporanea, non risparmia purtroppo nemmeno le comunità di vita consacrata. Occorre per questo vigilare su forme e stili di vita che rischiano di rendere debole la testimonianza evangelica, inefficace l’azione pastorale e fragile la risposta vocazionale. Vi domando perciò di aiutare i vostri Confratelli a custodire e a ravvivare la fedeltà alla chiamata. La preghiera rivolta da Gesù al Padre prima della sua Passione, perché custodisse nel suo nome tutti i discepoli che Gli aveva dato e perché nessuno di loro si perdesse (cfr Jn 17,11-12), vale in particolare per le vocazioni di speciale consacrazione. Per questo “la vita spirituale deve essere al primo posto nel programma” della vostra Congregazione (Vita consecrata VC 93). La Parola di Dio e la Liturgia siano le sorgenti della spiritualità salesiana! In particolare la lectio divina, praticata quotidianamente da ogni Salesiano, e l’Eucaristia, celebrata ogni giorno nella comunità, ne siano l’alimento ed il sostegno. Da qui nascerà l’autentica spiritualità della dedizione apostolica e della comunione ecclesiale. La fedeltà al Vangelo vissuto sine glossa e alla vostra Regola di vita, in particolare un tenore di vita austero e la povertà evangelica praticata in modo coerente, l’amore fedele alla Chiesa e il generoso dono di voi stessi ai giovani, specialmente ai più bisognosi e svantaggiati, saranno garanzia della fioritura della vostra Congregazione.

Don Bosco è fulgido esempio di una vita improntata alla passione apostolica, vissuta a servizio della Chiesa entro la Congregazione e la Famiglia salesiana. Alla scuola di San Giuseppe Cafasso, il vostro Fondatore imparò ad assumere il motto “Da mihi animas, cetera tolle” come sintesi di un modello di azione pastorale ispirato alla figura e alla spiritualità di San Francesco di Sales. L’orizzonte in cui si colloca tale modello è quello del primato assoluto dell’amore di Dio, un amore che giunge a plasmare personalità ardenti, desiderose di contribuire alla missione di Cristo per accendere tutta la terra con il fuoco del suo amore (cfr Lc 12,49). Accanto all’ardore dell’amore di Dio, l’altra caratteristica del modello salesiano è la coscienza del valore inestimabile delle “anime”. Questa percezione genera, per contrasto, un acuto senso del peccato e delle sue devastanti conseguenze nel tempo e nell’eternità. L’apostolo è chiamato a collaborare all’azione redentrice del Salvatore, affinché nessuno vada perduto. “Salvare le anime” fu quindi l’unica ragion d’essere di Don Bosco. Il Beato Michele Rua, suo primo successore, così sintetizzò tutta la vita del vostro amato Padre e Fondatore: “Non diede passo, non pronunciò parola, non mise mano ad impresa che non avesse di mira la salvezza della gioventù ... Realmente non ebbe a cuore altro che le anime”.

Anche oggi è urgente alimentare nel cuore di ogni Salesiano questa passione. Egli non avrà così paura di spingersi con audacia negli ambiti più difficili dell’azione evangelizzatrice a favore dei giovani, specialmente dei più poveri materialmente e spiritualmente. Avrà la pazienza ed il coraggio di proporre ai giovani di vivere la stessa totalità di dedizione nella vita consacrata. Egli avrà il cuore aperto a individuare i nuovi bisogni dei giovani e ad ascoltare la loro invocazione di aiuto, lasciando eventualmente ad altri i campi già consolidati di intervento pastorale. Egli affronterà per questo le esigenze totalizzanti della missione con una vita semplice, povera ed austera, nella condivisione delle stesse condizioni dei più poveri ed avrà la gioia di dare di più a chi nella vita ha avuto di meno. La passione apostolica si farà così contagiosa e coinvolgerà anche altri. Il Salesiano diventa pertanto promotore del senso apostolico, aiutando prima di tutto i giovani a conoscere ed amare il Signore Gesù, a lasciarsi affascinare da Lui, a coltivare l’impegno evangelizzatore, a voler far del bene ai propri coetanei, ad essere apostoli di altri giovani, come San Domenico Savio, la Beata Laura Vicuña ed il Beato Zefirino Namuncurà e i cinque giovani Beati Martiri dell’oratorio di Poznan. Cari Salesiani, sia vostro impegno formare laici con cuore apostolico, invitando tutti a camminare nella santità di vita che fa maturare discepoli coraggiosi ed autentici apostoli.

Nel messaggio che ho indirizzato al Rettore Maggiore all’inizio del vostro Capitolo Generale ho voluto consegnare idealmente a tutti i Salesiani la Lettera da me recentemente inviata ai fedeli di Roma, sulla preoccupazione di quella che ho chiamato una grande emergenza educativa. “Educare non è mai stato facile e oggi sembra diventare sempre più difficile: perciò non pochi genitori e insegnanti sono tentati di rinunciare al proprio compito, e non riescono più nemmeno a comprendere quale sia, veramente, la missione loro affidata. Troppe incertezze e troppi dubbi, infatti, circolano nella nostra società e nella nostra cultura, troppe immagini distorte sono veicolate dai mezzi di comunicazione sociale. Diventa difficile, così, proporre alle nuove generazioni qualcosa di valido e di certo, delle regole di comportamento e degli obiettivi per i quali meriti spendere la propria vita” (Discorso nella consegna alla Diocesi di Roma della Lettera sul compito urgente dell’educazione, 23 febbraio 2008). In realtà, l’aspetto più grave dell’emergenza educativa è il senso di scoraggiamento che prende molti educatori, in particolare genitori ed insegnanti, di fronte alle difficoltà che presenta oggi il loro compito. Così scrivevo infatti nella citata lettera: “Anima dell’educazione può essere solo una speranza affidabile. Oggi la nostra speranza è insidiata da molte parti, e rischiamo di ridiventare anche noi, come gli antichi pagani, uomini ‘senza speranza e senza Dio in questo mondo’, come scriveva l’apostolo Paolo ai cristiani di Efeso (2,12). Proprio da qui nasce la difficoltà forse più profonda per una vera opera educativa: alla radice della crisi dell’educazione c’è infatti una crisi di fiducia nella vita”, che, in fondo, non è altro che sfiducia in quel Dio che ci ha chiamati alla vita. Nell’educazione dei giovani è estremamente importante che la famiglia sia un soggetto attivo. Essa è spesse volte in difficoltà nell’affrontare le sfide dell’educazione; tante volte è incapace di offrire il suo specifico apporto, oppure è assente. La predilezione e l’impegno a favore dei giovani, che sono caratteristica del carisma di Don Bosco, devono tradursi in un pari impegno per il coinvolgimento e la formazione delle famiglie. La vostra pastorale giovanile quindi deve aprirsi decisamente alla pastorale familiare. Curare le famiglie non è sottrarre forze al lavoro per i giovani, anzi è renderlo più duraturo e più efficace. Vi incoraggio perciò ad approfondire le forme di questo impegno, su cui già vi siete incamminati; ciò tornerà anche a vantaggio dell’educazione ed evangelizzazione dei giovani.

Di fronte a questi molteplici compiti è necessario che la vostra Congregazione assicuri, specialmente ai suoi membri, una solida formazione. La Chiesa ha urgente bisogno di persone di fede solida e profonda, di preparazione culturale aggiornata, di genuina sensibilità umana e di forte senso pastorale. Essa necessita di persone consacrate, che dedichino la loro vita a stare su queste frontiere. Solo così diventerà possibile evangelizzare efficacemente. A questo impegno formativo pertanto la vostra Congregazione deve dedicarsi come ad una sua priorità. Essa deve continuare a formare con grande cura i suoi membri senza accontentarsi della mediocrità, superando le difficoltà della fragilità vocazionale, favorendo un solido accompagnamento spirituale e garantendo nella formazione permanente la qualificazione educativa e pastorale.

Concludo rendendo grazie a Dio per la presenza del vostro carisma al servizio della Chiesa. Vi incoraggio nella realizzazione dei traguardi che il vostro Capitolo Generale proporrà a tutta la Congregazione. Vi assicuro la mia preghiera per l’attuazione di ciò che lo Spirito vi suggerirà per il bene dei giovani, delle famiglie e di tutti i laici coinvolti nello spirito e nella missione di Don Bosco. Con questi sentimenti imparto ora a tutti voi, quale pegno di copiosi doni celesti, l’Apostolica Benedizione.





AI RAPPRESENTANTI DELLA "PAPAL FOUNDATION" Sala Clementina Venerdì, 4 aprile 2008

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Cari Fratelli Vescovi,
Cari amici in Cristo,

porgo un caloroso benvenuto a voi, rappresentanti della Papal Foundation, nel periodo in cui continuate a celebrare la gloriosa resurrezione di nostro Signore in questo benedetto tempo pasquale.

"Il Signore è risorto!". Questa è stata la risposta degli Undici ai discepoli provenienti da Emmaus, che avevano riconosciuto Gesù nella frazione del pane ed erano corsi a unirsi a loro a Gerusalemme (cfr
Lc 24,33-40). L'incontro con il Signore risorto trasformò la loro tristezza in gioia, la loro delusione in speranza. La loro testimonianza di fede instilla in noi la ferma convinzione che Cristo vive fra noi, concedendoci doni che ci permettono di essere messaggeri di speranza nel mondo di oggi. La fonte autentica del servizio di amore della Chiesa, mentre lotta per alleviare la sofferenza dei poveri e dei deboli, si può trovare nella sua fede incrollabile nel fatto che il Signore abbia definitivamente vinto il peccato e la morte e che essa, nel servire i suoi fratelli e le sue sorelle, serva il Signore stesso fino al suo ritorno nella gloria (cfr Mt 25,31-46 Deus caritas est ).

Cari amici, sono lieto di avere l'occasione di esprimere gratitudine per il generoso sostegno che la Papal Foundation offre mediante progetti di aiuto e borse di studio che mi assistono nello svolgimento del mio ministero apostolico per la Chiesa universale. Chiedo le vostre preghiere e vi assicuro delle mie. Che le vostre buone opere continuino a moltiplicarsi, riempiendo i nostri fratelli e le nostre sorelle della certa speranza che Gesù non cessa mai di donare la sua vita per noi nei Sacramenti cosicché possiamo provvedere ai bisogni spirituali e materiali di tutta la famiglia umana (cfr Deus caritas est )!

Affidando voi e i vostri cari alla protezione della Beata Vergine Maria, imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica quale pegno di gioia e di pace nel Salvatore risorto.



AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO INTERNAZIONALE PROMOSSO DAL PONTIFICIO ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II Sala Clementina Sabato, 5 aprile 2008

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PER STUDI SU MATRIMONIO E FAMIGLIA, DELLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE



Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

E’ con grande gioia che mi incontro con voi in occasione del Congresso Internazionale "L’olio sulle ferite". Una risposta alle piaghe dell’aborto e del divorzio, promosso dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, in collaborazione con i Knights of Columbus. Mi compiaccio con voi per la tematica che è oggetto delle vostre riflessioni di questi giorni, quanto mai attuale e complessa, e in particolare per il riferimento alla parabola del buon samaritano (
Lc 10,25-37), che avete scelto come chiave per accostarvi alle piaghe dell’aborto e del divorzio, le quali tanta sofferenza comportano nella vita delle persone, delle famiglie e della società. Sì, davvero gli uomini e le donne dei nostri giorni si trovano talvolta spogliati e feriti, ai margini delle strade che percorriamo, spesso senza che nessuno ascolti il loro grido di aiuto e si accosti alla loro pena, per alleviarla e curarla. Nel dibattito, spesso puramente ideologico, si crea nei loro confronti una specie di congiura del silenzio. Solo nell’atteggiamento dell’amore misericordioso ci si può avvicinare per portare soccorso e permettere alle vittime di rialzarsi e di riprendere il cammino dell’esistenza.

In un contesto culturale segnato da un crescente individualismo, dall’edonismo e, troppo spesso, anche da mancanza di solidarietà e di adeguato sostegno sociale, la libertà umana, di fronte alle difficoltà della vita, è portata nella sua fragilità a decisioni in contrasto con l’indissolubilità del patto coniugale o con il rispetto dovuto alla vita umana appena concepita ed ancora custodita nel seno materno. Divorzio e aborto sono scelte di natura certo differente, talvolta maturate in circostanze difficili e drammatiche, che comportano spesso traumi e sono fonte di profonde sofferenze per chi le compie. Esse colpiscono anche vittime innocenti: il bambino appena concepito e non ancora nato, i figli coinvolti nella rottura dei legami familiari. In tutti lasciano ferite che segnano la vita indelebilmente. Il giudizio etico della Chiesa a riguardo del divorzio e dell’aborto procurato è chiaro e a tutti noto: si tratta di colpe gravi che, in misura diversa e fatta salva la valutazione delle responsabilità soggettive, ledono la dignità della persona umana, implicano una profonda ingiustizia nei rapporti umani e sociali e offendono Dio stesso, garante del patto coniugale ed autore della vita. E tuttavia la Chiesa, sull’esempio del suo Divino Maestro, ha sempre di fronte le persone concrete, soprattutto quelle più deboli e innocenti, che sono vittime delle ingiustizie e dei peccati, ed anche quegli altri uomini e donne, che avendo compiuto tali atti si sono macchiati di colpe e ne portano le ferite interiori, cercando la pace e la possibilità di una ripresa.

A queste persone la Chiesa ha il dovere primario di accostarsi con amore e delicatezza, con premura e attenzione materna, per annunciare la vicinanza misericordiosa di Dio in Gesù Cristo. E’ lui infatti, come insegnano i Padri, il vero Buon Samaritano, che si è fatto nostro prossimo, che versa l’olio e il vino sulle nostre piaghe e che ci conduce nella locanda, la Chiesa, in cui ci fa curare, affidandoci ai suoi ministri e pagando di persona in anticipo per la nostra guarigione. Sì, il vangelo dell’amore e della vita è anche sempre vangelo della misericordia, che si rivolge all’uomo concreto e peccatore che noi siamo, per risollevarlo da qualsiasi caduta, per ristabilirlo da qualsiasi ferita. Il mio amato predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II, di cui abbiamo appena celebrato il terzo anniversario della morte, inaugurando il nuovo santuario della Divina Misericordia a Cracovia ebbe a dire: «Non esiste per l’uomo altra fonte di speranza, al di fuori della misericordia di Dio» (17 agosto 2002). A partire da questa misericordia la Chiesa coltiva un’indomabile fiducia nell’uomo e nella sua capacità di riprendersi. Essa sa che, con l’aiuto della grazia, la libertà umana è capace del dono di sé definitivo e fedele, che rende possibile il matrimonio di un uomo e una donna come patto indissolubile, che la libertà umana anche nelle circostanze più difficili è capace di straordinari gesti di sacrificio e di solidarietà per accogliere la vita di un nuovo essere umano. Così si può vedere che i "no" che la Chiesa pronuncia nelle sue indicazioni morali e sui quali talvolta si ferma in modo unilaterale l’attenzione dell’opinione pubblica, sono in realtà dei grandi "sì" alla dignità della persona umana, alla sua vita e alla sua capacità di amare. Sono l’espressione della fiducia costante che, nonostante le loro debolezze, gli esseri umani sono in grado di corrispondere alla altissima vocazione per cui sono stati creati: quella di amare.

In quella stessa occasione, Giovanni Paolo II proseguiva: «Bisogna trasmettere al mondo questo fuoco della misericordia. Nella misericordia di Dio il mondo troverà la pace». Si innesta qui il grande compito dei discepoli del Signore Gesù, che si trovano compagni di cammino con tanti fratelli, uomini e donne di buona volontà. Il loro programma, il programma del buon samaritano, è «un cuore che vede. Questo cuore vede dove c’è bisogno di amore e agisce in modo conseguente» (Enc. Deus caritas est ). In questi giorni di riflessione e di dialogo vi siete chinati sulle vittime colpite dalle ferite del divorzio e dell’aborto. Avete innanzitutto constatato le sofferenze, talvolta traumatiche, che colpiscono i cosiddetti "figli del divorzio", segnando la loro vita fino a renderne molto più difficile il cammino. E’ infatti inevitabile che quando si spezza il patto coniugale ne soffrano soprattutto i figli, che sono il segno vivente della sua indissolubilità. L’attenzione solidale e pastorale dovrà quindi mirare a far sì che i figli non siano vittime innocenti dei conflitti tra i genitori che divorziano, che sia per quanto possibile assicurata la continuità del legame con i loro genitori ed anche quel rapporto con le proprie origini familiari e sociali che è indispensabile per una equilibrata crescita psicologica e umana.

Avete anche volto la vostra attenzione al dramma dell’aborto procurato, che lascia segni profondi, talvolta indelebili nella donna che lo compie e nelle persone che la circondano, e che produce conseguenze devastanti sulla famiglia e sulla società, anche per la mentalità materialistica di disprezzo della vita, che favorisce. Quante egoistiche complicità stanno spesso alla radice di una decisione sofferta che tante donne hanno dovute affrontare da sole e di cui portano nell’animo una ferita non ancora rimarginata! Benché quanto compiuto rimanga una grave ingiustizia e non sia in sé rimediabile, faccio mia l’esortazione rivolta, nell’Enciclica Evangelium vitae,alle donne che hanno fatto ricorso all’aborto: "Non lasciatevi prendere dallo scoraggiamento e non abbandonate la speranza. Sappiate comprendere, piuttosto, ciò che si è verificato e interpretatelo nella sua verità. Se ancora non l'avete fatto, apritevi con umiltà e fiducia al pentimento: il Padre di ogni misericordia vi aspetta per offrirvi il suo perdono e la sua pace nel sacramento della Riconciliazione. Allo stesso Padre e alla sua misericordia potete affidare con speranza il vostro bambino" (n. 99).

Esprimo profondo apprezzamento a tutte quelle iniziative sociali e pastorali che sono rivolte alla riconciliazione e alla cura delle persone ferite dal dramma dell’aborto e del divorzio. Esse costituiscono, insieme con tante altre forme di impegno, elementi essenziali per la costruzione di quella civiltà dell’amore, di cui mai come oggi l’umanità ha bisogno.

Nell’implorare dal Signore Dio misericordioso che vi assimili sempre più a Gesù, Buon Samaritano, perché il suo Spirito vi insegni a guardare con occhi nuovi la realtà dei fratelli che soffrono, vi aiuti a pensare con criteri nuovi e vi spinga ad agire con slancio generoso nella prospettiva di un’autentica civiltà dell’amore e della vita, a tutti imparto una speciale Benedizione Apostolica.




Discorsi 2005-13 15038