Discorsi 2005-13 29019

AI VESCOVI DELLA RUSSIA IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Giovedì, 29 gennaio 2009

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Cari e venerati Fratelli!

Nel contesto dell’Anno Paolino, che stiamo celebrando, mi è particolarmente gradito accogliervi e con gioia vi saluto con le parole dell’Apostolo: “Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo” (
1Co 1,3). Siete venuti a Roma per venerare i luoghi sacri dove san Pietro e san Paolo hanno sigillato la loro esistenza al servizio del Vangelo con il martirio, ed è proprio questo il primo significato della visita ad limina Apostolorum. Successori degli Apostoli, voi incontrate il Successore di Pietro, ponendo in luce la comunione che vi lega a lui. La comunione con il Vescovo di Roma, garante dell’unità ecclesiale, permette alle comunità affidate alle vostre cure pastorali, sebbene minoritarie, di sentirsi cum Petro e sub Petro, parte viva del Corpo di Cristo esteso su tutta la terra. L’unità, che è dono di Cristo, cresce e si sviluppa infatti nelle concrete situazioni delle varie Chiese locali. A questo riguardo, il Concilio Vaticano II ricorda che “i singoli Vescovi sono il visibile principio e fondamento di unità nelle loro Chiese, formate a immagine della Chiesa universale, e in esse e da esse è costituita l’una e l’unica Chiesa cattolica” (Cost. Lumen gentium LG 23). A voi, Pastori della Chiesa che vive in Russia, il Successore di Pietro rinnova l’espressione della sua sollecitudine e vicinanza spirituale, con l’incoraggiamento a proseguire uniti nell’attività pastorale, beneficiando anche dell’esperienza della Chiesa universale.

Ho ascoltato con grande interesse quanto mi avete riferito circa le vostre comunità che stanno vivendo un processo di maturazione e vanno approfondendo insieme il loro “volto” di Chiesa cattolica locale. A questo tende del resto anche il vostro sforzo di inculturazione della fede. Esprimo volentieri il mio apprezzamento per l’impegno con cui curate il rilancio della partecipazione liturgica-sacramentale, della catechesi, della formazione sacerdotale e della preparazione di un laicato maturo e responsabile, che sia fermento evangelico nelle famiglie e nella società civile. Purtroppo anche in Russia, come in altre parti del mondo, si registra la crisi della famiglia e il conseguente calo demografico, insieme con le altre problematiche che assillano la società contemporanea. Come è noto, tali problematiche preoccupano anche le Autorità statali, con le quali è perciò opportuno proseguire la collaborazione per il bene di tutti. In questo contesto giustamente la vostra attenzione si dirige specialmente ai giovani, ai quali la comunità cattolica russa, fedele alla “memoria” dei propri testimoni e martiri ed utilizzando opportuni strumenti e linguaggi, è chiamata a trasmettere inalterato il patrimonio di santità e di fedeltà a Cristo, e i valori umani e spirituali che sono alla base di un’efficace promozione umana ed evangelica.

Cari Fratelli nell’Episcopato, poiché non sono poche le preoccupazioni con cui vi dovete quotidianamente misurare, vi esorto a non scoraggiarvi se vi paiono talora modeste le realtà ecclesiali, e i risultati pastorali che ottenete non sembrano confacenti agli sforzi dispiegati. Alimentate, piuttosto, in voi e nei vostri collaboratori un autentico spirito di fede, con la consapevolezza tutta evangelica che Gesù Cristo non mancherà di rendere fecondo, con la grazia del suo Spirito, il vostro ministero per la gloria del Padre, secondo tempi e modalità che solo Lui conosce. Proseguite nel promuovere e nel curare, con costante impegno e attenzione, le vocazioni sacerdotali e religiose: quella delle vocazioni è una pastorale particolarmente necessaria in questo nostro tempo. Abbiate cura di formare presbiteri con la stessa sollecitudine di san Paolo verso il suo discepolo Timoteo, perché siano autentici “uomini di Dio” (cfr 1Tm 6,11). Per loro siate padri e modelli nel servizio ai fratelli; incoraggiate la loro fraternità e amicizia e collaborazione; sosteneteli nella formazione permanente dottrinale e spirituale. Pregate per i sacerdoti e insieme con loro, sapendo che soltanto chi vive di Cristo e in Cristo può esserne fedele ministro e testimone. Ugualmente, abbiate a cuore la formazione delle persone consacrate e la crescita spirituale dei fedeli laici, affinché sentano la loro vita come una risposta alla chiamata universale alla santità, che deve esprimersi in una coerente testimonianza evangelica in ogni circostanza quotidiana.

Voi vivete in un contesto ecclesiale particolare, cioè in un Paese contrassegnato nella maggioranza della sua popolazione da una millenaria tradizione ortodossa con un ricco patrimonio religioso e culturale. E’ essenziale tener conto della necessità di un rinnovato impegno nel dialogo con i nostri fratelli e sorelle ortodossi; sappiamo che questo dialogo, nonostante i progressi compiuti, conosce ancora alcune difficoltà. In questi giorni mi sento spiritualmente vicino ai cari fratelli e sorelle della Chiesa Ortodossa Russa, che gioiscono per l’elezione del Metropolita Kirill a nuovo Patriarca di Mosca e di tutte le Russie: a lui porgo i miei auguri più cordiali per il delicato compito ecclesiale che gli è stato affidato. Chiedo al Signore di confermarci tutti nell’impegno di camminare insieme sulla via della riconciliazione e dell’amore fraterno.

La vostra presenza in Russia sia un richiamo e uno stimolo al dialogo anche personale. Se nei vari incontri non si riesce sempre ad affrontare questioni di fondo, tuttavia tali contatti contribuiscono a una migliore conoscenza reciproca, grazie alla quale è possibile collaborare insieme in ambiti di comune interesse per l’educazione delle nuove generazioni. E’ importante che i cristiani affrontino uniti le grandi sfide culturali ed etiche del momento presente, concernenti la dignità della persona umana e i suoi diritti inalienabili, la difesa della vita in ogni sua fase, la tutela della famiglia e altre urgenti questioni economiche e sociali.

Cari Fratelli, lodo il Signore e vi sono profondamente grato per il bene che compite, svolgendo il vostro ministero episcopale in piena fedeltà al Magistero. Vi assicuro un quotidiano ricordo nella preghiera. Attraverso di voi giunga il mio ringraziamento ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose e ai laici, che con voi collaborano al servizio di Cristo e del suo Vangelo. Invoco la materna intercessione della beata Vergine Maria e degli Apostoli Pietro e Paolo su di voi e sui vostri programmi apostolici, e di cuore imparto una speciale Benedizione Apostolica a ciascuno di voi, estendendola con affetto ai sacerdoti, ai religiosi e religiose e all’intera comunità cattolica che rende testimonianza a Cristo tra le popolazioni della Federazione Russa.




AL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA IN OCCASIONE DELL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO Sala Clementina Giovedì, 29 gennaio 2009

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Illustri Giudici, Officiali e Collaboratori
del Tribunale della Rota Romana!

La solenne inaugurazione dell’attività giudiziaria del vostro Tribunale mi offre anche quest’anno la gioia di riceverne i degni componenti: Monsignor Decano, che ringrazio per il nobile indirizzo di saluto, il Collegio dei Prelati Uditori, gli Officiali del Tribunale e gli Avvocati dello Studio Rotale. A voi tutti rivolgo il mio saluto cordiale, insieme con l’espressione del mio apprezzamento per gli importanti compiti a cui attendete quali fedeli collaboratori del Papa e della Santa Sede.

Voi vi aspettate dal Papa, all’inizio del vostro anno di lavoro, una parola che vi sia luce e orientamento nel disimpegno delle vostre delicate mansioni. Molteplici potrebbero essere gli argomenti su cui intrattenerci in questa circostanza, ma a vent’anni di distanza dalle allocuzioni di Giovanni Paolo II sull’incapacità psichica nelle cause di nullità matrimoniale, del 5 febbraio 1987 (AAS 79 [1987], PP 1453-1459) e del 25 gennaio 1988 (AAS 80 [1988], PP 1178-1185), sembra opportuno chiedersi in quale misura questi interventi abbiano avuto una recezione adeguata nei tribunali ecclesiastici. Non è questo il momento per tracciare un bilancio, ma è davanti agli occhi di tutti il dato di fatto di un problema che continua ad essere di grande attualità. In alcuni casi si può purtroppo avvertire ancora viva l’esigenza di cui parlava il mio venerato Predecessore: quella di preservare la comunità ecclesiale «dallo scandalo di vedere in pratica distrutto il valore del matrimonio cristiano dal moltiplicarsi esagerato e quasi automatico delle dichiarazioni di nullità, in caso di fallimento del matrimonio, sotto il pretesto di una qualche immaturità o debolezza psichica del contraente» (Allocuzione alla Rota Romana, 5.2.1987, cit., n. 9, p. 1458).

Nel nostro odierno incontro mi preme richiamare l’attenzione degli operatori del diritto sull’esigenza di trattare le cause con la doverosa profondità richiesta dal ministero di verità e di carità che è proprio della Rota Romana. All’esigenza del rigore procedurale, infatti, le summenzionate allocuzioni, in base ai principi dell’antropologia cristiana, forniscono i criteri di fondo non solo per il vaglio delle perizie psichiatriche e psicologiche, ma anche per la stessa definizione giudiziale delle cause. Al riguardo, è opportuno ricordare ancora alcune distinzioni che tracciano la linea di demarcazione innanzitutto tra «una maturità psichica che sarebbe il punto d’arrivo dello sviluppo umano», e «la maturità canonica, che è invece il punto minimo di partenza per la validità del matrimonio» (ibid., n. 6, p. 1457); in secondo luogo, tra incapacità e difficoltà, in quanto «solo l’incapacità, e non già la difficoltà a prestare il consenso e a realizzare una vera comunità di vita e di amore, rende nullo il matrimonio» (ibid., n. 7, p. 1457); in terzo luogo, tra la dimensione canonistica della normalità, che ispirandosi alla visione integrale della persona umana, «comprende anche moderate forme di difficoltà psicologica», e la dimensione clinica che esclude dal concetto di essa ogni limitazione di maturità e «ogni forma di psicopatologia» (Allocuzione alla Rota Romana, 25.1.1988, cit., n. 5, p. 1181); infine, tra la «capacità minima, sufficiente per un valido consenso» e la capacità idealizzata «di una piena maturità in ordine ad una vita coniugale felice» (ibid., n. 9, p. 1183).

Atteso poi il coinvolgimento delle facoltà intellettive e volitive nella formazione del consenso matrimoniale, il Papa Giovanni Paolo II, nel menzionato intervento del 5 febbraio 1987, riaffermava il principio secondo cui una vera incapacità «è ipotizzabile solo in presenza di una seria forma di anomalia che, comunque si voglia definire, deve intaccare sostanzialmente le capacità di intendere e/o di volere» (Allocuzione alla Rota Romana, cit., n. 7, p. 1457). Al riguardo, sembra opportuno ricordare che la norma codiciale sull’incapacità psichica nel suo aspetto applicativo è stata arricchita e integrata anche dalla recente Istruzione Dignitas connubii del 25 gennaio 2005. Essa, infatti, per l’avverarsi di tale incapacità richiede, già al tempo del matrimonio, la presenza di una particolare anomalia psichica (art. 209, § 1) che perturbi gravemente l’uso di ragione (art. 209, § 2, n. 1; can. 1095, n. 1), o la facoltà critica ed elettiva in relazione a gravi decisioni, particolarmente per quanto attiene alla libera scelta dello stato di vita (art. 209, § 2, n. 2; can. 1095, n. 2), o che provochi nel contraente non solo una grave difficoltà, ma anche l’impossibilità di far fronte ai compiti inerenti agli obblighi essenziali del matrimonio (art. 209, § 2, n. 3; can. 1095, n. 3).

In quest’occasione, tuttavia, vorrei altresì riconsiderare il tema dell’incapacità a contrarre matrimonio, di cui al canone 1095, alla luce del rapporto tra la persona umana e il matrimonio e ricordare alcuni principi fondamentali che devono illuminare gli operatori del diritto. Occorre anzitutto riscoprire in positivo la capacità che in principio ogni persona umana ha di sposarsi in virtù della sua stessa natura di uomo o di donna. Corriamo infatti il rischio di cadere in un pessimismo antropologico che, alla luce dell’odierna situazione culturale, considera quasi impossibile sposarsi. A parte il fatto che tale situazione non è uniforme nelle varie regioni del mondo, non si possono confondere con la vera incapacità consensuale le reali difficoltà in cui versano molti, specialmente i giovani, giungendo a ritenere che l’unione matrimoniale sia normalmente impensabile e impraticabile. Anzi, la riaffermazione della innata capacità umana al matrimonio è proprio il punto di partenza per aiutare le coppie a scoprire la realtà naturale del matrimonio e il rilievo che ha sul piano della salvezza. Ciò che in definitiva è in gioco è la stessa verità sul matrimonio e sulla sua intrinseca natura giuridica (cfr Benedetto XVI, Allocuzione alla Rota Romana, 27.1.2007, AAS 99 [2007], PP 86-91), presupposto imprescindibile per poter cogliere e valutare la capacità richiesta per sposarsi.

In questo senso, la capacità deve essere messa in relazione con ciò che è essenzialmente il matrimonio, cioè «l’intima comunione di vita e di amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 48), e, in modo particolare, con gli obblighi essenziali ad essa inerenti, da assumersi da parte degli sposi (can. 1095, n. 3). Questa capacità non viene misurata in relazione ad un determinato grado di realizzazione esistenziale o effettiva dell’unione coniugale mediante l’adempimento degli obblighi essenziali, ma in relazione all’efficace volere di ciascuno dei contraenti, che rende possibile ed operante tale realizzazione già al momento del patto nuziale. Il discorso sulla capacità o incapacità, quindi, ha senso nella misura in cui riguarda l’atto stesso di contrarre matrimonio, poiché il vincolo messo in atto dalla volontà degli sposi costituisce la realtà giuridica dell’una caro biblica (Gn 2,24 Mc 10,8 Ep 5,31 cfr Ep 1061, § Ep 1), la cui valida sussistenza non dipende dal successivo comportamento dei coniugi lungo la vita matrimoniale. Diversamente, nell’ottica riduzionistica che misconosce la verità sul matrimonio, la realizzazione effettiva di una vera comunione di vita e di amore, idealizzata su un piano di benessere puramente umano, diventa essenzialmente dipendente soltanto da fattori accidentali, e non invece dall’esercizio della libertà umana sorretta dalla grazia. È vero che questa libertà della natura umana, «ferita nelle sue proprie forze naturali» ed «inclinata al peccato» (Catechismo della Chiesa Cattolica CEC 405), è limitata e imperfetta, ma non per questo è inautentica e insufficiente a realizzare quell’atto di autodeterminazione dei contraenti che è il patto coniugale, che dà vita al matrimonio e alla famiglia fondata su esso.

Ovviamente alcune correnti antropologiche «umanistiche», orientate all’autorealizzazione e all’autotrascendenza egocentrica, idealizzano talmente la persona umana e il matrimonio che finiscono per negare la capacità psichica di tante persone, fondandola su elementi che non corrispondono alle esigenze essenziali del vincolo coniugale. Dinanzi a queste concezioni, i cultori del diritto ecclesiale non possono non tener conto del sano realismo a cui faceva riferimento il mio venerato Predecessore (cfr Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 27.1.1997, n. 4, AAS 89 [1997], p. 488), perché la capacità fa riferimento al minimo necessario affinché i nubendi possano donare il loro essere di persona maschile e di persona femminile per fondare quel vincolo al quale è chiamata la stragrande maggioranza degli esseri umani. Ne segue che le cause di nullità per incapacità psichica esigono, in linea di principio, che il giudice si serva dell’aiuto dei periti per accertare l’esistenza di una vera incapacità (can. 1680; art. 203, § 1, DC), che è sempre un’eccezione al principio naturale della capacità necessaria per comprendere, decidere e realizzare la donazione di sé stessi dalla quale nasce il vincolo coniugale.

Ecco quanto, venerati componenti del Tribunale della Rota Romana, desideravo esporvi in questa circostanza solenne e a me sempre tanto gradita. Nell’esortarvi a perseverare con alta coscienza cristiana nell’esercizio del vostro ufficio, la cui grande importanza per la vita della Chiesa emerge anche dalla cose testé dette, vi auguro che il Signore vi accompagni sempre nel vostro delicato lavoro con la luce della sua grazia, di cui vuol essere pegno l’Apostolica Benedizione, che a ciascuno imparto con profondo affetto.




AI PARTECIPANTI ALLA RIUNIONE DELLA COMMISSIONE MISTA INTERNAZIONALE PER IL DIALOGO TEOLOGICO TRA LA CHIESA CATTOLICA E LE CHIESE ORIENTALI ORTODOSSE Sala del Concistoro Venerdì, 30 gennaio 2009

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Cari fratelli in Cristo,

porgo un cordiale benvenuto a voi, membri della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese orientali ortodosse. Al termine di questa settimana d'intenso lavoro possiamo insieme rendere grazie al Signore per il vostro fermo impegno nella ricerca della riconciliazione e della comunione nel Corpo di Cristo, che è la Chiesa.

Certamente ognuno di voi contribuisce a questo compito non solo con la ricchezza della propria tradizione, ma anche con l'impegno delle Chiese partecipanti a questo dialogo per superare le divisioni del passato e per rafforzare la testimonianza comune dei cristiani dinanzi alle enormi sfide che i credenti devono affrontare oggi.

Il mondo ha bisogno di un segno visibile del mistero di unità che lega le tre Persone divine e che ci è stato rivelato duemila anni fa, con l'Incarnazione del Figlio di Dio. La concretezza del messaggio evangelico viene espressa in modo perfetto da Giovanni, quando dichiara la sua intenzione di annunciare ciò che ha udito, che i suoi occhi hanno visto e che le sue mani hanno toccato, affinché tutti possano essere in comunione con il Padre e con Suo Figlio Gesù. La nostra comunione attraverso la grazia dello Spirito Santo nella vita che unisce il Padre e il Figlio, ha una dimensione percepibile in seno alla Chiesa, Corpo di Cristo, "la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose" (
Ep 1,23), e tutti noi abbiamo il dovere di impegnarci perché questa dimensione fondamentale della Chiesa si manifesti al mondo.

Nel vostro sesto incontro si sono compiuti passi importanti soprattutto nello studio della Chiesa come comunione. Il fatto stesso che il dialogo sia proseguito nel tempo e venga ospitato ogni anno da una delle diverse Chiese che rappresentate è di per sé un segno di speranza e d'incoraggiamento. Dobbiamo solo volgere la nostra mente verso il Medio Oriente - da dove provengono molti di voi - per vedere che sono urgentemente necessari semi autentici di speranza in un mondo ferito dalla tragedia della divisione, del conflitto e dell'immensa sofferenza umana.

La Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani si è appena conclusa con la cerimonia nella Basilica dedicata al grande apostolo Paolo, alla quale molti di voi hanno partecipato. Paolo è stato il primo grande difensore e teologo dell'unità della Chiesa. I suoi sforzi e le sue lotte sono stati ispirati dalla costante aspirazione a mantenere una comunione visibile non solo esteriore, ma reale e piena, tra i discepoli del Signore. Pertanto, per l'intercessione di Paolo, chiedo la benedizione di Dio per tutti voi e per le Chiese e i popoli che rappresentate.




AI DIRIGENTI DELLA CONFEDERAZIONE ITALIANA SINDACATI LAVORATORI (CISL), IN OCCASIONE DEL 60° ANNIVERSARIO DELLA FONDAZIONE DELL'ORGANIZZAZIONE SINDACALE Sala Clementina Sabato, 31 gennaio 2009

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Illustri Signori, gentili Signore!

Con vivo compiacimento accolgo in voi e cordialmente saluto i membri del gruppo dirigente della Confederazione Italiana Sindacale Lavoratori: saluto in particolare il Segretario Generale, e lo ringrazio per le parole che mi ha indirizzato a nome di tutti. Egli ha ricordato che proprio 60 anni fa, la Cisl muoveva i primi passi prendendo parte attiva alla fondazione del sindacato libero internazionale e recava al nascente soggetto il contributo dell'ancoraggio ai principi della dottrina sociale della Chiesa e la pratica di un sindacalismo libero ed autonomo da schieramenti politici e dai partiti. Questi stessi orientamenti voi oggi intendete ribadire, desiderando continuare a trarre dal magistero sociale della Chiesa ispirazione nella vostra azione finalizzata a tutelare gli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici e dei pensionati d'Italia. Come ha opportunamente richiamato il Segretario Generale, la grande sfida ed opportunità che la preoccupante crisi economica del momento invita a saper cogliere, è di trovare una nuova sintesi tra bene comune e mercato, tra capitale e lavoro. Ed in questo ambito, significativo è il contributo che possono apportare le organizzazioni sindacali.

Nel pieno rispetto della legittima autonomia di ogni istituzione, la Chiesa, esperta in umanità, non si stanca di offrire il contributo del suo insegnamento e della sua esperienza a coloro che intendono servire la causa dell'uomo, del lavoro e del progresso, della giustizia sociale e della pace. La sua attenzione alle problematiche sociali è cresciuta nel corso dell'ultimo secolo. Proprio per questo, i miei venerati Predecessori, attenti ai segni dei tempi, non hanno mancato di fornire opportune indicazioni ai credenti e agli uomini di buona volontà, illuminandoli nel loro impegno per la salvaguardia della dignità dell'uomo e le reali esigenze della società.

All'alba del XX secolo, con l'Enciclica Rerum novarum, il Papa Leone XIII fece una difesa accorata dell'inalienabile dignità dei lavoratori. Gli orientamenti ideali, contenuti in tale documento, contribuirono a rafforzare l'animazione cristiana della vita sociale; e questo si tradusse, tra l'altro, nella nascita e nel consolidarsi di non poche iniziative di interesse civile, come i centri di studi sociali, le società operaie, le cooperative e i sindacati. Si verificò pure un impulso notevole verso una legislazione del lavoro rispettosa delle legittime attese degli operai, specialmente delle donne e dei minori, e si ebbe anche un sensibile miglioramento dei salari e delle stesse condizioni di lavoro. Di questa Enciclica, che ha avuto "il privilegio" di essere commemorata da vari successivi documenti pontifici, Giovanni Paolo II ha voluto solennizzare il centesimo anniversario pubblicando l'Enciclica Centesimus annus, nella quale osserva che la dottrina sociale della Chiesa, specialmente in questo nostro periodo storico, considera l'uomo inserito nella complessa rete di relazioni che è tipica delle società moderne. Le scienze umane, per parte loro, contribuiscono a metterlo in grado di capire sempre meglio se stesso, in quanto essere sociale. "Soltanto la fede, però, - nota il mio venerato Predecessore - gli rivela pienamente la sua identità vera, e proprio da essa prende avvio la dottrina sociale della Chiesa, la quale, avvalendosi di tutti gli apporti delle scienze e della filosofia, si propone di assistere l'uomo nel cammino della salvezza" (n. 54).

Nella sua precedente Enciclica sociale Laborem exercens del 1981, dedicata al tema del lavoro, Papa Giovanni Paolo II aveva sottolineato che la Chiesa non ha mai smesso di considerare i problemi del lavoro all'interno di una questione sociale che è andata assumendo progressivamente dimensioni mondiali. Anzi, il lavoro - egli insiste - va visto come la "chiave essenziale" dell'intera questione sociale, perché condiziona lo sviluppo non solo economico, ma anche culturale e morale, delle persone, delle famiglie, delle comunità e dell'intera umanità (cfr. n. 1). Sempre in questo importante documento vengono posti in luce il ruolo e l'importanza strategica dei sindacati, definiti "un indispensabile elemento della vita sociale, specialmente nelle moderne società industrializzate" (cfr. n. 20).

C'è un altro elemento che ritorna frequentemente nel magistero dei Papi del Novecento ed è il richiamo alla solidarietà ed alla responsabilità. Per superare la crisi economica e sociale che stiamo vivendo, sappiamo che occorre uno sforzo libero e responsabile da parte di tutti; è necessario, cioè, superare gli interessi particolaristici e di settore, così da affrontare insieme ed uniti le difficoltà che investono ogni ambito della società, in modo speciale il mondo del lavoro. Mai come oggi si avverte una tale urgenza; le difficoltà che travagliano il mondo del lavoro spingono ad una effettiva e più serrata concertazione tra le molteplici e diverse componenti della società. Il richiamo alla collaborazione trova significativi riferimenti anche nella Bibbia. Ad esempio, nel libro del Qoèlet leggiamo: "Meglio essere in due che uno solo, perchè otterranno migliore compenso per la loro fatica. Infatti, se cadono, l'uno rialza l'altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi" (4, 9-10). L'auspicio è quindi che dall'attuale crisi mondiale scaturisca la volontà comune di dar vita a una nuova cultura della solidarietà e della partecipazione responsabile, condizioni indispensabili per costruire insieme l'avvenire del nostro pianeta.

Cari amici, la celebrazione del 60° anniversario di fondazione della vostra organizzazione sindacale sia motivo per rinnovare l'entusiasmo degli inizi e riscoprire ancor più il vostro originario carisma. Il mondo ha bisogno di persone che si dedichino con disinteresse alla causa del lavoro nel pieno rispetto della dignità umana e del bene comune. La Chiesa, che apprezza il ruolo fondamentale dei sindacati, vi è vicina oggi come ieri, ed è pronta ad aiutarvi, perché possiate adempiere al meglio il vostro compito nella società. Nell'odierna festa di san Giovanni Bosco, desidero infine affidare l'attività e i progetti del vostro sindacato a questo Apostolo dei giovani, che con grande sensibilità sociale fece del lavoro un prezioso strumento di formazione e di educazione delle nuove generazioni. Invoco, inoltre, su di voi e sulle vostre famiglie la protezione della Madonna e di san Giuseppe, buon padre e lavoratore esperto che si prese quotidiana cura della famiglia di Nazaret. Per parte mia, vi assicuro un ricordo nella preghiera, mentre con affetto benedico voi qui presenti e tutti gli iscritti alla vostra Confederazione.






A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR JÁNOS BALASSA, NUOVO AMBASCIATORE DI UNGHERIA PRESSO LA SANTA SEDE Sala Clementina Lunedì, 2 febbraio 2009

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Eccellenza,

sono lieto di accoglierla all'inizio della sua missione e di accettare le Lettere che l'accreditano quale Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica di Ungheria presso la Santa Sede. La ringrazio per le cordiali parole e per i saluti che mi porge da parte del Presidente László Sólyom. La prego di trasmettergli i miei rispettosi buoni auspici e l'assicurazione delle mie preghiere per tutto il popolo della sua nazione.

Il ripristino da parte della Santa Sede di piene relazioni diplomatiche con i Paesi dell'ex blocco orientale, dopo gli eventi importantissimi del 1989, ha schiuso nuovi orizzonti di speranza per il futuro. Nei venti anni che sono trascorsi da allora, l'Ungheria ha compiuto grandi progressi nel creare le strutture di una società libera e democratica, desiderosa e capace di svolgere il proprio ruolo in una comunità mondiale sempre più globalizzata. Come ha osservato, le forze che governano gli affari economici e politici del mondo moderno devono essere gestite correttamente. In altre parole devono fondarsi su una base etica, accordando sempre priorità alla dignità e ai diritti della persona umana e al bene comune dell'umanità. In considerazione della sua forte eredità cristiana, che risale a più di mille anni fa, l'Ungheria si trova nella condizione di contribuire alla promozione di questi ideali umani nella comunità europea e in quella mondiale più ampia. Spero che le nostre relazioni diplomatiche saranno di sostegno a questa dimensione vitale del contributo del suo Paese agli affari internazionali.

A volte, l'esperienza di una recente libertà ha comportato il rischio che quegli stessi valori cristiani e umani, così profondamente radicati nella storia e nella cultura dei singoli popoli, e di fatto dell'intero continente europeo, potessero essere soppiantati da altri basati su visioni errate dell'uomo e della sua dignità e dannose per lo sviluppo di una società veramente prospera. Nel mio Messaggio in occasione della Giornata Mondiale della Pace del 2008, ho sottolineato l'importanza primaria della famiglia per l'edificazione di relazioni comunitarie pacifiche a ogni livello.

In gran parte dell'Europa moderna il ruolo vitale di coesione che la famiglia deve svolgere nelle questioni umane viene messo in dubbio e addirittura a repentaglio come risultato di modi fuorviati di pensare, a volte espressi in strategie sociali e politiche aggressive. Spero sinceramente nell'elaborazione di modalità per tutelare questo elemento essenziale della nostra società, che è il cuore di ogni cultura e nazione. Un modo specifico con cui il Governo può sostenere la famiglia è assicurare che i genitori possano esercitare il loro diritto fondamentale di primi educatori dei propri figli, cosa che include la possibilità di scegliere di mandarli in scuole religiose, se lo si vuole.

La Chiesa cattolica in Ungheria ha vissuto con particolare intensità la transizione dal periodo del governo totalitario alla libertà di cui il suo Paese ora gode. Dopo decenni di oppressione, sostenuta dalla testimonianza eroica di così tanti cristiani, la Chiesa è emersa per prendere il proprio posto in una società trasformata, in grado di nuovo di proclamare liberamente il Vangelo. Non cerca privilegi per sé, ma desidera svolgere il proprio ruolo nella vita della nazione, fedele alla sua natura e alla sua missione. Mentre prosegue il processo di realizzazione degli accordi fra l'Ungheria e la Santa Sede, penso al memorandum firmato di recente sull'assistenza religiosa alle forze armate e alla polizia frontaliera. Confido nel fatto che qualsiasi questione straordinaria relativa alla vita della Chiesa nel suo Paese sarà risolta con lo spirito di buona volontà e di dialogo fecondo che caratterizza le nostre relazioni diplomatiche da quando sono state tanto felicemente ripristinate.

Eccellenza, prego affinché la missione diplomatica che comincia oggi rafforzerà ulteriormente i vincoli di amicizia già esistenti fra la Santa Sede e la Repubblica di Ungheria. L'assicuro del fatto che i vari dicasteri della Curia Romana saranno sempre pronti a offrire aiuto e sostegno nello svolgimento dei suoi compiti. Con i miei sinceri buoni auspici, invoco su di Lei, sulla sua famiglia e su tutti i suoi concittadini abbondanti benedizioni di pace e prosperità. Che Dio benedica l'Ungheria!






AI VESCOVI DELLA TURCHIA IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Lunedì, 2 febbraio 2009

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Cari Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,

Sono lieto di ricevervi questa mattina, mentre realizzate il vostro pellegrinaggio sulle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo, segno eloquente della vostra comunione con il Successore di Pietro. Ringrazio il Presidente della vostra Conferenza episcopale, monsignor Luigi Padovese, Vicario Apostolico d'Anatolia, per le cordiali parole che mi ha rivolto a nome vostro. Attraverso la vostra presenza, sono anche le comunità dai molteplici volti a incontrare la Chiesa di Roma, mostrando così la loro unità profonda. Una volta tornati nel vostro paese, salutate affettuosamente a nome mio i sacerdoti, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli delle vostre diocesi. Dite loro che il Papa, nel ricordo sempre presente nel suo cuore del suo pellegrinaggio in Turchia, resta vicino a ognuno di essi, alle loro preoccupazioni e alle loro speranze.

La vostra visita, che si svolge provvidenzialmente in questo anno dedicato a san Paolo, assume un'importanza particolare per voi che siete i Pastori della Chiesa cattolica in Turchia, terra in cui è nato l'Apostolo delle Genti e in cui ha fondato numerose comunità. Come ho dichiarato nella Basilica che accoglie la sua tomba, ho voluto indire questo anno paolino "per ascoltarlo e per apprendere ora da lui, quale nostro maestro, "la fede la verità", in cui sono radicate le ragioni dell'unità tra i discepoli di Cristo" (Omelia, Basilica di San Paolo Fuori le Mura, 28 giugno 2008). So che nel vostro paese avete voluto dare un risalto particolare a questo anno giubilare e che molti pellegrini stanno visitando i luoghi cari alla tradizione cristiana. Auspico che l'accesso a questi luoghi significativi per la fede cristiana, come pure la celebrazione del culto, sia sempre più agevole per i pellegrini. Inoltre mi rallegro vivamente della dimensione ecumenica conferita all'anno paolino, mostrando così l'importanza di questa iniziativa per le altre Chiese e comunità cristiane. Possa questo anno permettere nuovi progressi lungo il cammino verso l'unità di tutti i cristiani!

L'esistenza delle vostre Chiese locali, nella loro diversità, si situa nel prolungamento di una ricca storia contraddistinta dalla crescita delle prime comunità cristiane. Tanti nomi, così cari ai discepoli di Cristo, restano legati alla vostra terra, a partire da san Giovanni, sant'Ignazio di Loyola, san Policarpo di Smirne e tanti altri illustri Padri della Chiesa, senza dimenticare il concilio di Efeso in cui la Vergine Maria fu proclamata "Théotokos". Più di recente, Papa Benedetto XV e il beato Giovanni XXIII hanno a loro volta segnato la vita della nazione e della Chiesa in Turchia.

Desidero anche ricordare tutti i cristiani, sacerdoti e laici, che hanno testimoniato la carità di Cristo, a volte fino al dono supremo della loro vita, come Padre Andrea Santoro. Che questa storia prestigiosa sia per le vostre comunità, delle quali conosco il vigore della fede e l'abnegazione nelle prove, non solo il ricordo di un passato glorioso, ma anche un incoraggiamento a proseguire generosamente lungo la via tracciata, testimoniando fra i loro fratelli l'amore di Dio per ogni uomo.

Cari Fratelli, i Concili di Nicea e di Costantinopoli hanno dato al Credo la sua espressione definitiva. Che sia per voi e per i vostri fedeli un incitamento pressante ad approfondire la fede della Chiesa e a vivere, con sempre maggiore ardore, della speranza che ne scaturisce. Il popolo di Dio troverà in un'autentica comunione ecclesiale un sostegno efficace alla sua fede e alla sua speranza. Di fatto, "la Chiesa è una comunione organica, che si realizza nel coordinamento dei diversi carismi, ministeri e servizi, in ordine al conseguimento del fine comune che è la salvezza" (Pastores gregis ), e i vescovi sono i primi responsabili della realizzazione concreta di questa unità. La profonda comunione che deve regnare fra di essi, nella diversità dei riti, si esprime soprattutto attraverso una reale fraternità e una collaborazione reciproca che permettano loro di svolgere il proprio ministero in uno spirito collegiale e di rafforzare l'unità del Corpo di Cristo.

Questa unità trova una fonte vitale nella Parola di Dio, di cui il recente Sinodo dei Vescovi ha rimesso in luce l'importanza nella vita e nella missione della Chiesa. Vi invito dunque a formare i fedeli delle vostre diocesi, affinché la Sacra Scrittura non sia una Parola del passato, ma illumini la loro esistenza e permetta loro di accedere veramente a Dio. In questo contesto, mi è gradito ricordare che la meditazione della Parola di Dio da parte del Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, è stato un momento importante di questa Assemblea sinodale.

Permettetemi anche di salutare i sacerdoti e i religiosi che collaborano con voi nell'annuncio del Vangelo. Provenendo in gran numero da altri paesi, il loro compito è spesso faticoso. Li incoraggio a essere sempre meglio inseriti nelle realtà delle vostre Chiese locali, al fine di poter dare a tutti i membri della comunità cattolica l'attenzione pastorale necessaria, senza dimenticare le persone più deboli e più isolate. L'esiguo numero di sacerdoti, spesso insufficiente per la vastità del lavoro, non può che spingervi a sviluppare una vigorosa pastorale delle vocazioni.

La pastorale dei giovani è una delle vostre maggiori preoccupazioni. È in effetti importante che possano acquisire una formazione cristiana che li aiuti a consolidare la loro fede e a viverla in un contesto spesso difficile.

Nella stessa prospettiva, la formazione dei laici deve anche permettere loro di assumere con competenza ed efficacia le responsabilità affidate loro in seno alla Chiesa.

La comunità cristiana del vostro paese vive in una nazione retta da una Costituzione che afferma la laicità dello Stato, ma dove la maggior parte degli abitanti è musulmana. È dunque molto importante che cristiani e musulmani si possano impegnare insieme per l'uomo, per la vita, come pure per la pace e la giustizia. Inoltre, la distinzione fra la sfera civile e la sfera religiosa è certamente un valore che deve essere tutelato. Tuttavia, in questo ambito, spetta allo Stato assicurare in maniera effettiva ai cittadini e alle comunità religiose la libertà di culto e la libertà religiosa, rendendo inaccettabile qualsiasi violenza nei confronti dei credenti, qualunque sia la loro religione. In questo contesto, conosco il vostro desiderio e la vostra disponibilità a un dialogo sincero con le Autorità, al fine di trovare una soluzione ai diversi problemi che le vostre comunità devono affrontare, fra i quali il riconoscimento giuridico della Chiesa cattolica e dei suoi beni.

Un simile riconoscimento non può che avere conseguenze positive per tutti.

È auspicabile che si possano stabilire contatti permanenti, ad esempio tramite una Commissione bilaterale, per esaminare questioni ancora irrisolte.

Cari Fratelli, al termine del nostro incontro, desidero ripetervi le parole di speranza rivolte alle Chiese di Efeso e di Smirne nel libro dell'Apocalisse: "Sei costante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti... Non temere ciò che stai per soffrire... Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita" (
Ap 2,3 Ap 2,10). Che l'intercessione di san Paolo e della Théotokos vi permetta di vivere questa speranza che viene da Cristo Risorto che è vivo in mezzo a noi! Di tutto cuore vi imparto un'affettuosa Benedizione apostolica, che estendo ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, e a tutti i fedeli delle vostre diocesi.







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