Discorsi 2005-13 9029

A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR LUIZ FELIPE DE SEIXAS CORRÊA, NUOVO AMBASCIATORE DEL BRASILE PRESSO LA SANTA SEDE Sala Clementina Lunedì, 9 febbraio 2009

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Eccellenza,

1. È con grande soddisfazione che Le porgo il benvenuto ricevendoLa qui in Vaticano, nel momento in cui presenta le Lettere Credenziali, come Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario della Repubblica Federativa del Brasile presso la Santa Sede.

Questa felice circostanza mi offre l'occasione di constatare ancora una volta i sentimenti di vicinanza spirituale che il popolo brasiliano nutre verso il successore di Pietro; allo stesso tempo mi dà l'opportunità di rinnovare il mio affetto sincero e la grande stima che sento per la sua nobile Nazione.

La ringrazio vivamente per le amabili parole che mi ha rivolto. Ringrazio in special modo i deferenti pensieri e il saluto che il Presidente della Repubblica, signor Luiz Inácio Lula da Silva, ha voluto trasmettermi. Chiedo a Vostra Eccellenza la gentilezza di ricambiare il mio saluto, con i migliori auguri di felicità e la certezza delle mie preghiere per il suo Paese e il suo popolo.

Colgo l'occasione per ricordare con apprezzamento la visita pastorale che la Provvidenza mi ha permesso di realizzare in Brasile nel 2007, per presiedere la V Conferenza generale dell'episcopato latinoamericano e dei Caraibi, così come gli incontri con il Capo dello Stato, sia a São Paulo, sia più recentemente qui a Roma. Possano queste circostanze testimoniare, ancora una volta, gli stretti vincoli di amicizia e di feconda collaborazione tra il suo Paese e la Santa Sede.

2. Gli obiettivi, quello della Chiesa, nella sua missione di natura religiosa e spirituale, e quello dello Stato, anche se distinti, confluiscono verso un punto di convergenza: il bene della persona umana e il bene comune della Nazione. Ma, come disse il mio venerabile Predecessore, Papa Giovanni Paolo II, "l'intesa e il rispetto, la reciproca sollecitudine per l'indipendenza e il principio di servire l'uomo nel modo migliore, all'interno di una concezione cristiana, costituiranno fattori di concordia di cui lo stesso popolo sarà il beneficiario" (Discorso al Presidente del Brasile, 14 ottobre 1991, 2). Il Brasile è un Paese che conserva nella sua grande maggioranza la fede cristiana tramandata, fin dalle origini, dall'evangelizzazione iniziata da più di cinque secoli.

Così, mi è gradito considerare la convergenza di principi, sia della Sede Apostolica, sia del suo Governo, in ciò che riguarda le minacce alla Pace mondiale, quando questa viene minata dalla mancanza di una visione di rispetto del prossimo nella sua dignità umana. Il recente conflitto nel Medio Oriente dimostra la necessità di appoggiare le iniziative volte a risolvere pacificamente le divergenze che si sono verificate, e i miei voti sono affinché il suo Governo prosegua in questa direzione. D'altra parte, desidero reiterare la speranza che, in conformità con i principi che salvaguardano la dignità umana, dei quali il Brasile si è sempre fatto difensore, si continuino a promuovere e a diffondere i valori umani fondamentali, soprattutto quando si tratta di riconoscere in maniera esplicita la sacralità della vita familiare e la salvaguardia del nascituro, dal momento del concepimento sino alla fine naturale dell'esistenza. Allo stesso modo, in ciò che concerne gli esperimenti biologici, la Santa Sede sta promuovendo costantemente la difesa di un'etica che non deturpi ma protegga l'esistenza dell'embrione e il suo diritto alla nascita.

3. Vedo con soddisfazione che la Nazione brasiliana sta diventando, in un clima di accentuata prosperità, un fattore di stimolo allo sviluppo in aree limitrofe e in vari Paesi del Continente africano. In un clima di solidarietà e di reciproca intesa, il Governo cerca di appoggiare iniziative volte a favorire la lotta contro la povertà e l'arretratezza tecnologica, sia a livello nazionale che internazionale.

D'altro canto, la politica di redistribuzione del reddito interno ha facilitato un maggiore benessere tra la popolazione; in questo senso, mi auguro che si continui a incoraggiare una migliore distribuzione del reddito, e si rafforzi una maggiore giustizia sociale per il bene della popolazione. Bisogna sottolineare, tuttavia, che oltre la povertà materiale, incide in maniera rilevante la povertà morale, che imperversa in tutto il mondo, anche laddove non mancano i beni materiali. Infatti, il pericolo del consumismo e dell'edonismo, insieme alla mancanza di solidi principi morali che guidino la vita del cittadino comune, fa diventare vulnerabile la struttura della società e della famiglia brasiliana. Perciò, non si insiste mai abbastanza sull'urgenza di una solida formazione morale a tutti i livelli, anche nell'ambito politico, dinanzi alle costanti minacce generate dalle ideologie materialistiche ancora imperanti e, soprattutto, alla tentazione della corruzione nella gestione del denaro pubblico e privato. A queste finalità, il cristianesimo può offrire un valido contributo - come ho affermato recentemente - perché "è una religione di libertà e di pace ed è al servizio del vero bene dell'umanità" (Discorso al Corpo Diplomatico, 8 gennaio 2009). È sulla scia di tali valori che la Chiesa continua a offrire questo servizio di profondo significato evangelico per favorire il raggiungimento della pace e della giustizia tra tutti i popoli.

4. Il recente Accordo che ridefinisce lo statuto giuridico civile della Chiesa cattolica in Brasile e regola le materie di interesse reciproco tra le parti è un segnale significativo di questa collaborazione sincera che la Chiesa desidera mantenere, nella missione che le è propria, con il Governo brasiliano. In questo senso, esprimo la speranza affinché questo Accordo, come ho già avuto occasione di segnalare, "faciliti il libero esercizio della missione evangelizzatrice della Chiesa e rafforzi ancor più la sua collaborazione con le istituzioni civili per lo sviluppo integrale della persona" (Discorso cit.). La fede e l'adesione a Gesù Cristo richiedono che i fedeli cattolici, anche in Brasile, diventino strumenti di riconciliazione e di fraternità, nella verità, nella giustizia e nell'amore. Così, mi auguro di vedere ratificato questo Documento solenne, affinché l'organizzazione ecclesiastica della vita dei cattolici sia facilitata e raggiunga un alto grado di efficacia.

Signor Ambasciatore,

prima di concludere questo incontro rinnovo la richiesta di trasmettere al signor Presidente della Repubblica i miei migliori auguri di felicità e di pace. Assicuro Vostra Eccellenza che troverà sempre la stima, la buona accoglienza e l'appoggio della Sede Apostolica nel compimento della sua missione, che mi auguro sia felice e feconda di frutti e di gioie. In questo momento, il mio pensiero va a tutti i brasiliani e a quanti guidano il loro destino. Auguro a tutti felicità, con sempre più progresso e armonia. Sono sicuro che Vostra Eccellenza si farà interprete di questi miei sentimenti e speranze presso il Capo dello Stato. Per intercessione di Nostra Signora Aparecida, imploro per Vostra Eccellenza, per il suo mandato e per i suoi familiari, così come per tutti gli amati brasiliani, le abbondanti benedizioni di Dio Onnipotente.




XVII GIORNATA MONDIALE DEL MALATO - INCONTRO CON GLI AMMALATI Memoria della Beata Maria Vergine di Lourdes Basilica Vaticana, mercoledì 11 febbraio 2009

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Cari ammalati,
cari fratelli e sorelle!

Assume un singolare valore e significato questo nostro incontro: esso ha luogo in occasione della Giornata Mondiale del Malato, che ricorre oggi, memoria della Beata Vergine di Lourdes. Il mio pensiero va a quel Santuario dove, in occasione del 150° anniversario delle apparizioni a santa Bernadetta, mi sono recato anch’io; e di quel pellegrinaggio conservo un vivo ricordo, che si focalizza in particolare sul contatto che ho potuto avere con i malati raccolti presso la Grotta di Massabielle. Sono venuto molto volentieri a salutarvi a conclusione della Celebrazione eucaristica, che ha presieduto il Cardinale Javier Lozano Barragán, Presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, al quale rivolgo un cordiale pensiero. Insieme a lui saluto i Presuli presenti, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i volontari, i pellegrini, specialmente i cari malati e quanti se ne prendono quotidiana cura. E’ sempre emozionante rivivere in questa circostanza qui, nella Basilica di San Pietro, quel tipico clima di preghiera e di spiritualità mariana che caratterizza il Santuario di Lourdes. Grazie, dunque, per questa vostra manifestazione di fede e di amore a Maria; grazie a quanti l’hanno promossa ed organizzata, in particolare all’UNITALSI e all’Opera Romana Pellegrinaggi.

Questa Giornata invita a far sentire con maggiore intensità ai malati la vicinanza spirituale della Chiesa, la quale, come ho scritto nell’Enciclica Deus caritas est, è la famiglia di Dio nel mondo, all’interno della quale nessuno dovrebbe soffrire per mancanza del necessario, soprattutto per la mancanza di amore (cfr n. 25 b). Al tempo stesso, quest’oggi ci è data l’opportunità di riflettere sull’esperienza della malattia, del dolore, e più in generale sul senso della vita da realizzare pienamente anche quando è sofferente. Nel messaggio per l’odierna ricorrenza ho voluto porre in primo piano i bambini ammalati, che sono le creature più deboli e indifese. E’ vero! Se già si resta senza parole davanti a un adulto che soffre, che dire quando il male colpisce un piccolo innocente? Come percepire anche in situazioni così difficili l’amore misericordioso di Dio, che mai abbandona i suoi figli nella prova?

Sono frequenti e talora inquietanti tali interrogativi, che in verità sul piano semplicemente umano non trovano adeguate risposte, poiché il dolore, la malattia e la morte restano, nel loro significato, insondabili per la nostra mente. Ci viene però in aiuto la luce della fede. La Parola di Dio ci svela che anche questi mali sono misteriosamente “abbracciati” dal disegno divino di salvezza; la fede ci aiuta a ritenere la vita umana bella e degna di essere vissuta in pienezza pur quando è fiaccata dal male. Dio ha creato l’uomo per la felicità e per la vita, mentre la malattia e la morte sono entrate nel mondo come conseguenza del peccato. Ma il Signore non ci ha abbandonati a noi stessi; Lui, il Padre della vita, è il medico per eccellenza dell’uomo e non cessa di chinarsi amorevolmente sull’umanità sofferente. Il Vangelo mostra Gesù che “scaccia gli spiriti con la sua parola e guarisce coloro che sono ammalati” (
Mt 8,16), indicando la strada della conversione e della fede come condizioni per ottenere la guarigione del corpo e dello spirito, è la guarigione voluta dal Signore sempre. È la guarigione, d’amore integrale, di corpo e anima, perciò scaccia gli spiriti con la parola. La sua parola è parola d’amore, parola purificatrice: scaccia gli spiriti del timore, della solitudine, dell’opposizione a Dio, perché così purifica la nostra anima e dà pace interiore. Così ci dà lo spirito dell’amore e la guarigione che comincia dall’interno. Ma Gesù non ha solo parlato: è Parola incarnata. Ha sofferto con noi, è morto. Con la sua passione e morte Egli ha assunto e trasformato fino in fondo la nostra debolezza. Ecco perchè – secondo quanto ha scritto il Servo di Dio Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Salvifici doloris – “soffrire significa diventare particolarmente suscettibili, particolarmente aperti all'opera delle forze salvifiche di Dio, offerte all'umanità in Cristo” (n. 23).

Cari fratelli e sorelle, ci rendiamo conto sempre più che la vita dell’uomo non è un bene disponibile, ma un prezioso scrigno da custodire e curare con ogni attenzione possibile, dal momento del suo inizio fino al suo ultimo e naturale compimento. La vita è mistero che di per se stesso chiede responsabilità, amore, pazienza, carità, da parte di tutti e di ciascuno. Ancor più è necessario circondare di premure e rispetto chi è ammalato e sofferente. Questo non è sempre facile; sappiamo però dove poter attingere il coraggio e la pazienza per affrontare le vicissitudini dell’esistenza terrena, in particolare le malattie e ogni genere di sofferenza. Per noi cristiani è in Cristo che si trova la risposta all’enigma del dolore e della morte. La partecipazione alla Santa Messa, come voi avete appena fatto, ci immerge nel mistero della sua morte e della sua risurrezione. Ogni Celebrazione eucaristica è il memoriale perenne di Cristo crocifisso e risorto, che ha sconfitto il potere del male con l’onnipotenza del suo amore. E’ dunque alla “scuola” del Cristo eucaristico che ci è dato di imparare ad amare la vita sempre e ad accettare la nostra apparente impotenza davanti alla malattia e alla morte.

Il mio venerato e amato predecessore Giovanni Paolo II ha voluto che la Giornata Mondiale del Malato coincidesse con la festa della Vergine Immacolata di Lourdes. In quel luogo sacro, la nostra Madre celeste è venuta a ricordarci che su questa terra siamo solo di passaggio e che la vera e definitiva dimora dell’uomo è il Cielo. Verso tale meta dobbiamo tutti tendere. La luce che viene “dall’Alto” ci aiuti a comprendere e a dare senso e valore anche all’esperienza del soffrire e del morire. Domandiamo alla Madonna di volgere il suo sguardo materno su ogni ammalato e sulla sua famiglia, per aiutarli a portare con Cristo il peso della croce. Affidiamo a Lei, Madre dell’umanità, i poveri, i sofferenti, gli ammalati del mondo intero, con un pensiero speciale per i bambini sofferenti. Con questi sentimenti vi incoraggio a confidare sempre nel Signore e di cuore tutti vi benedico.




A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR TIMOTHY ANDREW FISCHER, NUOVO AMBASCIATORE DI AUSTRALIA PRESSO LA SANTA SEDE Sala Clementina Giovedì, 12 febbraio 2009

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Signor Ambasciatore,

è con particolare piacere che la accolgo in Vaticano e accetto le Lettere che la accreditano quale Ambasciatore straordinario e plenipotenziario dell'Australia presso la Santa Sede. Le chiedo cortesemente di trasmettere al Governatore Generale, signora Quentin Bryce, al Governo e al popolo della sua nazione la mia gratitudine per i loro saluti. Ricordando vividamente la mia recente visita nel suo bel Paese, l'assicuro delle mie preghiere per il benessere della sua nazione e, in particolare, desidero porgere le mie condoglianze alle persone e alle famiglie in lutto a Victoria per aver perso i propri cari nei recenti incendi boschivi.

Eccellenza, la sua nomina come primo Ambasciatore residente dell'Australia presso la Santa Sede inaugura una nuova fase nelle nostre relazioni diplomatiche, offre l'opportunità di approfondire la comprensione reciproca e di ampliare la nostra già significativa collaborazione.

L'impegno della Chiesa con la società civile è ancorato alla convinzione che il progresso umano, sia degli individui sia delle comunità, dipende dal riconoscimento della vocazione soprannaturale di ogni persona. È da Dio che uomini e donne ricevono la loro essenziale dignità (cfr. Genesi
Gn 1,27) e la capacità di ricercare la verità e la bontà. In questa ampia prospettiva possiamo imbatterci in tendenze al pragmatismo e al consequenzialismo, tanto prevalenti oggi, che si occupano soltanto dei sintomi e degli effetti dei conflitti, ovvero la frammentazione sociale e l'ambiguità morale, invece che delle loro cause. Quando viene portata alla luce la dimensione spirituale dell'umanità, il cuore e la mente degli individui vengono condotti a Dio e alle meraviglie della vita: essere se stessi, verità, bellezza, valori morali, e altre persone. In questo modo si può ottenere un saldo fondamento per unire la società e sostenere un'idea di speranza.

La Giornata Mondiale della Gioventù è stata un evento di importanza particolare per la Chiesa universale e per l'Australia. Echi di apprezzamento continuano a risuonare nella sua nazione e in tutto il mondo.

Ogni Giornata Mondiale della Gioventù è soprattutto un evento spirituale: un momento in cui giovani, non tutti strettamente legati alla Chiesa, incontrano Dio in un'esperienza intensa di preghiera, apprendimento e ascolto, vivendo dunque la fede in azione. Come Lei, Eccellenza, ha osservato, gli stessi abitanti di Sydney hanno tratto ispirazione dalla gioia dei pellegrini. Prego affinché questa giovane generazione di cristiani in Australia e nel resto del mondo incanali il proprio entusiasmo verso tutto ciò che è vero e buono, creando amicizie al di là delle divisioni e luoghi di fede viva per e nel nostro mondo, come scenari di speranza e carità concreta.

Signor Ambasciatore, la diversità culturale apporta molta ricchezza al tessuto sociale dell'Australia di oggi. Per decenni la variegata realtà australiana è stata offuscata dalle ingiustizie tanto dolorosamente subite dalle popolazioni indigene. Attraverso le scuse offerte lo scorso anno dal Primo Ministro Rudd, è stato affermato un profondo cambiamento del cuore. Ora, rinnovati nello spirito di riconciliazione, sia le agenzie governative sia gli anziani aborigeni, possono affrontare con determinazione e compassione moltissime sfide. Un ulteriore esempio del desiderio del suo governo di promuovere rispetto e comprensione fra le culture è il suo lodevole sforzo di facilitare il dialogo e la cooperazione fra le religioni sia nel Paese sia nella regione. Queste iniziative contribuiscono a tutelare eredità culturali, alimentano la dimensione pubblica della religione e ravvivano i valori senza i quali il cuore della società civile si arresterebbe presto.

L'attività diplomatica australiana nel Pacifico, in Asia e più recentemente in Africa è poliedrica e crescente. La lotta della nazione per sostenere gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, le numerose collaborazioni regionali, le iniziative per rafforzare il Trattato di non proliferazione nucleare e una forte preoccupazione per uno sviluppo economico equo sono ben note e rispettate. Mentre le luci e le ombre della globalizzazione avvolgono il nostro mondo in modi sempre più complessi, la sua nazione si sta dimostrando pronta a rispondere a una varietà crescente di esigenze in modo innovativo, responsabile e ispirato da principi. Non da ultime ricordiamo le minacce al creato stesso attraverso il cambiamento climatico.

Forse, ora più che mai nella nostra storia umana il rapporto fondamentale fra Creatore, creato e creatura deve essere ponderato e rispettato. A partire da questo riconoscimento possiamo scoprire un comune codice etico che consiste in norme radicate nella legge naturale iscritta dal Creatore nel cuore di ogni essere umano.

Nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest'anno, ho prestato particolare attenzione alla necessità di un approccio etico alla creazione di collaborazioni positive fra mercati, società civile e Stati (cfr. n. 12). A questo proposito osservo con interesse la determinazione del Governo australiano a instaurare rapporti di cooperazione basati sui valori della correttezza, del buon governo e del senso di prossimità regionale.

Una posizione autenticamente etica è al centro di qualsiasi politica di sviluppo responsabile, rispettoso e socialmente inclusivo. È l'etica a rendere imperativa una risposta compassionevole e generosa alla povertà.

L'etica rende urgente sacrificare gli interessi protezionistici a favore di una corretta accessibilità dei paesi poveri ai mercati industrializzati così come rende ragionevole l'insistenza delle nazioni donatrici sull'affidabilità e sulla trasparenza nell'utilizzazione di aiuti finanziari da parte delle nazioni che li ricevono.

Da parte sua la Chiesa ha una lunga tradizione nel settore sanitario in cui mette in evidenza un approccio etico alle esigenze particolari di ogni individuo. Soprattutto nelle nazioni più povere, gli ordini religiosi e le organizzazioni ecclesiali, inclusi molti missionari australiani, finanziano ospedali e cliniche, fornendo personale, spesso in aree remote in cui gli Stati non sono riusciti a servire il proprio popolo. Di particolare interesse è l'offerta di assistenza medica alle famiglie, inclusa quella ostetrica di elevata qualità per le donne. Tuttavia, è paradossale che alcuni gruppi, attraverso i programmi di aiuto, promuovano l'aborto come forma di assistenza alla maternità: eliminare una vita per, a quel che si dice, migliorare la qualità di vita!

Eccellenza, sono certo che la sua nomina rafforzerà ulteriormente i vincoli di amicizia già esistenti fra Australia e Santa Sede. Nell'esercizio delle sue responsabilità, troverà una vasta gamma di dicasteri della Curia Romana pronti ad assisterla nello svolgimento dei suoi doveri. Su di lei, sulla sua famiglia e sui suoi concittadini, invoco di cuore le abbondanti benedizioni di Dio onnipotente.




AI MEMBRI DELLA CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE MAGGIORI ORGANIZZAZIONI EBRAICHE AMERICANE Sala del Concistoro Giovedì, 12 febbraio 2009

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Cari amici,

sono lieto di accogliere tutti voi oggi e ringrazio il rabbino Arthur Schneier e il signor Alan Solow per i saluti che mi hanno rivolto a vostro nome. Ricordo bene le varie occasioni, durante la mia visita negli Stati Uniti lo scorso anno, nelle quali ho potuto incontrare alcuni di voi a Washington e a New York. Lei, rabbino Schneier, con cortesia mi ha ricevuto presso la Park East Synagogue alcune ore prima della vostra celebrazione della Pasqua. Ora, sono lieto di avere l'occasione di offrirle ospitalità qui nella mia casa. Incontri come questo ci permettono di dimostrare il nostro rispetto reciproco. Voglio che sappiate che voi siete tutti davvero benvenuti qui oggi nella casa di Pietro, la casa del Papa.

Ricordo con gratitudine le varie occasioni che ho avuto nel corso di molti anni di trascorrere del tempo in compagnia dei miei amici ebrei. Le mie visite, seppure brevi, alle vostre comunità a Washington e a New York, sono state esperienza di stima fraterna e amicizia sincera. Così è accaduto anche durante la visita alla sinagoga a Colonia, la prima di questo tipo del mio pontificato. È stato per me molto commovente trascorrere alcuni momenti con la comunità ebraica nella città che conosco così bene, la città che ha ospitato il più antico insediamento ebraico in Germania e le cui origini risalgono al tempo dell'impero romano.

Un anno dopo, nel maggio del 2006, ho visitato il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Quali parole possono esprimere in modo adeguato quell'esperienza profondamente toccante? Entrando in quel luogo di orrore, scenario di indicibile sofferenza, ho meditato sugli innumerevoli prigionieri, così tanti di loro ebrei, che avevano percorso quello stesso cammino nella prigionia ad Auschwitz e in tutti gli altri campi di prigionia.

Quei figli di Abramo, colpiti dal lutto e spaventosamente umiliati, avevano ben poco per sostenersi oltre alla propria fede nel Dio dei loro padri, una fede che noi cristiani condividiamo con voi, nostri fratelli e nostre sorelle.

Come possiamo cominciare a comprendere l'enormità di ciò che è accaduto in quelle prigioni infami? L'intero genere umano prova una profonda vergogna per la brutalità selvaggia mostrata allora verso il vostro popolo.

Permettetemi di ripetere quanto ho detto in quella triste occasione: "I potentati del Terzo Reich volevano schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità; eliminarlo dall'elenco dei popoli della terra. Allora le parole del Salmo: "Siamo messi a morte, stimati come pecore al macello" si verificarono in modo terribile".

Il nostro incontro odierno si svolge nel contesto della vostra visita in Italia in concomitanza con la vostra annuale Leadership Mission in Israele.

Anche io mi sto preparando a visitare Israele, una terra che è santa per i cristiani e per gli ebrei, poiché le radici della nostra fede si trovano lì. Infatti, la Chiesa trae sostentamento dalla radice di quel buon albero di olivo, il popolo di Israele, su cui sono stati innestati i rami di olivo selvatico dei Gentili (cfr. Romani
Rm 11,17-24). Fin dai primi giorni del cristianesimo, la nostra identità e ogni aspetto della nostra vita e del nostro culto sono intimamente legati all'antica religione dei nostri padri nella fede.

La storia bimillenaria del rapporto fra l'ebraismo e la Chiesa ha attraversato molte diverse fasi, alcune delle quali dolorose da ricordare.

Ora che possiamo incontrarci in spirito di riconciliazione, non dobbiamo permettere alle difficoltà passate di trattenerci dal porgerci reciprocamente la mano dell'amicizia. Infatti, quale famiglia non è mai stata attraversata da tensioni di un tipo o dell'altro? La Dichiarazione del concilio Vaticano II Nostra aetate è stata una pietra miliare lungo il cammino verso la riconciliazione e ha chiaramente evidenziato i principi che hanno governato da allora l'atteggiamento della Chiesa nelle relazioni fra cristiani ed ebrei.

La Chiesa è profondamente e irrevocabilmente impegnata a rifiutare ogni forma di antisemitismo e a continuare a costruire relazioni buone e durature fra le nostre due comunità. Una particolare immagine che esprime questo impegno è quella del momento in cui il mio amato predecessore Papa Giovanni Paolo II ha sostato presso il Muro occidentale di Gerusalemme, implorando il perdono di Dio dopo tutta l'ingiustizia che il popolo ebraico aveva dovuto subire. Ora faccio mia la sua preghiera: "Dio dei nostri padri, tu hai scelto Abramo e la sua discendenza perché il tuo Nome fosse portato alle genti: noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di quanti nel corso della storia hanno fatto soffrire questi suoi figli, e chiedendoti perdono vogliamo impegnarci in un'autentica fraternità con il popolo dell'alleanza. Per Cristo nostro Signore" (26 marzo 2000).

L'odio e il disprezzo per uomini, donne e bambini manifestati nella Shoah sono stati un crimine contro Dio e contro l'umanità. Questo dovrebbe essere chiaro a tutti, in particolare a quanti appartengono alla tradizione delle Sacre Scritture, secondo le quali ogni essere umano è creato a immagine e somiglianza di Dio (Gn 1,26-27). È ovvio che qualsiasi negazione o minimizzazione di questo terribile crimine è intollerabile e del tutto inaccettabile. Di recente, in un'udienza pubblica, ho riaffermato che la Shoah deve essere un "monito contro l'oblio, contro la negazione o il riduzionismo, perché la violenza fatta contro un solo essere umano è violenza contro tutti" (28 gennaio 2009).

Questo capitolo terribile della nostra storia non dovrà mai essere dimenticato.

Il ricordo, come si dice giustamente, è memoria futuri, un ammonimento a noi per il futuro e un monito a lottare per la riconciliazione. Ricordare significa fare tutto il possibile per prevenire qualsiasi recrudescenza di questa catastrofe nella famiglia umana, edificando ponti di amicizia duratura. Prego con fervore affinché il ricordo di questo crimine orrendo rafforzi la nostra determinazione a guarire le ferite che da troppo tempo affliggono le relazioni fra cristiani ed ebrei. Desidero sinceramente che la nostra amicizia divenga sempre più forte affinché l'impegno irrevocabile della Chiesa per relazioni rispettose e armoniose con il popolo dell'Alleanza portino frutti abbondanti.





CONCERTO IN OCCASIONE DELL'80° ANNIVERSARIO DELLO STATO DELLA CITTÀ DEL VATICANO Aula Paolo VI Giovedì, 12 febbraio 2009

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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
gentili Signori e Signore!

Al termine di questa bella serata, sono lieto di rivolgere un cordiale saluto a tutti voi, che avete preso parte al concerto promosso in occasione dell’80° anniversario di fondazione dello Stato della Città del Vaticano. Saluto le Autorità religiose, civili e militari, le illustri Personalità, con un pensiero speciale per i Prelati della Curia Romana e i collaboratori dei vari uffici del Governatorato del Vaticano qui convenuti per ricordare, anche con questa iniziativa, una così significativa ricorrenza. Desidero soprattutto manifestare la mia viva gratitudine al Signor Cardinale Giovanni Lajolo, Presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, al quale sono grato pure per le espressioni di affetto e devozione, che mi ha rivolto all’inizio del concerto. Estendo il mio saluto al Segretario Generale, Mons. Renato Boccardo, e agli altri responsabili del Governatorato, ed esprimo la mia riconoscenza naturalmente a tutti coloro che hanno cooperato in vario modo all’organizzazione e alla realizzazione di questo evento musicale.

Certo di interpretare i sentimenti di tutti i presenti, desidero indirizzare una speciale parola di ringraziamento e di apprezzamento ai componenti della RTE Concert Orchestra (Orchestra della Radio Televisione Irlandese), ai coristi del Our Lady’s Choral Society, di Dublino, al Direttore Proinnsias O Duinn, al Maestro del Coro Paul Ward, ed ai solisti. Un particolare cenno di saluto desidero riservare alla numerosa rappresentanza di fedeli di Dublino, venuti ad accompagnare la Corale della loro Città.

Ci è stata offerta l’esecuzione di brani del ben noto oratorio Messiah di Georg Friedrich Händel, capace di creare un’avvincente atmosfera spirituale grazie a una ricca antologia di testi sacri dell’Antico e del Nuovo Testamento, che costituiscono come la tessitura dell’intera partitura musicale. L’Orchestra e il Coro sono riusciti ad evocare mirabilmente la figura del Messia, di Cristo, alla luce delle profezie messianiche anticotestamentarie. La ricchezza del contrappunto musicale e l’armonia del canto ci hanno aiutato così a contemplare l’intenso ed arcano mistero della fede cristiana. Ancora una volta appare evidente come la musica ed il canto, grazie al loro abile intreccio con la fede, possano rivestire un alto valore pedagogico in ambito religioso. La musica come arte può essere un modo particolarmente grande di annunciare Cristo, perché riesce a renderne percepibile il mistero con un’eloquenza tutta sua.

Questo concerto, con cui si è inteso far memoria di un anniversario significativo per lo Stato della Città del Vaticano, si inserisce nel programma del Convegno organizzato per la circostanza sul tema: "Un piccolo territorio per una grande missione". Non è certo ora il momento per un discorso su tale evento storico, al quale vari esperti stanno offrendo nel Congresso il contributo della loro competenza sotto molteplici aspetti. Del resto avrò modo di incontrare i partecipanti a queste giornate di studio sabato prossimo e di rivolgere loro la mia parola. Mi preme, anche in questa circostanza, ringraziare quanti hanno contribuito a solennizzare una ricorrenza tanto significativa per la Chiesa cattolica. Commemorando gli 80 anni della Civitas Vaticana, si avverte il bisogno di rendere merito a quanti sono stati e sono i protagonisti di questi otto decenni di storia di un piccolo lembo di terra. In primo luogo vorrei ricordare il principale protagonista, il venerato mio Predecessore Pio XI. Egli, nell’annunciare la firma dei Patti Lateranensi e soprattutto la costituzione dello Stato della Città del Vaticano, volle riferirsi a san Francesco d’Assisi. Disse che la nuova realtà sovrana era per la Chiesa, come per il Poverello, "quel tanto di corpo che bastava per tenersi unita l’anima" (cfr Discorso dell’11 febbraio 1929). Domandiamo al Signore, che guida saldamente le sorti della "Barca di Pietro" tra le vicende non sempre tranquille della storia, di continuare a vegliare su questo piccolo Stato. Chiediamogli soprattutto di assistere con la potenza del suo Spirito Colui che sta al timone della Barca, il Successore di Pietro, perché possa svolgere con fedeltà ed efficacemente il suo ministero a fondamento dell’unità della Chiesa Cattolica, che ha in Vaticano il suo centro visibile e si espande sino ai confini del mondo. Affido questa preghiera all’intercessione di Maria, Vergine Immacolata e Madre della Chiesa, e, mentre rinnovo a nome dei presenti, un cordiale ringraziamento agli ideatori della serata, ai valenti orchestrali, ai cantori, particolarmente ai solisti, assicuro per ciascuno un ricordo nella preghiera e su tutti imploro la benedizione di Dio.






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