Discorsi 2005-13 7198

INCONTRO CON I GIOVANI IN PIAZZA YENNE: Domenica, 7 settembre 2008

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Prima di rivolgermi a voi, cari giovani, di Cagliari e della Sardegna, ho l’obbligo e il piacere di rivolgere un particolare saluto al Presidente della Regione Sarda, On. Renato Soru, come pure a tutte le Autorità regionali, che con il loro generoso contributo e sostegno hanno permesso la riuscita di questa mia visita pastorale. Grazie, Signor Presidente: i giovani qui presenti ricorderanno questo giorno, essi che sono il domani di questa terra, che Lei con competenza amministra.

E adesso a voi, cari giovani. È una grande gioia per me incontrarvi, al termine di questo breve ma intenso soggiorno nella vostra bella Isola. Vi saluto tutti con affetto e vi ringrazio per questa calorosa accoglienza. In particolare, ringrazio coloro che, a vostro nome, mi hanno espresso i fervidi sentimenti che vi animano. So che alcuni di voi hanno partecipato alla Giornata Mondiale della Gioventù a Sydney, e sono certo che hanno tratto giovamento da una così straordinaria esperienza ecclesiale. Come ho potuto vedere io stesso, le Giornate Mondiali della Gioventù costituiscono singolari occasioni pastorali per consentire ai giovani del mondo intero di conoscersi meglio, di condividere insieme la fede e l’amore verso Cristo e la sua Chiesa, di confermare il comune impegno di adoperarsi per costruire un futuro di giustizia e di pace. Abbiamo oggi una Giornata non mondiale, ma sarda, della gioventù. E sperimentiamo la bellezza di essere insieme.

Dunque, veramente vi saluto con affetto, cari ragazzi e ragazze: voi costituite il futuro pieno di speranza di questa Regione, nonostante le difficoltà che conosciamo tutti. Conosco il vostro entusiasmo, i desideri che nutrite e l’impegno che ponete per realizzarli. E non ignoro le difficoltà e i problemi che incontrate. Penso, ad esempio – e abbiamo sentito di questo - penso alla piaga della disoccupazione e della precarietà del lavoro, che mettono a rischio i vostri progetti; penso all’emigrazione, all’esodo delle forze più fresche ed intraprendenti, con il connesso sradicamento dall’ambiente, che talvolta comporta danni psicologici e morali, prima ancora che sociali. Cosa dire poi del fatto che nell’attuale società consumistica, il guadagno e il successo sono diventati i nuovi idoli di fronte ai quali tanti si prostrano? La conseguenza è che si è portati a dar valore solo a chi – come si suol dire – “ha fatto fortuna” ed ha una sua “notorietà”, non certo a chi con la vita deve faticosamente combattere ogni giorno. Il possesso dei beni materiali e l’applauso della gente hanno sostituito quel lavorio su se stessi che serve a temprare lo spirito e a formare una personalità autentica. Si rischia di essere superficiali, di percorrere pericolose scorciatoie alla ricerca del successo, consegnando così la vita ad esperienze che suscitano soddisfazioni immediate, ma sono in se stesse precarie e fallaci. Cresce la tendenza all’individualismo, e quando ci si concentra solo su se stessi si diventa inevitabilmente fragili; viene meno la pazienza dell’ascolto, fase indispensabile per capire l’altro e lavorare insieme.

Il 20 ottobre del 1985, il caro Papa Giovanni Paolo II, incontrando qui a Cagliari i giovani provenienti dall’intera Sardegna, volle proporre tre valori importanti per costruire una società fraterna e solidale. Sono indicazioni quanto mai attuali anche oggi, che volentieri riprendo evidenziando in primo luogo il valore della famiglia, da custodire – disse il Papa - come “antica e sacra eredità”. Tutti voi sperimentate l’importanza della famiglia, in quanto figli e fratelli; ma la capacità di formarne una nuova, non può essere data per scontata. Occorre prepararvisi. In passato la società tradizionale aiutava di più a formare e a custodire una famiglia. Oggi non è più così, oppure lo è “sulla carta”, ma nei fatti domina una mentalità diversa. Sono ammesse altre forme di convivenza; a volte viene usato il termine “famiglia” per unioni che, in realtà, famiglia non sono. Soprattutto, nel contesto nostro, si è molto ridotta la capacità dei coniugi di difendere l’unità del nucleo familiare a costo anche di grandi sacrifici. Riappropriatevi, cari giovani, del valore della famiglia; amatela non solo per tradizione, ma per una scelta matura e consapevole: amate la vostra famiglia di origine e preparatevi ad amare anche quella che con l’aiuto di Dio voi stessi formerete. Dico: “preparatevi”, perché l’amore vero non si improvvisa. L’amore è fatto, oltre che di sentimento, di responsabilità, di costanza, e anche di senso del dovere. Tutto questo lo si impara attraverso l’esercizio prolungato delle virtù cristiane della fiducia, della purezza, dell’abbandono alla Provvidenza, della preghiera. In questo impegno di crescita verso un amore maturo vi sosterrà sempre la Comunità cristiana, perché in essa la famiglia trova la sua più alta dignità. Il Concilio Vaticano II la chiama “piccola Chiesa”, perché il matrimonio è un sacramento, cioè un segno santo ed efficace dell’amore che Dio ci dona in Cristo attraverso la Chiesa.

Strettamente connesso a questo primo valore del quale ho voluto parlare è l’altro valore che intendo sottolineare: la seria formazione intellettuale e morale, indispensabile per progettare e costruire il vostro futuro e quello della società. Chi su questo vi fa degli “sconti” non vuole il vostro bene. Come si potrebbe infatti progettare seriamente il domani, se si trascura il naturale desiderio che è in voi di sapere e di confrontarvi? La crisi di una società inizia quando essa non sa più tramandare il suo patrimonio culturale e i suoi valori fondamentali alle nuove generazioni. Non mi riferisco solo e semplicemente al sistema scolastico. La questione è più ampia. C’è, lo sappiamo, un’emergenza educativa, che per essere affrontata richiede genitori e formatori capaci di condividere quanto di buono e di vero essi hanno sperimentato e approfondito in prima persona. Richiede giovani interiormente aperti, curiosi di imparare e di riportare tutto alle originarie esigenze ed evidenze del cuore. Siate davvero liberi, ossia appassionati della verità. Il Signore Gesù ha detto: “La verità vi farà liberi” (
Jn 8,32). Il nichilismo moderno invece predica l’opposto, che cioè è la libertà a rendervi veri. C’è anzi chi sostiene che non esiste nessuna verità, aprendo così la strada allo svuotamento dei concetti di bene e di male e rendendoli addirittura interscambiabili. Mi hanno detto che nella cultura sarda c’è questo proverbio: “Meglio che manchi il pane piuttosto che la giustizia”. Un uomo in effetti può sopportare e superare i morsi della fame, ma non può vivere laddove giustizia e verità sono bandite. Il pane materiale non basta, non è sufficiente per vivere umanamente in modo pieno; occorre un altro cibo del quale essere sempre affamati, del quale nutrirsi per la propria crescita personale e per quella della famiglia e della società.

Questo cibo – ed è il terzo grande valore – è una fede sincera e profonda, che diventi sostanza della vostra vita. Quando si smarrisce il senso della presenza e della realtà di Dio, tutto si “appiattisce” e si riduce ad una sola dimensione. Tutto resta “schiacciato” sul piano materiale. Quando ogni cosa viene considerata soltanto per la sua utilità, non si coglie più l’essenza di ciò che ci circonda, e soprattutto delle persone che incontriamo. Smarrito il mistero di Dio, sparisce anche il mistero di tutto ciò che esiste: le cose e le persone mi interessano nella misura in cui soddisfano i miei bisogni, non per sé stesse. Tutto ciò costituisce un fatto culturale, che si respira fin dalla nascita e che produce effetti interiori permanenti. La fede, in questo senso, prima di essere una credenza religiosa, è un modo di vedere la realtà, un modo di pensare, una sensibilità interiore che arricchisce l’essere umano come tale. Ebbene, cari amici, Cristo è anche in questo il Maestro, perché ha condiviso in tutto la nostra umanità ed è contemporaneo all’uomo di ogni epoca. Questa realtà tipicamente cristiana è una grazia stupenda! Stando con Gesù, frequentandoLo come un amico nel Vangelo e nei Sacramenti, voi potete imparare, in modo nuovo, ciò che la società spesso non è più in grado di darvi, cioè il senso religioso. E proprio perché è una cosa nuova, scoprirla è meraviglioso.

Cari giovani, come il giovane Agostino con tutti i suoi problemi sulla sua strada difficile, ognuno di voi sente il richiamo simbolico di ogni creatura verso l’alto; ogni creatura bella rimanda alla bellezza del Creatore, che è come concentrata nel volto di Gesù Cristo. Quando la sperimenta, l’anima esclama: “Tardi ti ho amato, bellezza così antica e così nuova, tardi ti ho amato!” (Conf. X, 27.38). Possa ognuno di voi riscoprire Dio quale senso e fondamento di ogni creatura, luce di verità, fiamma di carità, vincolo di unità, come canta l’inno dell’Agorà dei giovani italiani. Siate docili alla forza dello Spirito! È stato Lui, lo Spirito Santo, il Protagonista della Giornata Mondiale della Gioventù di Sydney; Egli vi renderà testimoni di Cristo. Non a parole, ma con i fatti, con un nuovo genere di vita. Non avrete più paura di perdere la vostra libertà, perché la vivrete in pienezza donandola per amore. Non sarete più attaccati ai beni materiali, perché sentirete dentro di voi la gioia di condividerli. Non sarete più tristi della tristezza del mondo, ma proverete dolore per il male e gioia per il bene, specialmente per la misericordia ed il perdono. E se è così, se avrete scoperto realmente Dio nel volto di Cristo, non penserete più alla Chiesa come ad una istituzione esterna a voi, ma come alla vostra famiglia spirituale, come la viviamo adesso, in questo momento. Questa è la fede che vi hanno trasmesso i vostri padri. Questa fede voi siete chiamati a vivere oggi, in tempi ben diversi.

Famiglia, formazione e fede. Ecco, cari giovani di Cagliari e dell’intera Sardegna, anch’io, come Papa Giovanni Paolo II, vi lascio queste tre parole, tre valori da fare vostri con la luce e la forza dello Spirito di Cristo. Nostra Signora di Bonaria, Patrona Massima e dolce Regina dei Sardi, vi guidi, vi protegga e vi accompagni sempre! Con affetto vi benedico, assicurandovi un quotidiano ricordo nella preghiera.



AI VESCOVI DEL PARAGUAY IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Giovedì, 11 settembre 2008

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Cari fratelli nell'episcopato,

1. Con grande affetto e gioia vi ricevo in questo incontro conclusivo della vostra visita ad limina. In essa avete l'occasione di stringere ancora di più i vostri vincoli di comunione con il Successore di Pietro e, presso le tombe degli Apostoli, di rinnovare la vostra fede in Gesù Cristo risorto, vera speranza di tutti gli uomini.

Desidero manifestare la mia viva gratitudine a monsignor Ignacio Gogorza Izaguirre, vescovo di Encarnación e presidente della Conferenza episcopale, per le cordiali parole che mi ha rivolto a nome di tutti. Anch'io, mosso dalla sollecitudine per tutte le Chiese (cfr.
2Co 11,28), mi unisco alle vostre preoccupazioni e ai vostri aneliti di pastori di Cristo, e prego il Signore affinché sostenga tutti i vostri sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi e fedeli laici, che con vero amore si dedicano alla causa del Vangelo.

2. Le sfide pastorali che dovete affrontare sono realmente grandi e complesse. Di fronte a un ambiente culturale che cerca di allontanare Dio dalle persone e dalla società, o che Lo considera come un ostacolo per raggiungere la propria felicità, è urgente un vasto sforzo missionario che, ponendo Gesù Cristo al centro di ogni azione pastorale, faccia conoscere a tutti la bellezza e la verità della sua vita e del suo messaggio di salvezza. Gli uomini hanno bisogno di questo incontro personale con il Signore che apra loro la porta di un'esistenza illuminata dalla grazia e dall'amore di Dio. In tal senso, la presenza di testimoni veri di autentica vita cristiana, unitamente alla santità dei pastori, è un'esigenza di perenne attualità sia nella Chiesa sia nel mondo. Per questo, cari fratelli, consapevoli che uno dei doni più preziosi che potete offrire alle vostre comunità è il vostro ministero pastorale, vi incoraggio a far sì che, con una vita santa, intessuta di amore verso Dio, di fedeltà ecclesiale e di dono generoso al Vangelo, possiate divenire veri modelli per il vostro gregge (cfr. 1P 5,3).

3. I vescovi, insieme al Papa, e sotto la sua autorità, sono inviati a perpetuare l'opera di Cristo (cfr. Christus Dominus CD 2). Lo stesso vescovo, oltre a essere il principio visibile e il fondamento dell'unità nella propria Chiesa particolare, è anche il vincolo della comunione ecclesiale e il punto di convergenza fra la sua Chiesa particolare e la Chiesa universale (cfr. Pastores gregis ). Come Successore dell'apostolo Pietro, vi incoraggio a continuare a lavorare con tutte le vostre forze per accrescere l'unità nelle vostre comunità diocesane, e anche con la Sede Apostolica. Questa unità per la quale pregò il Signore Gesù, in modo particolare nell'Ultima Cena (cfr Jn 17,20-21), è fonte di autentica fecondità pastorale e spirituale.

4. A giusto titolo i sacerdoti occupano un posto fondamentale nei vostri cuori. Essi, con l'imposizione delle mani, sono stati configurati più strettamente al Buon Pastore e partecipano al suo sacerdozio come veri amministratori dei misteri divini (cfr. 1Co 4,1), per il bene dei fratelli. Vi incoraggio a offrire loro, insieme alla vostra vicinanza e alla stima per il loro lavoro, un'adeguata formazione permanente che li aiuti a rivitalizzare la vita spirituale (cfr. 1Tm 4,14), affinché, mossi da un profondo senso di amore e di obbedienza alla Chiesa, lavorino instancabilmente offrendo a tutti l'unico alimento che può placare la sete di pienezza dell'uomo, Gesù Cristo nostro Salvatore.
Allo stesso tempo, la gioia, la convinzione e la fedeltà con cui i presbiteri vivono ogni giorno la loro vocazione susciterà in molti giovani il desiderio di seguire Cristo nel sacerdozio, rispondendo con generosità alla sua chiamata. Sono lieto di constatare effettivamente che una delle vostre priorità è la pastorale giovanile e vocazionale. A tale proposito, è necessario dedicare ai seminaristi i mezzi umani e materiali necessari che li aiutino ad acquisire una solida vita interiore e un'adeguata preparazione intellettuale e dottrinale, soprattutto per quel che riguarda la natura e l'identità del ministero sacerdotale.

La mia riconoscenza e la mia gratitudine vanno anche ai religiosi, per lo zelo e l'amore con cui hanno annunciato la fede cristiana dagli inizi dell'evangelizzazione delle vostre terre. Li invito a continuare a essere testimoni di vita autenticamente evangelica con i loro voti di castità, povertà e obbedienza.

5. Il messaggio cristiano, per poter giungere fino all'ultimo angolo del mondo, ha bisogno dell'indispensabile collaborazione dei fedeli laici. La loro vocazione specifica consiste nel pervadere di spirito cristiano l'ordine temporale e trasformarlo secondo il disegno divino (cfr. Lumen gentium LG 31). A loro volta, i pastori hanno il dovere di offrire loro tutti i mezzi spirituali e formativi necessari (cfr. Ibidem, n. 37), affinché, vivendo coerentemente la propria fede cristiana, siano vera luce del mondo e sale della terra (cfr. Mt Mt 5,13).

Un aspetto significativo della missione propria dei laici è il servizio alla società con l'esercizio della politica. Secondo il patrimonio dottrinale della Chiesa "il compito immediato di operare per un giusto ordine nella società è invece proprio dei fedeli laici" (Deus caritas est ). Occorre incoraggiarli, pertanto, a vivere con responsabilità e dedizione questa importante dimensione della carità sociale, affinché la comunità umana di cui fanno parte a pieno titolo progredisca nella giustizia, nella rettitudine, nella difesa dei veri e autentici valori, come la tutela della vita umana, del matrimonio e della famiglia, contribuendo in tal modo al vero bene umano e spirituale di tutta la società.

6. So quanti sforzi state compiendo per alleviare i bisogni del vostro popolo che rattristano il vostro cuore di pastori. Tenendo conto che l'attività caritativa della Chiesa è "attualizzazione qui ed ora dell'amore di cui l'uomo ha sempre bisogno" (Ibidem, n. 31), vi chiedo che nel vostro ministero siate immagine viva e vicina della carità di Cristo per tutti i vostri fratelli, soprattutto per quelli che soffrono di più, gli emarginati, gli anziani, i malati e i detenuti.

Prima di concludere, desidero ribadire, amati fratelli, il mio ringraziamento e il mio affetto per i vostri sforzi quotidiani al servizio della Chiesa. Prego il Signore affinché questo incontro consolidi la vostra unione reciproca e vi rafforzi nella fede, nella speranza e nella carità. Desidero affidarvi anche l'incarico di portare ai vostri sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi e a tutti i vostri fedeli diocesani, il saluto, la vicinanza e la preghiera del Papa.

Affidando all'intercessione della Vergine Maria di Caacupé le vostre persone, intenzioni e progetti pastorali, vi imparto con tutto il mio affetto una speciale Benedizione Apostolica.



VIAGGIO APOSTOLICO IN FRANCIA IN OCCASIONE DEL 150° ANNIVERSARIO DELLE APPARIZIONI DI LOURDES

(12 - 15 SETTEMBRE 2008)



INTERVISTA CONCESSA DAL SANTO PADRE AI GIORNALISTI DURANTE IL VOLO VERSO LA FRANCIA Volo Papale, venerdì 12 settembre 2008

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DOMANDA: "Francia, sei fedele alle promesse del tuo battesimo?" aveva chiesto nel 1980 Giovanni Paolo II durante il suo primo viaggio. Oggi quale sarà il Suo messaggio ai Francesi? Pensa che a causa della laicità la Francia stia perdendo la sua identità cristiana?

BENEDETTO XVI: Mi sembra evidente oggi che la laicità di per sé non è in contraddizione con la fede. Direi anzi che è un frutto della fede, perché la fede cristiana era, fin dall'inizio, una religione universale dunque non identificabile con uno Stato, presente in tutti gli Stati e diversa in ogni Stato. Per i cristiani è sempre stato chiaro che la religione e la fede non sono politiche, ma un'altra sfera della vita umana... La politica, lo Stato non è una religione ma una realtà profana con una missione specifica... e devono essere aperte l'una a l'altra. In tal senso direi oggi, per i Francesi, e non solo per i Francesi, per noi cristiani in questo mondo secolarizzato di oggi, è importante vivere con gioia la libertà della nostra fede, vivere la bellezza della fede e rendere visibile nel mondo di oggi che è bello conoscere Dio, Dio con un volto umano in Gesù Cristo... Mostrare dunque la possibilità dell'essere credente oggi, e la necessità che nella società di oggi vi siano uomini che conoscono Dio e possono dunque vivere secondo i valori che ci ha dato e contribuire alla presenza dei valori che sono fondamentali per l'edificazione e per la sopravvivenza dei nostri Stati e delle nostre società.

DOMANDA: Lei ama e conosce la Francia... che cosa La lega più particolarmente a questo paese, quali sono gli autori francesi, laici o cristiani, che L'hanno maggiormente colpito o i ricordi più commoventi che serba della Francia?

BENEDETTO XVI: Non oserei dire che conosco bene la Francia. La conosco poco, ma amo la Francia, la grande cultura francese, soprattutto, naturalmente, le grandi cattedrali, e anche la grande arte francese... la grande teologia che inizia con Sant'Ireneo di Lione fino al XIII secolo e ho studiato l'università di Parigi nel XIII secolo: San Bonaventura, San Tommaso d'Aquino. Questa teologia è stata decisiva per lo sviluppo della teologia in Occidente... E naturalmente la teologia del secolo del Concilio Vaticano II. Ho avuto il grande onore e la gioia di essere amico del padre de Lubac, una delle più grandi figure del secolo scorso, ma ho avuto anche buoni contatti di lavoro con il padre Congar, Jean Daniélou e altri.

Ho avuto ottime relazioni personali con Etienne Gilson, Henri-Irénée Maroux. Ho dunque avuto davvero un contatto molto profondo, molto personale e arricchente con la grande cultura teologica e filosofica della Francia. È stato davvero determinante per lo sviluppo del mio pensiero. Ma anche la riscoperta del gregoriano originale con Solesmes, la grande cultura monastica... e naturalmente la grande poesia. Essendo un uomo del barocco, mi piace molto Paul Claudel, con la sua gioia di vivere, e anche Bernanos e i grandi poeti di Francia del secolo scorso. È dunque una cultura che ha realmente determinato il mio sviluppo personale, teologico, filosofico e umano.

DOMANDA: Che cosa dice a coloro che in Francia temono che il Motu proprio "Summorum pontificum" segni un ritorno indietro rispetto alle grandi intuizioni del Concilio Vaticano II? In che modo può rassicurarli?

BENEDETTO XVI: È una paura infondata perché questo Motu proprio è semplicemente un atto di tolleranza, ai fini pastorali, per persone che sono state formate in quella liturgia, la amano, la conoscono, e vogliono vivere con quella liturgia. È un gruppo ridotto poiché presuppone una formazione in latino, una formazione in una cultura certa. Ma per queste persone avere l'amore e la tolleranza di permettere di vivere con questa liturgia, sembra un'esigenza normale della fede e della pastorale di un vescovo della nostra Chiesa. Non c'è alcuna opposizione tra la liturgia rinnovata del Concilio Vaticano II e questa liturgia.

Ogni giorno (del Concilio, n.d.r.) i padri conciliari hanno celebrato la messa secondo l'antico rito e, al contempo, hanno concepito uno sviluppo naturale per la liturgia in tutto questo secolo, poiché la liturgia è una realtà viva che si sviluppa e conserva nel suo sviluppo, nella sua identità. Ci sono dunque sicuramente accenti diversi, ma comunque un'identità fondamentale che esclude una contraddizione, un'opposizione tra la liturgia rinnovata e la liturgia precedente. Credo in ogni caso che vi sia una possibilità di arricchimento da ambedue le parti. Da un lato gli amici dell'antica liturgia possono e devono conoscere i nuovi santi, le nuove prefazioni della liturgia, ecc.... dall'altra, la liturgia nuova sottolinea maggiormente la partecipazione comune ma sempre... non è semplicemente un'assemblea di una certa comunità, ma sempre un atto della Chiesa universale, in comunione con tutti i credenti di tutti i tempi, e un atto di adorazione. In tal senso mi sembra che vi sia un mutuo arricchimento, ed è chiaro che la liturgia rinnovata è la liturgia ordinaria del notro tempo.

DOMANDA: Con che spirito inizia il Suo pellegrinaggio a Lourdes, e ci è già stato?

BENEDETTO XVI: Sono stato a Lourdes per il Congresso eucaristico internazionale nel 1981, dopo l'attentato contro il Santo Padre (Giovanni Paolo II, n.d.r). E il cardinale Gantin era il delegato del Santo Padre. Per me è un bellissimo ricordo.

Il giorno della festa di Santa Bernadette è anche il giorno della mia nascita. Ed è questo già un motivo per cui mi sento molto vicino alla piccola santa, a quella ragazzina giovane, pura, umile, con la quale la Madonna ha parlato.

Incontrare questa realtà, questa presenza della Madonna nel nostro tempo, vedere le tracce di quella ragazzina che era amica della Madonna e, d'altro canto, incontrare la Madonna, sua Madre, è per me un evento importante. Naturalmente non ci andiamo a trovare miracoli.

Vi troverò l'amore della Madre che è la vera guarigione per tutte le malattie, tutti i dolori... ed essere solidale con tutti coloro che soffrono, nell'amore della Madre. Mi sembra questo un segno molto importante per la nostra epoca.




CERIMONIA DI BENVENUTO- INCONTRO CON LE AUTORITÀ DELLO STATO ALL'ELYSÉE Parigi, Eliseo Venerdì 12 settembre 2008

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Signor Presidente,
Signore e Signori,
cari amici!

Ponendo piede per la prima volta sul suolo di Francia dopo che la Provvidenza mi ha chiamato alla Sede di Pietro, mi sento commosso e onorato per l’accoglienza calorosa che mi avete riservato. A Lei, Signor Presidente, sono particolarmente grato per il cordiale invito fattomi a visitare il Suo Paese, così come per le gentili parole di benvenuto che mi ha ora rivolto. Come non ricordare la visita che Vostra Eccellenza mi ha reso in Vaticano nove mesi or sono? Attraverso la Sua persona, saluto tutti coloro che abitano questo Paese dalla storia millenaria, dal presente ricco di eventi e dal futuro promettente. Sappiano che la Francia è molto spesso al centro della preghiera del Papa, il quale non può dimenticare tutto ciò che essa ha apportato alla Chiesa nel corso di venti secoli! La ragione principale del mio viaggio è la celebrazione del 150° anniversario delle apparizioni della Vergine Maria a Lourdes. Desidero unirmi alla folla degli innumerevoli pellegrini del mondo intero, che nel corso di quest’anno convergono verso il santuario mariano, animati dalla fede e dall’amore. È una fede, è un amore che vengo a celebrare qui, nel vostro Paese, nel corso delle quattro giornate di grazia che mi sarà dato di passarvi.

Il mio pellegrinaggio a Lourdes doveva prevedere una sosta a Parigi. La vostra capitale mi è familiare e la conosco molto bene. In essa ho sovente sostato e, nel corso degli anni, in ragione dei miei studi e delle mie precedenti mansioni, vi ho intrecciato buone amicizie umane e intellettuali. Vi ritorno quindi con gioia, lieto dell’occasione che mi è così offerta di rendere omaggio all’imponente patrimonio di cultura e di fede che ha plasmato il vostro Paese in modo splendido durante secoli e che ha offerto al mondo grandi figure di servitori della Nazione e della Chiesa, il cui insegnamento ed esempio hanno naturalmente oltrepassato i confini geografici e nazionali per contrassegnare il divenire del mondo. In occasione della Sua visita a Roma, Signor Presidente, Ella ha ricordato che le radici della Francia - come quelle dell’Europa – sono cristiane. Basta la storia a dimostrarlo: fin dalle origini il Suo Paese ha ricevuto il messaggio del Vangelo. Se i documenti fanno a volte difetto, resta comunque il fatto che l’esistenza di comunità cristiane nella Gallia è attestata in data molto antica: non si può ricordare senza emozione che la città di Lione aveva un Vescovo già nella metà del II secolo e che sant’Ireneo, l’autore dell’Adversus haereses, vi rese una testimonianza eloquente del vigore del pensiero cristiano. Ora, sant’Ireneo era venuto da Smirne per predicare la fede nel Cristo risorto. Lione aveva dunque un Vescovo la cui lingua materna era il greco: vi può essere un segno più bello della natura e della destinazione universale del messaggio cristiano? La Chiesa, impiantata in epoca antica nel Suo Paese, vi ha svolto un ruolo civilizzatore al quale mi piace rendere omaggio in questo luogo. Ella stessa vi ha fatto allusione nel Suo discorso al Palazzo del Laterano nel dicembre scorso e di nuovo oggi. Trasmissione della cultura antica attraverso monaci, professori e copisti, formazione dei cuori e degli spiriti all’amore del povero, aiuto ai più sprovveduti mediante la fondazione di numerose Congregazioni religiose, il contributo dei cristiani al consolidarsi delle istituzioni della Gallia, poi della Francia, è troppo conosciuto perché mi ci dilunghi. Le migliaia di cappelle, di chiese, di abbazie, e di cattedrali che adornano il cuore delle città o la solitudine delle campagne dicono abbastanza su come gli antichi padri nella fede hanno voluto onorare Colui che aveva loro donato la vita e che ci conserva nell’esistenza.

Numerose persone, anche qui in Francia, si sono soffermate a riflettere sui rapporti tra Chiesa e Stato. In verità, sul problema delle relazioni tra sfera politica e sfera religiosa Cristo aveva già offerto il criterio di fondo in base al quale trovare una giusta soluzione. Lo fece quando, rispondendo ad una domanda che gli era stata posta, affermò: “Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” (
Mc 12,17). La Chiesa in Francia gode attualmente di un regime di libertà. La diffidenza del passato si è trasformata poco a poco in un dialogo sereno e positivo, che si consolida sempre di più. Un nuovo strumento di dialogo esiste dal 2002 ed io ho grande fiducia nel suo lavoro, perché la buona volontà è reciproca. Sappiamo che restano ancora aperti certi territori di dialogo che dovremo percorrere e bonificare poco a poco con determinazione e pazienza. Lei ha del resto utilizzato, Signor Presidente, la bella espressione di “laicità positiva” per qualificare questa comprensione più aperta. In questo momento storico in cui le culture si incrociano tra loro sempre di più, sono profondamente convinto che una nuova riflessione sul vero significato e sull’importanza della laicità è divenuta necessaria. E’ fondamentale infatti, da una parte, insistere sulla distinzione tra l’ambito politico e quello religioso al fine di tutelare sia la libertà religiosa dei cittadini che la responsabilità dello Stato verso di essi e, dall’altra parte, prendere una più chiara coscienza della funzione insostituibile della religione per la formazione delle coscienze e del contributo che essa può apportare, insieme ad altre istanze, alla creazione di un consenso etico di fondo nella società.

Il Papa, testimone di un Dio che ama e che salva, si sforza di essere un seminatore di carità e di speranza. Ogni umana società ha bisogno di speranza e questa necessità è ancora più forte nel mondo d’oggi che offre poche aspirazioni spirituali e poche certezze materiali. I giovani sono la mia preoccupazione più grande. Alcuni di loro faticano a trovare un orientamento che loro convenga o soffrono di una perdita di riferimenti nella loro famiglia. Altri ancora sperimentano i limiti di un comunitarismo religioso condizionante. Messi a volte ai margini e spesso abbandonati a se stessi, sono fragili e devono affrontare da soli una realtà che li supera. E’ dunque necessario offrire loro un solido quadro educativo e incoraggiarli a rispettare e ad aiutare gli altri, così che arrivino serenamente all’età matura. La Chiesa, in questo campo, può recare il suo contributo specifico. Anche la situazione sociale del mondo occidentale, segnata purtroppo da una tacita progressione della distanza tra ricchi e poveri, mi preoccupa. Sono certo che è possibile trovare soluzioni giuste che, andando oltre l’aiuto immediato necessario, giungano al cuore dei problemi nell’intento di proteggere i deboli e di promuovere la loro dignità. Attraverso le sue numerose istituzioni e iniziative la Chiesa, come del resto numerose associazioni nel Suo Paese, cerca spesso di provvedere alle necessità immediate, ma è allo Stato che spetta di legiferare per sradicare le ingiustizie. In una cornice molto più larga, Signor Presidente, mi dà pensiero anche lo stato del nostro pianeta. Con grande generosità Dio ci ha affidato il mondo da Lui creato. E’ urgente imparare a rispettarlo e a proteggerlo meglio. Mi sembra che sia venuto il momento di fare delle proposte più costruttive per garantire il benessere delle generazioni future.

L’esercizio della Presidenza dell’Unione Europea costituisce per il Suo Paese l’occasione di testimoniare l’attaccamento della Francia, secondo la sua nobile tradizione, ai diritti dell’uomo e alla loro promozione per il bene dell’individuo e della società. Quando il cittadino europeo vedrà e sperimenterà personalmente che i diritti inalienabili della persona umana, dal concepimento fino alla morte naturale, come anche quelli relativi all’educazione libera, alla vita familiare, al lavoro, senza dimenticare naturalmente i diritti religiosi, quando dunque il cittadino europeo si renderà conto che questi diritti, che costituiscono un tutto indissociabile, sono promossi e rispettati, allora comprenderà pienamente la grandezza dell’edificio dell’Unione e ne diverrà un attivo artefice. Il compito che Le incombe, Signor Presidente, non è facile. I tempi sono incerti ed è una impresa ardua trovare la strada buona in mezzo ai meandri del quotidiano sociale ed economico, nazionale e internazionale. In particolare, di fronte al pericolo del riemergere di vecchie diffidenze, tensioni e contrapposizioni tra Nazioni, di cui oggi siamo preoccupati testimoni, la Francia, storicamente sensibile alla riconciliazione tra i popoli, è chiamata ad aiutare l’Europa a costruire la pace dentro i suoi confini e nel mondo intero. E’ importante, a tale riguardo, promuovere un’unità che non può e non vuole divenire uniformità, ma che è capace di garantire il rispetto delle differenze nazionali e delle diverse tradizioni culturali, che costituiscono una ricchezza nella sinfonia europea, rammentando, d’altra parte, che “la stessa identità nazionale non si realizza se non nell’apertura verso gli altri popoli e attraverso la solidarietà con essi” (Esort. Ap. Ecclesia in Europa, n.112). Esprimo la mia fiducia che il Suo Paese contribuirà sempre di più a far progredire questo secolo verso la serenità, l’armonia e la pace.

Signor Presidente, cari amici, desidero ancora una volta esprimervi la mia gratitudine per questo incontro. Vi assicuro che non mancherò di pregare intensamente per la vostra bella Nazione, affinché Dio le conceda pace e prosperità, libertà e unità, uguaglianza e fraternità. Affido questi voti all’intercessione materna della Vergine Maria, Patrona principale della Francia. Che Dio benedica la Francia e tutti i Francesi!





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