Discorsi 2005-13 13108

CONCERTO OFFERTO DALLA FONDAZIONE PRO MUSICA E ARTE SACRA IN OCCASIONE DEL SINODO DEI VESCOVI Basilica di San Paolo Fuori le Mura Lunedì, 13 ottobre 2008

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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel sacerdozio,
cari fratelli e sorelle,

tra le varie iniziative in calendario per il giubileo speciale dell’Anno Paolino si inserisce anche il concerto di questa sera, che si è svolto nella cornice suggestiva della Basilica di San Paolo fuori le Mura, dove alcuni giorni fa è stata solennemente inaugurata l’Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Il mio saluto e il mio cordiale ringraziamento va, come è naturale, a quanti hanno promosso e concretamente organizzato questa bella serata con un evento musicale di alto livello. In primo luogo mi corre l’obbligo di ringraziare la Fondazione Pro Musica e Arte Sacra, ben nota per le sue molteplici iniziative. Saluto poi e ringrazio i componenti dei Wiener Philarmoniker, che ci hanno proposto una magistrale esecuzione della sesta sinfonia di Anton Bruckner, intrisa di religiosità e di profondo misticismo.

Mit dankbarer Freude begrüße ich die Wiener Philarmoniker, die - heute unter der Leitung von Christoph Eschenbach - bereits zum siebten Mal im Rahmen des Festival Internazionale di Musica e Arte Sacra ihren Zuhörern eine besondere Freude bereiten. Liebe Freunde, mit Eurer Professionalität und Eurem künstlerischen Können gelingt es Euch immer wieder, die Herzen Eurer Zuhörer anzurühren und in ihnen im Hören der wundervollen Musik Bruckners alle Saiten des menschlichen Empfindens zum Schwingen zu bringen. Mit Eurem musikalischen Talent weist Ihr sie über das Menschliche hinaus auf das Göttliche hin. Dafür sage ich Euch allen ein herzliches Vergelt’s Gott!

[Con gioia piena di gratitudine saluto i Wiener Philharmoniker, che, oggi sotto la direzione di Christoph Eschenbach, per la settima volta nell'ambito del Festival internazionale di Musica e Arte Sacra infondono profonda letizia nei loro ascoltatori. Cari amici, con la vostra professionalità e la vostra capacità artistica riuscite sempre a toccare il cuore dei vostri ascoltatori e far vibrare tutte le corde dell'umano sentire facendo loro ascoltare la musica meravigliosa di Bruckner. Con il vostro talento musicale spostate l'attenzione dall'umano al divino. Per questo dico a voi tutti Vergelt's Gott!]

Nella sesta sinfonia si traduce la fede del suo autore, capace di trasmettere con le sue composizioni una visione religiosa della vita e della storia. Anton Bruckner, attingendo al barocco austriaco e alla tradizione schubertiana del canto popolare, ha portato, potremmo dire, alle estreme conseguenze il processo romantico di interiorizzazione. Ascoltando questa celebre composizione nella Basilica dedicata a san Paolo, è spontaneo pensare ad un passaggio della Prima Lettera ai Corinzi in cui l’Apostolo, dopo aver parlato della diversità e dell’unità dei carismi, paragona la Chiesa al corpo umano composto da membra tra loro molto diverse, ma tutte indispensabili per il suo buon funzionamento (cfr cap. 12). Anche l’orchestra e il coro sono costituiti da strumenti e voci diverse, che accordandosi tra loro offrono un’armoniosa melodia, gradevole all’orecchio e allo spirito. Cari fratelli e sorelle, raccogliamo questo insegnamento, che vediamo confermato nella splendida esecuzione musicale che abbiamo potuto ascoltare. Vi saluto tutti con affetto, rivolgendo un pensiero speciale ai Padri sinodali e alle altre personalità presenti. Un saluto fraterno, infine, indirizzo al Cardinale Cordero Lanza di Montezemolo, Arciprete di questa Basilica papale, che ci ha accolti ancora una volta con tanta cordialità: vorrei ringraziarlo, insieme ai suoi collaboratori, per le varie manifestazioni religiose e culturali programmate per l’Anno Paolino in corso. Questa Basilica romana, dove si trovano custodite le spoglie mortali dell’Apostolo delle genti, sia veramente un fulcro di iniziative liturgiche, spirituali e artistiche, tese a riscoprirne l’opera missionaria e il pensiero teologico. Invocando l’intercessione di questo insigne Santo e la materna protezione di Maria, Regina degli Apostoli, imparto di cuore a tutti i presenti la Benedizione Apostolica, che volentieri estendo alle persone care.





XII ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO - INTERVENTO DEL SANTO PADRE ALLA 14a CONGREGAZIONE GENERALE Aula del Sinodo Martedì, 14 ottobre 2008

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Cari fratelli e sorelle, il lavoro per il mio libro su Gesù offre ampiamente l’occasione per vedere tutto il bene che ci viene dall’esegesi moderna, ma anche per riconoscerne i problemi e i rischi. La Dei Verbum 12 offre due indicazioni metodologiche per un adeguato lavoro esegetico. In primo luogo, conferma la necessità dell’uso del metodo storico-critico, di cui descrive brevemente gli elementi essenziali. Questa necessità è la conseguenza del principio cristiano formulato in Gv 1, 14 Verbum caro factum est. Il fatto storico è una dimensione costitutiva della fede cristiana. La storia della salvezza non è una mitologia, ma una vera storia ed è perciò da studiare con i metodi della seria ricerca storica.

Tuttavia, questa storia ha un’altra dimensione, quella dell’azione divina. Di conseguenza la Dei Verbum parla di un secondo livello metodologico necessario per una interpretazione giusta delle parole, che sono nello stesso tempo parole umane e Parola divina. Il Concilio dice, seguendo una regola fondamentale di ogni interpretazione di un testo letterario, che la Scrittura è da interpretare nello stesso spirito nel quale è stata scritta ed indica di conseguenza tre elementi metodologici fondamentali al fine di tener conto della dimensione divina, pneumatologica della Bibbia: si deve cioè 1) interpretare il testo tenendo presente l’unità di tutta la Scrittura; questo oggi si chiama esegesi canonica; al tempo del Concilio questo termine non era stato ancora creato, ma il Concilio dice la stessa cosa: occorre tener presente l’unità di tutta la Scrittura; 2) si deve poi tener presente la viva tradizione di tutta la Chiesa, e finalmente 3) bisogna osservare l’analogia della fede. Solo dove i due livelli metodologici, quello storico-critico e quello teologico, sono osservati, si può parlare di una esegesi teologica – di una esegesi adeguata a questo Libro. Mentre circa il primo livello l’attuale esegesi accademica lavora ad un altissimo livello e ci dona realmente aiuto, la stessa cosa non si può dire circa l’altro livello. Spesso questo secondo livello, il livello costituito dai tre elementi teologici indicati dalla Dei Verbum, appare quasi assente. E questo ha conseguenze piuttosto gravi.

La prima conseguenza dell’assenza di questo secondo livello metodologico è che la Bibbia diventa un libro solo del passato. Si possono trarre da esso conseguenze morali, si può imparare la storia, ma il Libro come tale parla solo del passato e l’esegesi non è più realmente teologica, ma diventa pura storiografia, storia della letteratura. Questa è la prima conseguenza: la Bibbia resta nel passato, parla solo del passato. C’è anche una seconda conseguenza ancora più grave: dove scompare l’ermeneutica della fede indicata dalla Dei Verbum, appare necessariamente un altro tipo di ermeneutica, un’ermeneutica secolarizzata, positivista, la cui chiave fondamentale è la convinzione che il Divino non appare nella storia umana. Secondo tale ermeneutica, quando sembra che vi sia un elemento divino, si deve spiegare da dove viene tale impressione e ridurre tutto all’elemento umano. Di conseguenza, si propongono interpretazioni che negano la storicità degli elementi divini. Oggi il cosiddetto mainstream dell’esegesi in Germania nega, per esempio, che il Signore abbia istituito la Santa Eucaristia e dice che la salma di Gesù sarebbe rimasta nella tomba. La Resurrezione non sarebbe un avvenimento storico, ma una visione teologica. Questo avviene perché manca un’ermeneutica della fede: si afferma allora un’ermeneutica filosofica profana, che nega la possibilità dell’ingresso e della presenza reale del Divino nella storia. La conseguenza dell’assenza del secondo livello metodologico è che si è creato un profondo fossato tra esegesi scientifica e lectio divina. Proprio di qui scaturisce a volte una forma di perplessità anche nella preparazione delle omelie. Dove l’esegesi non è teologia, la Scrittura non può essere l’anima della teologia e, viceversa, dove la teologia non è essenzialmente interpretazione della Scrittura nella Chiesa, questa teologia non ha più fondamento.

Perciò per la vita e per la missione della Chiesa, per il futuro della fede, è assolutamente necessario superare questo dualismo tra esegesi e teologia. La teologia biblica e la teologia sistematica sono due dimensioni di un’unica realtà, che chiamiamo teologia. Di conseguenza, mi sembra auspicabile che in una delle proposizioni si parli della necessità di tener presenti nell’esegesi i due livelli metodologici indicati dalla Dei Verbum 12, dove si parla della necessità di sviluppare una esegesi non solo storica, ma anche teologica. Sarà quindi necessario allargare la formazione dei futuri esegeti in questo senso, per aprire realmente i tesori della Scrittura al mondo di oggi e a tutti noi.




AI VESCOVI DELL'ECUADOR IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Giovedì, 16 ottobre 2008

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Cari fratelli nell'episcopato,

1. Con grande gioia vi ricevo nella vostra visita ad limina, che ho atteso con tanto piacere e che mi offre l'opportunità di mettere in pratica il mandato che il Signore ha affidato all'apostolo Pietro di confermare i fratelli nella fede (cfr. Lc
Lc 22,32). Prima di tutto, permettetemi di esprimervi le mie più sentite condoglianze per la morte del cardinale Antonio José González Zumárraga, arcivescovo emerito di Quito, che con tanta abnegazione e fedeltà ha servito la Chiesa fino alla fine dei suoi giorni. Prego il Signore per il suo eterno riposo e affinché accresca la feconda opera realizzata da un pastore così esemplare.

Ringrazio monsignor Antonio Arregui Yarza, arcivescovo di Guayaquil e presidente della Conferenza episcopale, per le cordiali parole che mi ha rivolto, con le quali ha espresso i vostri sentimenti di affetto e di comunione, e anche i principali aneliti che animano la vostra missione di successori degli apostoli. Anch'io, mosso dalla sollecitudine di pastore della Chiesa universale, mi sento molto unito alle vostre preoccupazioni e vi incoraggio a proseguire con speranza la generosa opera al servizio delle comunità diocesane che vi sono state affidate.

2. Constato con soddisfazione che una delle iniziative pastorali che considerate più urgenti per la Chiesa in Ecuador è la realizzazione della "grande missione" annunciata dall'Episcopato Latinoamericano ad Aparecida (cfr. Documento conclusivo, n. 362), e che è stata confermata nel terzo congresso americano missionario, svoltosi a Quito lo scorso agosto. La chiamata che il Signore Gesù rivolse agli apostoli, inviandoli a predicare il suo messaggio di salvezza e a fare di tutte le nazioni suoi discepoli (cfr. Mt Mt 28,16-20), deve essere per tutta la comunità ecclesiale un motivo costante di meditazione e la ragion d'essere di ogni azione pastorale. Anche oggi, come in tutte le epoche e in tutti i luoghi, gli uomini hanno bisogno di un incontro personale con Cristo, in cui possano sperimentare la bellezza della sua vita e la verità del suo messaggio.

Per far fronte alle numerose sfide della vostra missione, in un contesto culturale e sociale che sembra aver dimenticato le radici spirituali più profonde della sua identità, vi invito ad aprirvi con docilità all'azione dello Spirito Santo, affinché, sotto l'impulso della sua forza divina, si rinnovi l'ardore missionario degli inizi della predicazione evangelica, e anche del primo annuncio del Vangelo nella vostra terra. Risulta pertanto necessario compiere un generoso sforzo di diffusione della Parola di Dio, di modo che nessuno resti senza questo imprescindibile nutrimento spirituale, fonte di vita e di luce. La lettura e la meditazione della Sacra Scrittura, in privato e in comunità, porterà all'intensificazione della vita cristiana, e anche a un rinnovato impulso apostolico in tutti i fedeli.

3. D'altro canto, siete pienamente consapevoli che questo sforzo missionario si basa in modo particolare sui sacerdoti. Come padri e fratelli, pieni di amore e di riconoscenza verso i vostri presbiteri, dovete accompagnarli con la preghiera, l'affetto e la vicinanza, garantendo loro, inoltre, un'adeguata formazione permanente che li aiuti a mantenere viva la loro vita sacerdotale. Continuate anche a incoraggiare i religiosi nella loro testimonianza di vita consacrata, che tanti frutti di santità e di evangelizzazione ha recato in quelle terre, ed esortateli affinché, fedeli al loro carisma e in piena comunione con i pastori, proseguano nel loro generoso servizio alla Chiesa.

Allo stesso tempo, dinanzi allo scarso numero di sacerdoti in molte zone del vostro paese, vi state impegnando con decisione a coinvolgere tutti i gruppi, i movimenti e le persone delle vostre diocesi in un'ampia e generosa pastorale vocazionale, seminando nei giovani la passione per la figura di Gesù e i grandi ideali del Vangelo. Questo sforzo deve essere accompagnato dalla massima cura nella selezione e nella preparazione intellettuale, umana e spirituale dei seminaristi. In tal modo, fedeli agli insegnamenti del magistero e con la chiara consapevolezza di essere ministri di Cristo il Buon Pastore, potranno accettare con gioia e responsabilità le esigenze del futuro ministero.

4. In questa importante fase della storia, la Chiesa in Ecuador ha bisogno di un laicato maturo e impegnato che, con una salda formazione dottrinale e una profonda vita interiore, viva la sua vocazione specifica: illuminare con la luce di Cristo tutta la realtà umana, sociale, culturale e politica (cfr. Lumen gentium LG 31).

A tale proposito, desidero ringraziarvi per lo sforzo che state compiendo, non senza grandi sacrifici, per attirare l'attenzione della società su quei valori che rendono la vita umana più giusta e solidale. Sebbene l'attività della Chiesa non si possa confondere con l'operato politico (cfr. Deus Caritas est ), essa deve offrire all'insieme della comunità umana il proprio contributo attraverso la riflessione e i giudizi morali, anche su quelle questioni politiche che toccano in modo particolare la dignità della persona (cfr. Gaudium et spes GS 76). Fra di esse bisogna menzionare, anche per la loro importanza per il futuro del vostro paese, la promozione e la stabilità della famiglia, fondata sul vincolo dell'amore fra un uomo e una donna, la difesa della vita umana dal primo momento del suo concepimento alla sua fine naturale, e anche la responsabilità dei genitori nell'educazione morale dei figli, nella quale si trasmettono alle nuove generazioni i grandi valori umani e cristiani che hanno forgiato l'identità dei vostri popoli.

Vi esorto anche vivamente a prestare un'attenzione particolare all'azione caritativa delle vostre Chiese, nella quale si renda presente l'amore misericordioso di Cristo, soprattutto verso le persone che sono nel bisogno, gli anziani, i bambini, gli emigranti e anche le donne abbandonate o maltrattate.

5. Cari fratelli, la recente canonizzazione di santa Narcisa di Gesù Martillo Morán, mette in risalto la fecondità spirituale delle vostre comunità. Che l'esempio e l'intercessione di questa giovane santa ecuatoriana conferisca una rinnovata vitalità e un maggiore zelo apostolico a tutte le vostre Chiese particolari, affinché, piene di fede e di speranza, si lancino nell'appassionante compito di seminare il Vangelo nel cuore di tutti gli uomini e le donne di questa terra benedetta!

Al termine di questo incontro fraterno, vi ribadisco il mio incoraggiamento nel vostro compito pastorale e vi chiedo di trasmettere il saluto e la vicinanza del Papa ai vostri sacerdoti, ai diaconi e ai seminaristi, ai missionari, ai religiosi e alle religiose, e a tutti i fedeli laici. Con questi ferventi auspici, e invocando la protezione della Vergine Maria, vi imparto con affetto la Benedizione Apostolica.


AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO INTERNAZIONALE PROMOSSO DALLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE, NEL X ANNIVERSARIO DELL'ENCICLICA "FIDES ET RATIO" Sala Clementina Giovedì, 16 ottobre 2008

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Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Gentili Signore, Illustri Signori!

Sono lieto di incontrarvi in occasione del Congresso opportunamente promosso nel decimo anniversario dell’Enciclica Fides et ratio.Ringrazio innanzitutto Mons. Rino Fisichella per le cordiali parole che mi ha rivolto introducendo l’odierno incontro. Mi rallegro che le giornate di studio del vostro Congresso vedano la fattiva collaborazione tra l'Università Lateranense, la Pontificia Accademia delle Scienze e la Conferenza Mondiale delle Istituzioni Universitarie Cattoliche di Filosofia. Una simile collaborazione è sempre auspicabile, soprattutto quando si è chiamati a dare ragione della propria fede dinanzi alle sempre più complesse sfide che coinvolgono i credenti nel mondo contemporaneo.

A dieci anni di distanza, uno sguardo attento all’Enciclica Fides et ratio permette di coglierne con ammirazione la perdurante attualità: si rivela in essa la lungimirante profondità dell’indimenticabile mio Predecessore. L’Enciclica, in effetti, si caratterizza per la sua grande apertura nei confronti della ragione, soprattutto in un periodo in cui ne viene teorizzata la debolezza. Giovanni Paolo II sottolinea invece l’importanza di coniugare fede e ragione nella loro reciproca relazione, pur nel rispetto della sfera di autonomia propria di ciascuna. Con questo magistero, la Chiesa si è fatta interprete di un'esigenza emergente nell'attuale contesto culturale. Ha voluto difendere la forza della ragione e la sua capacità di raggiungere la verità, presentando ancora una volta la fede come una peculiare forma di conoscenza, grazie alla quale ci si apre alla verità della Rivelazione (cfr Fides et ratio
FR 13). Si legge nell’Enciclica che bisogna avere fiducia nelle capacità della ragione umana e non prefiggersi mete troppo modeste: “È la fede che provoca la ragione a uscire da ogni isolamento e a rischiare volentieri per tutto ciò che è bello, buono e vero. La fede si fa così avvocato convinto e convincente della ragione” (n. 56). Lo scorrere del tempo, del resto, manifesta quali traguardi la ragione, mossa dalla passione per la verità, abbia saputo raggiungere. Chi potrebbe negare il contributo che i grandi sistemi filosofici hanno recato allo sviluppo dell’autoconsapevolezza dell’uomo e al progresso delle varie culture? Queste, peraltro, diventano feconde quando si aprono alla verità, permettendo a quanti ne partecipano di raggiungere obiettivi che rendono sempre più umano il vivere sociale. La ricerca della verità dà i suoi frutti soprattutto quanto è sostenuta dall'amore per la verità. Ha scritto Agostino: “Ciò che si possiede con la mente si ha conoscendolo, ma nessun bene è conosciuto perfettamente se non si ama perfettamente” (De diversis quaestionibus 35,2).

Non possiamo nasconderci, tuttavia, che si è verificato uno slittamento da un pensiero prevalentemente speculativo a uno maggiormente sperimentale. La ricerca si è volta soprattutto all’osservazione della natura nel tentativo di scoprirne i segreti. Il desiderio di conoscere la natura si è poi trasformato nella volontà di riprodurla. Questo cambiamento non è stato indolore: l'evolversi dei concetti ha intaccato il rapporto tra la fides ela ratio con la conseguenza di portare l'una e l'altra a seguire strade diverse. La conquista scientifica e tecnologica, con cui la fides è sempre più provocata a confrontarsi, ha modificato l'antico concetto di ratio; in qualche modo, ha emarginato la ragione che ricercava la verità ultima delle cose per fare spazio ad una ragione paga di scoprire la verità contingente delle leggi della natura. La ricerca scientifica ha certamente il suo valore positivo. La scoperta e l'incremento delle scienze matematiche, fisiche, chimiche e di quelle applicate sono frutto della ragione ed esprimono l'intelligenza con la quale l'uomo riesce a penetrare nelle profondità del creato. La fede, da parte sua, non teme il progresso della scienza e gli sviluppi a cui conducono le sue conquiste quando queste sono finalizzate all'uomo, al suo benessere e al progresso di tutta l'umanità. Come ricordava l'ignoto autore della Lettera a Diogneto: “Non l'albero della scienza uccide, ma la disobbedienza. Non si ha vita senza scienza, né scienza sicura senza vita vera” (XII, 2.4).

Avviene, tuttavia, che non sempre gli scienziati indirizzino le loro ricerche verso questi scopi. Il facile guadagno o, peggio ancora, l'arroganza di sostituirsi al Creatore svolgono, a volte, un ruolo determinante. E’ questa una forma di hybris della ragione, che può assumere caratteristiche pericolose per la stessa umanità. La scienza, d'altronde, non è in grado di elaborare principi etici; essa può solo accoglierli in sé e riconoscerli come necessari per debellare le sue eventuali patologie. La filosofia e la teologia diventano, in questo contesto, degli aiuti indispensabili con cui occorre confrontarsi per evitare che la scienza proceda da sola in un sentiero tortuoso, colmo di imprevisti e non privo di rischi. Ciò non significa affatto limitare la ricerca scientifica o impedire alla tecnica di produrre strumenti di sviluppo; consiste, piuttosto, nel mantenere vigile il senso di responsabilità che la ragione e la fede possiedono nei confronti della scienza, perché permanga nel solco del suo servizio all'uomo.

La lezione di sant’Agostino è sempre carica di significato anche nell'attuale contesto: “A che cosa perviene - si domanda il santo Vescovo di Ippona - chi sa ben usare la ragione, se non alla verità? Non è la verità che perviene a se stessa con il ragionamento, ma è essa che cercano quanti usano la ragione... Confessa di non essere tu ciò che è la verità, poiché essa non cerca se stessa; tu invece sei giunto ad essa non già passando da un luogo all’altro, ma cercandola con la disposizione della mente” (De vera religione, 39,72). Come dire: da qualsiasi parte avvenga la ricerca della verità, questa permane come dato che viene offerto e che può essere riconosciuto già presente nella natura. L'intelligibilità della creazione, infatti, non è frutto dello sforzo dello scienziato, ma condizione a lui offerta per consentirgli di scoprire la verità in essa presente. “Il ragionamento non crea queste verità - continua nella sua riflessione sant'Agostino - ma le scopre. Esse perciò sussistono in sé prima ancora che siano scoperte e una volta scoperte ci rinnovano” (Ibid., 39,73). La ragione, insomma, deve compiere in pieno il suo percorso, forte della sua autonomia e della sua ricca tradizione di pensiero.

La ragione, peraltro, sente e scopre che, oltre a ciò che ha già raggiunto e conquistato, esiste una verità che non potrà mai scoprire partendo da se stessa, ma solo ricevere come dono gratuito. La verità della Rivelazione non si sovrappone a quella raggiunta dalla ragione; purifica piuttosto la ragione e la innalza, permettendole così di dilatare i propri spazi per inserirsi in un campo di ricerca insondabile come il mistero stesso. La verità rivelata, nella “pienezza dei tempi” (Ga 4,4), ha assunto il volto di una persona, Gesù di Nazareth, che porta la risposta ultima e definitiva alla domanda di senso di ogni uomo. La verità di Cristo, in quanto tocca ogni persona in cerca di gioia, di felicità e di senso, supera di gran lunga ogni altra verità che la ragione può trovare. E' intorno al mistero, pertanto, che la fides e la ratio trovano la possibilità reale di un percorso comune.

In questi giorni, si sta svolgendo il Sinodo dei Vescovi sul tema “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”. Come non vedere la provvidenziale coincidenza di questo momento con il vostro Congresso. La passione per la verità ci spinge a rientrare in noi stessi per cogliere nell'uomo interiore il senso profondo della nostra vita. Una vera filosofia dovrà condurre per mano ogni persona e farle scoprire quanto fondamentale sia per la sua stessa dignità conoscere la verità della Rivelazione. Davanti a questa esigenza di senso che non dà tregua fino a quando non sfocia in Gesù Cristo, la Parola di Dio rivela il suo carattere di risposta definitiva. Una Parola di rivelazione che diventa vita e che chiede di essere accolta come sorgente inesauribile di verità.

Mentre auguro a ciascuno di avvertire sempre in sé questa passione per la verità, e di fare quanto è in suo potere per soddisfarne le richieste, desidero assicurarvi che seguo con apprezzamento e simpatia il vostro impegno, accompagnando la vostra ricerca anche con la mia preghiera. A conferma di questi sentimenti imparto volentieri a voi qui presenti ed ai vostri cari l’Apostolica Benedizione.


IN OCCASIONE DELLA PROIEZIONE DEL FILM "TESTIMONIANZA", SU GIOVANNI PAOLO II Aula Paolo VI Giovedì, 16 ottobre 2008

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Signori Cardinali,
cari Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
gentili Signore, illustri Signori!

La proiezione a cui abbiamo assistito, ci fa riandare con il pensiero a quella tarda sera del 16 ottobre 1978 di 30 anni fa, rimasta impressa nel cuore di tutti. Come oggi, e quasi alla stessa ora, il nuovo Papa rivolto ai numerosi fedeli raccolti in Piazza San Pietro disse: “Se mi sbaglio mi corriggerete”. Era il primo incontro del neo-eletto Vescovo di Roma, venuto - come disse - da lontano, con la Città e con il mondo. Il Cardinale Karol Wojtyla, Arcivescovo di Cracovia, scelse di chiamarsi Giovanni Paolo II, ponendosi così in continuità con il suo Predecessore, Papa Albino Luciani, che aveva guidato la Chiesa per soli 33 giorni.

Potremmo dire che il Pontificato del Papa Giovanni Paolo II è racchiuso tra due espressioni. La prima - “Aprite le porte a Cristo! Non abbiate paura” – fu vibrante, e impressionò e scosse l’opinione pubblica e risuonerà sulle sue labbra molte volte ancora lungo gli anni seguenti; l’altra – “Lasciatemi andare alla Casa del Padre” – il Papa la pronunciò flebilmente sul letto di morte, al compiersi di un lungo e fruttuoso pellegrinaggio terreno. Ad ascoltare le prime erano in tanti, a raccogliere le ultime parole furono soltanto gli intimi, tra i quali il fedele segretario don Stanislao, ora Arcivescovo Metropolita di Cracovia. Nel libro “Una vita con Karol”, diventato un film dal titolo: “Testimonianza”, egli ha voluto raccontare la sua lunga familiarità con questo grande Pontefice, a Cracovia prima e poi a Roma, ripercorrendo momenti di gioia e di tristezza, di speranza e di audacia apostolica. Rivelando inediti episodi, il film lascia trasparire l’umana semplicità, il coraggio deciso e infine la sofferenza di Papa Wojtyla, affrontata sino alla fine con la tempra del montanaro e la pazienza dell’umile servitore del Vangelo.

Questo commovente racconto cinematografico va ad aggiungersi alle moltissime pubblicazioni su questo Pontefice, che ha segnato la storia della Chiesa e del mondo nell’ultima parte del secolo XX e all’inizio del terzo millennio. Grazie a questo film, costituito sia di materiali documentari che di ricostruzioni narrative di dati storici, lo spettatore che non ha conosciuto Giovanni Paolo II ha modo di intuirne l’animo e la passione evangelica. A noi, che lo abbiamo conosciuto, il film offre l’opportunità di rivivere con profonda commozione alcuni momenti della sua vita con originali interpretazioni che riprendono il contenuto del libro arricchendolo di elementi nuovi. Il film ci dà modo inoltre di conoscere meglio la patria di Papa Wojtyla, la Polonia, e le sue tradizioni culturali e religiose; ci permette di ripercorrere noti eventi ecclesiali e civili ed episodi sconosciuti ai più. Tutto è raccontato - lo abbiamo visto - con l’affetto di chi ha condiviso questi eventi da vicino, all’ombra del protagonista.

Come non rivolgere allora un ringraziamento speciale a chi ha contribuito alla realizzazione di questa nuova opera cinematografica? Il mio sincero ringraziamento va innanzitutto al caro Cardinale Stanislaw Dziwisz, a cui sono grato per questo libro e per questa realizzazione. Ci fa realmente rivivere quei giorni e rivedere il nostro caro Papa Giovanni Paolo II che dal Cielo in questo momento certamente è con noi. Ringrazio il regista Pawel Pitera e gli altri collaboratori - sarebbe veramente lungo elencarli tutti - che hanno curato con grande maestria il libro e il suo adattamento cinematografico. Saluto con affetto anche tutti coloro che sono qui convenuti stasera, a cominciare dai Signori Cardinali, Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, fino ai moltissimi presenti laici e laiche che hanno ammirato ed amato il mio grande Predecessore. Vogliamo raccogliere, in questo momento, particolarmente il suo invito a non avere paura. Seguendo il suo esempio, anche noi vogliamo rendere con coraggio la nostra testimonianza a Cristo. Con questo auspicio, rinnovo il mio ringraziamento a quanti hanno curato questo film e collaborato per la realizzazione di questa serata. A tutti imparto la mia Benedizione.


I VESPRI DELLA XXIX DOMENICA "PER ANNUM" PRESIEDUTI DAL SANTO PADRE IN OCCASIONE DELLA PARTECIPAZIONE

DEL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I ALLA XII ASSEMBLEA GENERALE DEL SINODO DEI VESCOVI - Cappella Sistina Sabato, 18 ottobre 2008

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Santità,

con tutto il cuore vorrei dire “Grazie” a Lei per queste Sue parole. L’applauso dei Padri era molto più che espressione di cortesia, era veramente espressione di una profonda gioia spirituale e di una esperienza viva della nostra comunione. In questo momento abbiamo realmente vissuto il “Sinodo”: siamo stati insieme in cammino nella terra della Parola divina sotto la guida di Vostra Santità e ne abbiamo gustato la bellezza, con la grande gioia di essere ascoltatori della Parola di Dio, di essere posti a confronto con questo dono della sua Parola.

Quanto Lei ha detto era profondamente nutrito dello spirito dei Padri, della Sacra Liturgia e proprio per questo anche fortemente contestualizzato nel nostro tempo, con un grande realismo cristiano che ce ne fa vedere le sfide. Abbiamo visto che andare al cuore della Sacra Scrittura, incontrare realmente la Parola nelle parole, penetrare nella parola di Dio apre anche gli occhi per il nostro mondo, per la realtà di oggi.

E questa era anche un’esperienza gioiosa – un’esperienza di unità forse non perfetta, ma vera e profonda. Ho pensato: i vostri Padri, che Ella ha citato ampiamente, sono anche i nostri Padri, e i nostri sono anche i vostri: se abbiamo Padri comuni, come potremmo non essere fratelli tra noi? Grazie, Santità. Le Sue parole ci accompagneranno nel lavoro della prossima settimana, ci illumineranno e saremo anche nella prossima settimana - e oltre - in cammino comune con Lei.

Grazie, Santità.




VISITA PASTORALE AL PONTIFICIO SANTUARIO DI POMPEI - RECITA DEL SANTO ROSARIO - MEDITAZIONE Pontificio Santuario di Pompei Domenica, 19 ottobre 2008

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Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari religiosi e religiose,
cari fratelli e sorelle!

Prima di entrare in Santuario per recitare insieme a voi il santo Rosario, ho sostato brevemente dinanzi all’urna del beato Bartolo Longo, e pregando mi sono chiesto: “Questo grande apostolo di Maria, da dove ha tratto l’energia e la costanza necessarie per portare a compimento un’opera così imponente, nota ormai in tutto il mondo? Non è proprio dal Rosario, da lui accolto come un vero dono del cuore della Madonna?”. Sì, è stato veramente così! Lo testimonia l’esperienza dei santi: questa popolare preghiera mariana è un mezzo spirituale prezioso per crescere nell’intimità con Gesù, e per imparare, alla scuola della Vergine Santa, a compiere sempre la divina volontà. E’ contemplazione dei misteri di Cristo in spirituale unione con Maria, come sottolineava il servo di Dio Paolo VI nell’Esortazione apostolica Marialis cultus (n. 46), e come poi il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II ha ampiamente illustrato nella Lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae, che oggi idealmente riconsegno alla Comunità pompeiana e a ciascuno di voi. Voi che vivete ed operate qui a Pompei, specialmente voi, cari sacerdoti, religiose, religiosi e laici impegnati in questa singolare porzione di Chiesa, siete tutti chiamati a fare vostro il carisma del beato Bartolo Longo e a diventare, nella misura e nei modi che Dio concede a ciascuno, autentici apostoli del Rosario.

Ma per essere apostoli del Rosario, occorre fare esperienza in prima persona della bellezza e della profondità di questa preghiera, semplice ed accessibile a tutti. E’ necessario anzitutto lasciarsi condurre per mano dalla Vergine Maria a contemplare il volto di Cristo: volto gioioso, luminoso, doloroso e glorioso. Chi, come Maria e insieme con Lei, custodisce e medita assiduamente i misteri di Gesù, assimila sempre più i suoi sentimenti e si conforma a Lui. Mi piace, al riguardo, citare una bella considerazione del beato Bartolo Longo: “Come due amici – egli scrive –, praticando frequentemente insieme, sogliono conformarsi anche nei costumi, così noi, conversando familiarmente con Gesù e la Vergine, nel meditare i Misteri del Rosario, e formando insieme una medesima vita con la Comunione, possiamo diventare, per quanto ne sia capace la nostra bassezza, simili ad essi, ed apprendere da questi sommi esemplari il vivere umile, povero, nascosto, paziente e perfetto” (I Quindici Sabati del Santissimo Rosario, 27ª ed., Pompei, 1916, p. 27: cit. in Rosarium Virginis Mariae, 15).

Il Rosario è scuola di contemplazione e di silenzio. A prima vista, potrebbe sembrare una preghiera che accumula parole, difficilmente quindi conciliabile con il silenzio che viene giustamente raccomandato per la meditazione e la contemplazione. In realtà, questa cadenzata ripetizione dell’Ave Maria non turba il silenzio interiore, anzi, lo richiede e lo alimenta. Analogamente a quanto avviene per i Salmi quando si prega la Liturgia delle Ore, il silenzio affiora attraverso le parole e le frasi, non come un vuoto, ma come una presenza di senso ultimo che trascende le parole stesse e insieme con esse parla al cuore. Così, recitando le Ave Maria occorre fare attenzione a che le nostre voci non “coprano” quella di Dio, il quale parla sempre attraverso il silenzio, come “il sussurro di una brezza leggera” (
1R 19,12). Quanto è importante allora curare questo silenzio pieno di Dio sia nella recita personale che in quella comunitaria! Anche quando viene pregato, come oggi, da grandi assemblee e come ogni giorno fate in questo Santuario, è necessario che si percepisca il Rosario come preghiera contemplativa, e questo non può avvenire se manca un clima di silenzio interiore.

Vorrei aggiungere un’altra riflessione, relativa alla Parola di Dio nel Rosario, particolarmente opportuna in questo periodo in cui si sta svolgendo in Vaticano il Sinodo dei Vescovi sul tema: “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”. Se la contemplazione cristiana non può prescindere dalla Parola di Dio, anche il Rosario, per essere preghiera contemplativa, deve sempre emergere dal silenzio del cuore come risposta alla Parola, sul modello della preghiera di Maria. A ben vedere, il Rosario è tutto intessuto di elementi tratti dalla Scrittura. C’è innanzitutto l’enunciazione del mistero, fatta preferibilmente, come oggi, con parole tratte dalla Bibbia. Segue il Padre nostro: nell’imprimere alla preghiera l’orientamento “verticale”, apre l’animo di chi recita il Rosario al giusto atteggiamento filiale, secondo l’invito del Signore: “Quando pregate dite: Padre…” (Lc 11,2). La prima parte dell’Ave Maria, tratta anch’essa dal Vangelo, ci fa ogni volta riascoltare le parole con cui Dio si è rivolto alla Vergine mediante l’Angelo, e quelle di benedizione della cugina Elisabetta. La seconda parte dell’Ave Maria risuona come la riposta dei figli che, rivolgendosi supplici alla Madre, non fanno altro che esprimere la propria adesione al disegno salvifico, rivelato da Dio. Così il pensiero di chi prega resta sempre ancorato alla Scrittura e ai misteri che in essa vengono presentati.

Ricordando infine che oggi celebriamo la Giornata Missionaria Mondiale, mi piace richiamare la dimensione apostolica del Rosario, una dimensione che il beato Bartolo Longo ha vissuto intensamente traendone ispirazione per intraprendere in questa terra tante opere di carità e di promozione umana e sociale. Inoltre, egli volle questo Santuario aperto al mondo intero, quale centro di irradiazione della preghiera del Rosario e luogo di intercessione per la pace tra i popoli. Cari amici, entrambe queste finalità: l’apostolato della carità e la preghiera per la pace, desidero confermare e affidare nuovamente al vostro impegno spirituale e pastorale. Sull’esempio e con il sostegno del venerato Fondatore, non stancatevi di lavorare con passione in questa parte della vigna del Signore che la Madonna ha mostrato di prediligere.

Cari fratelli e sorelle, è giunto il momento di congedarmi da voi e da questo bel Santuario. Vi ringrazio per la calorosa accoglienza e soprattutto per le vostre preghiere. Ringrazio l’Arcivescovo Prelato e Delegato Pontificio, i suoi collaboratori e coloro che hanno lavorato per preparare al meglio la mia visita. Devo lasciarvi, ma il mio cuore rimane vicino a questa terra e a questa comunità. Vi affido tutti alla Beata Vergine del Santo Rosario, e a ciascuno imparto di cuore l’Apostolica Benedizione.
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Prima di lasciare Pompei il Papa ha rivolto un saluto ai fedeli riuniti all'esterno del santuario.

Cari fratelli e sorelle,

è arrivato il momento del mio congedo, ma come ho detto, rimango sempre con il cuore vicino a voi, vicino a questo bellissimo Santuario, a questa gente piena di fede, di entusiasmo e di carità. Grazie a voi! Restiamo fedeli alla Madonna e così restiamo fedeli alla carità e alla pace. Vi benedico tutti nel nome di Dio Onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo. Arrivederci! Grazie!





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