Discorsi 2005-13 20108

AI PARTECIPANTI AL 110° CONGRESSO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI CHIRURGIA Sala Clementina Lunedì, 20 ottobre 2008

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Illustri Signori,
gentili Signore,

sono lieto di accogliervi in questa speciale Udienza, che si svolge in occasione del Congresso Nazionale della Società Italiana di Chirurgia. Rivolgo a tutti e a ciascuno il mio saluto cordiale, riservando una speciale parola di ringraziamento al Prof. Gennaro Nuzzo per le parole con cui ha espresso i comuni sentimenti ed ha illustrato i lavori del Congresso, che vertono su un tema di fondamentale importanza. Al centro del vostro Congresso Nazionale vi è infatti questa promettente e impegnativa dichiarazione: “Per una chirurgia nel rispetto del malato”. A ragione si parla oggi, in un tempo di grande progresso tecnologico, della necessità di umanizzare la medicina, sviluppando quei tratti del comportamento medico che meglio rispondono alla dignità della persona malata a cui si presta servizio. La specifica missione che qualifica la vostra professione medica e chirurgica è costituita dal perseguimento di tre obiettivi: guarire la persona malata o almeno cercare di incidere in maniera efficace sull’evoluzione della malattia; alleviare i sintomi dolorosi che la accompagnano, soprattutto quando è in fase avanzata; prendersi cura della persona malata in tutte le sue umane aspettative.

Nel passato spesso ci si accontentava di alleviare la sofferenza della persona malata, non potendo arrestare il decorso del male e ancor meno guarirlo. Nel secolo scorso gli sviluppi della scienza e della tecnica chirurgica hanno consentito di intervenire con crescente successo nella vicenda del malato. Così la guarigione, che precedentemente in molti casi era solo una possibilità marginale, oggi è una prospettiva normalmente realizzabile, al punto da richiamare su di sé l’attenzione quasi esclusiva della medicina contemporanea. Un nuovo rischio, però, nasce da questa impostazione: quello di abbandonare il paziente nel momento in cui si avverte l’impossibilità di ottenere risultati apprezzabili. Resta vero, invece, che, se anche la guarigione non è più prospettabile, si può ancora fare molto per il malato: se ne può alleviare la sofferenza, soprattutto lo si può accompagnare nel suo cammino, migliorandone in quanto possibile la qualità di vita. Non è cosa da sottovalutare, perché ogni singolo paziente, anche quello inguaribile, porta con sé un valore incondizionato, una dignità da onorare, che costituisce il fondamento ineludibile di ogni agire medico. Il rispetto della dignità umana, infatti, esige il rispetto incondizionato di ogni singolo essere umano, nato o non nato, sano o malato, in qualunque condizione esso si trovi.

In questa prospettiva, acquista rilevanza primaria la relazione di mutua fiducia che si instaura tra medico e paziente. Grazie a tale rapporto di fiducia il medico, ascoltando il paziente, può ricostruire la sua storia clinica e capire come egli vive la sua malattia. E’ ancora nel contesto di questa relazione che, sulla base della stima reciproca e della condivisione degli obiettivi realistici da perseguire, può essere definito il piano terapeutico: un piano che può portare ad arditi interventi salvavita oppure alla decisione di accontentarsi dei mezzi ordinari che la medicina offre. Quanto il medico comunica al paziente direttamente o indirettamente, in modo verbale o non verbale, sviluppa un notevole influsso su di lui: può motivarlo, sostenerlo, mobilitarne e persino potenziarne le risorse fisiche e mentali, o, al contrario, può indebolirne e frustrarne gli sforzi e, in questo modo, ridurre la stessa efficacia dei trattamenti praticati. Ciò a cui si deve mirare è una vera alleanza terapeutica col paziente, facendo leva su quella specifica razionalità clinica che consente al medico di scorgere le modalità di comunicazione più adeguate al singolo paziente. Tale strategia comunicativa mirerà soprattutto a sostenere, pur nel rispetto della verità dei fatti, la speranza, elemento essenziale del contesto terapeutico. E’ bene non dimenticare mai che sono proprio queste qualità umane che, oltre alla competenza professionale in senso stretto, il paziente apprezza nel medico. Egli vuole essere guardato con benevolenza, non solo esaminato; vuole essere ascoltato, non solo sottoposto a diagnosi sofisticate; vuole percepire con sicurezza di essere nella mente e nel cuore del medico che lo cura.

Anche l’insistenza con cui oggi si pone in risalto l’autonomia individuale del paziente deve essere orientata a promuovere un approccio al malato che giustamente lo consideri non antagonista, ma collaboratore attivo e responsabile del trattamento terapeutico. Bisogna guardare con sospetto qualsiasi tentativo di intromissione dall’esterno in questo delicato rapporto medico-paziente. Da una parte, è innegabile che si debba rispettare l’autodeterminazione del paziente, senza dimenticare però che l’esaltazione individualistica dell’autonomia finisce per portare ad una lettura non realistica, e certamente impoverita, della realtà umana. Dall’altra, la responsabilità professionale del medico deve portarlo a proporre un trattamento che miri al vero bene del paziente, nella consapevolezza che la sua specifica competenza lo mette in grado in genere di valutare la situazione meglio che non il paziente stesso.

La malattia, d’altro canto, si manifesta all’interno di una precisa storia umana e si proietta sul futuro del paziente e del suo ambiente familiare. Nei contesti altamente tecnologizzati dell’odierna società, il paziente rischia di essere in qualche misura “cosificato”. Egli si ritrova infatti dominato da regole e pratiche che sono spesso completamente estranee al suo modo di essere. In nome delle esigenze della scienza, della tecnica e dell’organizzazione dell’assistenza sanitaria, il suo abituale stile di vita risulta stravolto. E’ invece molto importante non estromettere dalla relazione terapeutica il contesto esistenziale del paziente, in particolare la sua famiglia. Per questo occorre promuovere il senso di responsabilità dei familiari nei confronti del loro congiunto: è un elemento importante per evitare l’ulteriore alienazione che questi, quasi inevitabilmente, subisce se affidato ad una medicina altamente tecnologizzata, ma priva di una sufficiente vibrazione umana.

Su di voi, dunque, cari chirurghi, grava in misura rilevante la responsabilità di offrire una chirurgia veramente rispettosa della persona del malato. E’ un compito in sé affascinante, ma anche molto impegnativo. Il Papa, proprio per la sua missione di Pastore, vi è vicino e vi sostiene con la sua preghiera. Con questi sentimenti, augurandovi ogni migliore successo nel vostro lavoro, volentieri imparto a voi ed ai vostri cari l’Apostolica Benedizione.




XII ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO - XXIII CONGREGAZIONE GENERALE - SALUTO AL TERMINE DEL PRANZO Atrio dell'Aula Paolo VI Sabato, 25 ottobre 2008

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Cari fratelli nell'Episcopato e nel sacerdozio, cari fratelli e sorelle,

il Sinodo sta per finire, ma il camminare insieme sotto la guida della Parola di Dio continua. In questo senso, siamo sempre anche in "sinodo", in cammino comune al Signore sotto la guida della Parola di Dio.

L'Instrumentum laboris aveva parlato della polifonia delle Sacre Scritture. E mi sembra possiamo dire che adesso, nei contributi di questo Sinodo, abbiamo anche sentito una bella polifonia della fede, una sinfonia della fede, con tanti contributi, anche da parte dei delegati fraterni. Così abbiamo realmente sentito la bellezza e la ricchezza della Parola di Dio.

È stata anche una scuola dell'ascolto. Abbiamo ascoltato gli uni gli altri. È stato un ascolto reciproco. E proprio ascoltandoci gli uni gli altri abbiamo imparato meglio ad ascoltare la Parola di Dio. Abbiamo fatto esperienza di come sia vera la parola di san Gregorio Magno: la Scrittura cresce con chi la legge. Solo alla luce delle diverse realtà della nostra vita, solo nel confronto con la realtà di ogni giorno, si scoprono le potenzialità, le ricchezze nascoste della Parola di Dio. Vediamo che nel confronto con la realtà si apre in modo nuovo anche il senso della Parola che ci è donata nelle Sacre Scritture.

Così siamo realmente arricchiti. Abbiamo visto che nessuna meditazione, nessuna riflessione scientifica può da sé tirare fuori da questa Parola di Dio tutti i tesori, tutte le potenzialità che si scoprono solo nella storia di ogni vita.

Non so se il Sinodo è stato più interessante o edificante. In ogni caso è stato commovente. Siamo arricchiti da questo ascolto reciproco. Nell'ascoltare l'altro, ascoltiamo meglio anche il Signore stesso. E in questo dialogo dell'ascoltare impariamo poi la realtà più profonda, l'obbedienza alla Parola di Dio, la conformazione del nostro pensiero, della nostra volontà al pensiero e alla volontà di Dio. Un'obbedienza che non è attacco alla libertà ma sviluppa tutte le possibilità della nostra libertà.

Sono arrivato adesso al punto di dover ringraziare tutti quelli che hanno lavorato per il Sinodo. Non oso adesso elencare tutti i singoli che hanno operato, perché dimenticherei certamente molti. Ma ringrazio tutti per il grande lavoro che hanno fatto: i presidenti delegati, il relatore, con il suo segretario aggiunto, tutti i relatori, i collaboratori, i tecnici, gli esperti, gli uditori e le uditrici, dai quali abbiamo imparato cose commoventi. Un cordiale grazie a tutti. Sono un po' inquieto, perché mi sembra che abbiamo violato il diritto umano di alcuni al riposo notturno e anche al riposo della domenica, perché sono realmente diritti fondamentali. Dobbiamo riflettere su come migliorare nei prossimi Sinodi questa situazione. Vorrei dire grazie adesso anche alla ditta che ci ha preparato questo meraviglioso pranzo e a tutti coloro che hanno servito. Grazie per questo dono.

Adesso dobbiamo cominciare a elaborare il documento post-sinodale con l'aiuto di tutti questi testi. Sarà anche questa una scuola di ascolto. In questo senso rimaniamo insieme, ascoltiamo tutte le voci degli altri. E vediamo che solo se l'altro mi legge la Scrittura, io posso entrare nella ricchezza della Scrittura. Abbiamo sempre bisogno di questo dialogo, di ascoltare la Scrittura letta dall'altro nella sua prospettiva, nella sua visione, per imparare insieme la ricchezza di questo dono.

A tutti auguro adesso un buon viaggio e grazie per tutto il vostro lavoro.




A S.E. CRISTINA CASTAÑER-PONCE ENRILE, AMBASCIATORE DELLE FILIPPINE PRESSO LA SANTA SEDE 27 ottobre 2008

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Signora Ambasciatore,

sono oggi lieto di riceverla in occasione della presentazione delle Lettere che la accreditano quale Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica delle Filippine presso la Santa Sede. Ricambio i calorosi saluti che mi ha cortesemente trasmesso a nome di Sua Eccellenza il Presidente Gloria Macapagal-Arroyo e le chiedo di porgerle i miei migliori auspici per il suo benessere e per quello dei vostri concittadini.

Il popolo filippino è rinomato per la sua affettuosa generosità e per l'elevato valore che attribuisce all'amicizia e alla vita familiare. I fedeli cattolici nel suo Paese, con la loro fame di preghiera, la loro religiosità viva e il loro ardente desiderio di servire gli altri, dimostrano una salda fiducia nella provvidenza amorevole di Dio. Sono molto grato per il contributo unico che hanno reso e continuano a rendere alla vita della Chiesa locale e universale e incoraggio tutti gli uomini e tutte le donne di buona volontà nella sua nazione a dedicarsi alla creazione di vincoli di pace e di armonia sociale entro i confini del loro Paese e in tutto il mondo.

Da parte sua, e in particolare attraverso la sua attività diplomatica, la Santa Sede cerca di impegnare il mondo nel dialogo per promuovere i valori universali che scaturiscono dalla dignità umana e fanno progredire gli uomini lungo il cammino verso la comunione con Dio e reciproca. La Chiesa cattolica è desiderosa di condividere la ricchezza del messaggio sociale evangelico perché esso anima i cuori con la speranza della realizzazione della giustizia e con un amore che rende tutti gli uomini e tutte le donne autentici fratelli e sorelle in Cristo Gesù. Compie la sua missione pienamente consapevole dell'autonomia e della competenza rispettive di Chiesa e Stato. Infatti, possiamo affermare che la distinzione fra religione e politica è un ottenimento proprio del Cristianesimo e uno dei suoi fondamentali contributi storici e culturali. Parimenti, la Chiesa è convinta del fatto che lo Stato e la religione siano chiamati a sostenersi vicendevolmente perché servono il benessere personale e sociale di tutti (cfr Gaudium et spes
GS 76). Questa cooperazione armoniosa fra Chiesa e Stato richiede responsabili ecclesiali e laici che svolgano i loro doveri pubblici con impegno indefesso per il bene comune. Coltivando uno spirito di onestà e imparzialità e considerando come fine ultimo sempre la giustizia, i responsabili ecclesiali e laici guadagnano la fiducia delle persone e potenziano il senso di responsabilità comune di tutti i cittadini per promuovere una civiltà dell'amore. Tutti dovrebbero essere motivati dal desiderio di servire e non da quello di guadagnare personalmente o di dare beneficio a pochi privilegiati. Tutti condividono il compito di rafforzare le istituzioni pubbliche per salvaguardarle dalla corruzione dell'elitarismo e dal settarismo. A questo proposito, è incoraggiante vedere le numerose iniziative intraprese a vari livelli della società filippina per tutelare i deboli, in particolare i nascituri, i malati e gli anziani.

Eccellenza, apprezzo l'interesse espresso a nome del suo Governo per il benessere dei lavoratori filippini migranti.

Infatti, l'incontro del Forum globale su Migrazione e Sviluppo, svoltosi a Manila, dimostra chiaramente la sollecitudine delle Filippine per quanti lasciano il proprio Paese natale in cerca di impiego in una terra straniera. Iniziative come quella del Forum Globale sono feconde quando riconoscono l'emigrazione come risorsa per lo sviluppo piuttosto che come ostacolo a esso. Al contempo, i responsabili di Governo affrontano numerose sfide adoperandosi per garantire ai migranti un'integrazione nella società in un modo che riconosca la loro dignità umana e offra loro l'opportunità di guadagnarsi una vita decente, con il tempo per riposarsi e la possibilità di praticare il culto. La giusta sollecitudine verso i migranti e l'edificazione di una solidarietà del lavoro (cfr. Laborem exercens LE 8) richiede che i Governi, le agenzie umanitarie, le persone di fede e tutti i cittadini cooperino con prudenza e paziente determinazione. Le politiche nazionali e internazionali volte a regolare l'emigrazione devono basarsi su criteri di equità e di equilibrio ed è necessario porre particolare cura nel facilitare il ricongiungimento familiare. Al contempo, bisogna promuovere il più possibile condizioni che favoriscano opportunità d'impiego nei luoghi di origine (cfr. Gaudium et spes GS 66).

A questo proposito, signora Ambasciatore, i responsabili della vostra nazione hanno varato una legge relativa a una riforma generale della terra. Riforme agrarie pianificate con attenzione possono essere di beneficio alla società istillando un senso di responsabilità comune e stimolando l'iniziativa individuale, permettendo a una nazione di essere autosufficiente ed estendendo la propria partecipazione ai mercati internazionali per migliorare le opportunità di crescita nel processo di globalizzazione. Prego affinché, realizzando misure che promuovano la giusta distribuzione del benessere e dello sviluppo sostenibile delle risorse naturali, gli agricoltori filippini abbiano maggiori opportunità per aumentare la produzione e guadagnare il necessario per sé e per le proprie famiglie.
Eccellenza, è incoraggiante sapere che la sua nazione continuerà a partecipare attivamente ai forum internazionali per la promozione della pace, della solidarietà umana e del dialogo interreligioso. Ha indicato in che modo questi nobili obiettivi sono intimamente legati allo sviluppo umano e alla riforma sociale. Alla luce del Vangelo, la Chiesa cattolica è sempre stata convinta del fatto che il passaggio da condizioni meno umane a condizioni più umane non si limiti a dimensioni meramente economiche e tecnologiche, ma implichi per ogni persona l'acquisizione di cultura, il rispetto per la vita e per la dignità altrui e il riconoscimento dei "valori supremi, e di Dio che ne è la sorgente e il termine" (Populorum progressio PP 21). Ho fiducia nel fatto che la Repubblica delle Filippine continui a offrire questa visione olistica della persona umana nei forum mondiali, e mi unisco a tutti i filippini nel pregare affinché la pace di Dio possa regnare nei cuori e nelle case di tutti.

Signora Ambasciatore, la sua presenza qui oggi è un pegno del fatto che i vincoli di amicizia e di cooperazione fra la sua nazione e la Santa Sede continueranno a essere più forti negli anni prossimi.
Le assicuro che i vari organismi e dicasteri della Curia Romana saranno sempre pronti ad assisterla nello svolgimento dei suoi doveri. Offrendole i miei migliori auspici e le mie preghiere per il successo della sua missione, invoco le benedizioni di Dio onnipotente su di Lei, Eccellenza, sulla sua famiglia e sull'amato popolo delle Filippine.




AL TERMINE DELLA SANTA MESSA IN OCCASIONE DEL 50° ANNIVERSARIO DELL’ELEZIONE AL SOGLIO PONTIFICIO DEL BEATO GIOVANNI XXIII Basilica Vaticana Martedì, 28 ottobre 2008

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Signor Cardinale Segretario di Stato,
Venerati Confratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di poter condividere con voi questo gesto di omaggio al Beato Giovanni XXIII, mio amato Predecessore, nell’anniversario della sua elezione alla Cattedra di Pietro. Mi rallegro con voi dell’iniziativa e rendo grazie al Signore che ci concede di rivivere l'annuncio di "grande gioia" (gaudium magnum) risuonato cinquant'anni or sono in questo giorno e in quest'ora dalla Loggia della Basilica Vaticana. Fu un preludio e una profezia dell’esperienza di paternità, che Dio ci avrebbe offerto abbondantemente attraverso le parole, i gesti e il servizio ecclesiale del Papa Buono. La grazia di Dio andava preparando una stagione impegnativa e promettente per la Chiesa e per la società, e trovò nella docilità allo Spirito Santo, che distinse l'intera vita di Giovanni XXIII, il terreno buono per far germogliare la concordia, la speranza, l'unità e la pace, a bene dell'intera umanità. Papa Giovanni indicò la fede in Cristo e l'appartenenza alla Chiesa, madre e maestra, quale garanzia di feconda testimonianza cristiana nel mondo. Così, nelle forti contrapposizioni del suo tempo, il Papa fu uomo e pastore di pace, che seppe aprire in Oriente e in Occidente inaspettati orizzonti di fraternità tra i cristiani e di dialogo con tutti.

La diocesi di Bergamo è in festa e non poteva mancare all'incontro spirituale col suo figlio più illustre, "un fratello divenuto padre per volontà di Nostro Signore", come egli stesso ebbe a dire. Accanto alla Confessione dell'Apostolo Pietro riposano le sue venerate spoglie mortali. Da questo luogo caro a tutti i battezzati, egli vi ripete: "Sono Giuseppe, vostro fratello". Siete venuti per riaffermare i legami comuni e la fede li apre ad una dimensione veramente cattolica. Per questo avete voluto incontrare il Vescovo di Roma, che è Padre universale. Vi guida il vostro pastore, Mons. Roberto Amadei, accompagnato dal Vescovo Ausiliare. Sono grato a Mons. Amadei per le amabili parole rivoltemi a nome di tutti ed estendo a ciascuno l’espressione della mia gratitudine per l'affetto e la devozione che vi animano. Mi sento incoraggiato dalla vostra preghiera, mentre vi esorto a seguire l'esempio e l'insegnamento del Papa vostro conterraneo. Il Servo di Dio Giovanni Paolo II lo proclamò beato, riconoscendo che le tracce della sua santità di padre e di pastore continuavano a risplendere davanti all'intera famiglia umana.

Nella Santa Messa presieduta dal Signor Cardinale Segretario di Stato la Parola di Dio vi ha accolti e introdotti nel grazie perfetto di Cristo al Padre. In Lui incontriamo i Santi e i Beati, e quanti ci hanno preceduto nel segno della fede. La loro eredità viene posta nelle nostre mani. Un dono veramente speciale, offerto alla Chiesa con Giovanni XXIII, fu il Concilio Ecumenico Vaticano II, da lui deciso, preparato e iniziato. Siamo tutti impegnati ad accogliere in modo adeguato quel dono, continuando a meditarne gli insegnamenti e a tradurne nella vita le indicazioni operative. E’ quanto voi stessi avete cercato di fare in questi anni, come singoli e come comunità diocesana. In particolare, vi siete di recente impegnati nel Sinodo diocesano, dedicato alla parrocchia: in esso siete tornati alla sorgente conciliare per attingervi quel supplemento di luce e di calore che si rivela necessario per riportare la parrocchia ad essere un’articolazione viva e dinamica della comunità diocesana. E’ nella parrocchia che si impara a vivere concretamente la propria fede. Ciò consente di mantenere viva la ricca tradizione del passato e di riproporne i valori in un ambiente sociale secolarizzato, che si presenta spesso ostile o indifferente. Proprio pensando a situazioni di questo genere Papa Giovanni ebbe a dire nell’Enciclica Pacem in terris: il credente "deve essere una scintilla di luce, un centro di amore, un fermento vivificante nella massa: e tanto più lo sarà quanto più, nella intimità di se stesso, vive in comunione con Dio" (n. 162). Questo fu il programma di vita del grande Pontefice e questo può diventare l'ideale di ogni credente e di ogni comunità cristiana che sappia attingere, nella Celebrazione eucaristica, alla fonte dell'amore gratuito, fedele e misericordioso del Crocifisso risorto.

Mi si consenta di riservare un accenno particolare alla famiglia, soggetto centrale della vita ecclesiale, grembo di educazione alla fede e cellula insostituibile della vita sociale. Al riguardo, il futuro Papa Giovanni scriveva in una lettera ai familiari: "L’educazione che lascia tracce più profonde è sempre quella della casa. Io ho dimenticato molto di ciò che ho letto sui libri, ma ricordo ancora benissimo tutto quello che ho appreso dai genitori e dai vecchi" (20 dicembre 1932). In particolare, nella famiglia si impara a vivere nel quotidiano il fondamentale precetto cristiano dell’amore. Proprio per questo sulla famiglia conta la Chiesa, che ha la missione di manifestare ovunque, per mezzo dei suoi figli, "la grandezza della carità cristiana, di cui null'altro è più valido per estirpare i semi della discordia, nulla è più efficace per favorire la concordia, la giusta pace e l'unione fraterna di tutti"(Gaudet Mater Ecclesia, 33).

Ritornando, per concludere, alla parrocchia, tema del Sinodo diocesano, voi conoscete la sollecitudine di Papa Giovanni XXIII per questo organismo tanto importante nella vita ecclesiale. Con molta fiducia Papa Roncalli affidava alla parrocchia, famiglia di famiglie, il compito di alimentare tra i fedeli i sentimenti di comunione e di fraternità. Plasmata dall’Eucaristia, la parrocchia potrà diventare – egli pensava - fermento di salutare inquietudine nel diffuso consumismo e individualismo del nostro tempo, risvegliando la solidarietà ed aprendo nella fede l’occhio del cuore a riconoscere il Padre, che è amore gratuito, desideroso di condividere con i figli la sua stessa gioia.

Cari amici, vi ha accompagnati a Roma l'immagine della Madonna che Papa Giovanni ricevette in dono nella visita a Loreto, a pochi giorni dall'apertura del Concilio. Egli volle che la statua fosse collocata nel Seminario Vescovile a lui intitolato nella diocesi natale, e vedo con gioia che sono tanti i seminaristi entusiasti della loro vocazione. Affido volentieri alla Madre di Dio tutte le famiglie e le parrocchie, proponendo loro il modello della Santa Famiglia di Nazaret: siano esse il primo seminario e sappiano far crescere nel proprio ambito vocazioni al sacerdozio, alla missione, alla consacrazione religiosa, alla vita familiare secondo il cuore di Cristo. In una celebre visita durante i primi mesi del suo Pontificato, il Beato chiese ai suoi uditori quale fosse, secondo loro, il senso dell'incontro, e si diede da solo la risposta: "Il Papa ha messo i suoi occhi nei vostri occhi e il suo cuore accanto al vostro cuore"(nel primo Natale da Papa, 1958). Prego Papa Giovanni perché ci conceda di sperimentare la vicinanza del suo sguardo e del suo cuore, così da sentirci veramente famiglia di Dio.

Con questi auspici, imparto ben volentieri ai pellegrini bergamaschi, e particolarmente a quelli di Sotto il Monte, paese natale del Beato Pontefice, dove ho avuto la gioia di recarmi anni fa, come alle autorità, ai fedeli romani e orientali qui presenti, e a tutte le persone care, la mia affettuosa Benedizione.



A S.E. LA SIGNORA ANNE LEAHY, AMBASCIATORE DEL CANADA PRESSO LA SANTA SEDE Giovedì 30 ottobre 2008

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Signora Ambasciatore,

È con gioia che le porgo il benvenuto in occasione della presentazione delle lettere che l'accreditano come Ambasciatore straordinario e plenipotenziario del Canada presso la Santa Sede, e la ringrazio per i calorosi saluti che mi ha rivolto a nome del Governatore generale del Canada. In cambio, le sarei grato se potesse esprimerle i miei voti cordiali per la sua persona e per tutto il popolo canadese, con l'auspicio che la nuova legislatura che sta iniziando nel suo Paese contribuisca alla promozione del bene comune e al consolidamento di una società sempre più fraterna.

Il dialogo fiducioso che lei, Eccellenza, ha ora il compito di intrattenere fra il Canada e la Santa Sede ha già una lunga storia, visto che, come lei ha osservato, fra qualche mese celebreremo il 40º anniversario dell'instaurazione delle nostre relazioni diplomatiche. I vincoli fra la Sede Apostolica e il suo Paese risalgono tuttavia a diversi secoli fa. Tali relazioni hanno conferito un tono particolare sia alla presenza della Chiesa sia all'attenzione che la Santa Sede rivolge al suo Paese. D'altronde, è significativo che Papa Giovanni Paolo II abbia compiuto tre viaggi apostolici in Canada, l'ultimo dei quali ha avuto luogo nel 2002 in occasione della XVII Giornata mondiale della gioventù, al cui successo lei ha personalmente contribuito. Desidero ricordare qui ciò che il mio venerato predecessore ha detto al suo arrivo a Toronto, rivolgendosi al Primo Ministro: "I canadesi sono eredi di un umanesimo straordinariamente ricco, grazie alla fusione di molti elementi culturali diversi. Ma il nocciolo della vostra eredità è la visione spirituale e trascendente della vita, basata sulla Rivelazione cristiana, che ha dato un impulso vitale al vostro sviluppo di società libera, democratica e solidale, riconosciuta in tutto il mondo come paladina dei diritti umani e della dignità umana" (Aeroporto di Toronto, 23 luglio 2002). In questa ottica, sono particolarmente lieto del rafforzamento dei vincoli di intesa fra la Chiesa cattolica e le comunità autoctone del Canada, di cui un segno molto positivo è stata la visita di un loro rappresentate all'assemblea della Conferenza episcopale canadese.

Sono altresì lieto dell'impegno del suo Paese a sviluppare le collaborazioni multilaterali per risolvere i numerosi problemi che sfidano l'umanità del nostro tempo. La partecipazione del Canada agli sforzi della comunità internazionale per la ricerca e il consolidamento della pace e della riconciliazione in diverse regioni del pianeta rappresenta un contributo importante per l'instaurazione di un mondo più giusto e più solidale, dove ogni persona umana venga rispettata nella sua vocazione fondamentale. A tale riguardo, possiamo menzionare l'impegno del Canada e della Santa Sede, insieme ad altri Paesi, nel sostenere l'applicazione della convenzione per l'interdizione delle mine antiuomo e nel promuovere la sua universalizzazione. Questa convenzione costituisce uno strumento internazionale che ha registrato un successo conseguito di rado nel campo del disarmo in tempi recenti, mostrando, come ha detto Papa Giovanni Paolo II, che "quando gli Stati si uniscono, in un clima di comprensione, di rispetto reciproco e di cooperazione, per opporsi a una cultura di morte e per edificare nella fiducia una cultura della vita, è la causa della pace che progredisce nella coscienza delle persone e dell'umanità intera" (22 novembre 2004). Allo stesso modo, il Canada e la Santa Sede, insieme ad altri Paesi, si sforzano di apportare il loro contributo alla stabilità, alla pace e allo sviluppo nella regione dei Grandi Laghi in Africa.

Come lei ha osservato, Signora Ambasciatore, grazie alle istituzioni che ha creato e alla cultura che ha promosso, il cattolicesimo ha costituito una chiave di volta essenziale dell'edificio della società canadese. Tuttavia, ai nostri giorni, profondi cambiamenti vi si sono prodotti e vi si producono ancora. I segni di tali mutamenti sono visibili in diversi ambiti e sono a volte preoccupanti tanto da farci chiedere se denotano anche una regressione nella concezione dell'essere umano. Riguardano soprattutto gli ambiti della difesa e della promozione della vita e della famiglia fondata sul matrimonio naturale. Essendo ben noti, non è necessario insistere su di essi.

In questo ambito, desidero piuttosto incoraggiare tutti i canadesi, uomini e donne, a riflettere profondamente sul cammino che Cristo invita a tracciare. È luminoso e pieno di verità. Una cultura della vita potrebbe irrigare nuovamente tutta l'esistenza personale e sociale canadese. So che è possibile e che il suo Paese ne è capace. Per contribuirvi, mi sembra necessario ridefinire il senso dell'esercizio della libertà, espressione troppo spesso invocata per giustificare alcune derive. Sempre più, in effetti, il suo esercizio è percepito solamente come un valore assoluto - un diritto intangibile dell'individuo -, ignorando così l'importanza delle origini divine della libertà e della sua dimensione comunitaria necessaria alla sua edificazione. Secondo questa interpretazione, l'individuo da solo potrebbe decidere e scegliere la fisionomia, le caratteristiche e le finalità della vita, della morte e del matrimonio. La vera libertà si fonda e si sviluppa in ultima istanza in Dio. È un dono che si può accogliere come un germoglio e farlo maturare in modo responsabile per arricchire veramente la persona e la società. L'esercizio di questa libertà comporta il riferimento a una legge morale naturale, di carattere universale, che precede e unisce tutti i diritti e i doveri. In questa prospettiva, desidero apportare il mio sostegno alle iniziative dei vescovi canadesi per favorire la vita familiare, e quindi per promuovere la dignità della persona umana.

Fra le istituzioni ecclesiali del suo Paese, Eccellenza, le scuole cattoliche svolgono un ruolo importante per l'educazione umana e spirituale dei giovani e rendono così un servizio di grande valore alla sua nazione. L'insegnamento religioso deve quindi occuparvi il posto che gli spetta, nel rispetto della coscienza di ogni allievo. In effetti è un diritto inalienabile dei genitori garantire l'educazione religiosa ai propri figli. L'insegnamento della religione, per il contributo specifico che può offrire, rappresenta una risorsa fondamentale e indispensabile per un'educazione che ha fra i suoi obiettivi principali la costruzione della personalità dello studente e lo sviluppo delle sue capacità, integrando le dimensioni cognitiva, affettiva e spirituale. Contribuendo così alla trasmissione della fede alle nuove generazioni e preparandole al dialogo fra le diverse componenti della nazione, le scuole cattoliche rispondono a un'esigenza costante della missione della Chiesa, per il bene di tutti, e arricchiscono l'intera società canadese.

Signora Ambasciatore, non mancano oggi i segni di speranza. Mi rallegro così del pieno successo del 49º Congresso eucaristico internazionale che si è concluso nel suo Paese lo scorso 22 giugno. In questo importante incontro ecclesiale, possiamo discernere un segno incoraggiante del fatto che le vecchie radici dell'albero del cattolicesimo sono ancora vive in Canada e possono farlo rifiorire. Molti sono stati i pellegrini che hanno potuto beneficiare della calorosa ospitalità del suo popolo.

Desidero ringraziare vivamente le autorità del suo Paese per lo sforzo compiuto per favorire quell'evento. Fedele a una lunga tradizione, nonostante le difficoltà della nostra epoca, il Canada ha saputo restare una terra di accoglienza. Incoraggio, uomini e donne, a proseguire generosamente questa bella tradizione di apertura soprattutto nei riguardi delle persone più fragili.

Colgo l'occasione, Eccellenza, per chiederle di salutare calorosamente la comunità cattolica del suo Paese. Nel contesto spesso complesso in cui la Chiesa è chiamata a esercitare la sua missione, incoraggio i vescovi e i fedeli a continuare a riporre la propria speranza nella Parola di Dio e a testimoniare senza timore fra i loro concittadini la potenza dell'amore divino. Che l'impegno dei cristiani nella vita della società sia sempre l'espressione di un amore che ricerca il bene integrale dell'uomo!

Mentre comincia la sua missione, con la certezza di trovare sempre un'accoglienza attenta presso i miei collaboratori, le porgo, Signora Ambasciatore, i miei voti cordiali per il suo felice adempimento, affinché le armoniose relazioni esistenti fra il Canada e la Santa Sede possano proseguire e approfondirsi. Su di lei, Eccellenza, sulla sua famiglia e sui suoi collaboratori, e anche sui responsabili e sugli abitanti del Canada, invoco di tutto cuore l'abbondanza delle Benedizioni divine.





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