Discorsi 2005-13 30208

ALLA DELEGAZIONE DELL'«INTERNATIONAL JEWISH COMMITTEE ON INTERRELIGIOUS CONSULTATIONS» Sala dei Papi Giovedì, 30 ottobre 2008

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Cari amici,

sono lieto di ricevere questa delegazione dell'International Jewish Committee on Interreligious Consultations. Da più di trent'anni il vostro Comitato e la Santa Sede hanno contatti regolari e fruttuosi, che hanno contribuito a una comprensione e a un'accettazione maggiori fra cattolici ed ebrei. Colgo volentieri quest'occasione per riaffermare l'impegno per la realizzazione dei principi esposti nella storica dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II. Quella dichiarazione, che ha condannato con fermezza tutte le forme di antisemitismo, è stata sia una pietra miliare significativa nella lunga storia dei rapporti fra cattolici ed ebrei sia un invito a una rinnovata comprensione teologica dei rapporti fra la Chiesa e il popolo ebraico.

Oggi i cristiani sono sempre più consapevoli del patrimonio spirituale che condividono con il popolo della Torah, il popolo eletto da Dio nella sua ineffabile misericordia, un patrimonio che esorta a un apprezzamento, a un rispetto e a un amore più grandi e reciproci (cfr. Nostra aetate
NAE 4). Anche gli ebrei vengono esortati a scoprire che cosa hanno in comune con quanti credono nel Signore, il Dio di Israele, che per primo si è rivelato attraverso la sua Parola potente e che dà la vita. Come ci ricorda il salmista, la Parola di Dio è lampada per i nostri passi e luce sul nostro cammino; ci mantiene vivi e ci dona nuova vita (cfr. Sal Ps 119,105). Questa Parola ci sprona a recare una testimonianza comune dell'amore, della misericordia e della verità di Dio. Questo è un servizio vitale nel nostro tempo, minacciato dalla perdita dei valori spirituali e morali che garantiscono dignità umana, solidarietà, giustizia e pace.

Nel nostro mondo inquieto, così spesso segnato dalla povertà, dalla violenza e dallo sfruttamento, il dialogo fra culture e religioni deve essere sempre più considerato come un dovere sacro di quanti sono impegnati nell'edificazione di un mondo degno dell'uomo. La capacità di rispettarsi e accettarsi reciprocamente e di pronunciare la verità con amore, è essenziale per superare differenze, prevenire incomprensioni ed evitare scontri inutili. Come voi stessi avete sperimentato nel corso degli anni, durante gli incontri dell'International Liaison Committee, il dialogo è serio e onesto soltanto quando rispetta le differenze e riconosce gli altri proprio nella loro alterità. Un dialogo sincero ha bisogno di apertura e di un forte senso di identità da entrambe le parti, affinché ognuno venga arricchito dai doni dell'altro.

Negli scorsi mesi ho avuto il piacere di incontrare comunità ebraiche a New York, a Parigi e qui in Vaticano. Rendo grazie a Dio per questi incontri e per il progresso che rispecchiano nei rapporti fra cattolici ed ebrei. Con questo spirito, dunque, vi incoraggio a perseverare nella vostra importante opera con pazienza e rinnovato impegno. Vi offro i miei buoni auspici oranti mentre il vostro Comitato si prepara a incontrare il prossimo mese a Budapest una delegazione della Commissione della Santa Sede per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo, per affrontare il tema "Religione e società civile oggi".

Con questi sentimenti, cari amici, chiedo all'Onnipotente di continuare a vegliare su di voi e sulle vostre famiglie e a guidare i vostri passi lungo il cammino della pace.




AGLI STUDENTI DEI PONTIFICI ATENEI ROMANI PER L'INAUGURAZIONE DELL'ANNO ACCADEMICO 2008/2009 Basilica Vaticana Giovedì, 30 ottobre 2008

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Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

È sempre per me motivo di gioia questo tradizionale incontro con le Università ecclesiastiche romane all’inizio dell’anno accademico. Vi saluto tutti con grande affetto, a partire dal Signor Cardinale Zenon Grocholewski, Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, che ha presieduto la santa Messa e che ringrazio per le parole con cui si è fatto interprete dei vostri sentimenti. Sono lieto di salutare gli altri Cardinali e Presuli presenti, come pure i Rettori, i Professori, i Responsabili e i Superiori dei Seminari e dei Collegi, e naturalmente voi, cari studenti, che da diversi Paesi siete venuti a Roma per compiere i vostri studi.

In questo anno, nel quale celebriamo il giubileo bimillenario della nascita dell’apostolo Paolo, vorrei soffermarmi brevemente insieme con voi su un aspetto del suo messaggio che mi sembra particolarmente adatto per voi, studiosi e studenti, e sul quale mi sono intrattenuto anche ieri nella catechesi durante l’Udienza generale. Intendo cioè riferirmi a quanto san Paolo scrive sulla sapienza cristiana, in particolare nella sua prima Lettera ai Corinzi, comunità nella quale erano scoppiate rivalità tra i discepoli. L’Apostolo affronta il problema di tali divisioni nella comunità, additando in esse un segno della falsa sapienza, cioè di una mentalità ancora immatura perché carnale e non spirituale (cfr
1Co 3,1-3). Riferendosi poi alla propria esperienza, Paolo ricorda ai Corinzi che Cristo lo ha mandato ad annunciare il Vangelo “non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo” (1,17).

Da qui prende avvio una riflessione sulla “sapienza della Croce”, vale a dire sulla sapienza di Dio, che si contrappone alla sapienza di questo mondo. L’Apostolo insiste sul contrasto esistente tra le due sapienze, delle quali una sola è vera, quella divina, mentre l’altra in realtà è “stoltezza”. Ora, la novità stupefacente, che esige di essere sempre riscoperta ed accolta, è il fatto che la sapienza divina, in Cristo, ci è stata donata, ci è stata partecipata. C’è, alla fine del capitolo 2° della Lettera menzionata, un’espressione che riassume tale novità e che proprio per questo non finisce mai di sorprendere. San Paolo scrive: “Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo - “?µei? de ???? ???st?? ???µe?” (2,16). Questa contrapposizione tra le due sapienze non è da identificare con la differenza tra la teologia, da una parte, e la filosofia e le scienze, dall’altra. Si tratta, in realtà, di due atteggiamenti fondamentali. La “sapienza di questo mondo” è un modo di vivere e di vedere le cose prescindendo da Dio e seguendo le opinioni dominanti, secondo i criteri del successo e del potere. La “sapienza divina” consiste nel seguire la mente di Cristo – è Cristo che ci apre gli occhi del cuore per seguire la strada della verità e dell’amore.

Cari studenti, voi siete venuti a Roma per approfondire le vostre conoscenze in campo teologico, e anche se studiate altre materie diverse dalla teologia, per esempio il diritto, la storia, le scienze umane, l’arte, ecc., comunque la formazione spirituale secondo il pensiero di Cristo resta per voi fondamentale, ed è questa la prospettiva dei vostri studi. Perciò sono importanti per voi queste parole dell’apostolo Paolo e quelle che leggiamo subito dopo, sempre nella prima Lettera ai Corinzi: “Chi conosce infatti i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato” (2,11-12). Eccoci ancora all’interno dello schema di contrapposizione tra la sapienza umana e quella divina. Per conoscere e comprendere le cose spirituali bisogna essere uomini e donne spirituali, poiché se si è carnali, si ricade inevitabilmente nella stoltezza, anche se magari si studia molto e si diventa “dotti” e “sottili ragionatori di questo mondo” (1,20).

Possiamo vedere in questo testo paolino un accostamento quanto mai significativo con i versetti del Vangelo che riportano la benedizione di Gesù rivolta a Dio Padre, perché – dice il Signore – “hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25). I “sapienti” di cui parla Gesù sono quelli che Paolo chiama i “sapienti di questo mondo”. Mentre i “piccoli” sono coloro che l’Apostolo qualifica “stolti”, “deboli”, “ignobili e disprezzati” per il mondo (1,27-28), ma che in realtà, se accolgono “la parola della Croce” (1,18), diventano i veri sapienti. Al punto che Paolo esorta chi si ritiene sapiente secondo i criteri del mondo a “farsi stolto”, per diventare veramente sapiente davanti a Dio (3,18). Questo non è un atteggiamento anti-intellettuale, non è opposizione alla “recta ratio”. Paolo – seguendo Gesù – si oppone ad un tipo di superbia intellettuale, in cui l’uomo, pur sapendo molto, perde la sensibilità per la verità e la disponibilità ad aprirsi alla novità dell’agire divino.

Cari amici, questa riflessione paolina quindi non vuole affatto condurre a sottovalutare l’impegno umano necessario per la conoscenza, ma si pone su un altro piano: a Paolo interessa sottolineare – e lo fa senza mezzi termini – che cosa vale realmente per la salvezza e che cosa invece può recare divisione e rovina. L’Apostolo cioè denuncia il veleno della falsa sapienza, che è l’orgoglio umano. Non è infatti la conoscenza in sé che può far male, ma la presunzione, il “vantarsi” di ciò che si è arrivati – o si presume di essere arrivati – a conoscere. Proprio da qui derivano poi le fazioni e le discordie nella Chiesa e, analogamente, nella società. Si tratta dunque di coltivare la sapienza non secondo la carne, bensì secondo lo Spirito. Sappiamo bene che san Paolo con le parole “carne, carnale” non si riferisce al corpo, ma ad un modo di vivere solo per se stessi e secondo i criteri del mondo. Perciò, secondo Paolo, è sempre necessario purificare il proprio cuore dal veleno dell’orgoglio, presente in ognuno di noi. Anche noi dobbiamo dunque elevare con san Paolo il grido: “Chi ci libererà?” (cfr Rm 7,24). E pure noi possiamo ricevere con lui la risposta: la grazia di Gesù Cristo, che il Padre ci ha donato mediante lo Spirito Santo (cfr Rm 7,25). Il “pensiero di Cristo”, che per grazia abbiamo ricevuto, ci purifica dalla falsa sapienza. E questo “pensiero di Cristo” lo accogliamo attraverso la Chiesa e nella Chiesa, lasciandoci portare dal fiume della sua viva tradizione. Lo esprime molto bene l’iconografia che raffigura Gesù-Sapienza in grembo alla Madre Maria, simbolo della Chiesa: In gremio Matris sedet Sapientia Patris: in grembo alla Madre siede la Sapienza del Padre, cioè Cristo. Rimanendo fedeli a quel Gesù che Maria ci offre, al Cristo che la Chiesa ci presenta, possiamo impegnarci intensamente nel lavoro intellettuale, interiormente liberi dalla tentazione dell’orgoglio e vantandoci sempre e solo nel Signore.

Cari fratelli e sorelle, è questo l’augurio che vi rivolgo all’inizio del nuovo anno accademico, invocando su voi tutti la materna protezione di Maria, Sedes Sapientiae, e dell’Apostolo Paolo. Vi accompagni anche la mia affettuosa Benedizione.




AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA DELLE SCIENZE Sala Clementina Venerdì, 31 ottobre 2008

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Illustri signore e signori,

sono lieto di salutare voi, membri della Pontificia Accademia delle Scienze, in occasione della vostra assemblea plenaria, e ringrazio il professor Nicola Cabibbo per le parole che mi ha cortesemente rivolto a vostro nome.

Nella scelta del tema "Comprensione scientifica dell'evoluzione dell'universo e della vita", cercate di concentrarvi su un'area di indagine che solleva grande interesse. Infatti, oggi molti nostri contemporanei desiderano riflettere sull'origine fondamentale degli esseri, sulla loro causa, sul loro fine e sul significato della storia umana e dell'universo.

In questo contesto, è naturale che sorgano questioni relative al rapporto fra la lettura che le scienze fanno del mondo e quella offerta dalla rivelazione cristiana. I miei predecessori Papa Pio XII e Papa Giovanni Paolo II hanno osservato che non vi è opposizione fra la comprensione di fede della creazione e la prova delle scienze empiriche. Agli inizi la filosofia ha proposto immagini per spiegare l'origine del cosmo sulla base di uno o più elementi del mondo materiale. Questa genesi non era considerata come una creazione, quanto piuttosto come una mutazione o trasformazione. Implicava una interpretazione in qualche modo orizzontale dell'origine del mondo. Un progresso decisivo nella comprensione dell'origine del cosmo è stato la considerazione dell'essere in quanto essere e l'interesse della metafisica per la questione fondamentale dell'origine prima e trascendente dell'essere partecipato. Per svilupparsi ed evolversi il mondo deve prima essere, e quindi essere passato dal nulla all'essere. Deve essere creato, in altre parole, dal primo Essere che è tale per essenza.

Affermare che il fondamento del cosmo e dei suoi sviluppi è la sapienza provvida del Creatore non è dire che la creazione ha a che fare soltanto con l'inizio della storia del mondo e della vita. Ciò implica, piuttosto, che il Creatore fonda questi sviluppi e li sostiene, li fissa e li mantiene costantemente. Tommaso d'Aquino ha insegnato che la nozione di creazione deve trascendere l'origine orizzontale del dispiegamento degli eventi, ossia della storia, e di conseguenza tutti i nostri modi meramente naturalistici di pensare e di parlare dell'evoluzione del mondo. Tommaso ha osservato che la creazione non è né un movimento né una mutazione. È piuttosto il rapporto fondazionale e costante che lega le creature al Creatore poiché Egli è la causa di tutti gli esseri e di tutto il divenire (cfr. Summa theologiae, I, q. 45, a.3).

"Evolvere" significa letteralmente "srotolare un rotolo di pergamena", cioè, leggere un libro. L'immagine della natura come libro ha le sue origini nel cristianesimo ed è rimasta cara a molti scienziati. Galileo vedeva la natura come un libro il cui autore è Dio così come lo è delle Scritture. È un libro la cui storia, la cui evoluzione, la cui "scrittura" e il cui significato "leggiamo" secondo i diversi approcci delle scienze, presupponendo per tutto il tempo la presenza fondamentale dell'autore che vi si è voluto rivelare. Questa immagine ci aiuta a comprendere che il mondo, lungi dall'essere stato originato dal caos, assomiglia a un libro ordinato. È un cosmo. Nonostante elementi irrazionali, caotici e distruttivi nei lunghi processi di cambiamento del cosmo, la materia in quanto tale è "leggibile". Possiede una "matematica" innata. La mente umana, quindi, può impegnarsi non solo in una "cosmografia" che studia fenomeni misurabili, ma anche in una "cosmologia" che discerne la logica interna visibile del cosmo. All'inizio potremmo non riuscire a vedere né l'armonia del tutto né delle relazioni fra le parti individuali né il loro rapporto con il tutto. Tuttavia, resta sempre un'ampia gamma di eventi intellegibili, e il processo è razionale poiché rivela un ordine di corrispondenze evidenti e finalità innegabili: nel mondo inorganico fra microstruttura e macrostruttura, nel mondo animale e organico fra struttura e funzione, e nel mondo spirituale fra conoscenza della verità e aspirazione alla libertà. L'indagine filosofica e sperimentale scopre gradualmente questi ordini. Percepisce che operano per mantenersi in essere, difendendosi dagli squilibri e superando ostacoli. Grazie alle scienze naturali abbiamo molto ampliato la nostra comprensione dell'unicità del posto dell'umanità nel cosmo.

La distinzione fra un semplice essere vivente e un essere spirituale, che è capax Dei, indica l'esistenza dell'anima intellettiva di un libero soggetto trascendente. Quindi, il Magistero della Chiesa ha costantemente affermato che "ogni anima spirituale è creata direttamente da Dio - non è "prodotta" dai genitori - ed è immortale" (Catechismo della Chiesa cattolica
CEC 366). Ciò evidenzia gli elementi distintivi dell'antropologia e invita il pensiero moderno ad esplorarli.

Illustri accademici, desidero concludere ricordando le parole che vi rivolse il mio predecessore Papa Giovanni Paolo II nel novembre del 2003: "Sono sempre più convinto che la verità scientifica, che è di per sé una partecipazione alla Verità divina, possa aiutare la filosofia e la teologia a comprendere sempre più pienamente la persona umana e la Rivelazione di Dio sull'uomo, una rivelazione compiuta e perfezionata in Gesù Cristo. Per questo importante arricchimento reciproco nella ricerca della verità e del bene dell'umanità, io, insieme a tutta la Chiesa, sono profondamente grato".

Su di voi, sulle vostre famiglie e su tutti coloro che sono associati all'opera della Pontificia Accademia delle Scienze invoco di cuore le benedizioni divine di sapienza e di pace.




AI PARTECIPANTI ALLA XIII CONFERENZA INTERNAZIONALE DELLA «CATHOLIC FRATERNITY OF CHARISMATIC COVENANT COMMUNITIES AND FELLOWSHIP» Basilica Vaticana Venerdì, 31 ottobre 2008

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Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Porgo con vivo piacere a voi tutti il mio cordiale benvenuto, e vi ringrazio per la visita che mi rendete in occasione del II° Incontro Internazionale dei Vescovi che accompagnano le nuove Comunità del Rinnovamento Carismatico Cattolico, del Consiglio internazionale della Catholic Fraternity of Charismatic Covenant Communities and Fellowships e, infine, della XIIIa Conferenza Internazionale, convocata in Assisi, sul tema: “Noi predichiamo Cristo Crocifisso, potenza e sapienza di Dio” (cfr
1Co 1,23-24), a cui prendono parte le principali Comunità del Rinnovamento Carismatico nel mondo. Saluto voi, cari Fratelli nell’Episcopato, e voi tutti, che operate al servizio dei Movimenti ecclesiali e delle Nuove Comunità. Un saluto speciale rivolgo al Prof. Matteo Calisi, Presidente della Catholic Fraternity, che si è fatto interprete dei vostri sentimenti.

Come ho avuto già modo di affermare in altre circostanze, i Movimenti ecclesiali e le Nuove Comunità, fioriti dopo il Concilio Vaticano II, costituiscono un singolare dono del Signore ed una risorsa preziosa per la vita della Chiesa. Essi vanno accolti con fiducia e valorizzati nei loro diversi contributi da porre a servizio dell’utilità comune in modo ordinato e fecondo. Di grande interesse è poi l’attuale vostra riflessione sulla centralità di Cristo nella predicazione, come pure sull’importanza dei “Carismi nella vita della Chiesa particolare”, con riferimento alla teologia paolina, al Nuovo Testamento e all'esperienza del Rinnovamento Carismatico. Ciò che apprendiamo nel Nuovo Testamento sui carismi, che apparvero come segni visibili della venuta dello Spirito Santo, non è un evento storico del passato, ma realtà sempre viva: è lo stesso divino Spirito, anima della Chiesa, ad agire in essa in ogni epoca, e questi suoi misteriosi ed efficaci interventi si manifestano in questo nostro tempo in maniera provvidenziale. I Movimenti e le Nuove Comunità sono come delle irruzioni dello Spirito Santo nella Chiesa e nella società contemporanea. Possiamo allora ben dire che uno degli elementi e degli aspetti positivi delle Comunità del Rinnovamento Carismatico Cattolico è proprio il rilievo che in esse rivestono i carismi o doni dello Spirito Santo e loro merito è averne richiamato nella Chiesa l’attualità.

Il Concilio Vaticano II, in diversi documenti, fa riferimento ai Movimenti e alle nuove Comunità ecclesiali, specialmente nella Costituzione Dogmatica Lumen gentium, dove leggiamo: “I carismi straordinari o anche più semplici e più comuni, siccome sono soprattutto appropriati e utili alle necessità della Chiesa, si devono accogliere con gratitudine e consolazione” (n. 12). In seguito, anche il Catechismo della Chiesa Cattolica ha sottolineato il valore e l’importanza dei nuovi carismi nella Chiesa, la cui autenticità viene però garantita dalla disponibilità a sottomettersi al discernimento dell'autorità ecclesiastica (cfr n. 2003). Proprio perché assistiamo a una promettente fioritura di movimenti e comunità ecclesiali, è importante che i Pastori esercitino nei loro confronti un prudente e saggio discernimento. Auspico di cuore che si intensifichi il dialogo tra Pastori e Movimenti ecclesiali a tutti i livelli: nelle parrocchie, nelle diocesi e con la Sede Apostolica. So che sono allo studio opportune modalità per dare riconoscimento pontificio ai nuovi Movimenti e Comunità ecclesiali e non sono pochi quelli che già lo hanno ricevuto. Di questo dato - il riconoscimento o l’erezione di associazioni internazionali da parte della Santa Sede per la Chiesa universale - i Pastori, specialmente i Vescovi, non possono non tenere conto nel doveroso discernimento che ad essi compete (cfr Congregazione per i Vescovi, Direttorio per il Ministero Pastorale dei Vescovi Apostolorum Successores, Cap. 4,8).

Cari fratelli e sorelle, fra queste nuove realtà ecclesiali riconosciute dalla Santa Sede, va annoverata anche la vostra, la Catholic Fraternity of Charismatic Covenant Communities and Fellowships, Associazione Internazionale di fedeli, che assolve a una specifica missione in seno al Rinnovamento Carismatico Cattolico (cfr Decreto del Pontificio Consiglio per i Laici del 30 novembre 1990 prot. 1585/S-6//B-SO). Uno dei suoi obiettivi, conformemente alle indicazioni del mio venerato predecessore Giovanni Paolo II, è salvaguardare l'identità cattolica delle comunità carismatiche e incoraggiarle nel mantenere uno stretto legame con i Vescovi e con il Romano Pontefice (cfr Lettera autografa alla Catholic Fraternity, 1 giugno 1998). Apprendo, inoltre, con compiacimento, che essa si propone la costituzione di un Centro di formazione permanente per i membri e i responsabili delle Comunità Carismatiche. Ciò permetterà alla Catholic Fraternity di meglio valorizzare la propria missione ecclesiale orientata all'evangelizzazione, alla liturgia, all'adorazione, all'ecumenismo, alla famiglia, ai giovani e alle vocazioni di speciale consacrazione; missione che sarà ancor più aiutata dal trasferimento della Sede internazionale dell’associazione a Roma, con la possibilità di essere in più stretto contatto con il Pontificio Consiglio per i Laici.

Cari fratelli e sorelle, la salvaguardia della fedeltà all'identità cattolica e dell’ecclesialità da parte di ognuna delle vostre comunità vi permetterà di rendere dappertutto una testimonianza viva ed operante del profondo mistero della Chiesa. E sarà proprio questo a promuovere la capacità delle varie comunità di attirare nuovi membri. Affido i lavori dei vostri rispettivi convegni alla protezione di Maria, Madre della Chiesa, Tempio vivo dello Spirito Santo, e all’intercessione dei santi Francesco e Chiara di Assisi, esempi di santità e di rinnovamento spirituale, mentre di cuore imparto a voi e a tutte le vostre comunità una speciale Benedizione Apostolica.





A S.E. LA SIGNORA ALY HAMADA MEKHEMAR, AMBASCIATORE DELLA REPUBBLICA ARABA D'EGITTO PRESSO LA SANTA SEDE Giovedì, 6 novembre 2008

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Signora Ambasciatore,

sono lieto di accoglierla, Eccellenza, e di porgerle il benvenuto in occasione della presentazione delle lettere che l'accreditano come Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica Araba di Egitto presso la Santa Sede. La ringrazio per i saluti cordiali che mi ha rivolto a nome di Sua Eccellenza il signor Mohamed Hosni Mubarak, presidente della Repubblica, e della sua consorte, la signora Suzanne Mubarak, che lei ha servito per molti anni. Le sarei grato se potesse trasmettere loro i miei voti migliori per le loro persone e per tutto il popolo egiziano.

L'Egitto è una terra di antica civiltà, conosciuta in tutto il mondo per i suoi monumenti, la sua arte e il suo sapere ancestrale. Nella sua terra, Signora, si sono incontrati e mescolati popoli, culture e religioni diverse, costruendo nel corso dei millenni l'identità del suo popolo, famoso per la sua saggezza e la sua ponderatezza, e costituendo la ricchezza della sua cultura capace ancora oggi di accogliere la novità pur conservando la sua specificità.

Lei ha giustamente ricordato, Signora, le buone relazioni che esistono fra l'Egitto e la Santa Sede dall'instaurazione delle relazioni diplomatiche, avvenuta più di sessant'anni fa. Non posso che rendere grazie a Dio che le ha permesse e favorite. L'Egitto era allora già all'avanguardia nella ricerca di ponti fra i popoli e le religioni. Simili relazioni sono certamente fondate su un profondo rispetto reciproco delle nostre identità proprie, ma anche, e soprattutto, su un reale desiderio comune di promuovere l'unità e la pace sia dentro i confini nazionali sia sulla scena internazionale, e anche di sviluppare il dialogo e la collaborazione fra i membri delle diverse culture e religioni.

Lei ha pure menzionato, Eccellenza, i numerosi e gravi problemi internazionali che turbano sempre e ancora, ahimè spesso con violenza, le zone di confine dell'Africa e dell'Asia, soprattutto in Medio Oriente. Gli sforzi dell'Egitto a favore della pace, dell'armonia e delle soluzioni giuste che rispettano gli Stati e le persone sono innumerevoli e si uniscono a quelli della Santa Sede che si sforza a sua volta di favorirle e di promuoverle. Un clima di dialogo e di avvicinamento in grado di generare una cultura di pace deve poco a poco nascere e riuscire a eliminare, o almeno ad attenuare, gli egoismi nazionali e a mitigare gli interessi privati o pubblici. Le religioni possono e devono essere fattori di pace. Purtroppo possono essere intese e utilizzate male per provocare violenza o morte. Il rispetto della sensibilità e della storia propria di ogni Paese o di ogni comunità umana e religiosa, le consultazioni frequenti e gli incontri multilaterali, e soprattutto un'autentica volontà di ricerca della pace, favoriranno la riconciliazione dei popoli e la coabitazione pacifica fra tutti. È ciò che la Santa Sede auspica di cuore, e che sa essere anche l'auspicio dell'Egitto. In questo contesto, desidero rendere omaggio a tutti gli sforzi compiuti dal suo Paese e dai suoi Governi per raggiungere poco a poco questo nobile obiettivo. L'Egitto è sempre stato conosciuto come una terra di ospitalità per numerosi rifugiati, musulmani e cristiani, che hanno cercato sicurezza e pace nel suo territorio. Che questa nobile tradizione prosegua per il bene di tutti! L'ospite accolto è un deposito sacro affidato da Dio che saprà ricordarsene al momento opportuno.

Ho appena ricordato il ruolo fondamentale delle religioni nell'instaurare l'armonia fra i popoli, le culture e gli individui. Da decenni, gli incontri annuali fra il Comitato Permanente per il Dialogo fra le Religioni Monoteiste dell'Istituzione Al-Azhar al Sharif e il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso cercano di aprire una via verso una comprensione e un rispetto reciproco fra l'Islam e il Cristianesimo. Un tratto del cammino è stato già percorso, ma il resto è ancora da percorrere.

Questo dialogo, Eccellenza, è un'opportunità per il mondo, un'occasione offerta da Dio che bisogna cogliere al volo e vivere il meglio possibile. È importante promuovere innanzitutto una buona conoscenza reciproca che non può limitarsi al circolo ristretto dell'istanza di dialogo, ma che deve irradiarsi poco a poco verso i suoi confini, verso gli individui che giorno dopo giorno, nelle città e nei villaggi, dovranno sviluppare una mentalità di mutuo rispetto che dovrebbe portare a una stima reciproca. L'individuo e l'umanità ne beneficerebbero, come pure le religioni. Gi istituti di ricerca delle comunità domenicane e francescane presenti in Egitto offrono, anch'essi, spazi d'incontro interreligioso. La loro presenza e le loro attività dimostrano che è possibile vivere come fratelli in una nazione unita e serena.

Le chiedo di trasmettere anche, Signora Ambasciatore, i miei saluti alla comunità cattolica del suo Paese. Anche se non numerosa, manifesta la grande diversità che esiste in seno alla nostra Chiesa e la possibilità di un'armoniosa coesistenza fra le grandi tradizioni cristiane orientali e occidentali. Il suo impegno sociale e storico fra il popolo egiziano negli ambiti dell'educazione, della salute e delle opere caritative testimonia l'amore gratuito e senza esclusione religiosa. È noto e apprezzato da tutta la società egiziana. La Chiesa cattolica desidera altresì raggiungere nel suo Paese i numerosi turisti cattolici che lo visitano e che desiderano praticare la propria religione. Sono convinto che sarà presto data la possibilità di pregare Dio degnamente in luoghi di culto adeguati nei nuovi centri turistici che si sono sviluppati in questi ultimi anni. Questo sarebbe un bel segno che l'Egitto darebbe al mondo, favorendo le relazioni amichevoli e fraterne fra le religioni e i popoli in piena sintonia con la sua antica e nobile tradizione.

Mentre comincia la sua missione di rappresentanza presso la Santa Sede, assicurandola che troverà sempre una buona accoglienza e una comprensione attenta presso i miei collaboratori, le porgo, Signora Ambasciatore, i miei voti cordiali per il suo felice compimento, affinché le relazioni armoniose che esistono fra la Repubblica Araba di Egitto e la Santa Sede possano proseguire e approfondirsi. Su di lei, Eccellenza, sulla sua famiglia e sui suoi collaboratori, e anche sui responsabili e su tutti gli abitanti dell'Egitto, invoco di tutto cuore l'abbondanza delle Benedizioni dell'Onnipotente.



AI PARTECIPANTI AL FORUM CATTOLICO-MUSULMANO PROMOSSO DAL PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO Sala Clementina Giovedì, 6 novembre 2008

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Cari Amici,

Sono lieto di accogliervi questa mattina e vi saluto tutti cordialmente. Ringrazio specialmente il cardinale Jean-Louis Tauran, Shaykh Mustafa Ceric e il signor Seyyed Hossein Nasr per le loro parole. Il nostro incontro si svolge a conclusione dell'importante seminario organizzato dal "Forum Cattolico-Musulmano", istituito dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e da rappresentanti dei 138 leader musulmani che hanno firmato la lettera aperta ai leader cristiani del 13 ottobre 2007. Questo incontro è un chiaro segno della nostra stima reciproca e del nostro desiderio di ascoltarci gli uni gli altri con rispetto. Posso assicurarvi che ho seguito nella preghiera i progressi del vostro incontro, consapevole che esso rappresenta un ulteriore passo avanti nel cammino verso una maggiore comprensione tra musulmani e cristiani, nell'ambito di altri incontri regolari che la Santa Sede promuove con diversi gruppi musulmani. La lettera aperta "Una parola comune tra voi e noi" ha ricevuto numerose risposte e ha suscitato un dialogo, iniziative e incontri specifici, volti ad aiutarci a conoscerci più profondamente gli uni gli altri e a crescere nella stima per i nostri valori condivisi. Il grande interesse suscitato da questo seminario è per noi un incentivo ad assicurare che le riflessioni e gli sviluppi positivi che emergono dal dialogo tra cristiani e musulmani non siano limitati a un gruppo ristretto di esperti e di studiosi, ma vengano trasmessi come un prezioso legato per essere messi al servizio di tutti, affinché rechino frutto nel modo in cui viviamo ogni giorno.
Il tema che avete scelto per l'incontro - "Amore di Dio e amore del prossimo: la dignità della persona umana e il rispetto reciproco" - è particolarmente significativo. È stato tratto dalla lettera aperta, che presenta l'amore di Dio e l'amore del prossimo come centro sia dell'Islam sia del Cristianesimo. Questo tema evidenzia in maniera ancora più chiara le fondamenta teologiche e spirituali di un insegnamento centrale delle nostre rispettive religioni.

La tradizione cristiana proclama che Dio è Amore (cfr.
1Jn 4,16). È per amore che ha creato tutto l'universo, e con il suo amore si fa presente nella storia umana. L'amore di Dio è divenuto visibile, manifestato in maniera piena e definitiva in Gesù Cristo. Così egli è disceso per incontrare l'uomo e, pur rimanendo Dio, ha assunto la nostra natura. Ha donato se stesso per restituire la piena dignità a ogni persona e per portarci la salvezza. Come potremmo spiegare il mistero dell'incarnazione e della redenzione se non con l'Amore? Questo amore infinito ed eterno ci permette di rispondere dando in cambio tutto il nostro amore: amore verso Dio e amore verso il prossimo. Questa verità, che consideriamo fondante, è ciò che ho voluto evidenziare nella mia prima Enciclica, Deus Caritas est, poiché è un insegnamento centrale della fede cristiana. La nostra chiamata e la nostra missione sono di condividere liberamente con gli altri l'amore che Dio ci prodiga senza alcun merito da parte nostra.

Sono ben consapevole che musulmani e cristiani hanno approcci diversi nelle questioni riguardanti Dio. Tuttavia, possiamo e dobbiamo essere adoratori dell'unico Dio che ci ha creato e che si preoccupa di ogni persona in ogni parte del mondo. Insieme dobbiamo mostrare, con il rispetto reciproco e la solidarietà, che ci consideriamo membri di un'unica famiglia: la famiglia che Dio ha amato e riunito dalla creazione del mondo fino alla fine della storia umana.

Mi ha fatto piacere sapere che durante questo incontro avete saputo adottare una posizione comune sulla necessità di adorare Dio totalmente e di amare gli uomini e le donne in modo disinteressato, specialmente coloro che soffrono e sono nel bisogno. Dio ci chiama a lavorare insieme per le vittime delle malattie, della fame, della povertà, dell'ingiustizia e della violenza. Per i cristiani l'amore di Dio è inscindibilmente legato all'amore dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, di tutti gli uomini e le donne, senza distinzione di razza e cultura. Come scrive san Giovanni: "Se uno dicesse: "Io amo Dio", e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede" (1Jn 4,20).

Anche la tradizione musulmana è piuttosto chiara nell'incoraggiare l'impegno pratico a servire i più bisognosi e prontamente ricorda la propria "regola aurea": la vostra fede non sarà perfetta se non farete agli altri ciò che volete per voi stessi. Pertanto, dovremmo lavorare insieme nel promuovere il rispetto autentico per la dignità della persona umana e per i diritti umani fondamentali, sebbene le nostre visioni antropologiche e le nostre teologie giustifichino ciò in modi differenti. Vi è un grande e vasto campo in cui possiamo agire insieme per difendere e promuovere i valori morali che fanno parte del nostro retaggio comune. Solo a partire dal riconoscimento della centralità della persona e della dignità di ogni essere umano, rispettando e difendendo la vita, che è il dono di Dio e che quindi è sacra sia per i cristiani sia per i musulmani, solo a partire da questo riconoscimento possiamo trovare un terreno comune per costruire un mondo più fraterno, un mondo in cui i contrasti e le differenze vengano risolti in maniera pacifica e in cui la forza devastante delle ideologie venga neutralizzata.

Auspico, ancora una volta, che i diritti umani fondamentali vengano tutelati per tutte le persone ovunque. I leader politici e religiosi hanno il dovere di assicurare il libero esercizio di questi diritti nel pieno rispetto della libertà di coscienza e della libertà di religione di ciascuno. La discriminazione e la violenza che ancora oggi i credenti sperimentano in tutto il mondo e le persecuzioni spesso violente di cui sono oggetto sono atti inaccettabili e ingiustificabili, tanto più gravi e deplorevoli quando vengono compiuti nel nome di Dio. Il nome di Dio può essere solo un nome di pace e fratellanza, giustizia e amore. Siamo chiamati a dimostrare, con le parole ma soprattutto con i fatti, che il messaggio delle nostre religioni è indubbiamente un messaggio di armonia e di comprensione reciproca. È fondamentale che lo facciamo, per evitare di minare la credibilità e l'efficacia non solo del nostro dialogo, ma anche delle nostre religioni stesse.

Prego affinché il "Forum Cattolico-Musulmano", che ora con fiducia sta compiendo i suoi primi passi, possa diventare sempre più uno spazio di dialogo e che ci aiuti a percorrere insieme il cammino verso una conoscenza sempre più piena della Verità. Questo incontro è anche un'occasione privilegiata per impegnarci in una ricerca più profonda dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo, condizione indispensabile per offrire agli uomini e alle donne del nostro tempo un servizio autentico di riconciliazione e di pace.

Cari amici, uniamo i nostri sforzi, animati da buona volontà, al fine di superare ogni incomprensione e disaccordo! Decidiamoci a superare i pregiudizi del passato e a correggere l'immagine spesso distorta dell'altro che ancora oggi può creare difficoltà nei nostri rapporti; lavoriamo gli uni con gli altri per educare tutte le persone, specialmente i giovani, a costruire un futuro comune! Possa Dio sostenerci nelle nostre buone intenzioni e permettere alle nostre comunità di vivere con coerenza la verità dell'amore, che costituisce il cuore del credente ed è la base del rispetto della dignità di ogni persona! Possa Dio, Colui che è misericordioso e compassionevole, assisterci in questa impegnativa missione, proteggerci, benedirci e illuminarci sempre con la potenza del suo amore!






Discorsi 2005-13 30208