Discorsi 2005-13 7118

A S.E. IL SIGNOR VYTAUTAS ALIŠAUSKAS, AMBASCIATORE DELLA REPUBBLICA DI LITUANIA PRESSO LA SANTA SEDE Venerdì, 7 novembre 2008

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Eccellenza,

sono lieto di riceverla all'inizio della sua missione e di accettare le Lettere che la accreditano quale Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica di Lituania presso la Santa Sede. La ringrazio per le sue cortesi parole e per i saluti che mi ha recato da parte del Presidente Valdas Adamkus. La prego di trasmettergli i miei deferenti buoni auspici e l'assicurazione delle mie preghiere per tutto l'amato popolo della vostra nazione.

Mi rincuorano in particolare le sue osservazioni sulla necessità dell'Europa moderna di attingere alla tradizione che fluisce dall'insegnamento del Vangelo. Il suo Paese ha una storia lunga e nobile che risale ai giorni di san Casimiro e ancora prima. Negli ultimi secoli, la fede ha sostenuto il popolo lituano in periodi di dominio e di oppressione stranieri e lo ha aiutato a mantenere e a consolidare la propria identità. Ora che la Repubblica ha riacquistato l'indipendenza, può offrire una testimonianza commovente dei valori che hanno permesso al suo popolo di sopravvivere a quegli anni difficili.

Come sapeva per esperienza personale il mio predecessore Papa Giovanni Paolo II, la fede condivisa è una fonte meravigliosa di forza e di unità nelle avversità. Le comunità vissute in tali circostanze acquisiscono una profonda convinzione del fatto che la felicità autentica si trova solo in Dio. Sanno che qualsiasi società che nega il Creatore inevitabilmente comincia a perdere il senso della bellezza, della verità e della bontà della vita umana.

Tuttavia, come Lei, Eccellenza, ha osservato, nei Paesi dell'ex blocco orientale è ormai cresciuta una nuova generazione che non ha vissuto l'esperienza del governo totalitario e tende quindi a dare per scontata la libertà politica di cui gode. Di conseguenza, c'è il rischio che alcuni dei frutti maturati nei tempi difficili possano cominciare ad andare perduti. Lei, Eccellenza, comprende bene i pericoli insiti nella società di oggi, che, sebbene libera, soffre sempre più di frammentazione e confusione morale. In questo contesto, è di vitale importanza che la Lituania, così come tutta l'Europa, coltivi la memoria della storia che l'ha plasmata per preservare la propria identità autentica e quindi sopravvivere e prosperare nel mondo del XXI secolo.

È sia un paradosso sia una tragedia che in questa era di globalizzazione, quando le possibilità di comunicazione e di interazione con gli altri hanno raggiunto un livello che le generazioni precedenti non avrebbero quasi neanche potuto immaginare, così tante persone si sentano isolate e tagliate fuori. Ciò causa molti problemi sociali che non si possono risolvere soltanto sul piano politico, poiché anche le migliori strutture "funzionano soltanto se in una comunità sono vive delle convinzioni che siano in grado di motivare gli uomini a una libera adesione all'ordinamento comunitario" (Spe salvi ). La Chiesa deve svolgere un ruolo importante in questo, attraverso il messaggio di speranza che proclama. Essa cerca di edificare una civiltà dell'amore, insegnando che "Dio è amore" ed esortando le persone di buona volontà a instaurare un rapporto amorevole con Lui. Poiché "dall'amore verso Dio consegue la partecipazione alla giustizia e alla bontà di Dio verso gli altri" (ibidem, n. 28), la pratica del cristianesimo conduce naturalmente alla solidarietà con i propri concittadini e, di fatto, con tutta la famiglia umana. Essa porta alla determinazione di servire il bene comune e di assumersi la responsabilità dei membri più deboli della società. Inoltre, frena il desiderio di accumulare ricchezza soltanto per se stessi. La nostra società deve superare l'attrazione per i beni materiali e concentrarsi invece su valori che promuovano veramente il bene della persona umana.

La Santa Sede ha a cuore i legami diplomatici con il suo Paese, caratterizzato da secoli di testimonianza cristiana. Cooperando possiamo contribuire a forgiare un'Europa in cui la priorità sia accordata alla difesa del matrimonio e della vita familiare, alla tutela della vita umana dal concepimento fino alla morte naturale e alla promozione di sane pratiche etiche nella ricerca medica e scientifica, pratiche che rispettino veramente la dignità della persona umana. Possiamo promuovere una solidarietà valida con i poveri, i malati, i vulnerabili e quanti vivono ai margini della società. Questi valori toccheranno una corda in tutti coloro, specialmente i giovani, che cercano risposte al profondo interrogativo sul significato e sullo scopo della vita. Saranno in sintonia con quanti sono ansiosi di scoprire la verità che è così tanto spesso oscurata dai messaggi superficiali diffusi dalla società postmoderna. Faranno appello a tutti coloro che discernono abbastanza da rifiutare la visione del mondo basata sul relativismo e sul secolarismo e che invece aspirano a vivere in modo confacente alla nobiltà autentica dello spirito umano.

Eccellenza, prego affinché la missione diplomatica che comincia oggi rafforzi ulteriormente i vincoli di amicizia esistenti fra la Santa Sede e la Repubblica di Lituania. La assicuro del fatto che i vari organismi della Curia Romana saranno sempre pronti a offrirle aiuto nello svolgimento dei suoi doveri. Con i miei sinceri buoni auspici, invoco su di lei, sulla sua famiglia e su tutti i suoi concittadini benedizioni abbondanti di pace e di prosperità.




AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO INTERNAZIONALE SUL TEMA: "UN DONO PER LA VITA. CONSIDERAZIONI SULLA DONAZIONE DI ORGANI" PROMOSSO DALLA PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA Venerdì, 7 novembre 2008

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Venerati Confratelli nell'Episcopato,
Illustri Signori e Signore!

La donazione di organi è una forma peculiare di testimonianza della carità. In un periodo come il nostro, spesso segnato da diverse forme di egoismo, diventa sempre più urgente comprendere quanto sia determinante per una corretta concezione della vita entrare nella logica della gratuità. Esiste, infatti, una responsabilità dell'amore e della carità che impegna a fare della propria vita un dono per gli altri, se si vuole veramente realizzare se stessi. Come il Signore Gesù ci ha insegnato, solamente colui che dona la propria vita potrà salvarla (cfr
Lc 9,24). Nel salutare tutti i presenti, con un particolare pensiero per il Senatore Maurizio Sacconi, Ministro del Lavoro, della Salute e Politiche Sociali, ringrazio l’Arcivescovo Mons. Rino Fisichella, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, per le parole che mi ha rivolto, illustrando il profondo significato di questo incontro e presentando la sintesi dei lavori congressuali. Insieme con lui, ringrazio anche il Presidente dell’International Federation of Catholic Medical Associations e il Direttore del Centro Nazionale Trapianti, sottolineando con apprezzamento il valore della collaborazione di tali Organismi in un ambito come quello del trapianto degli organi che è stato oggetto, illustri Signori e Signore, delle vostre giornate di studio e di dibattito.

La storia della medicina mostra con evidenza i grandi progressi che si sono potuti realizzare per permettere una vita sempre più degna ad ogni persona che soffre. I trapianti di tessuti e di organi rappresentano una grande conquista della scienza medica e sono certamente un segno di speranza per tante persone che versano in gravi e a volte estreme situazioni cliniche. Se il nostro sguardo si allarga al mondo intero è facile individuare i tanti e complessi casi in cui, grazie alla tecnica del trapianto di organi, molte persone hanno superato fasi altamente critiche e sono state restituite alla gioia di vivere. Questo non sarebbe mai potuto avvenire se l'impegno dei medici e la competenza dei ricercatori non avessero potuto contare sulla generosità e sull'altruismo di quanti hanno donato i loro organi. Il problema della disponibilità di organi vitali da trapianto, purtroppo, non è teorico, ma drammaticamente pratico; esso è verificabile nella lunga lista d'attesa di tanti malati le cui uniche possibilità di sopravvivenza sono legate alle esigue offerte che non corrispondono ai bisogni oggettivi.

E' utile, soprattutto nel contesto odierno, ritornare a riflettere su questa conquista della scienza, perché non avvenga che il moltiplicarsi delle richieste di trapianto abbia a sovvertire i principi etici che ne stanno alla base. Come ho detto nella mia prima Enciclica, il corpo non potrà mai essere considerato un mero oggetto (cfr Deus caritas est ); la logica del mercato, altrimenti, avrebbe il sopravvento. Il corpo di ogni persona, insieme con lo spirito che è dato ad ognuno singolarmente, costituisce un'unità inscindibile in cui è impressa l'immagine di Dio stesso. Prescindere da questa dimensione conduce verso prospettive incapaci di cogliere la totalità del mistero presente in ognuno. E' necessario, quindi, che in prima istanza si ponga il rispetto per la dignità della persona e la tutela della sua identità personale. Per quanto riguarda la tecnica del trapianto di organi, ciò significa che si può donare solamente se non è mai posto in essere un serio pericolo per la propria salute e la propria identità e sempre per un motivo moralmente valido e proporzionato. Eventuali logiche di compravendita degli organi, come pure l'adozione di criteri discriminatori o utilitaristici, striderebbero talmente con il significato sotteso del dono che si porrebbero da sé fuori gioco, qualificandosi come atti moralmente illeciti. Gli abusi nei trapianti e il loro traffico, che spesso toccano persone innocenti quali i bambini, devono trovare la comunità scientifica e medica prontamente unite nel rifiutarli come pratiche inaccettabili. Esse pertanto vanno decisamente condannate come abominevoli. Lo stesso principio etico va ribadito quando si vuole giungere alla creazione e distruzione di embrioni umani destinati a scopo terapeutico. La semplice idea di considerare l'embrione come "materiale terapeutico" contraddice le basi culturali, civili ed etiche su cui poggia la dignità della persona.

Avviene spesso che la tecnica del trapianto di organi si compia per un gesto di totale gratuità da parte dei parenti di pazienti di cui è stata accertata la morte. In questi casi, il consenso informato è condizione previa di libertà, perché il trapianto abbia la caratteristica di un dono e non sia interpretato come un atto coercitivo o di sfruttamento. E' utile ricordare, comunque, che i singoli organi vitali non possono essere prelevati che ex cadavere, il quale peraltro possiede pure una sua dignità che va rispettata. La scienza, in questi anni, ha compiuto ulteriori progressi nell'accertare la morte del paziente. E' bene, quindi, che i risultati raggiunti ricevano il consenso dall'intera comunità scientifica così da favorire la ricerca di soluzioni che diano certezza a tutti. In un ambito come questo, infatti, non può esserci il minimo sospetto di arbitrio e dove la certezza ancora non fosse raggiunta deve prevalere il principio di precauzione. E' utile per questo che si incrementi la ricerca e la riflessione interdisciplinare in modo tale che la stessa opinione pubblica sia messa dinanzi alla più trasparente verità sulle implicanze antropologiche, sociali, etiche e giuridiche della pratica del trapianto. In questi casi, comunque, deve valere sempre come criterio principale il rispetto per la vita del donatore così che il prelievo di organi sia consentito solo in presenza della sua morte reale (cfr Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica CEC 476). L'atto d'amore che viene espresso con il dono dei propri organi vitali permane come una genuina testimonianza di carità che sa guardare al di là della morte perché vinca sempre la vita. Del valore di questo gesto dovrebbe essere ben cosciente il ricevente; egli è destinatario di un dono che va oltre il beneficio terapeutico. Ciò che riceve, infatti, prima ancora di un organo è una testimonianza di amore che deve suscitare una risposta altrettanto generosa, così da incrementare la cultura del dono e della gratuità.

La via maestra da seguire, fino a quando la scienza giunga a scoprire eventuali forme nuove e più progredite di terapia, dovrà essere la formazione e la diffusione di una cultura della solidarietà che si apra a tutti e non escluda nessuno. Una medicina dei trapianti corrispondente a un'etica della donazione esige da parte di tutti l'impegno per investire ogni possibile sforzo nella formazione e nell'informazione, così da sensibilizzare sempre più le coscienze verso una problematica che investe direttamente la vita di tante persone. Sarà necessario, pertanto, fugare pregiudizi e malintesi, dissipare diffidenze e paure per sostituirle con certezze e garanzie in modo da permettere l'accrescersi in tutti di una sempre più diffusa consapevolezza del grande dono della vita.

Con questi sentimenti, mentre auguro a ciascuno di continuare nel proprio impegno con la dovuta competenza e professionalità, invoco l’aiuto di Dio sui lavori del Congresso ed imparto a tutti di cuore la mia Benedizione.




A S.E. IL SIGNOR WANG LARRY YU-YUAN, AMBASCIATORE DELLA REPUBBLICA DI CINA PRESSO LA SANTA SEDE Sabato, 8 novembre 2008

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Eccellenza,

sono lieto di riceverla all'inizio della sua missione e di accettare le Lettere che la accreditano quale Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica di Cina presso la Santa Sede. La ringrazio per le cortesi parole che mi ha rivolto e per i saluti che mi trasmette da parte del Presidente Ma Ying-jeou. La prego di trasmettergli i miei cordiali buoni auspici per la sua recente elezione e l'assicurazione delle miei preghiere per lui, primo cattolico a essere eletto Presidente della Repubblica, e per tutti gli abitanti di Taiwan.

Il governo a Taipei ha un forte senso di appartenenza a una comunità globale, a una famiglia umana globale. Lo esprime in numerosi modi, non da ultimo attraverso la generosità con la quale offre aiuto e soccorso nelle emergenze alle nazioni più povere. A questo proposito, il suo Paese rende un contributo inestimabile all'edificazione di un mondo più stabile e sicuro. La Santa Sede è lieta di cooperare con tutti coloro che cercano di promuovere la pace, la prosperità e lo sviluppo e apprezza l'impegno della Repubblica di Cina per tale nobile causa.

Sebbene nella Repubblica di Cina i cattolici siano poco più dell'1% della popolazione, desiderano fare la loro parte nella costruzione di una società che sia umana, giusta e caratterizzata da un interesse autentico per l'assistenza dei membri più deboli della comunità. È parte della missione della Chiesa condividere il suo essere "esperta in umanità" con tutte le persone di buona volontà per contribuire al benessere della famiglia umana.

In maniera peculiare è nei campi dell'educazione, della sanità e dell'assistenza caritativa che essa offre questo contributo. Il fermo impegno del suo governo per la libertà di religione ha permesso alla Chiesa di svolgere la sua missione di amore e di servizio e di esprimersi apertamente attraverso il culto e l'annuncio del Vangelo. A nome di tutti i cattolici di Taiwan, desidero esprimere il mio apprezzamento per questa libertà di cui gode la Chiesa.

Grazie al loro "innato intuito spirituale" e alla loro "saggezza morale" (Ecclesia in Asia ) fra le popolazioni asiatiche ci sono grandi vitalità e capacità religiose. Quindi il terreno è particolarmente fertile perché il dialogo interreligioso possa attecchire e crescere. Gli asiatici continuano a dimostrare "una naturale apertura al reciproco arricchimento dei popoli, nella pluralità di religioni e di culture" (ibidem). Quanto è importante nel mondo di oggi che popoli diversi siano in grado di ascoltarsi in un clima di rispetto e dignità, consapevoli del fatto che la loro comune umanità è un vincolo molto più profondo dei mutamenti culturali che li dividono! Questa accresciuta comprensione reciproca offre un servizio molto necessario alla società in generale. Testimoniando chiaramente "quelle verità morali che essi hanno in comune con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, i gruppi religiosi eserciteranno un influsso positivo sulla più ampia cultura" (Discorso ai rappresentanti di altre religioni, Washington, 17 aprile 2008).

Un dialogo sincero e costruttivo è anche la chiave della soluzione dei conflitti che minacciano la stabilità del nostro mondo. A questo proposito, la Santa Sede saluta con favore i recenti sviluppi positivi nelle relazioni fra Taiwan e la Cina continentale. Infatti la Chiesa cattolica desidera promuovere soluzioni pacifiche a dispute di qualsiasi tipo "prestando attenzione e incoraggiamento anche ai più flebili segni di dialogo o di desiderio di riconciliazione" (Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 18 aprile 2008). In tal modo, desidera sostenere gli sforzi di ogni governo per divenire "infaticabile operatore di pace e strenuo difensore della dignità della persona" (Messaggio in occasione della Giornata Mondiale della Pace, n. 16).

Eccellenza, l'assicuro dei miei buoni auspici e delle mie preghiere per il successo della missione diplomatica che comincia oggi. I vari organismi della Curia Romana saranno sempre pronti a offrire aiuto e sostegno nello svolgimento dei suoi compiti. Con sentimenti di sincera stima, invoco abbondanti benedizioni di Dio su di lei, sulla sua famiglia e su tutto il popolo di Taiwan.




AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO SU "L’EREDITÀ DEL MAGISTERO DI PIO XII E IL CONCILIO VATICANO II" Sala Clementina Sabato, 8 novembre 2008

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Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di accogliervi in occasione del Congresso su "L’eredità del Magistero di Pio XII e il Concilio Vaticano II", promosso dalla Pontificia Università Lateranense insieme con la Pontificia Università Gregoriana. E’ un Congresso importante per il tema che affronta e per le persone erudite, provenienti da varie Nazioni, che vi prendono parte. Nel rivolgere a ciascuno il mio cordiale saluto, ringrazio in particolare Mons. Rino Fisichella, Rettore dell’Università Lateranense, e P. Gianfranco Ghirlanda, Rettore dell’Università Gregoriana, per le espressioni gentili con cui hanno interpretato i comuni sentimenti.

Ho apprezzato l’impegnativo tema sul quale avete concentrato la vostra attenzione. Negli ultimi anni, quando si è parlato di Pio XII, l’attenzione si è concentrata in modo eccessivo su una sola problematica, trattata per di più in maniera piuttosto unilaterale. A parte ogni altra considerazione, ciò ha impedito un approccio adeguato ad una figura di grande spessore storico-teologico qual è quella del Papa Pio XII. L’insieme della imponente attività svolta da questo Pontefice e, in modo del tutto speciale, il suo magistero sul quale vi siete soffermati in questi giorni, sono una prova eloquente di quanto ho appena affermato. Il suo magistero si qualifica infatti per la vasta e benefica ampiezza, come anche per la sua eccezionale qualità, così che può ben dirsi che esso costituisca una preziosa eredità di cui la Chiesa ha fatto e continua a fare tesoro.

Ho parlato di "vasta e benefica ampiezza" di questo magistero. Basti ricordare, al riguardo, le Encicliche e i moltissimi discorsi e radiomessaggi contenuti nei venti volumi dei suoi "Insegnamenti". Sono più di quaranta le Encicliche da lui pubblicate. Tra esse spicca la "Mystici Corporis", nella quale il Papa affronta il tema della vera ed intima natura della Chiesa. Con ampiezza di indagine egli mette in luce la nostra profonda unione ontologica con Cristo e - in Lui, per Lui e con Lui - con tutti gli altri fedeli animati dal suo Spirito, che si nutrono del suo Corpo e, trasformati in Lui, gli danno modo di continuare ed estendere nel mondo la sua opera salvifica. Intimamente connesse con la "Mystici Corporis" sono altre due Encicliche: la "Divino afflante Spiritu" sulla Sacra Scrittura e la "Mediator Dei" sulla sacra Liturgia, nelle quali vengono presentate le due sorgenti a cui devono sempre attingere coloro che appartengono a Cristo, Capo di quel mistico Corpo che è la Chiesa.

In questo contesto di ampio respiro Pio XII ha trattato delle varie categorie di persone che, per volere del Signore, fanno parte della Chiesa, pur con vocazioni e compiti differenziati: i sacerdoti, i religiosi ed i laici. Così egli ha emanato sagge norme sulla formazione dei sacerdoti, che si devono distinguere per l'amore personale a Cristo, la semplicità e la sobrietà di vita, la lealtà verso i loro Vescovi e la disponibilità verso coloro che sono affidati alle loro cure pastorali. Nell’Enciclica "Sacra Virginitas" poi e in altri documenti sulla vita religiosa Pio XII ha messo in chiara luce l’eccellenza del "dono" che Dio concede a certe persone invitandole a consacrarsi totalmente al servizio suo e del prossimo nella Chiesa. In tale prospettiva il Papa insiste fortemente sul ritorno al Vangelo ed all’autentico carisma dei Fondatori e delle Fondatrici dei vari Ordini e Congregazioni religiose, prospettando anche la necessità di alcune sane riforme. Numerose sono state poi le occasioni in cui Pio XII ha trattato della responsabilità dei laici nella Chiesa, profittando in particolare dei grandi Congressi internazionali dedicati a queste tematiche. Volentieri egli affrontava i problemi delle singole professioni, indicando, ad esempio, i doveri dei giudici, degli avvocati, degli operatori sociali, dei medici: a questi ultimi il Sommo Pontefice dedicò numerosi discorsi illustrando le norme deontologiche che essi devono rispettare nella loro attività. Nell’Enciclica "Miranda prorsus", poi, il Papa si soffermò sulla grande importanza dei moderni mezzi di comunicazione, che in modo sempre più incisivo andavano influenzando l’opinione pubblica. Proprio per questo il Sommo Pontefice, che valorizzò al massimo la nuova invenzione della Radio, sottolineava il dovere dei giornalisti di fornire informazioni veritiere e rispettose delle norme morali.

Anche alle scienze e agli straordinari progressi da esse compiuti Pio XII rivolse la sua attenzione. Pur ammirando le conquiste raggiunte in tali campi, il Papa non mancava di mettere in guardia dai rischi che una ricerca non attenta ai valori morali poteva comportare. Basti un solo esempio: restò famoso il discorso da lui pronunciato sulla raggiunta scissione degli atomi; con straordinaria lungimiranza, però, il Papa ammoniva circa la necessità di impedire ad ogni costo che questi geniali progressi scientifici venissero utilizzati per la costruzione di armi micidiali che avrebbero potuto provocare catastrofi immani e perfino la totale distruzione dell'umanità. Come non ricordare poi i lunghi ed ispirati discorsi concernenti l’auspicato riordinamento della società civile, nazionale ed internazionale, per il quale egli indicava come fondamento imprescindibile la giustizia, vero presupposto per una convivenza pacifica fra i popoli: "opus iustitiae pax!". Ugualmente meritevole di speciale menzione è l'insegnamento mariologico di Pio XII, che ebbe il suo culmine nella proclamazione del dogma dell'Assunzione di Maria Santissima, per mezzo del quale il Santo Padre intendeva sottolineare la dimensione escatologica della nostra esistenza ed esaltare altresì la dignità della donna.

Che dire della qualità dell’insegnamento di Pio XII? Egli era contrario alle improvvisazioni: scriveva con la massima cura ogni discorso, soppesando ogni frase ed ogni parola prima di pronunciarla in pubblico. Studiava attentamente le varie questioni ed aveva l'abitudine di chiedere consiglio ad eminenti specialisti, quando si trattava di temi che richiedevano una competenza particolare. Per natura ed indole Pio XII era un uomo misurato e realista, alieno da facili ottimismi, ma era altresì immune dal pericolo di quel pessimismo che non si addice ad un credente. Aborriva le sterili polemiche ed era profondamente diffidente nei confronti del fanatismo e del sentimentalismo.

Questi suoi atteggiamenti interiori rendono ragione del valore e della profondità, come anche dell’affidabilità del suo insegnamento, e spiegano l’adesione fiduciosa ad esso riservata non solo dai fedeli, ma anche da tante persone non appartenenti alla Chiesa. Considerando la grande ampiezza e l’alta qualità del magistero di Pio XII, viene da chiedersi come egli sia riuscito a fare tanto, pur dovendo dedicarsi ai numerosi altri compiti connessi col suo ufficio di Sommo Pontefice: il governo quotidiano della Chiesa, le nomine e le visite dei Vescovi, le visite di Capi di Stato e di diplomatici, le innumerevoli udienze concesse a persone private ed a gruppi molto diversificati.

Tutti riconoscono a Pio XII un’intelligenza non comune, una memoria di ferro, una singolare dimestichezza con le lingue straniere ed una notevole sensibilità. Si è detto che egli era un diplomatico compito, un eminente giurista, un ottimo teologo. Tutto questo è vero, ma ciò non spiega tutto. Vi era altresì in lui il continuo sforzo e la ferma volontà di donare se stesso a Dio senza risparmio e senza riguardo per la sua salute cagionevole. Questo è stato il vero movente del suo comportamento: tutto nasceva dall’amore per il suo Signore Gesù Cristo e dall’amore per la Chiesa e per l’umanità. Egli infatti era innanzitutto il sacerdote in costante ed intima unione con Dio, il sacerdote che trovava la forza per il suo immane lavoro in lunghe soste di preghiera davanti al Santissimo Sacramento, in colloquio silenzioso con il suo Creatore e Redentore. Da lì traeva origine e slancio il suo magistero, come d’altronde ogni altra sua attività.

Non deve pertanto stupire che il suo insegnamento continui anche oggi a diffondere luce nella Chiesa. Sono ormai trascorsi cinquant’anni dalla sua morte, ma il suo poliedrico e fecondo magistero resta anche per i cristiani di oggi di un valore inestimabile. Certamente la Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, è un organismo vivo e vitale, non arroccato immobilmente su ciò che era cinquant’anni fa. Ma lo sviluppo avviene nella coerenza. Per questo l’eredità del magistero di Pio XII è stata raccolta dal Concilio Vaticano II e riproposta alle generazioni cristiane successive. E’ noto che negli interventi orali e scritti presentati dai Padri del Concilio Vaticano II si riscontrano ben più di mille riferimenti al magistero di Pio XII. Non tutti i documenti del Concilio hanno un apparato di Note, ma in quei documenti che lo hanno, il nome di Pio XII ricorre oltre duecento volte. Ciò vuol dire che, fatta eccezione per la Sacra Scrittura, questo Papa è la fonte autorevole più frequentemente citata. Si sa inoltre che le note apposte a tali documenti non sono, in genere, semplici rimandi esplicativi, ma costituiscono spesso vere e proprie parti integranti dei testi conciliari; non forniscono solo giustificazioni a supporto di quanto affermato nel testo, ma ne offrono una chiave interpretativa.

Possiamo dunque ben dire che, nella persona del Sommo Pontefice Pio XII, il Signore ha fatto alla sua Chiesa un eccezionale dono, per il quale noi tutti dobbiamo esserGli grati. Rinnovo, pertanto, l’espressione del mio apprezzamento per l'importante lavoro da voi svolto nella preparazione e nello svolgimento di questo Simposio Internazionale sul Magistero di Pio XII ed auspico che si continui a riflettere sulla preziosa eredità lasciata alla Chiesa dall’immortale Pontefice, per trarne proficue applicazioni alle problematiche oggi emergenti. Con questo augurio, mentre invoco sul vostro impegno l’aiuto del Signore, di cuore imparto a ciascuno la mia Benedizione.




AI VESCOVI DELLA BOLIVIA IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Sala del Concistoro Lunedì, 10 novembre 2008

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Signor cardinale,
cari fratelli nell'episcopato,

Ho la gioia di ricevere voi, vescovi della Bolivia, che siete venuti a Roma in visita ad limina, per pregare dinanzi alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo, e per rinnovare i vincoli di unità, di amore e di pace con il Successore di Pietro (cfr Lumen gentium
LG 22). Ringrazio di cuore il signor cardinale Julio Terrazas Sandoval, arcivescovo di Santa Cruz de la Sierra e presidente della Conferenza episcopale, per le cordiali parole che mi ha rivolto a nome di tutti. Desidero innanzitutto esprimervi la mia stima e assicurarvi del mio incoraggiamento nel generoso servizio che prestate al grande compito di custodire e di alimentare la fede del popolo di Dio.

Conosco bene le difficili circostanze che da qualche tempo i fedeli e gli abitanti del vostro paese vivono e che in questo momento sembra si stiano aggravando. Sono certamente motivo di preoccupazione e di particolare sollecitudine pastorale per la Chiesa, che ha saputo restare molto vicina a tutti i boliviani in situazioni delicate, con l'unico fine di mantenere la speranza, ravvivare la fede, promuovere l'unità, esortare alla riconciliazione e salvaguardare la pace. Con i loro sforzi in quest'opera, portata avanti in maniera fraterna, unanime e coordinata, i pastori ricordano la parabola evangelica del seminatore, che sparge la semente abbondantemente e instancabilmente, senza fare calcoli anticipati sui frutti del suo lavoro che potrà reclamare per sé (cfr seg.).

Altre sfide ancora si presentano nel vostro operato quotidiano, poiché la fede piantata nella terra boliviana ha bisogno sempre di alimentarsi e di rafforzarsi, soprattutto quando si percepiscono segni di un certo indebolimento della vita cristiana dovuto a fattori di origine diversa, a una diffusa mancanza di coerenza fra la fede professata e i modelli di vita personale e sociale, o a una formazione superficiale che lascia i battezzati esposti all'influsso di promesse abbaglianti ma vuote.

Per affrontare queste sfide, la Chiesa in Bolivia dispone di uno strumento potente, cioè la devozione popolare, questo prezioso tesoro accumulato nei secoli grazie all'opera di missionari audaci e conservato, con profonda fedeltà, per generazioni nelle famiglie boliviane. È un dono che deve essere certamente custodito e promosso oggi, come so che si sta facendo con cura e dedizione, ma che richiede uno sforzo costante affinché il valore dei segni penetri nel profondo del cuore, sia sempre illuminato dalla Parola di Dio e si trasformi in salde convinzioni di fede, consolidata dai sacramenti e dalla fedeltà ai valori morali. In effetti, è necessario coltivare una fede matura e "una ferma speranza per vivere in maniera responsabile e gioiosa la fede ed irradiarla così nel proprio ambiente" (Discorso nella sessione inaugurale dei lavori della V Conferenza generale dell'Episcopato dell'America Latina e dei Caraibi, Aparecida, 13 maggio 2007).

Per ottenere ciò è necessaria una catechesi sistematica, diffusa e penetrante, che insegni chiaramente e integralmente la fede cattolica. L'Anno paolino che stiamo celebrando è un'occasione privilegiata per imitare il vigore apostolico e missionario di questo grande apostolo, che non ebbe paura al momento di annunciare in tutta la sua integrità il disegno di Dio, come dice ai pastori di Mileto (cfr Ac 20,27). Di fatto, un insegnamento parziale o incompleto del messaggio evangelico non si confà alla missione propria della Chiesa e non può essere fecondo.

Anche un'educazione generale di qualità, che comprenda la dimensione spirituale e religiosa della persona, contribuisce fortemente a dare fondamenta solide alla crescita nella fede. La Chiesa in Bolivia ha numerose istituzioni educative, alcune di grande prestigio, che devono continuare a poter contare sull'attenzione dei loro pastori affinché conservino la propria identità e siano rispettate in essa. In ogni caso, non bisogna dimenticare che "tutti i cristiani, in quanto rigenerati nell'acqua e nello Spirito Santo, sono divenuti una nuova creatura, quindi sono di nome e di fatto figli di Dio, e hanno diritto a un'educazione cristiana" (Gravissimum educationis GE 2).

Sono lieto di constatare i vostri sforzi per offrire ai seminaristi una salda formazione umana, spirituale, intellettuale e pastorale, dando loro sacerdoti idonei che li assistano nel loro discernimento vocazionale e si preoccupino della loro idoneità e competenza. Questo criterio, sempre necessario, diventa ancora più impellente nel momento attuale, incline a disperdere le informazioni e a dissipare l'interiorità profonda, dove l'essere umano ha una legge scritta da Dio (cfr Gaudium et spes GS 16). Per questo è necessario continuare ad assisterli per garantire la formazione permanente del clero, e anche degli altri agenti di pastorale, una formazione che alimenti costantemente la loro vita spirituale e impedisca che il loro lavoro diventi routine o ceda alla superficialità. Sono chiamati a mostrare ai fedeli, dalla loro prospettiva, che le parole di Gesù sono spirito e vita (cfr Jn 6,63), "altrimenti, come annuncerebbero un messaggio il cui contenuto e spirito non conoscono a fondo?" (Discorso nella sessione inaugurale, Aparecida).

Nella recente Assemblea del Sinodo dei Vescovi è stato proprio sottolineato che "compito prioritario della Chiesa, all'inizio di questo nuovo millennio, è innanzitutto nutrirsi della Parola di Dio, per rendere efficace l'impegno della nuova evangelizzazione, dell'annuncio nei nostri tempi" (Omelia nella Messa conclusiva, 26 ottobre 2008). Vi esorto quindi vivamente a far sì che nelle omelie, le catechesi e le celebrazioni nelle parrocchie e in tante piccole comunità disperse, ma con le loro significative cappelle, come si vedono nella vostra terra, la proclamazione fedele, l'ascolto e la meditazione della Scrittura siano sempre in primo piano, poiché in ciò il Popolo di Dio trova la sua ragion d'essere, la sua vocazione e la sua identità.

Dall'ascolto docile della Parola divina nasce l'amore per il prossimo e, con esso, il servizio disinteressato ai fratelli (cfr Ibidem), un aspetto particolarmente rilevante nell'azione pastorale in Bolivia, di fronte alla situazione di povertà, di emarginazione o di abbandono in cui vive buona parte della popolazione. La comunità ecclesiale ha dimostrato di avere, come il buon samaritano, un grande "cuore che vede" il fratello in difficoltà e, attraverso innumerevoli opere e progetti, va premurosamente in suo aiuto. Sa che "l'amore nella sua purezza e nella sua gratuità è la migliore testimonianza del Dio nel quale crediamo e dal quale siamo spinti ad amare" (Deus caritas est ). In tal senso è, per così dire, anche un "cuore che parla", che ha in sé la Parola che dimora nel profondo del suo essere e alla quale non può rinunciare sebbene a volte debba restare in silenzio. Così, se la fraternità con i fratelli più bisognosi ci rende discepoli eccellenti del Maestro, la particolare dedizione e preoccupazione per essi ci trasforma in missionari dell'Amore.

Al termine di questo incontro, desidero ribadirvi il mio incoraggiamento nella missione che svolgete come guide della Chiesa in Bolivia, e anche nello spirito di comunione e di concordia fra voi. Una comunione arricchita dai vincoli speciali di stretta fraternità con altre Chiese particolari, alcune in terre lontane ma che desiderano condividere con voi le gioie e le speranze dell'evangelizzazione nel paese. Trasmettete il mio saluto e la mia gratitudine ai vescovi emeriti, ai sacerdoti e ai seminaristi, ai numerosi religiosi e religiose che arricchiscono e ravvivano le vostre comunità cristiane, ai catechisti e agli altri collaboratori nel compito di portare la luce del Vangelo ai boliviani.

Affido le vostre intenzioni alla Santissima Vergine Maria, tanto venerata dal popolo boliviano in numerosi santuari mariani, e vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica.





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