Discorsi 2005-13 13118

A S.E. IL SIGNOR SANTE CANDUCCI, AMBASCIATORE DELLA REPUBBLICA DI SAN MARINO PRESSO LA SANTA SEDE Giovedì, 13 novembre 2008

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Signor Ambasciatore,

sono lieto di porgerLe il mio cordiale benvenuto, nel momento in cui ricevo dalle sue mani le Lettere commendatizie, con le quali Ella viene accreditato presso questa Sede Apostolica Ministro Straordinario e Plenipotenziario dell’antica ed illustre Repubblica di San Marino. Il mio primo e deferente pensiero va ai Serenissimi Capitani Reggenti, dei quali Ella diviene alto Rappresentante, e all’intera popolazione sammarinese, da sempre cara al Successore di Pietro. In effetti, la Repubblica del Titano, sin dal suo nascere, ha intrattenuto con la Sede Apostolica serene e proficue relazioni, ufficialmente formalizzate nel 1926, con vincoli di reciproca e rispettosa interazione. Mi è pertanto gradito rinnovare l’espressione della mia vicinanza spirituale al Popolo che Ella da oggi è deputato a rappresentare, un Popolo piccolo per l’estensione del territorio dove risiede, ma degno di ogni attenzione e rispetto per la sua storia, ricca di tradizioni culturali e religiose.

Nel salutarLa con vivo piacere, vorrei ricordare con sincera gratitudine il suo benemerito predecessore, il Prof. Giovanni Galassi, che per lunghi anni ha svolto in modo encomiabile il ruolo di Rappresentante della Repubblica di San Marino e quello di Decano del Corpo Diplomatico qui accreditato. La sensibilità, il tatto umano e la competenza che hanno contraddistinto la sua attività gli hanno attirato la stima dei suoi colleghi diplomatici, ed hanno soprattutto contribuito a intensificare le già cordiali relazioni tra la Repubblica di San Marino e la Santa Sede. Sulla medesima scia sono certo che Ella proseguirà il lavoro già avviato, perché il consolidamento di proficui reciproci rapporti, oltre a favorire il dialogo e a facilitare l’intesa fra le autorità e la comunità cattolica di San Marino, risulterà utile anche per una comune azione a favore della solidarietà e della pace in Europa e nel mondo.

Ogni Nazione ed ogni Istituzione, grande o piccola che sia, è chiamata oggi ad operare attivamente per costruire una comunità internazionale poggiante su condivisi valori umani e spirituali. A questo progetto di portata mondiale la Repubblica di San Marino non farà certo mancare il suo contributo, mettendo a disposizione di tutti l’esperienza di un passato ricco di storia e di cultura, in cui primeggia la tutela della famiglia, cellula fondamentale di ogni comunità. Quella che è conosciuta come lo Sperone del Titano è terra segnata da una peculiare identità, che si inserisce nella ricchezza culturale e spirituale della Penisola italiana. Punto qualificante di tale identità è l’antico patrimonio di valori che trae linfa in gran parte dalla fede cristiana, la quale ha impregnato la vita e la storia della gente e delle istituzioni sammarinesi. Giustamente pertanto Ella ha evocato nelle sue parole queste antiche radici, facendo riferimento anche alla visita compiuta dal mio venerato predecessore, Giovanni Paolo II, il 28 aprile 1982, tra l’entusiasmo del Popolo sammarinese. Esprimo di cuore l’auspicio che, nel solco di tali plurisecolari tradizioni culturali e spirituali, e proseguendo lo sforzo dispiegato sino ad oggi da tante persone di buona volontà, l’attuale comunità civile e religiosa di San Marino sappia scrivere insieme una nuova pagina di progresso e di civiltà, riconoscendo il ruolo indispensabile che ogni famiglia è chiamata a svolgere nella formazione delle nuove generazioni come luogo di educazione alla pace.

Valorizzare l’eredità greco-romana, arricchita dall’incontro con il cristianesimo, costituisce pertanto una indubbia opportunità offerta anche alla Repubblica di San Marino per contribuire a rendere l’Europa terra di dialogo e “casa comune” di nazioni con le loro specifiche peculiarità culturali e religiose. Sono certamente mutate le condizioni ambientali e sociali in cui noi oggi viviamo; inalterato però resta l’obbiettivo ultimo di ogni quotidiano nostro impegno personale e comunitario: la ricerca dell’autentico benessere della persona, e la costruzione di una società aperta all’accoglienza e attenta alle reali esigenze di tutti. L’insieme unitario di valori e di leggi, il comune “alfabeto” spirituale che ha reso possibile nei secoli scorsi ai nostri popoli di scrivere nobili pagine di storia civile e religiosa, rappresenta una preziosa eredità da non disperdere, un patrimonio da incrementare con l’apporto delle moderne scoperte della scienza, della tecnica e della comunicazione, poste al servizio del vero bene dell’uomo.

Signor Ambasciatore, la Santa Sede rinnova l’attestazione della sua piena disponibilità a collaborare per perseguire tali condivisi obiettivi, consapevole com’è della necessità, per una così vasta impresa, della cooperazione di tutti: a livello locale, nazionale ed internazionale, si richiede l’apporto di ognuno nel proprio ambito e con il proprio specifico compito, sempre nel reciproco rispetto e in costante dialogo. Sono queste le condizioni di quella laicità “sana” che è indispensabile per costruire una società dove convivano pacificamente tradizioni, culture e religioni diverse. Separare infatti totalmente la vita pubblica da ogni valore delle tradizioni, significherebbe introdursi in una strada cieca e senza uscita. Ecco perché è necessario ridefinire il senso di una laicità che sottolinei la vera differenza e autonomia tra le diverse componenti della società, ma che conservi anche le specifiche competenze in un contesto di comune responsabilità. Certamente questa “sana” laicità dello Stato comporta che ogni realtà temporale si regga secondo proprie norme, le quali tuttavia non devono trascurare le fondamentali istanze etiche il cui fondamento risiede nella natura stessa dell’uomo, e che, proprio per questo, rinviano in ultima analisi al Creatore. Quando la Chiesa cattolica, attraverso i suoi legittimi Pastori, fa appello al valore che taluni fondamentali principi etici, radicati nell’eredità cristiana dell’Europa, rivestono per la vita privata, ed ancor più per quella pubblica, è mossa unicamente dal desiderio di garantire e promuovere la inviolabile dignità della persona e l’autentico bene della società.

Signor Ambasciatore, ecco i sentimenti che mi sorgono spontanei nell’animo in questo momento. Mentre La ringrazio per le sue gentili parole e Le assicuro la piena disponibilità dei miei Collaboratori, formulo l’augurio che Ella possa assolvere al meglio la Sua alta missione. Ai Serenissimi Capitani Reggenti e al Popolo dell’amata Repubblica di San Marino, che Ella qui rappresenta, rinnovo con affetto il mio saluto avvalorato dalla preghiera, affinché Iddio protegga e benedica sempre tutti e ciascuno.

Dal Vaticano, 13 Novembre 2008




AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER I LAICI Sala del Concistoro Sabato, 15 novembre 2008

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Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di incontrare oggi tutti voi, Membri e Consultori del Pontificio Consiglio per i Laici, riuniti in Assemblea Plenaria. Saluto il Signor Cardinale Stanislaw Rylko e Mons. Josef Clemens, Presidente e Segretario del Dicastero, e insieme con loro gli altri Prelati presenti. Un benvenuto speciale rivolgo ai fedeli laici provenienti da diverse esperienze apostoliche e vari contesti sociali e culturali. Il tema scelto per la vostra Assemblea - "A vent’anni dalla Christifideles laici: memoria, sviluppo, nuove sfide e compiti" – ci introduce direttamente nel servizio che il vostro Dicastero è chiamato ad offrire alla Chiesa per il bene dei fedeli laici del mondo intero.

L’Esortazione apostolica Christifideles laici, definita la magna charta del laicato cattolico nel nostro tempo, è il frutto maturo delle riflessioni e degli scambi di esperienze e di proposte della VII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che ebbe luogo nel mese di ottobre del 1987 sul tema "Vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo". Si tratta di una rivisitazione organica degli insegnamenti del Concilio Vaticano II riguardanti i laici – la loro dignità di battezzati, la vocazione alla santità, l’appartenenza alla comunione ecclesiale, la partecipazione all’edificazione delle comunità cristiane e alla missione della Chiesa, la testimonianza in tutti gli ambienti sociali e l’impegno a servizio della persona per la sua crescita integrale e per il bene comune della società –, temi presenti soprattutto nelle Costituzioni Lumen gentium e Gaudium et spes, come anche nel Decreto Apostolicam actuositatem.

Mentre riprende gli insegnamenti del Concilio, la Christifideles laici orienta il discernimento, l’approfondimento e l’orientamento dell’impegno laicale nella Chiesa fronte ai mutamenti sociali di questi anni. Si è sviluppata in molte Chiese particolari la partecipazione dei laici grazie ai consigli pastorali, diocesani e parrocchiali, rivelandosi molto positiva in quando animata da un autentico sensus Ecclesiae. La viva consapevolezza della dimensione carismatica della Chiesa ha portato ad apprezzare e valorizzare sia i carismi più semplici che la Provvidenza di Dio dispensa alle persone, sia quelli che apportano grande fecondità spirituale, educativa e missionaria. Non a caso, il Documento riconosce e incoraggia la "nuova stagione aggregativa dei fedeli laici", segno della "ricchezza e della versatilità delle risorse che lo Spirito alimenta nel tessuto ecclesiale" (n. 29), indicando quei "criteri di ecclesialità" che sono necessari, da una parte, al discernimento dei Pastori e, dall’altra, alla crescita della vita delle associazioni di fedeli, dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità. A questo riguardo desidero ringraziare il Pontificio Consiglio per i Laici, in modo tutto speciale, per il lavoro compiuto durante gli scorsi decenni nell’accogliere, accompagnare, discernere, riconoscere e incoraggiare queste realtà ecclesiali, favorendo l’approfondimento della loro identità cattolica, aiutandole a inserirsi più pienamente nella grande tradizione e nel tessuto vivo della Chiesa, e assecondando il loro sviluppo missionario.

Parlare del laicato cattolico significa riferirsi a innumerevoli persone battezzate, impegnate in molteplici e svariate situazioni per crescere come discepoli e testimoni del Signore e riscoprire e sperimentare la bellezza della verità e la gioia di essere cristiani. L’attuale condizione culturale e sociale rende ancora più urgente questa azione apostolica per condividere a piene mani il tesoro di grazia e di santità, di carità, dottrina, cultura e opere, di cui è composto il flusso della tradizione cattolica. Le nuove generazioni sono non solo destinatarie preferenziali di questa trasmissione e condivisione, ma anche soggetti che attendono nel proprio cuore proposte di verità e di felicità per poterne rendere testimonianza cristiana, come già accade in modo mirabile. Ne sono stato, io stesso, nuovamente testimone a Sydney, nella recente Giornata Mondiale della Gioventù. E perciò incoraggio il Pontificio Consiglio per i Laici a proseguire l’opera di questo provvidenziale pellegrinaggio globale dei giovani nel nome di Cristo, e ad adoperarsi per la promozione, ovunque, di un’autentica educazione e pastorale giovanile.

Conosco anche il vostro impegno in merito a questioni di speciale rilevanza, com’è quella della dignità e partecipazione delle donne nella vita della Chiesa e della società. Ho avuto già occasione di apprezzare il Convegno da voi promosso a vent’anni dalla promulgazione della Lettera apostolica Mulieris dignitatem, sul tema "Donna e uomo, l’humanum nella sua interezza". L’uomo e la donna, uguali in dignità, sono chiamati ad arricchirsi vicendevolmente in comunione e collaborazione, non solo nel matrimonio e nella famiglia, ma anche nella società in tutte le sue dimensioni. Alle donne cristiane si richiedono consapevolezza e coraggio per affrontare compiti esigenti, per i quali tuttavia non manca loro il sostegno di una spiccata propensione alla santità, di una speciale acutezza nel discernimento delle correnti culturali del nostro tempo, e della particolare passione nella cura dell’umano che le caratterizza. Mai si dirà abbastanza di quanto la Chiesa riconosca, apprezzi e valorizzi la partecipazione delle donne alla sua missione di servizio alla diffusione del Vangelo.

Permettetemi, cari amici, un’ultima riflessione riguardante l’indole secolare che è caratteristica dei fedeli laici. Il mondo, nella trama della vita familiare, lavorativa, sociale, è luogo teologico, ambito e mezzo di realizzazione della loro vocazione e missione (cfr Christifideles laici
CL 15-17). Ogni ambiente, circostanza e attività in cui ci si attende che possa risplendere l’unità tra la fede e la vita è affidato alla responsabilità dei fedeli laici, mossi dal desiderio di comunicare il dono dell’incontro con Cristo e la certezza della dignità della persona umana. Ad essi spetta di farsi carico della testimonianza della carità specialmente con i più poveri, sofferenti e bisognosi, come anche di assumere ogni impegno cristiano volto a costruire condizioni di sempre maggiore giustizia e pace nella convivenza umana, così da aprire nuove frontiere al Vangelo! Chiedo dunque al Pontificio Consiglio per i Laici di seguire con diligente cura pastorale la formazione, la testimonianza e la collaborazione dei fedeli laici nelle più diverse situazioni in cui sono in gioco l’autentica qualità umana della vita nella società. In particolar modo, ribadisco la necessità e l’urgenza della formazione evangelica e dell’accompagnamento pastorale di una nuova generazione di cattolici impegnati nella politica, che siano coerenti con la fede professata, che abbiano rigore morale, capacità di giudizio culturale, competenza professionale e passione di servizio per il bene comune.

Il lavoro nella grande vigna del Signore ha bisogno di christifideles laici che, come la Santissima Vergine Maria, dicano e vivano il "fiat" al disegno di Dio nella loro vita. Con questa prospettiva, vi ringrazio dunque del prezioso vostro apporto a così nobile causa e di cuore imparto a voi e ai vostri cari la Benedizione Apostolica.





AI PARTECIPANTI ALLA XXIII CONFERENZA INTERNAZIONALE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER GLI OPERATORI SANITARI (PER LA PASTORALE DELLA SALUTE) Sala Clementina Sabato, 15 novembre 2008

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Signor Cardinale,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
illustri Professori,
cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di incontrarvi, in occasione dell’annuale Conferenza Internazionale organizzata del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, giunta alla sua 23.ma edizione. Saluto cordialmente il Cardinale Javier Lozano Barragán, Presidente del Dicastero, e lo ringrazio per le cortesi parole che mi ha rivolto a nome vostro. Estendo la mia riconoscenza al Segretario, ai collaboratori di codesto Pontificio Consiglio, ai relatori, alle autorità accademiche, alle personalità, ai responsabili degli Istituti di cura, agli operatori sanitari e a coloro che hanno offerto la loro collaborazione partecipando in vario modo alla realizzazione del Convegno, che quest’anno ha come tema: "La pastorale nella cura dei bambini malati". Sono certo che questi giorni di riflessione e confronto su un tema tanto attuale contribuiranno a sensibilizzare la pubblica opinione sul dovere di riservare ai bambini tutte le attenzioni necessarie per il loro armonico sviluppo fisico e spirituale. Se questo vale per tutti i bambini, ancor più ha valore per quelli ammalati e bisognosi di cure mediche speciali.

Il tema della vostra Conferenza, che oggi si chiude, grazie all’apporto di esperti di fama mondiale, e di persone direttamente a contatto con l’infanzia in difficoltà, vi ha permesso di evidenziare la situazione difficile in cui continua a trovarsi un numero assai considerevole di bambini in vaste regioni della terra, e di prospettare quali siano gli interventi necessari, anzi urgenti, per venire in loro aiuto. Notevoli certamente sono stati i progressi della medicina negli ultimi cinquant’anni: essi hanno portato a una considerevole riduzione della mortalità infantile, anche se resta ancora molto da fare in questa prospettiva. Basti ricordare, come voi avete fatto notare, che ogni anno muoiono 4 milioni di neonati con meno di 26 giorni di vita.

In questo contesto, la cura del bambino malato rappresenta un argomento che non può non suscitare l’attento interesse di quanti si dedicano alla pastorale della salute. Un’accurata analisi dell’attuale stato delle cose è indispensabile per intraprendere, o continuare, una decisa azione tesa a prevenire per quanto possibile le malattie e, quando esse sono in atto, a curare i piccoli ammalati mediante i più moderni ritrovati della scienza medica, come pure a promuovere migliori condizioni igienico-sanitarie soprattutto nei Paesi meno fortunati. La sfida è oggi scongiurare l’insorgenza di non poche patologie una volta tipiche dell’infanzia e, complessivamente, favorire la crescita, lo sviluppo e il mantenimento di un conveniente stato di salute per tutti i bambini.

In questa vasta azione sono tutti coinvolti: famiglie, medici e operatori sociali e sanitari. La ricerca medica si trova talora di fronte a scelte difficili quando si tratta, ad esempio, di raggiungere un giusto equilibrio tra insistenza e desistenza terapeutica per assicurare quei trattamenti adeguati ai reali bisogni dei piccoli pazienti, senza cedere alla tentazione dello sperimentalismo. Non è superfluo ricordare che al centro di ogni intervento medico deve esserci sempre il conseguimento del vero bene del bambino, considerato nella sua dignità di soggetto umano con pieni diritti. Di lui pertanto occorre prendersi cura sempre con amore, per aiutarlo ad affrontare la sofferenza e la malattia, anche prima della nascita, nella misura adeguata alla sua situazione.

Tenendo poi conto dell’impatto emotivo, dovuto alla malattia e ai trattamenti a cui il bambino viene sottoposto, che non raramente risultano particolarmente invasivi, è importante assicurargli una comunicazione costante con i familiari. Se gli operatori sanitari, medici e infermieri, sentono il peso della sofferenza dei piccoli pazienti che assistono, si può ben immaginare quanto più forte sia il dolore vissuto dai genitori! L’aspetto sanitario e quello umano non vanno mai dissociati, ed ogni struttura assistenziale e sanitaria, soprattutto se animata da genuino spirito cristiano, ha il dovere di offrire il meglio della competenza e dell’umanità. Il malato, in modo speciale il bambino, comprende particolarmente il linguaggio della tenerezza e dell’amore, espresso attraverso un servizio premuroso, paziente e generoso, animato nei credenti dal desiderio di manifestare la stessa predilezione che Gesù nutriva per i piccoli.

"Maxima debetur puero reverentia" (Giovenale, Satira XIV, v. 479): già gli antichi riconoscevano l’importanza di rispettare il bambino, dono e bene prezioso per la società, al quale va riconosciuta quella dignità umana, che pienamente possiede già da quando, non ancora nato, si trova nel grembo materno. Ogni essere umano ha valore in se stesso, perché creato ad immagine di Dio, ai cui occhi è tanto più prezioso, quanto più appare debole allo sguardo dell’uomo. Con quanto amore va allora accolto anche un bambino non ancora nato e già affetto da patologie mediche! "Sinite parvulos venire ad me": dice Gesù nel Vangelo (cfr
Mc 10,14), mostrandoci quale debba essere l’atteggiamento di rispetto e di accoglienza con cui accudire ogni fanciullo, specialmente quando è debole e in difficoltà, quando soffre ed è indifeso. Penso soprattutto ai piccoli orfani o abbandonati a causa della miseria e della disgregazione familiare; penso ai fanciulli vittime innocenti dell’AIDS o della guerra e dei tanti conflitti armati in atto in diverse parti del mondo; penso all’infanzia che muore a causa della miseria, della siccità e della fame. La Chiesa non dimentica questi suoi figli più piccoli e se, da un lato, plaude alle iniziative delle Nazioni più ricche per migliorare le condizioni del loro sviluppo, dall’altro, avverte con forza il dovere di invitare a prestare un’attenzione maggiore a questi nostri fratelli, perché grazie alla nostra corale solidarietà possano guardare alla vita con fiducia e speranza.

Cari fratelli e sorelle, mentre formulo l’auspicio che tante condizioni di squilibrio, ancora esistenti, vengano al più presto sanate con interventi risolutivi a favore di questi nostri fratelli più piccoli, esprimo vivo apprezzamento per coloro che impegnano energie personali e risorse materiali al loro servizio. Con particolare riconoscenza penso al nostro Ospedale del Bambin Gesù ed alle numerose associazioni ed istituzioni socio-sanitarie cattoliche, le quali, seguendo l’esempio di Gesù Cristo Buon Samaritano, e animate dalla sua carità, prestano sostegno e sollievo umano, morale e spirituale a tanti bambini sofferenti, amati da Dio con singolare predilezione. La Vergine Santa, Madre di ogni uomo, vegli sui fanciulli malati e protegga quanti si prodigano nel curarli con premura umana e spirito evangelico. Con tali sentimenti, esprimendo sincero apprezzamento per il lavoro di sensibilizzazione compiuto in questa Conferenza internazionale, assicuro un costante ricordo nella preghiera ed imparto a tutti la Benedizione Apostolica.




A S.E. IL SIGNOR GEORGES CHAKIB EL KHOURY, AMBASCIATORE DELLA REPUBBLICA LIBANESE PRESSO LA SANTA SEDE Lunedì 17 novembre 2008

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Signor Ambasciatore,

Sono lieto di accoglierla mentre presenta le lettere che l'accreditano come ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica Libanese presso la Santa Sede. La ringrazio per le sue gentile parole e anche per i saluti cordiali che mi ha trasmesso da parte di Sua Eccellenza il signor Michel Sleiman, presidente della Repubblica, che ho avuto la gioia di ricevere in Vaticano poco tempo fa. Voglia in cambio ringraziarlo e ribadire i sentimenti di affetto e di fiducia che nutro per tutto il popolo libanese, auspicando che prosegua coraggiosamente nei suoi sforzi per costruire una società unita e solidale.

Come lei ha sottolineato, signor ambasciatore, il Libano è la culla di una cultura antica che si è irradiata in tutto il Mediterraneo e oltre, e anche il Paese di numerose confessioni religiose che hanno saputo dimostrare di poter vivere insieme nella fraternità e nella collaborazione. Ricco della sua diversità, il popolo libanese nutre un amore profondo per la sua terra, la sua cultura e le sue tradizioni, pur restando fedele alla sua vocazione di apertura universale. Questa storia millenaria del vostro Paese e la sua posizione al centro di un contesto regionale complesso, gli conferisce come missione fondamentale quella di contribuire alla pace e alla concordia fra tutti.

Con la sua esperienza di vita e di collaborazione intercomunitaria e interculturale, il Libano è un "tesoro" affidato a tutti i libanesi. È dunque loro dovere custodirlo e farlo fruttificare per il bene dell'intera Nazione. Allo stesso modo, auspico che la Comunità internazionale lo protegga e lo valorizzi e che, con il suo impegno effettivo, contribuisca a evitare di fare di questo Paese un terreno di scontro per conflitti regionali e internazionali. Il Libano dovrebbe così essere un laboratorio per la ricerca di soluzioni efficaci ai conflitti che agitano la regione del Medio Oriente da così lungo tempo.

In questa prospettiva, mi rallegro vivamente degli sforzi coraggiosi compiuti negli ultimi mesi da tutto il Paese e dai suoi responsabili per riportare al normale funzionamento la vita politica e tutte le istituzioni nazionali, grazie ai pazienti sforzi di tutti. L'elezione del presidente della Repubblica, la formazione di un governo di unità nazionale e l'approvazione di una nuova legge elettorale non possono che favorire l'unità nazionale e contribuire a un'autentica coesistenza fra le diverse componenti della nazione. Inoltre il "dialogo nazionale", in corso da alcune settimane, sarà certamente l'occasione per chiarire le sfide che il Paese deve raccogliere oggi e definire gli impegni necessari per affrontarle. Auspico dunque che, mettendo da parte gli interessi particolari e curando le ferite del passato, tutti s'impegnino effettivamente lungo il cammino del dialogo e della riconciliazione, per permettere al paese di progredire nella stabilità.

Tuttavia, le tensioni che, purtroppo, sono ancora presenti, mostrano che è necessario procedere con decisione lungo il cammino aperto alcuni mesi fa dagli Accordi di Doha, per costruire insieme le istituzioni libanesi. L'atteggiamento fondamentale che deve guidare ogni persona in questo impegno al servizio del bene comune deve restare immutato: che ogni componente del popolo libanese si senta veramente a casa propria in Libano e veda che le sue preoccupazioni e le sue aspettative legittime sono effettivamente prese in considerazione, nel rispetto dei diritti degli altri. Per questo, si deve promuovere e sviluppare una vera educazione delle coscienze alla pace, alla riconciliazione e al dialogo, in particolare per le giovani generazioni. Come ha scritto il mio venerato predecessore Papa Giovanni Paolo II: "Non bisogna mai dimenticare che un gesto di pace può disarmare l'avversario e spesso lo invita a rispondere positivamente con la mano tesa, poiché la pace, che è un bene per eccellenza, tende a comunicarsi" (Esortazione apostolica, Una speranza nuova per il Libano, n. 98). Questa pace duratura, che è un'aspirazione profonda di tutti i libanesi, è possibile nella misura in cui prevale in tutti un'autentica volontà di vivere insieme nella stessa terra, e di considerare la giustizia, la riconciliazione e il dialogo come il contesto propizio per risolvere i problemi delle persone e dei gruppi. Per edificare una società che assicuri a tutti i suoi membri un'esistenza degna e libera, è necessario sviluppare una cooperazione sempre più profonda fra tutte le componenti della nazione, fondata su relazioni fiduciose fra le persone e fra le comunità.

Signor ambasciatore, in questa importante fase che il suo Paese sta vivendo, la Santa Sede continua a seguire con grande attenzione gli sviluppi della situazione e nutre un interesse particolare per gli sforzi compiuti per risolvere definitivamente le questioni a cui il Libano deve far fronte.

Particolarmente sensibile alle sofferenze che da così tanto tempo le popolazioni del Medio Oriente conoscono, la Santa Sede prosegue con determinazione nel suo impegno a favore della pace e della riconciliazione nel Libano e in tutta questa regione tanto cara al cuore dei credenti.

Al termine di questo incontro, mi permetta, signor ambasciatore, di salutare calorosamente per mezzo di lei i vescovi e le comunità cattoliche del Libano. Nella scia della recente beatificazione a Beirut di padre Jacques Haddad, Abouna Yaacoub, apostolo della misericordia e ardente predicatore della Parola di Dio, invito i cattolici a essere fra i loro concittadini, in comunione profonda con i loro pastori, artefici ardenti di unità e di fraternità. Che questo intenso momento che ha unito libanesi di ogni origine e sensibilità religiosa, nel riconoscimento della personalità piena di saggezza e dell'opera ammirevole di uno di loro, si prolunghi in un impegno comune al servizio della pace e dell'unità della nazione!

Signor ambasciatore, lei inaugura oggi la nobile missione di rappresentare il Libano presso la Santa Sede e di mantenere le eccellenti relazioni che uniscono il suo Paese alla Sede Apostolica. Voglia accettare gli auguri più cordiali che formulo per il suo felice esito e sia certo di trovare sempre fra i miei collaboratori la comprensione e il sostegno necessari!

Su di lei, sulla sua famiglia, sui collaboratori dell'ambasciata, su tutti i libanesi e sui dirigenti del suo Paese, invoco di tutto cuore l'abbondanza delle Benedizioni Divine.




AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DELLA CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA Sala Clementina Giovedì, 20 novembre 2008

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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Con gioia vi incontro in occasione della Plenaria della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, che celebra i suoi cento anni di vita e di attività. E’ passato infatti un secolo da quando il mio venerato predecessore San Pio X, con la Costituzione apostolica Sapienti Consilio,del 29 giugno 1908, rese autonomo il vostro Dicastero come Congregatio negotiis religiosorum sodalium praeposita, denominazione successivamente modificata più volte. Per ricordare questo evento avete programmato, il 22 novembre prossimo, un Congresso dal significativo titolo “Cento anni al servizio della vita consacrata”; auguro perciò pieno successo all’opportuna iniziativa.

L’odierno incontro è per me occasione quanto mai propizia per salutare e ringraziare tutti coloro che lavorano nel vostro Dicastero. Saluto in primo luogo, il Prefetto, Cardinale Franc Rodé, a cui sono grato anche per essersi fatto interprete dei comuni sentimenti. Insieme con lui saluto i Membri del Dicastero, il Segretario, i Sotto-Segretari e gli altri Officiali che, con mansioni diverse, prestano il loro quotidiano servizio con competenza e sapienza, per “promuovere e regolare” la pratica dei consigli evangelici nelle varie forme di vita consacrata, come anche l’attività delle Società di vita apostolica (cfr Cost. ap. Pastor bonus, n. 105). I consacrati costituiscono una eletta porzione del Popolo di Dio: sostenerne e custodirne la fedeltà alla divina chiamata, carissimi fratelli e sorelle, è il fondamentale impegno che svolgete secondo modalità ormai ben collaudate grazie all’esperienza accumulata in questi cento anni di attività. Questo servizio della Congregazione è stato ancor più assiduo nei decenni successivi al Concilio Vaticano II, che hanno visto lo sforzo di rinnovamento, sia nella vita che nella legislazione, di tutti gli Istituti religiosi e secolari e delle Società di vita apostolica. Mentre, pertanto, mi unisco a voi nel rendere grazie a Dio, datore di ogni bene, per i buoni frutti prodotti in questi anni dal vostro Dicastero, ricordo con pensiero riconoscente tutti coloro che nel corso di questo secolo di attività hanno profuso le loro energie a beneficio dei consacrati e delle consacrate.

La Plenaria della vostra Congregazione ha focalizzato quest’anno la sua attenzione su un tema che mi è particolarmente caro: il monachesimo, forma vitae che si è sempre ispirata alla Chiesa nascente, generata dalla Pentecoste (cfr
Ac 2,42-47 Ac 4,32-35). Dalle conclusioni dei vostri lavori, incentrati specialmente sulla vita monastica femminile, potranno scaturire indicazioni utili a quanti, monaci e monache, “cercano Dio”, realizzando questa loro vocazione per il bene di tutta la Chiesa. Anche recentemente (cfr Discorso al mondo della cultura, Parigi, 12 settembre 2008) ho voluto evidenziare l’esemplarità della vita monastica nella storia, sottolineando come il suo scopo sia semplice ed insieme essenziale: quaerere Deum, cercare Dio e cercarlo attraverso Gesù Cristo che lo ha rivelato (cfr Jn 1,18), cercarlo fissando lo sguardo sulle realtà invisibili che sono eterne (cfr 2Co 4,18), nell’attesa della manifestazione gloriosa del Salvatore (cfr Tt 2,13).

Christo omnino nihil praeponere (cfr RB 72,11; Agostino, Enarr. in Ps 29,9 Cipriano, Ad Fort Ps 4). Questa espressione, che la Regola di san Benedetto riprende dalla tradizione precedente, esprime bene il tesoro prezioso della vita monastica praticata fino ad oggi sia nell’occidente che nell’oriente cristiano. E’ un invito pressante a plasmare la vita monastica fino a renderla memoria evangelica della Chiesa e, quando è autenticamente vissuta, “esemplarità di vita battesimale” (cfr Giovanni Paolo II, Orientale lumen 9). In virtù del primato assoluto riservato a Cristo, i monasteri sono chiamati a essere luoghi in cui si fa spazio alla celebrazione della gloria di Dio, si adora e si canta la misteriosa ma reale presenza divina nel mondo, si cerca di vivere il comandamento nuovo dell’amore e del servizio reciproco, preparando così la finale “manifestazione dei figli di Dio” (Rm 8,19). Quando i monaci vivono il Vangelo in modo radicale, quando coloro che sono dediti alla vita integralmente contemplativa coltivano in profondità l’unione sponsale con Cristo, su cui si è ampiamente soffermata l’Istruzione di codesta Congregazione “Verbi Sponsa” (13.V.1999), il monachesimo può costituire per tutte le forme di vita religiosa e di consacrazione una memoria di ciò che è essenziale e ha il primato in ogni vita battesimale: cercare Cristo e nulla anteporre al suo amore.

La via additata da Dio per questa ricerca e per questo amore è la sua stessa Parola, che nei libri delle Sacre Scritture si offre con dovizia alla riflessione degli uomini. Desiderio di Dio e amore per la sua Parola si alimentano pertanto reciprocamente e generano nella vita monastica l’esigenza insopprimibile dell’opus Dei, dello studium orationis e della lectio divina, che è ascolto della Parola di Dio, accompagnata dalle grandi voci della tradizione dei Padri e dei Santi, e poi preghiera orientata e sostenuta da questa Parola. La recente Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi, celebrata a Roma il mese scorso sul tema: La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, rinnovando l’appello a tutti i cristiani a radicare la loro esistenza nell’ascolto della Parola di Dio contenuta nelle Sacre Scritture, ha invitato specialmente le comunità religiose e ogni uomo e donna consacrati a fare della Parola di Dio il cibo quotidiano, in particolare attraverso la pratica della lectio divina (cfr Elenchus praepositionum n. 4).

Cari fratelli e sorelle, chi entra in monastero vi cerca un’oasi spirituale dove apprendere a vivere da veri discepoli di Gesù in serena e perseverante comunione fraterna, accogliendo pure eventuali ospiti come Cristo stesso (cfr RB 53,1). E’ questa la testimonianza che la Chiesa chiede al monachesimo anche in questo nostro tempo. Invochiamo Maria, la Madre del Signore, la “donna dell’ascolto”, che nulla antepose all’amore del Figlio di Dio da lei nato, perché aiuti le comunità di vita consacrata e specialmente quelle monastiche ed essere fedeli alla loro vocazione e missione. Possano i monasteri essere sempre più oasi di vita ascetica, dove si avverte il fascino dell’unione sponsale con Cristo e dove la scelta dell’Assoluto di Dio è avvolta da un costante clima di silenzio e di contemplazione. Mentre per questo assicuro la mia preghiera, di cuore imparto la Benedizione Apostolica a tutti voi che partecipate alla Plenaria, a quanti operano nel vostro Dicastero e ai membri dei vari Istituti di vita consacrata, specialmente a quelli di vita integralmente contemplativa. Il Signore effonda su ciascuno l’abbondanza delle sue consolazioni.





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