Discorsi 2005-13 5228

AI MEMBRI DELLA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE Sala dei Papi Venerdì, 5 dicembre 2008

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Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Illustri Professori,
cari Collaboratori,

è con vera gioia che vi accolgo al termine dei lavori della Vostra annuale Sessione Plenaria, che, questa volta, coincide anche con la conclusione del settimo quinquennio dalla creazione della Commissione Teologica Internazionale. Desidero innanzitutto esprimere un sentito ringraziamento per le parole di omaggio che, a nome di tutti, Mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer, in qualità di Segretario Generale della Commissione Teologica Internazionale, ha voluto rivolgermi nell’indirizzo di saluto. Il mio ringraziamento si allarga, poi, a tutti Voi che, nel corso del quinquennio, avete speso le vostre energie in un lavoro veramente prezioso per la Chiesa e per colui che il Signore ha chiamato a svolgere il ministero di Successore di Pietro.

Di fatto, i lavori di questo settimo “quinquennio” della Commissione Teologica Internazionale hanno dato già un frutto concreto, come Mons. Ladaria Ferrer ha ricordato, con la pubblicazione del documento “La speranza della salvezza per i bambini che muoiono senza battesimo”, e si apprestano a raggiungere un altro importante traguardo con il documento “Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale”, che deve essere ancora sottoposto agli ultimi passi previsti dalle Norme degli Statuti della Commissione, prima della definitiva approvazione. Come ho avuto modo già in precedenti occasioni di affermare, ribadisco la necessità e l’urgenza, nel contesto odierno, di creare nella cultura e nella società civile e politica le condizioni indispensabili per una piena consapevolezza del valore irrinunciabile della legge morale naturale. Anche grazie allo studio che Voi avete intrapreso su questo argomento fondamentale, risulterà chiaro che la legge naturale costituisce la vera garanzia offerta ad ognuno per vivere libero e rispettato nella sua dignità di persona, e per sentirsi difeso da qualsivoglia manipolazione ideologica e da ogni sopruso perpetrato in base alla legge del più forte. Sappiamo tutti bene che in un mondo formato dalle scienze naturali il concetto metafisico della legge naturale è quasi assente, incomprensibile. Tanto più, vedendo questa sua fondamentale importanza per le nostre società, per la vita umana, è necessario che sia di nuovo riproposto e reso comprensibile nel contesto del nostro pensiero questo concetto: il fatto, cioè, che l'essere stesso porta in sé un messaggio morale e un'indicazione per le strade del diritto.

Riguardo poi al terzo tema, Senso e metodo della Teologia, che è stato in questo quinquennio Vostro particolare oggetto di studio, mi preme sottolineare la sua rilevanza e attualità. In una “società planetaria” com’è quella che oggi va formandosi, ai teologi viene chiesto dall’opinione pubblica soprattutto di promuovere il dialogo tra le religioni e le culture, di contribuire allo sviluppo di un’etica che abbia come proprie coordinate di fondo la pace, la giustizia, la difesa dell’ambiente naturale. E si tratta realmente di beni fondamentali. Ma una teologia limitata a questi obiettivi nobili perderebbe non solo la sua propria identità, ma il fondamento stesso di questi beni. La prima priorità della teologia, come indica già il suo nome, è parlare di Dio, pensare Dio. E la teologia parla di Dio non come di una ipotesi del nostro pensiero. Parla di Dio perché Dio stesso ha parlato con noi. Il vero lavoro della teologia è entrare nella parola di Dio, cercare di capirla per quanto possibile e di farla capire al nostro mondo, e trovare così le risposte alle nostre grandi domande. In questo lavoro appare anche che la fede non solo non è contraria alla ragione, ma apre gli occhi della ragione, allarga il nostro orizzonte e ci permette di trovare le risposte necessarie alle sfide dei diversi tempi.

Dal punto di vista oggettivo, la verità è la Rivelazione di Dio in Cristo Gesù, che richiede come risposta l’obbedienza della fede in comunione con la Chiesa e il suo Magistero. Recuperata così l’identità della teologia, intesa come riflessione argomentata, sistematica e metodica sulla Rivelazione e sulla fede, anche la questione del metodo viene illuminata. Il metodo in teologia non potrà costituirsi solo in base ai criteri e alle norme comuni alle altre scienze, ma dovrà osservare innanzitutto i principi e le norme che derivano dalla Rivelazione e dalla fede, dal fatto che Dio ha parlato.

Dal punto di vista soggettivo, cioè dal punto di vista di colui che fa teologia, la virtù fondamentale del teologo è di cercare l’obbedienza alla fede, l'umiltà della fede che apre i nostri occhi: questa umiltà che rende il teologo collaboratore della verità. In questo modo non accadrà che egli parli di se stesso; interiormente purificato dall’obbedienza alla verità, arriverà invece a far sì che la Verità stessa, che il Signore possa parlare tramite il teologo e la teologia. Al tempo stesso otterrà che, per suo tramite, la verità possa essere portata al mondo.

D’altra parte, l’obbedienza alla verità non significa rinuncia alla ricerca e alla fatica del pensare; al contrario, l’inquietudine del pensiero, che indubbiamente non potrà mai essere nella vita dei credenti del tutto placata, dal momento che sono anch’essi nel cammino della ricerca e dell’approfondimento della Verità, sarà tuttavia un’inquietudine che li accompagna e li stimola nel pellegrinaggio del pensiero verso Dio, e risulterà così feconda. Auspico pertanto che la Vostra riflessione su queste tematiche giunga a riportare alla luce gli autentici principi e il significato solido della vera teologia, così da percepire e comprendere sempre meglio le risposte che la Parola di Dio ci offre e senza le quali non possiamo vivere in modo sapiente e giusto, perché solo così si apre l'orizzonte universale, infinito della verità.

Il mio grazie per il vostro impegno e la vostra opera nella Commissione Teologica Internazionale durante questo quinquennio è quindi, nello stesso tempo, un augurio cordiale per il lavoro futuro di questo importante organismo a servizio della Sede Apostolica e della Chiesa intera. Nel rinnovare l’espressione di sentimenti di soddisfazione, di affetto e di gioia per l’odierno incontro, invoco dal Signore, per intercessione della Vergine Santissima, copiosi lumi celesti sul Vostro lavoro e di cuore Vi imparto una speciale Benedizione Apostolica, estensibile alle persone care.




AI MEMBRI DELL'ORDINE EQUESTRE DEL SANTO SEPOLCRO DI GERUSALEMME Sala Clementina Venerdì, 5 dicembre 2008

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Signor Cardinale,
Venerati fratelli nell’Episcopato,
Signori membri del Gran Magistero e Luogotenenti,
cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di accogliere e dare il mio cordiale benvenuto ai Cavalieri, alle Dame ed agli Ecclesiastici che rappresentano l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. In particolare, saluto il Signor Cardinale John Patrick Foley, Gran Maestro dell’Ordine, e lo ringrazio per le gentili parole che, anche a nome di tutti Voi, mi ha poc’anzi indirizzato. Saluto altresì il Gran Priore, Sua Beatitudine Fouad Twal, Patriarca di Gerusalemme dei Latini. Attraverso ciascuno di Voi desidero, inoltre, far giungere l’espressione della mia stima e riconoscenza a tutti i componenti del vostro benemerito Sodalizio diffuso in molte parti del mondo.

Il motivo che Vi vede riuniti qui a Roma è la “consulta mondiale”, che ogni cinque anni prevede l’incontro dei luogotenenti, dei delegati magisteriali e dei membri del gran magistero per valutare la situazione della comunità cattolica in Terra Santa, le attività svolte dall’Ordine e stabilire le direttive per il futuro. Nel ringraziarVi per la vostra visita, desidero manifestare il mio vivo apprezzamento specialmente per le iniziative di solidarietà fraterna che l’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme da tanti anni continua a promuovere in favore dei Luoghi Santi. Nato infatti quale “Guardia d'onore” per la custodia del Santo Sepolcro di Nostro Signore, il vostro Ordine Equestre ha goduto di una singolare attenzione da parte dei Romani Pontefici, i quali lo hanno dotato degli strumenti spirituali e giuridici necessari per assolvere il proprio specifico servizio. Il Beato Pio IX nel 1847 lo ricostituì per favorire il ricomporsi di una Comunità di fede cattolica in Terra Santa, affidando la custodia della Tomba di Cristo non più alla forza delle armi, ma al valore di una costante testimonianza di fede e di carità verso i cristiani residenti in quelle terre. Più recentemente, il Servo di Dio Pio XII, di venerata memoria, conferì al vostro Sodalizio personalità giuridica, rendendone così più ufficiale e solida la presenza e l’opera all’interno della Chiesa e al cospetto delle Nazioni.

Cari fratelli e sorelle, un vincolo antico e glorioso lega il vostro Sodalizio cavalleresco al Santo Sepolcro di Cristo, dove viene celebrata in maniera tutta particolare la gloria della sua morte e della sua risurrezione. Proprio questo costituisce il fulcro centrale della vostra spiritualità. Gesù Cristo crocifisso e risorto sia dunque il centro della vostra esistenza e di ogni vostro progetto e programma personale ed associativo. LasciateVi guidare e sostenere dalla sua potenza redentrice per vivere in profondità la missione che siete chiamati a svolgere, per offrire una eloquente testimonianza evangelica, per essere costruttori, nel nostro tempo, di una speranza fattiva fondata sulla presenza del Signore risorto, il quale, con la grazia dello Spirito Santo, guida e sostiene le fatiche di quanti si dedicano all'edificazione di una nuova umanità ispirata ai valori evangelici della giustizia, dell'amore e della pace.

Quanto ha bisogno di giustizia e di pace la Terra di Gesù! Continuate a lavorare per questo, e non stancateVi di domandare, con la Preghiera del cavaliere e della dama del Santo Sepolcro, che quanto prima queste aspirazioni trovino pieno compimento. Domandate al Signore che Vi “renda convinti e sinceri ambasciatori di pace e di amore fra i fratelli”; chiedeteGli di fecondare con la potenza del suo amore la vostra costante opera a sostegno dell’ardente desiderio di pace di quelle comunità, appesantite negli ultimi anni da un clima incerto e pericoloso. A quelle care popolazioni cristiane, che continuano a soffrire a causa della crisi politica, economica e sociale del Medio Oriente, resa ancor più pesante con l’aggravarsi della situazione mondiale, rivolgo un affettuoso pensiero, riservando una particolare attestazione di vicinanza spirituale ai molti nostri fratelli nella fede che sono costretti ad emigrare. Come non condividere la pena di quelle comunità tanto provate? Come non ringraziare, al tempo stesso, Voi che Vi state adoperando generosamente per venire in loro aiuto? In questi giorni d’Avvento, mentre ci prepariamo a festeggiare il Natale, lo sguardo della nostra fede si dirige verso Betlemme, dove il Figlio di Dio è nato in una povera grotta. L’occhio del cuore si volge poi a tutti gli altri luoghi santificati dal passaggio del Redentore. A Maria, che ha dato al mondo il Salvatore, domandiamo di far sentire la sua materna protezione ai nostri fratelli e sorelle che lì abitano e quotidianamente affrontano non poche difficoltà. Le domandiamo pure di incoraggiare Voi e quanti, con l'aiuto di Dio, vogliono e possono contribuire all'edificazione di un mondo migliore.

Cari Cavalieri e care Dame, alimentate in Voi il clima dell’Avvento, tenendo desta nei vostri cuori l'attesa del Signore che viene, perché possiate incontrarlo negli avvenimenti di ogni giorno e riconoscerlo e servirlo specialmente nei poveri e nei sofferenti. La Vergine di Nazaret, che tra qualche giorno invocheremo col titolo di Immacolata Concezione, Vi assista nella vostra missione di vegliare con amore sui Luoghi che videro il divin Redentore passare “beneficando e risanando tutti coloro che erano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con Lui” (
Ac 10,38). Con tali sentimenti, volentieri imparto a tutti la mia Benedizione.



ATTO DI VENERAZIONE ALL’IMMACOLATA A PIAZZA DI SPAGNA Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria Lunedì, 8 dicembre 2008

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Cari fratelli e sorelle!

Circa tre mesi fa, ho avuto la gioia di recarmi in pellegrinaggio a Lourdes, in occasione dei 150 anni dalla storica apparizione della Vergine Maria a santa Bernadette. Le celebrazioni di questo singolare anniversario si concludono proprio oggi, solennità dell’Immacolata Concezione perché la “bella Signora” – come la chiamava Bernadette – mostrandosi a lei per l’ultima volta nella grotta di Massabielle, rivelò il suo nome dicendo: “Io sono l’Immacolata Concezione”. Lo disse nell’idioma locale, e la piccola veggente riferì al suo parroco quell’espressione, per lei sconosciuta e incomprensibile.

“Immacolata Concezione”: anche noi ripetiamo con commozione quel nome misterioso. Lo ripetiamo qui, ai piedi di questo monumento nel cuore di Roma; e innumerevoli nostri fratelli e sorelle fanno altrettanto in mille altri luoghi del mondo, santuari e cappelle, come pure nelle case di famiglie cristiane. Dovunque vi sia una comunità cattolica, là oggi si venera la Madonna con questo nome stupendo e meraviglioso: Immacolata Concezione. Certo, la convinzione circa l’immacolato concepimento di Maria esisteva già molti secoli prima delle apparizioni di Lourdes, ma esse giunsero come un sigillo celeste dopo che il mio venerato predecessore, il beato Pio IX, ne definì il dogma, l’8 dicembre del 1854. Nella festa odierna, così cara al popolo cristiano, questa espressione sale dal cuore e affiora alle labbra come il nome della nostra Madre celeste. Come un figlio alza gli occhi al viso della mamma e, vedendolo sorridente, dimentica ogni paura e ogni dolore, così noi, volgendo lo sguardo a Maria, riconosciamo in lei il “sorriso di Dio”, il riflesso immacolato della luce divina, ritroviamo in lei nuova speranza pur in mezzo ai problemi e ai drammi del mondo.

E’ tradizione che il Papa si unisca all’omaggio della Città recando a Maria un cesto di rose. Questi fiori stanno ad indicare il nostro amore e la nostra devozione: l’amore e la devozione del Papa, della Chiesa di Roma e degli abitanti di questa Città, che si sentono spiritualmente figli della Vergine Maria. Simbolicamente le rose possono esprimere quanto di bello e di buono abbiamo realizzato durante l’anno, perché in questo ormai tradizionale appuntamento tutto vorremmo offrire alla Madre, convinti che nulla avremmo potuto fare senza la sua protezione e senza le grazie che quotidianamente ci ottiene da Dio. Ma – come si suol dire – non c’è rosa senza spine, e anche sugli steli di queste stupende rose bianche non mancano le spine, che per noi rappresentano le difficoltà, le sofferenze, i mali che pure hanno segnato e segnano la vita delle persone e delle nostre comunità. Alla Madre si presentano le gioie, ma si confidano anche le preoccupazioni, sicuri di trovare in lei conforto per non abbattersi e sostegno per andare avanti.

O Vergine Immacolata, in questo momento vorrei affidarti specialmente i “piccoli” di questa nostra Città: i bambini, anzitutto, e soprattutto quelli gravemente malati, i ragazzi disagiati e quanti subiscono le conseguenze di pesanti situazioni familiari. Veglia su di loro e fa’ che possano sentire, nell’affetto e nell’aiuto di chi sta loro accanto, il calore dell’amore di Dio! Ti affido, o Maria, gli anziani soli, gli ammalati, gli immigrati che fanno fatica ad ambientarsi, i nuclei familiari che stentano a far quadrare il bilancio e le persone che non trovano occupazione, o hanno perso un lavoro indispensabile per andare avanti. Insegnaci, Maria, ad essere solidali con chi è in difficoltà, a colmare le sempre più vaste disparità sociali; aiutaci a coltivare un più vivo senso del bene comune, del rispetto di ciò che è pubblico, spronaci a sentire la città – e più che mai questa nostra Città di Roma – come patrimonio di tutti, ed a fare ciascuno, con coscienza ed impegno, la nostra parte per costruire una società più giusta e solidale.

O Madre Immacolata, che sei per tutti segno di sicura speranza e di consolazione, fa’ che ci lasciamo attrarre dal tuo candore immacolato. La tua Bellezza – Tota Pulchra, cantiamo quest’oggi - ci assicura che è possibile la vittoria dell’amore; anzi, che è certa; ci assicura che la grazia è più forte del peccato, e dunque è possibile il riscatto da qualunque schiavitù. Sì, o Maria, tu ci aiuti a credere con più fiducia nel bene, a scommettere sulla gratuità, sul servizio, sulla non violenza, sulla forza della verità; ci incoraggi a rimanere svegli, a non cedere alla tentazione di facili evasioni, ad affrontare la realtà, coi suoi problemi, con coraggio e responsabilità. Così hai fatto tu, giovane donna, chiamata a rischiare tutto sulla Parola del Signore. Sii madre amorevole per i nostri giovani, perché abbiano il coraggio di essere “sentinelle del mattino”, e dona questa virtù a tutti i cristiani, perché siano anima del mondo in questa non facile stagione della storia. Vergine Immacolata, Madre di Dio e Madre nostra, Salus Populi Romani, prega per noi!



CONCERTO PROMOSSO DAL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Aula Paolo VI Mercoledì, 10 dicembre 2008

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NEL 60° ANNIVERSARIO DELLA DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL'UOMO

PAROLE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI


Illustri Signori e gentili Signore,
cari fratelli e sorelle!

Rivolgo il mio cordiale saluto alle Autorità presenti, in particolare al Presidente della Repubblica Italiana, alle altre Autorità italiane, al Gran Maestro dell’Ordine di Malta e a tutti voi che avete preso parte a questa serata dedicata all’ascolto di musiche classiche, interpretate dalla Brandenburgisches Staatsorchester di Frankfurt, diretta per l’occasione dal Maestro Signora Inma Shara. A lei e agli orchestrali desidero esprimere il comune apprezzamento per il talento e l’efficacia con cui hanno interpretato questi suggestivi brani musicali. Ringrazio il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e la "Fondazione San Matteo in memoria del Cardinale François-Xavier Van Thuân" per aver promosso il concerto, che è stato preceduto dall’Atto commemorativo del 60° della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dalla consegna del premio Cardinale Van Thuân 2008 al Signor Cornelio Sommaruga, già Presidente del Comitato Internazionale della Croce Rossa, e dalla consegna dei premi "Solidarietà e sviluppo" a Padre Pedro Opeka, missionario in Madagascar, a Padre José Raul Matte, missionario tra i lebbrosi in Amazzonia, ai destinatari del Progetto Gulunap, per la realizzazione di una Facoltà di Medicina nell’Uganda del Nord e ai responsabili del progetto Villaggio degli Ercolini, per l’integrazione di bambini e ragazzi rom a Roma. Il mio grato pensiero va pure a quanti hanno collaborato alla realizzazione del concerto e alla RAI che lo ha trasmesso, allargando, per così dire, la "platea" di coloro che ne hanno potuto beneficiare.

Sessant’anni or sono, il 10 dicembre, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, riunita a Parigi, adottò la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che costituisce ancora oggi un altissimo punto di riferimento del dialogo interculturale sulla libertà e sui diritti dell’uomo. La dignità di ogni uomo è garantita veramente soltanto quando tutti i suoi diritti fondamentali vengono riconosciuti, tutelati e promossi. Da sempre la Chiesa ribadisce che i diritti fondamentali, al di là della differente formulazione e del diverso peso che possono rivestire nell’ambito delle varie culture, sono un dato universale, perchè insito nella stessa natura dell’uomo. La legge naturale, scritta dal Creatore nella coscienza umana, è un denominatore comune a tutti gli uomini e a tutti i popoli; è una guida universale che tutti possono conoscere e sulla base della quale tutti possono intendersi. I diritti dell’uomo sono, pertanto, ultimamente fondati in Dio creatore, il quale ha dato ad ognuno l’intelligenza e la libertà. Se si prescinde da questa solida base etica, i diritti umani rimangono fragili perché privi di solido fondamento.

La celebrazione del 60mo anniversario della Dichiarazione costituisce pertanto un’occasione per verificare in quale misura gli ideali, accettati dalla maggior parte della comunità delle Nazioni nel 1948, siano oggi rispettati nelle diverse legislazioni nazionali e, più ancora, nella coscienza degli individui e delle collettività. Indubbiamente un lungo cammino è stato già percorso, ma ne resta ancora un lungo tratto da completare: centinaia di milioni di nostri fratelli e sorelle vedono tuttora minacciati i loro diritti alla vita, alla libertà, alla sicurezza; non sempre è rispettata l’uguaglianza tra tutti né la dignità di ciascuno, mentre nuove barriere sono innalzate per motivi legati alla razza, alla religione, alle opinioni politiche o ad altre convinzioni. Non cessi, pertanto, il comune impegno a promuovere e meglio definire i diritti dell’uomo, e si intensifichi lo sforzo per garantirne il rispetto. Accompagno questi voti con la preghiera perché Iddio, Padre di tutti gli uomini, ci conceda di costruire un mondo dove ogni essere umano si senta accolto con piena dignità, e dove i rapporti tra gli individui e tra i popoli siano regolati dal rispetto, dal dialogo e dalla solidarietà. A tutti la mia Benedizione.




INCONTRO DEL SANTO PADRE CON GLI UNIVERSITARI ROMANI Basilica Vaticana Giovedì, 11 dicembre 2008

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Signori Cardinali,

Signora Ministro e distinte Autorità,
venerati Fratelli,
illustri Rettori e Professori,
cari studenti!

L’avvicinarsi del Santo Natale mi offre l’occasione, sempre gradita, di incontrare il mondo universitario romano. Saluto cordialmente il Cardinale Agostino Vallini, mio Vicario per la Diocesi di Roma, e il Cardinale Georges Pell, Arcivescovo di Sydney, la cui presenza ci riporta con la mente e con il cuore all’indimenticabile esperienza della Giornata Mondiale della Gioventù del luglio scorso. Il passaggio dell’icona di Maria Sedes Sapientiae dalla Delegazione rumena a quella australiana ci ricorda che questa grande “rete” dei giovani nel mondo intero è sempre attiva e in movimento. Ringrazio il Rettore della Sapienza Università di Roma e la studentessa, che mi hanno salutato a nome di tutti. Sono grato per la sua presenza anche al Ministro per l’Università e la Ricerca, augurando ogni bene per tale settore, così importante per la vita del Paese. Un saluto speciale rivolgo agli studenti israeliani e palestinesi che studiano a Roma grazie ai sussidi della Regione Lazio e delle Università romane, come pure ai tre Rettori che hanno partecipato ieri all’incontro sul tema: “Da Gerusalemme a Roma per costruire un nuovo umanesimo”.

Cari amici, quest’anno l’itinerario preparato per voi universitari dalla Diocesi di Roma si coniuga opportunamente con l’Anno Paolino. Il bimillenario della nascita dell’Apostolo delle genti sta aiutando tutta la Chiesa a riscoprire la propria fondamentale vocazione missionaria e, al tempo stesso, ad attingere a piene mani dall’inesauribile tesoro teologico e spirituale delle Lettere paoline. Io stesso, come sapete, sto sviluppando di settimana in settimana un ciclo di catechesi su questo tema. Sono convinto che anche per voi, sia sul piano personale, sia su quello dell’esperienza comunitaria e dell’apostolato in università, il confronto con la figura e il messaggio di san Paolo costituisca un’opportunità molto arricchente. Per questo motivo, vi consegnerò tra poco la Lettera ai Romani, massima espressione del pensiero paolino e segno della sua speciale considerazione per la Chiesa di Roma, o – per usare le parole del saluto iniziale dell’epistola – per “tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata” (
Rm 1,7).

La Lettera ai Romani – lo sanno bene alcuni dei docenti qui presenti – è senza dubbio uno dei testi più importanti della cultura di tutti i tempi. Ma essa è e rimane principalmente un messaggio vivo per la Chiesa viva, e come tale io la pongo questa sera nelle vostre mani. Possa questo scritto, scaturito dal cuore dell’Apostolo, diventare nutrimento sostanzioso per la vostra fede, portandovi a credere di più e meglio, ed anche a riflettere su voi stessi, per arrivare ad una fede “pensata” e, al tempo stesso, per vivere questa fede, mettendola in pratica secondo la verità del comandamento di Cristo. Solo così la fede che uno professa diventa “credibile” anche per gli altri, i quali restano conquistati dalla testimonianza eloquente dei fatti. Lasciate che Paolo parli a voi, docenti e studenti cristiani della Roma di oggi, e vi renda partecipi dell’esperienza da lui fatta in prima persona: che cioè il Vangelo di Gesù Cristo “è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (Rm 1,16).

L’annuncio cristiano, che fu rivoluzionario nel contesto storico e culturale di Paolo, ebbe la forza di abbattere il “muro di separazione” che vi era tra Giudei e pagani (cfr Ep 2,14 Rm 10,12). Esso conserva una forza di novità sempre attuale, in grado di abbattere altri muri che tornano ad erigersi in ogni contesto e in ogni epoca. La sorgente di tale forza sta nello Spirito di Cristo, a cui Paolo consapevolmente si appella. Ai cristiani di Corinto egli dichiara di non contare, nella sua predicazione, “su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza” (1Co 2,4). E qual era il nocciolo del suo annuncio? Era la novità della salvezza portata da Cristo all’umanità: nella sua morte e risurrezione la salvezza è offerta a tutti gli uomini senza distinzione.

Offerta, non imposta. La salvezza è un dono che chiede sempre di essere accolto personalmente. E’ questo, cari giovani, il contenuto essenziale del Battesimo che quest’anno vi viene proposto quale Sacramento da riscoprire e, per alcuni di voi, da ricevere o da confermare con una scelta libera e consapevole. Proprio nella Lettera ai Romani, al capitolo 6°, si trova una geniale formulazione del significato del Battesimo cristiano. “Non sapete – scrive Paolo – che quanti siamo stati battezzati in Cristo, siamo stati battezzati nella sua morte?” (Rm 6,3). Come ben potete intuire, è questa un’idea profondissima, che contiene tutta la teologia del mistero pasquale: la morte di Cristo, per la potenza di Dio, è fonte di vita, sorgente inesauribile di rinnovamento nello Spirito Santo. Essere “battezzati in Cristo” significa essere immersi spiritualmente in quella morte che è l’atto d’amore infinito e universale di Dio, capace di riscattare ogni persona e ogni creatura dalla schiavitù del peccato e della morte. San Paolo infatti così prosegue: “Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4).

L’Apostolo, nella Lettera ai Romani, ci comunica tutta la sua gioia per questo mistero, quando scrive: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? … Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,35 Rm 8,38-39). E questo stesso amore è ciò in cui consiste la vita nuova del cristiano. Anche qui, san Paolo opera una sintesi impressionante, sempre frutto della sua esperienza personale: “Chi ama l’altro – egli scrive – ha adempiuto la Legge … pienezza della Legge infatti è la carità” (Rm 13,8 Rm 13,10).

Ecco, cari amici, ciò che vi consegno questa sera. E’ un messaggio di fede, certo, ma è al tempo stesso una verità che illumina la mente, dilatandola secondo gli orizzonti di Dio; è una verità che orienta la vita reale, perché il Vangelo è la via per giungere alla pienezza della vita. Questa via l’ha già percorsa Gesù, anzi, la Via è Lui stesso, che dal Padre è venuto fino a noi perché noi potessimo per mezzo suo giungere al Padre. Questo è il mistero dell’Avvento e del Natale. La Vergine Maria e san Paolo vi aiutino ad adorarlo e a farlo vostro con profonda fede ed intima gioia. Grazie a voi tutti per la vostra presenza. In vista delle ormai prossime Feste Natalizie, formulo a ciascuno auguri cordiali, che estendo volentieri alle vostre famiglie e ai vostri cari. Buon Natale!




AI VESCOVI DI TAIWAN IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Venerdi, 12 dicembre 2008

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Miei cari fratelli Vescovi,

a tutti voi rivolgo saluti di pace e di gioia nel Signore Gesù. Per sua grazia, siete giunti in questa città per venerare le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo quale segno della vostra comunione con la Chiesa a Roma, che "presiede alla comunione universale della carità" (Pastores gregis cfr. sant'Ignazio di Antiochia Ad romanos, 1, 1). È con questo spirito di carità che vi accolgo oggi e incoraggio i fedeli di Taiwan a perseverare nella fede, nella speranza e nell'amore.

"Consolate, consolate il mio popolo" (
Is 40,1). Queste parole, ripetute nella liturgia ecclesiale di questa settimana, riassumono con precisione il messaggio che vi rivolgo oggi. Non siete mai soli! Uniti al Padre attraverso il Figlio e nello Spirito Santo, voi, insieme a tutti i vostri fratelli nell'Episcopato, ricevete la grazia di quella "collegialità affettiva" che vi rafforza nel predicare il Vangelo e nel prendervi cura delle necessità del gregge del Signore (cfr. Pastores gregis ). Infatti, la vostra celebrazione del 150° anniversario dell'evangelizzazione cattolica a Taiwan è un'occasione per manifestare sempre con maggiore ardore l'unione fra voi e con nostro Signore mentre promuovete il comune apostolato ecclesiale a Taiwan.

Quest'unità di mente e di cuore è resa evidente dal vostro desiderio di cooperare più efficacemente alla diffusione del Vangelo fra i non credenti e alla formazione di quanti sono già stati introdotti nella Chiesa per mezzo del Battesimo e della Confermazione. Sono lieto di constatare che continuate a coordinare una serie di istituzioni a questo scopo, ponendo la dovuta enfasi sulla parrocchia, "animatrice della catechesi ed il suo luogo privilegiato" (Catechesi tradendae CTR 67). In quanto Vescovi siete ben consapevoli dell'importanza del vostro ruolo a questo proposito. Il vostro compito di insegnare è inseparabile da quelli di santificare e governare ed è parte integrante di ciò che sant'Agostino definisce amoris officium: "l'ufficio di amore" (Sant'Agostino, In Ioannem, n. 123). A questo fine è cruciale la formazione dei sacerdoti che sono ordinati per assistervi nell'esercizio di tale "ufficio di amore" per il bene del popolo di Dio.

Questi programmi devono essere permanenti cosicché i sacerdoti possano costantemente concentrarsi sul significato della loro missione e assumerla con fedeltà e generosità. Devono anche essere elaborati tenendo nella giusta considerazione varietà di età, condizioni di vita e doveri del vostro clero.

Priorità va anche accordata alla preparazione accurata dei catechisti. Ancora una volta, è essenziale prendere in considerazione le diverse situazioni in cui operano e fornire loro le risorse necessarie affinché possano seguire l'esempio di Gesù nell'annunciare la verità in modo diretto e in un modo prontamente accessibile a tutti (cfr. Mc 4,11). Con il loro sostegno attivo, potrete elaborare progetti catechistici ben delineati che impieghino una metodologia progressiva e graduale affinché, di anno in anno, fra la vostra gente si possa promuovere un incontro sempre più profondo con il Dio Uno e Trino.

Una catechesi efficace crea indubbiamente famiglie più solide, che a loro volta promuovono nuove vocazioni sacerdotali. Infatti, la famiglia è quella "Chiesa domestica", nella quale per la prima volta si ascolta il Vangelo di Gesù Cristo e si pratica lo stile di vita cristiano (cfr. Lumen gentium LG 11). La Chiesa, a ogni livello, deve curare e promuovere il dono del sacerdozio cosicché giovani uomini rispondano generosamente alla chiamata del Signore a divenire operai nella sua vigna. Genitori, Pastori, responsabili parrocchiali e tutti i membri della Chiesa devono proporre ai giovani la decisione radicale di seguire Cristo, affinché nel trovarlo, trovino se stessi (cfr. Sacramentum caritatis, n. 25).

La famiglia, come sapete, è la "cellula primaria e vitale": il prototipo per ogni livello della società (cfr. Apostolicam actuositatem AA 11). La vostra recente Lettera Pastorale Social concern and Evagelization sottolinea l'esigenza della Chiesa di impegnarsi attivamente nella promozione della vita familiare. Fondata su un patto indissolubile, la famiglia fa sì che le persone scoprano la bontà, la bellezza e la verità cosicché possano percepire il loro destino unico e imparare come contribuire all'edificazione di una civiltà dell'amore. La vostra profonda sollecitudine per il bene delle famiglie e della società nella sua interezza, miei cari Fratelli, vi spinge ad assistere i coniugi nel preservare l'indissolubilità delle loro promesse coniugali. Non stancatevi mai di promuovere una giusta legislazione civile e politiche che tutelino la sacralità del matrimonio! Preservate questo sacramento da tutto ciò che può arrecargli danno, in particolare la deliberata soppressione della vita nelle sue fasi più vulnerabili.

Parimenti, la sollecitudine della Chiesa per i deboli la sfida a prestare particolare attenzione agli immigrati. In diverse recenti Lettere pastorali avete indicato il ruolo essenziale della parrocchia nel servire gli immigrati e nel sensibilizzare le persone sulle loro esigenze. Sono anche lieto di constatare che la Chiesa a Taiwan ha attivamente difeso leggi e politiche che tutelano i diritti umani degli immigrati. Come sapete, molti di quanti arrivano sulle vostre coste, non solo partecipano alla pienezza della comunione cattolica, ma portano con loro l'eredità culturale unica dei rispettivi luoghi d'origine. Vi incoraggio a continuare ad accoglierli con affetto affinché possano ricevere un'assidua cura pastorale che li renda certi della propria appartenenza alla "famiglia nella fede" (cfr. Gal Ga 6,10).

Miei cari Fratelli Vescovi, con la Provvidenza di Dio Onnipotente, siete stati scelti per vegliare su tale famiglia nella fede. Il vostro vincolo apostolico con il Successore di Pietro implica una responsabilità pastorale per la Chiesa universale in tutto il mondo. In particolare, questo significa, nel caso, una sollecitudine amorevole per i cattolici nel continente, che ricordo sempre nelle mie preghiere. Voi e i fedeli cristiani a Taiwan siete un segno vivo del fatto che, in una società ordinata con giustizia, non si deve temere di essere un fedele cattolico e un buon cittadino. Prego affinché voi, in quanto parte della grande famiglia cattolica cinese, continuiate a essere uniti spiritualmente ai vostri fratelli del continente.

Cari Fratelli, so bene che gli ostacoli che dovete affrontare possono sembrare insormontabili. Tuttavia si manifestano molti segni chiari - la Giornata della Gioventù Taiwanese e la Conferenza sull'Evangelizzazione Creativa ne sono solo due esempi - del potere del Vangelo di convertire, guarire e salvare. Che le parole del profeta Isaia non smettano mai di animare il vostro cuore: "Non temere! Ecco il vostro Dio!" (Is 40,9). Il Signore infatti dimora fra noi! Continua a insegnarci con la sua Parola e a nutrirci con il suo Corpo e il suo Sangue. L'attesa del suo ritorno ci esorta a rinnovare il grido levato da Isaia e ripetuto da Giovanni il Battista: "Preparate la via al Signore!" (cfr. Is Is 40,3). Confido nel fatto che la vostra celebrazione fedele del Santo Sacrificio prepari voi e il vostro popolo a incontrare il Signore quando verrà di nuovo.

Affidando voi e le persone di cui vi prendete cura alla protezione materna di Maria, Ausilio dei cristiani, imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.






Discorsi 2005-13 5228