Discorsi 2005-13 30209

AI PARTECIPANTI AL COLLOQUIO PATROCINATO DALLA SPECOLA VATICANA IN OCCASIONE DELL'ANNO INTERNAZIONALE DELL'ASTRONOMIA Sala Clementina Venerdì 30 ottobre 2009

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Eminenza,

Signore e Signori,

sono lieto di salutare quest'assemblea d'insigni astronomi provenienti da tutto il mondo, che si incontrano in Vaticano per la celebrazione dell'Anno Internazionale dell'Astronomia, e ringrazio il Cardinale Giovanni Lajolo per le cordiali parole di introduzione. Questa celebrazione, che segna il quattrocentesimo anniversario delle prime osservazioni dei cieli da parte di Galileo Galilei con il telescopio, ci invita a considerare il progresso immenso della conoscenza scientifica nell'età moderna e, in modo particolare, a volgere il nostro sguardo al cielo con uno spirito di meraviglia, contemplazione e impegno per la ricerca della verità, ovunque essa debba essere trovata.

Il vostro incontro coincide anche con l'inaugurazione dei nuovi locali della Specola Vaticana a Castel Gandolfo. Come sapete, la storia della Specola è legata in modo molto concreto alla figura di Galileo, alle controversie intorno alle sue ricerche nonché al tentativo della Chiesa di ottenere una comprensione corretta e feconda del rapporto fra scienza e religione. Colgo questa occasione per esprimere gratitudine non solo per gli studi accurati che hanno chiarito il preciso contesto storico della condanna di Galileo, ma anche per gli sforzi di tutti coloro che sono impegnati nel dialogo e nella riflessione costanti sulla complementarità della fede e della ragione al servizio di una comprensione integrale dell'uomo e del suo posto nell'universo. Sono particolarmente grato al personale della Specola nonché agli amici e ai benefattori della Fondazione della Specola Vaticana per i loro sforzi volti a promuovere la ricerca, opportunità pedagogiche e il dialogo fra la Chiesa e il mondo scientifico.

L'Anno Internazionale dell'Astronomia intende, non da ultimo, catturare nuovamente per le persone di tutto il mondo la meraviglia e lo stupore straordinari che hanno caratterizzato la grande età delle scoperte nel sedicesimo secolo. Penso, per esempio, all'esultanza degli scienziati del Collegio Romano che, proprio a pochi passi da qui, fecero osservazioni e calcoli che portarono all'adozione mondiale del calendario gregoriano. La nostra epoca, che è sull'orlo di scoperte scientifiche forse ancor più grandi e di più vasta portata, trarrebbe beneficio da quello stesso senso di ammirata soggezione e dal desiderio di ottenere una sintesi veramente umanistica della conoscenza che ha ispirato i padri della scienza moderna. Chi può negare che la responsabilità del futuro dell'umanità, e, di fatto, il rispetto per la natura e per il mondo che ci circonda, richiedano, oggi più che mai, l'attenta osservazione, il giudizio critico, la pazienza e la disciplina che sono essenziali per il metodo scientifico moderno? Nello stesso tempo, i grandi scienziati dell'età delle scoperte ci ricordano anche che la conoscenza autentica è sempre rivolta alla sapienza, e, invece di restringere gli occhi della mente, ci invita ad alzare lo sguardo verso un più elevato regno dello spirito.

In breve, la conoscenza deve essere compresa e perseguita in tutta la sua ampiezza liberatrice. Essa si può certamente ridurre a calcoli e a esperimenti, ma, se aspira a essere sapienza, capace di orientare l'uomo alla luce dei suoi primi inizi e della sua conclusione finale, si deve impegnare nella ricerca della verità ultima che, pur essendo sempre al di là della nostra completa portata, è, nondimeno, la chiave della nostra felicità e della nostra libertà autentiche (cfr
Jn 8,32), la misura della nostra vera umanità e il criterio per un rapporto giusto con il mondo fisico e con i nostri fratelli e le nostre sorelle nella più grande famiglia umana.

Cari amici, la cosmologia moderna ci ha mostrato che né noi né la terra su cui viviamo siamo il centro del nostro universo, composto da miliardi di galassie, ognuna delle quali con miriadi di stelle e pianeti. Tuttavia, mentre cerchiamo di rispondere alla sfida di quest'Anno, di alzare gli occhi al cielo per riscoprire il nostro posto nell'universo, in che modo possiamo essere catturati dalla meraviglia espressa dal Salmista così tanto tempo fa? Infatti, contemplando il cielo stellato egli gridò con stupore a Dio: "Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che hai fissato, che cos'è mai l'uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell'uomo, perché te ne curi?" (Ps 8,4-5). Spero che lo stupore e l'esultanza che intendono essere i frutti di questo Anno Internazionale dell'Astronomia condurranno oltre la contemplazione delle meraviglie del creato fino alla contemplazione del Creatore e di quell'Amore che è il motivo che sottende la sua creazione, l'Amore che, con le parole di Dante Alighieri, "Move il sole e l'altre stelle" (Paradiso XXXIII, 145). L'Apocalisse ci dice che, nella pienezza dei tempi, la Parola attraverso la quale tutte le cose sono state fatte è venuta a dimorare in mezzo a noi. In Cristo, il nuovo Adamo, riconosciamo il centro autentico dell'universo e di tutta la storia, e in Lui, il Logos incarnato, vediamo la misura colma della nostra grandeur di esseri umani, dotati di ragione e chiamati a un destino eterno.

Cari amici, con queste riflessioni vi saluto tutti con rispetto e stima e offro i miei buoni auspici oranti per la vostra ricerca e per il vostro insegnamento. Su di voi, sulle vostre famiglie e sui vostri cari invoco cordialmente le benedizioni di sapienza, gioia e pace di Dio Onnipotente.




A S.E. IL SIGNOR NIKOLA IVANOV KADULOV, AMBASCIATORE DI BULGARIA PRESSO LA SANTA SEDE Sabato, 31 ottobre 2009

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Signor Ambasciatore,

Sono lieto di accoglierla in questa circostanza solenne della presentazione delle Lettere che l'accreditano come Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica di Bulgaria presso la Santa Sede. La ringrazio, signor Ambasciatore, per le cordiali parole che mi ha rivolto. In cambio, le sarei grato se volesse trasmettere al Presidente della Repubblica, il signor Georgi Parvanov, i miei voti cordiali per la sua persona e anche per la felicità e per il successo del popolo bulgaro.

Mi rallegro, a mia volta, delle buone relazioni che la Bulgaria e la Santa Sede intrattengono, nella dinamica creata dal viaggio del mio predecessore Papa Giovanni Paolo II nel suo Paese nel 2002. Queste relazioni meritano di essere intensificate e sono lieto di apprendere del suo desiderio di operare con ardore per rafforzarle e per ampliarne il campo.

Questo autunno celebriamo il ventesimo anniversario della caduta del muro di Berlino che ha permesso alla Bulgaria di fare la scelta della democrazia e di ristabilire relazioni libere e autonome con l'insieme del Continente europeo. So che il suo Paese sta compiendo oggi importanti sforzi in vista di una maggiore integrazione nell'Unione europea di cui fa parte dal 1º gennaio 2007. È importante che in questo processo di costruzione europea ogni popolo non sacrifichi la propria identità culturale, ma trovi al contrario i mezzi per farle recare buoni frutti, che arricchiranno l'insieme comunitario. Per la sua situazione geografica e culturale, è particolarmente apprezzabile il fatto che, come lei ha appena detto, la sua Nazione non si preoccupi solo del suo destino, ma mostri anche grande attenzione per i Paesi vicini e si adoperi per favorire i loro legami con l'Unione europea. La Bulgaria ha così indubbiamente un ruolo importante da svolgere nella costruzione di relazioni serene fra i paesi che la circondano, come pure nella difesa e nella promozione dei diritti dell'uomo.

Come lei ha altresì appena sottolineato, questa preoccupazione per il bene comune dei popoli non si può limitare al Continente europeo, ma è necessario anche essere attenti e creare le condizioni di una globalizzazione riuscita. Perché quest'ultima possa essere vissuta positivamente, è necessario in effetti che possa servire "ogni uomo e tutti gli uomini". È questo principio che ho voluto sottolineare con forza nella mia recente Enciclica Caritas in veritate. È essenziale in effetti che lo sviluppo legittimamente cercato non riguardi il solo ambito economico, ma tenga conto anche della persona umana nella sua totalità. Il valore dell'uomo non consiste in ciò che possiede, ma nello sviluppo del suo essere secondo tutte le potenzialità che la sua natura cela. Questo principio trova la sua ragione ultima nell'amore creatore di Dio, che rivela pienamente la Parola divina. In tal senso, affinché lo sviluppo dell'uomo e della società possa essere autentico, deve necessariamente implicare una dimensione spirituale (nn. 76-77). Richiede anche da tutti i responsabili pubblici che siano moralmente molto esigenti con se stessi, al fine di potere gestire la parte di autorità che viene affidata loro in modo efficace e disinteressato. La cultura cristiana che pervade profondamente il vostro popolo non è solo un tesoro del passato da custodire, ma anche il pegno di un futuro veramente promettente in quanto protegge l'uomo dalle tentazioni che minacciano sempre di fargli dimenticare la propria grandezza, come pure l'unità del genere umano e le esigenze di solidarietà che essa comporta.

Animata da questa intenzione, la comunità cattolica in Bulgaria desidera operare per il successo di tutta la popolazione. Questa preoccupazione condivisa del bene comune costituisce uno degli elementi che dovrebbero facilitare il dialogo fra le diverse e numerose comunità religiose che compongono il paesaggio culturale della sua antica Nazione. Questo dialogo, per essere sincero e costruttivo, richiede una conoscenza e una stima reciproche che i poteri pubblici possono favorire ampiamente con la considerazione in cui essi stessi tengono le diverse famiglie spirituali. Da parte sua, la comunità cattolica formula il voto di essere generosamente aperta a tutti e di lavorare con tutti; lo dimostra concretamente attraverso le sue opere sociali i cui benefici non vuole riservare ai suoi soli membri.

È in modo caloroso che, per mezzo di lei, signor Ambasciatore, desidero salutare i vescovi, i sacerdoti, i diaconi e tutti i fedeli che formano la comunità cattolica del suo Paese. Li invito a considerare le grandi ricchezze che Dio, nella sua immensa misericordia, ha posto nei loro cuori di credenti e, per questa ragione, a impegnarsi con audacia, attraverso la cooperazione più stretta possibile con tutti i cittadini di buona volontà, a rendere testimonianza, a tutti i livelli, della dignità che Dio ha inscritto nell'essere dell'uomo.

Mentre lei, Eccellenza, inizia ufficialmente la sua missione presso la Santa Sede, formulo i miei voti migliori per il suo felice compimento. Sia certo, signor Ambasciatore, di trovare sempre presso i miei collaboratori l'attenzione e la comprensione cordiali che la sua alta funzione merita, come pure l'affetto del Successore di Pietro per il suo Paese. Invocando l'intercessione della Vergine Maria e dei santi Cirillo e Metodio, prego il Signore di effondere generose benedizioni su di lei, sulla sua famiglia e sui suoi collaboratori, e anche sul popolo bulgaro e sui suoi dirigenti.



VISITA PASTORALE A BRESCIA E CONCESIO



SOSTA ALLA CHIESA PARROCCHIALE DI BOTTICINO SERA E VENERAZIONE DELLE SPOGLIE DI SANT'ARCANGELO TADINI Brescia Domenica, 8 novembre 2009

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Cari fratelli e sorelle,

sono molto felice di essere nella Parrocchia del santo Tadini. L’ho canonizzato poco tempo fa e sono stato edificato da questa figura di vita spirituale e, nello stesso tempo, di grande personalità nella vita sociale dell’Ottocento e Novecento. Egli ha dato, con la sua opera, un dono all’umanità e ci invita tutti ad amare Dio, amare Cristo, amare la Madonna e donare questo amore agli altri; lavorare perché nasca un mondo fraterno nel quale ognuno viva non per se stesso, ma per gli altri. Allora, grazie per questa accoglienza così calorosa. Mi dà una grande gioia vedere qui la Chiesa viva e gioiosa. Vi auguro una buona domenica e tante buone cose. Auguri, grazie…



INCONTRO UFFICIALE PER L'INAUGURAZIONE DELLA NUOVA SEDE E PER L'ASSEGNAZIONE DEL PREMIO INTERNAZIONALE PAOLO VI

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Auditorium Vittorio Montini dell’Istituto Paolo VI - Concesio Domenica, 8 novembre 2009



Signori Cardinali,
venerati Fratelli Vescovi e sacerdoti,
cari amici,

vi ringrazio cordialmente per avermi invitato a inaugurare la nuova sede dell’Istituto dedicato a Paolo VI, costruita accanto alla sua casa natale. Saluto ognuno di voi con affetto, ad iniziare dai Signori Cardinali, i Vescovi, le Autorità e le Personalità presenti. Un saluto particolare rivolgo al presidente Giuseppe Camadini, grato per le cortesi parole che mi ha indirizzato, illustrando le origini, lo scopo e le attività dell’Istituto. Prendo parte volentieri alla solenne cerimonia del “Premio internazionale Paolo VI”, assegnato quest’anno alla collana francese “Sources Chrétiennes”. Una scelta dedicata all’ambito educativo, che intende porre in rilievo – come è stato ben sottolineato - l’impegno profuso da questa storica collana, fondata nel 1942, tra gli altri, da Henri De Lubac e Jean Daniélou, per una rinnovata scoperta delle fonti cristiane antiche e medioevali. Ringrazio il Direttore Bernard Meunier per il saluto che mi ha rivolto. Colgo questa propizia occasione per incoraggiarvi, cari amici, a porre sempre più in luce la personalità e la dottrina di questo grande Pontefice, non tanto dal punto di vista agiografico e celebrativo, quanto piuttosto – e questo è stato giustamente rimarcato – nel segno della ricerca scientifica, per offrire un apporto alla conoscenza della verità e alla comprensione della storia della Chiesa e dei Pontefici del secolo XX. Nella misura in cui è meglio conosciuto, il Servo di Dio Paolo VI viene sempre più apprezzato e amato. Mi ha unito al grande Papa un legame di affetto e devozione sin dagli anni del Concilio Vaticano II. Come non ricordare che nel 1977 è stato proprio Paolo VI ad affidarmi la cura pastorale della diocesi di Monaco, creandomi anche Cardinale? Sento di dover a questo grande Pontefice tanta gratitudine per la stima che ha manifestato nei miei confronti in diverse occasioni.

Mi piacerebbe, in questa sede, approfondire i diversi aspetti della sua personalità; limiterò però le mie considerazioni a un solo tratto del suo insegnamento, che mi pare di grande attualità e in sintonia con la motivazione del Premio di quest’anno, e cioè la sua capacità educativa. Viviamo in tempi nei quali si avverte una vera “emergenza educativa”. Formare le giovani generazioni, dalle quali dipende il futuro, non è mai stato facile, ma in questo nostro tempo sembra diventato ancor più complesso. Lo sanno bene i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti e coloro che rivestono dirette responsabilità educative. Si vanno diffondendo un’atmosfera, una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona, del significato della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita. Eppure si avverte con forza una diffusa sete di certezze e di valori. Occorre allora trasmettere alle future generazioni qualcosa di valido, delle regole solide di comportamento, indicare alti obiettivi verso i quali orientare con decisione la propria esistenza. Aumenta la domanda di un’educazione capace di farsi carico delle attese della gioventù; un’educazione che sia innanzitutto testimonianza e, per l’educatore cristiano, testimonianza di fede.

Mi viene in mente, in proposito, questa incisiva frase programmatica di Giovanni Battista Montini scritta nel 1931: “Voglio che la mia vita sia una testimonianza alla verità… Intendo per testimonianza la custodia, la ricerca, la professione della verità” (Spiritus veritatis, in Colloqui religiosi, Brescia 1981, p. 81). Tale testimonianza - annotava Montini nel 1933 – è resa impellente dalla costatazione che “nel campo profano, gli uomini di pensiero, anche e forse specialmente in Italia, non pensano nulla di Cristo. Egli è un ignoto, un dimenticato, un assente, in gran parte della cultura contemporanea” (Introduzione allo studio di Cristo, Roma 1933, p. 23). L’educatore Montini, studente e sacerdote, Vescovo e Papa, avvertì sempre la necessità di una presenza cristiana qualificata nel mondo della cultura, dell’arte e del sociale, una presenza radicata nella verità di Cristo, e, al tempo stesso, attenta all’uomo e alle sue esigenze vitali.

Ecco perché l’attenzione al problema educativo, la formazione dei giovani, costituisce una costante nel pensiero e nell’azione di Montini, attenzione che gli deriva anche dall’ambiente familiare. Egli è nato in una famiglia appartenente al cattolicesimo bresciano dell’epoca, impegnato e fervente in opere, ed è cresciuto alla scuola del padre Giorgio, protagonista di importanti battaglie per l’affermazione della libertà dei cattolici nell’educazione. In uno dei primi scritti dedicato alla scuola italiana, Giovanni Battista Montini osservava: “Non domandiamo altro che un po’ di libertà per educare come vogliamo quella gioventù che viene al cristianesimo attratta dalla bellezza della sua fede e delle sue tradizioni” (Per la nostra scuola: un libro del prof. Gentile, in Scritti giovanili, Brescia 1979, p. 73). Montini è stato un sacerdote di grande fede e di ampia cultura, una guida di anime, un acuto indagatore del “dramma dell’esistenza umana”. Generazioni di giovani universitari hanno trovato in lui, come Assistente della FUCI, un punto di riferimento, un formatore di coscienze, capace di entusiasmare, di richiamare al compito di essere testimoni in ogni momento della vita, facendo trasparire la bellezza dell’esperienza cristiana. Sentendolo parlare – attestano i suoi studenti di allora – si percepiva il fuoco interiore che dava anima alle sue parole, in contrasto con un fisico che appariva fragile.

Uno dei fondamenti della proposta formativa dei circoli universitari della FUCI da lui guidati consisteva nel tendere all’unità spirituale della personalità dei giovani: “non scompartimenti stagni separati nell’anima – egli diceva -, cultura da una parte, e fede dall’altra; scuola da un lato, Chiesa dall’altro. La dottrina, come la vita, è unica” (Idee=Forze, in Studium 24 [1928], p. 343). In altri termini, per Montini erano essenziali la piena armonia e l’integrazione tra la dimensione culturale e religiosa della formazione, con particolare accento sulla conoscenza della dottrina cristiana, e i risvolti pratici della vita. Proprio per questo, fin dal principio della sua attività, nel circolo romano della FUCI, unitamente ad un serio impegno spirituale e intellettuale, egli promosse per gli universitari iniziative caritative al servizio dei poveri, con la conferenza di San Vincenzo. Non separava mai quella che in seguito definirà “carità intellettuale” dalla presenza sociale, dal farsi carico del bisogno degli ultimi. In tal modo, gli studenti venivano educati a scoprire la continuità tra il rigoroso dovere dello studio e le missioni concrete tra i baraccati. “Crediamo – scriveva - che il cattolico non è il tormentato da centomila problemi sia pure d’ordine spirituale… No! Il cattolico è colui che ha la fecondità della sicurezza. Ed è così che, fedele alla sua fede, può guardare al mondo non come ad un abisso di perdizione, ma come a un campo di messe” (La distanza dal mondo, in Azione Fucina, 10 febbraio 1929, p. 1).

Giovanni Battista Montini insisteva sulla formazione dei giovani, per renderli capaci di entrare in rapporto con la modernità, un rapporto, questo, difficile e spesso critico, ma sempre costruttivo e dialogico. Della cultura moderna sottolineava alcune caratteristiche negative, sia nel campo della conoscenza che in quello dell’azione, come il soggettivismo, l’individualismo e l’affermazione illimitata del soggetto. Allo stesso tempo, però, riteneva necessario il dialogo a partire sempre da una solida formazione dottrinale, il cui principio unificante era la fede in Cristo; una “coscienza” cristiana matura, dunque, capace di confronto con tutti, senza però cedere alle mode del tempo. Da Pontefice, ai Rettori e Presidi delle Università della Compagnia di Gesù ebbe a dire che “il mimetismo dottrinale e morale non è certo conforme allo spirito del Vangelo”. “Del resto coloro che non condividono le posizioni della Chiesa – aggiunse - chiedono a noi estrema chiarezza di posizioni, per poter stabilire un dialogo costruttivo e leale”. E pertanto il pluralismo culturale e il rispetto non debbono far “mai perdere di vista al cristiano il suo dovere di servire la verità nella carità, di seguire quella verità di Cristo che, sola, dà la vera libertà” (cfr Insegnamenti XIII, [1975], 817).

Per Papa Montini il giovane va educato a giudicare l’ambiente in cui vive e opera, a considerarsi come persona e non numero nella massa: in una parola, va aiutato ad avere un “pensiero forte” capace di un “agire forte”, evitando il pericolo, che talora si corre, di anteporre l’azione al pensiero e di fare dell’esperienza la sorgente della verità. Ebbe ad affermare in proposito: “L’azione non può essere luce a se stessa. Se non si vuole curvare l’uomo a pensare come egli agisce, bisogna educarlo ad agire com’egli pensa. Anche nel mondo cristiano, dove l’amore, la carità hanno importanza suprema, decisiva, non si può prescindere dal lume della verità, che all’amore presenta i suoi fini e i suoi motivi” (Insegnamenti II, [1964], 194).

Cari amici, gli anni della FUCI, difficili per il contesto politico dell’Italia, ma entusiasmanti per quei giovani che riconobbero nel Servo di Dio una guida e un educatore, rimasero impressi nella personalità di Paolo VI. In lui, Arcivescovo di Milano e poi Successore dell’apostolo Pietro, mai vennero meno l’anelito e la preoccupazione per il tema dell’educazione. Lo attestano i numerosi suoi interventi dedicati alle nuove generazioni, in momenti burrascosi e travagliati, come il Sessantotto. Con coraggio, indicò la strada dell’incontro con Cristo come esperienza educativa liberante e unica vera risposta ai desideri e alle aspirazioni dei giovani, divenuti vittime dell’ideologia. “Voi, giovani d'oggi - egli ripeteva -, siete talora ammaliati da un conformismo, che può diventare abituale, un conformismo che piega inconsciamente la vostra libertà al dominio automatico di correnti esterne di pensiero, di opinione, di sentimento, di azione, di moda: e poi, così presi da un gregarismo che vi dà l’impressione d'essere forti, diventate qualche volta ribelli in gruppo, in massa, senza spesso sapere perché”. “Ma poi – annotava ancora - se voi acquistate coscienza di Cristo, e a Lui aderite… avviene che diventate interiormente liberi… saprete perché e per chi vivere… E nello stesso tempo, cosa meravigliosa, sentirete nascere in voi la scienza dell'amicizia, della socialità, dell'amore. Non sarete degli isolati” (Insegnamenti VI, [1968], 117-118).

Paolo VI definì se stesso “vecchio amico dei giovani”: sapeva riconoscere e condividere il loro tormento quando si dibattono tra la voglia di vivere, il bisogno di certezza, l’anelito all’amore, e il senso di smarrimento, la tentazione dello scetticismo, l’esperienza della delusione. Aveva imparato a comprenderne l’animo e ricordava che l’indifferenza agnostica del pensiero attuale, il pessimismo critico, l’ideologia materialista del progresso sociale non bastano allo spirito, aperto a ben altri orizzonti di verità e di vita (cfr Insegnamenti XII, [1974], 642). Oggi, come allora, emerge nelle nuove generazioni una ineludibile domanda di significato, una ricerca di rapporti umani autentici. Diceva Paolo VI: “l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni” (Insegnamenti XIII, [1975], 1458-1459). Maestro di vita e coraggioso testimone di speranza è stato questo mio venerato Predecessore, non sempre capito, anzi più di qualche volta avversato e isolato da movimenti culturali allora dominanti. Ma, solido anche se fragile fisicamente, ha condotto senza tentennamenti la Chiesa; non ha perso mai la fiducia nei giovani, rinnovando loro, e non solo a loro, l’invito a fidarsi di Cristo e a seguirlo sulla strada del Vangelo.

Cari amici, ancora una volta grazie per avermi dato l’opportunità di respirare, qui, nel suo paese natale e in questi luoghi pieni di ricordi della sua famiglia e della sua infanzia, il clima nel quale ebbe a formarsi il Servo di Dio Paolo VI, il Papa del Concilio Vaticano II e del dopo Concilio. Qui tutto parla della ricchezza della sua personalità e della sua vasta dottrina. Qui ci sono significative memorie anche di altri Pastori e protagonisti della storia della Chiesa del secolo passato, come ad esempio il Cardinale Bevilacqua, il Vescovo Carlo Manziana, Mons. Pasquale Macchi, suo fidato segretario particolare, Padre Paolo Caresana. Auspico di cuore che l’amore di questo Papa per i giovani, l’incoraggiamento costante ad affidarsi a Gesù Cristo - invito ripreso da Giovanni Paolo II e che anch’io ho voluto rinnovare proprio all’inizio del mio Pontificato - venga percepito dalle nuove generazioni. Per questo assicuro la mia preghiera, mentre benedico voi tutti qui presenti, le vostre famiglie, il vostro lavoro e le iniziative dell’Istituto Paolo VI.





VISITA ALLA PARROCCHIA SANT'ANTONINO, IN CUI FU BATTEZZATO GIOVANNI BATTISTA MONTINI Concesio Domenica, 8 novembre 2009

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Cari fratelli e sorelle!

Con questo incontro si chiude la Visita pastorale a Brescia, terra natale del mio venerato Predecessore Paolo VI. Ed è per me un vero piacere concluderla proprio qui, a Concesio, dove egli nacque ed iniziò la sua lunga e ricca vicenda umana e spirituale. Ancor più significativo – anzi emozionante – è sostare in questa vostra chiesa che è stata anche la sua chiesa. Qui, il 30 settembre 1897, egli ricevette il Battesimo e chi sa quante volte vi è tornato a pregare; qui, probabilmente, ha meglio compreso la voce del divino Maestro che lo ha chiamato a seguirlo e lo ha condotto, attraverso varie tappe, sino ad essere suo Vicario in terra. Qui risuonano ancora le ispirate parole che, diventato Cardinale, Giovanni Battista Montini pronunciò cinquant’anni fa, il 16 agosto 1959, quando tornò a questo suo fonte battesimale. “Qui sono diventato cristiano – egli disse - ; sono diventato figlio di Dio, ho avuto il dono della fede”(G.B. Montini, Discorsi e Scritti Milanesi, II, p. 3010). Ricordandolo mi piace salutare con affetto tutti voi suoi compaesani, il vostro Parroco e il Sindaco insieme al Pastore della diocesi, Mons. Luciano Monari, e a quanti hanno voluto essere presenti a questo breve eppure intenso momento di intimità spirituale.

“Qui sono diventato cristiano… ho avuto il dono della fede”. Cari amici, permettete che colga questa occasione per richiamare, partendo proprio dall’affermazione di Papa Montini e riferendomi ad altri suoi interventi, l’importanza del Battesimo nella vita di ogni cristiano. Il Battesimo – egli afferma - può dirsi “il primo e fondamentale rapporto vitale e soprannaturale fra la Pasqua del Signore e la Pasqua nostra” (Insegnamenti IV, [1966], 742), è il Sacramento mediante il quale avviene “la trasfusione del mistero della morte e risurrezione di Cristo nei suoi seguaci” (Insegnamenti XIV, [1976], 407), è il Sacramento che inizia al rapporto di comunione con Cristo. “Per mezzo del Battesimo – come dice San Paolo – siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti…, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (
Rm 6,4). Paolo VI amava sottolineare la dimensione cristocentrica del Battesimo, con cui ci siamo rivestiti di Cristo, con cui entriamo in comunione vitale con Lui e a Lui apparteniamo.

In tempi di grandi mutamenti all’interno della Chiesa e nel mondo, quante volte Paolo VI ha insistito su questa necessità di restare saldi nella comunione vitale con Cristo! Solo così infatti si diventa membri della sua famiglia che è la Chiesa. Il Battesimo - egli annotava - è la “porta attraverso la quale gli uomini entrano nella Chiesa” (Insegnamenti XII, [1974], 422), è il Sacramento con cui si diventa “fratelli di Cristo e membra di quella umanità, destinata a far parte del suo Corpo mistico e universale, che si chiama la Chiesa”(Insegnamenti XIII, [1975], 308). L’uomo rigenerato dal Battesimo, Dio lo rende partecipe della sua stessa vita, e “il battezzato può efficacemente tendere a Dio-Trinità, suo fine ultimo, a cui è ordinato, allo scopo di avere parte alla sua vita e al suo amore infinito” (Insegnamenti XI, [1973], 850).

Cari fratelli e sorelle, vorrei tornare idealmente alla visita a questa vostra chiesa parrocchiale che l’allora Arcivescovo di Milano fece 50 anni or sono. Ricordando il suo Battesimo, si interrogava su come aveva custodito e vissuto questo grande dono del Signore, e, pur riconoscendo di non averlo né compreso abbastanza, né abbastanza assecondato, confessava: “Vi voglio dire che la fede che ho ricevuto in questa chiesa col sacramento del Santo Battesimo è stata per me la luce della vita… la lampada della mia vita” (Op. cit. , pp. PP 3010 PP 3011). Facendo eco alle sue parole, ci potremmo domandare: “Come vivo io il mio Battesimo? Come faccio esperienza del cammino di vita nuova di cui parla san Paolo?”. Nel mondo in cui viviamo – per usare ancora un’espressione dell’Arcivescovo Montini – spesso c’è “una nube che ci toglie la contentezza di vedere con serenità il cielo divino… c’è la tentazione di credere che la fede sia un vincolo, una catena da cui bisogna sciogliersi, che sia una cosa antica se non sorpassata, che non serve” (ibid., p. 3012), per cui l’uomo pensa che basti “la vita economica e sociale per dare una risposta a tutte le aspirazioni del cuore umano” (ibid.). A questo riguardo, quanto mai eloquente è invece l’espressione di sant’Agostino, il quale scrive nelle Confessioni che il nostro cuore non ha pace finché non riposa in Dio (cfr I,1). Solo se trova la luce che lo illumina e gli da pienezza di significato l’essere umano è veramente felice. Questa luce è la fede in Cristo, dono che si riceve nel Battesimo, e che va riscoperta costantemente per essere trasmessa agli altri.

Cari fratelli e sorelle, non dimentichiamo il dono immenso ricevuto il giorno in cui siamo stati battezzati! In quel momento Cristo ci ha legati per sempre a sé, ma, da parte nostra, continuiamo a restare uniti a Lui attraverso scelte coerenti con il Vangelo? Non è facile essere cristiani! Ci vuole coraggio e tenacia per non conformarsi alla mentalità del mondo, per non lasciarsi sedurre dai richiami talvolta potenti dell’edonismo e del consumismo, per affrontare, se necessario, anche incomprensioni e talora persino vere persecuzioni. Vivere il Battesimo comporta restare saldamente uniti alla Chiesa, pure quando vediamo nel suo volto qualche ombra e qualche macchia. È lei che ci ha rigenerati alla vita divina e ci accompagna in tutto il nostro cammino: amiamola, amiamola come nostra vera madre! Amiamola e serviamola con un amore fedele, che si traduca in gesti concreti all’interno delle nostre comunità, non cedendo alla tentazione dell’individualismo e del pregiudizio, e superando ogni rivalità e divisione. Così saremo veri discepoli di Cristo! Ci aiuti dal Cielo Maria, Madre di Cristo e della Chiesa, che il Servo di Dio Paolo VI ha amato e onorato con grande devozione. Vi sono ancora grato per la vostra accoglienza così cordiale e bella, cari fratelli e sorelle, e, mentre vi assicuro il mio ricordo nella preghiera, a tutti imparto di cuore una speciale benedizione.



AI PARTECIPANTI AL VI CONGRESSO MONDIALE PER LA PASTORALE DEI MIGRANTI E DEI RIFUGIATI Sala Clementina Lunedì 9 novembre 2009

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Discorsi 2005-13 30209