Discorsi 2005-13 19119

AI DOCENTI DEI PONTIFICI ATENEI ROMANI E AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA GENERALE DELLA FEDERAZIONE INTERNAZIONALE DELLE UNIVERSITÀ CATTOLICHE Aula Paolo VI Giovedì, 19 novembre 2009

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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
illustri Rettori, Autorità accademiche e Professori,
cari studenti, fratelli e sorelle!

Con gioia vi accolgo e vi ringrazio di essere convenuti ad Petri Sedem, per essere confermati nel vostro importante ed impegnativo compito di insegnamento, di studio e di ricerca al servizio della Chiesa e dell’intera società. Ringrazio cordialmente il Cardinale Zenon Grocholewski per le parole che mi ha rivolto introducendo questo incontro, nel quale ricordiamo due ricorrenze particolari: il 30.mo della Costituzione apostolica Sapientia christiana, promulgata il 15 aprile 1979 dal Servo di Dio Giovanni Paolo II, e il 60.mo anniversario del riconoscimento da parte della Santa Sede dello Statuto della Fédération Internationale des Universités Catholiques (FIUC).

Sono lieto di fare memoria insieme con voi di questi significativi anniversari, che mi offrono l’occasione di evidenziare ancora una volta il ruolo insostituibile delle Facoltà ecclesiastiche e delle Università cattoliche nella Chiesa e nella società. Il Concilio Vaticano II lo aveva già ben sottolineato nella Dichiarazione Gravissimum educationis, quando esortava le Facoltà ecclesiastiche ad approfondire i vari settori delle scienze sacre, per avere una conoscenza sempre più profonda della Rivelazione, per esplorare il tesoro della sapienza cristiana, favorire il dialogo ecumenico e interreligioso, e per rispondere ai problemi emergenti in ambito culturale (cfr n. 11). Lo stesso Documento conciliare raccomandava di promuovere le Università cattoliche, distribuendole nelle diverse regioni del mondo e, soprattutto, curandone il livello qualitativo per formare persone versate nel sapere, pronte a testimoniare la loro fede nel mondo e a svolgere compiti di responsabilità nella società (cfr n. 10). L’invito del Concilio ha trovato vasta eco nella Chiesa. Oggi vi sono, infatti, oltre 1.300 Università cattoliche e circa 400 Facoltà ecclesiastiche, diffuse in tutti i continenti, molte delle quali sono sorte negli ultimi decenni, a testimonianza di una crescente attenzione delle Chiese particolari per la formazione degli ecclesiastici e dei laici alla cultura e alla ricerca.

La Costituzione apostolica Sapientia christiana, fin dalle sue prime espressioni, rileva l’urgenza, ancora attuale, di superare il divario esistente tra fede e cultura, invitando ad un maggiore impegno di evangelizzazione, nella ferma convinzione che la Rivelazione cristiana è una forza trasformante, destinata a permeare i modi di pensare, i criteri di giudizio, le norme di azione. Essa è in grado di illuminare, purificare e rinnovare i costumi degli uomini e le loro culture (cfr Proemio, I) e deve costituire il punto centrale dell’insegnamento e della ricerca, nonché l’orizzonte che illumina la natura e le finalità di ogni Facoltà ecclesiastica. In questa prospettiva, mentre viene sottolineato il dovere dei cultori delle discipline sacre di raggiungere, con la ricerca teologica, una conoscenza più profonda della verità rivelata, si incoraggiano, allo stesso tempo, i contatti con gli altri campi del sapere, per un fruttuoso dialogo, soprattutto al fine di offrire un prezioso contributo alla missione che la Chiesa è chiamata a svolgere nel mondo. Dopo trent’anni, le linee di fondo della Costituzione apostolica Sapientia christiana conservano ancora tutta la loro attualità. Anzi, nell’odierna società, dove la conoscenza diventa sempre più specializzata e settoriale, ma è profondamente segnata dal relativismo, risulta ancora più necessario aprirsi alla “sapienza” che viene dal Vangelo. L’uomo, infatti, è incapace di comprendere pienamente se stesso e il mondo senza Gesù Cristo: Lui solo illumina la sua vera dignità, la sua vocazione, il suo destino ultimo e apre il cuore ad una speranza solida e duratura.

Cari amici, il vostro impegno di servire la verità che Dio ci ha rivelato partecipa della missione evangelizzatrice che Cristo ha affidato alla Chiesa: è pertanto un servizio ecclesiale. Sapientia christiana cita, al riguardo, la conclusione del Vangelo secondo Matteo: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato” (
Mt 28,19-20). E’ importante per tutti, docenti e studenti, non perdere mai di vista il fine da perseguire, quello cioè di essere strumento dell’annuncio evangelico. Gli anni degli studi ecclesiastici superiori si possono paragonare all’esperienza che gli Apostoli hanno vissuto con Gesù: nello stare con Lui hanno appreso la verità, per diventarne poi annunciatori dappertutto. Al tempo stesso è importante ricordare che lo studio delle scienze sacre non va mai separato dalla preghiera, dall’unione con Dio, dalla contemplazione – come ho richiamato nelle recenti Catechesi sulla teologia monastica medioevale – altrimenti le riflessioni sui misteri divini rischiano di diventare un vano esercizio intellettuale. Ogni scienza sacra, alla fine, rinvia alla “scienza dei santi”, alla loro intuizione dei misteri del Dio vivente, alla sapienza, che è dono dello Spirito Santo, e che è anima della “fides quaerens intellectum” (cfr Udienza Generale, 21 ottobre 2009).

La Federazione Internazionale delle Università Cattoliche (FIUC) è nata nel 1924 per iniziativa di alcuni Rettori e riconosciuta 25 anni dopo dalla Santa Sede. Cari Rettori delle Università cattoliche, il 60.mo anniversario dell’erezione canonica di questa vostra Federazione è un’occasione quanto mai propizia per fare un bilancio dell’attività svolta e per tracciare le linee degli impegni futuri.

Celebrare un anniversario è rendere grazie a Dio che ha guidato i nostri passi, ma è attingere anche dalla propria storia ulteriore slancio per rinnovare la volontà di servire la Chiesa. In questo senso, il vostro motto è un programma anche per il futuro della Federazione: “Sciat ut serviat”, sapere per servire. In una cultura che manifesta una “mancanza di sapienza, di riflessione, di pensiero in grado di operare una sintesi orientativa” (Enc. Caritas in veritate ), le Università cattoliche, fedeli alla propria identità che fa dell’ispirazione cristiana un punto qualificante, sono chiamate a promuovere una “nuova sintesi umanistica” (ibid., 21), un sapere che sia “sapienza capace di orientare l’uomo alla luce dei principi primi e dei suoi fini ultimi” (ibid., 30), un sapere illuminato dalla fede.

Cari amici, il servizio che svolgete è prezioso per la missione della Chiesa. Mentre formulo a tutti sinceri auguri per l’anno accademico da poco iniziato e per il pieno successo del Convegno della FIUC, affido ognuno di voi e le istituzioni che rappresentate alla materna protezione di Maria Santissima, Sede della Sapienza, e ben volentieri imparto a voi tutti la Benedizione Apostolica.


AI PARTECIPANTI ALLA CONFERENZA INTERNAZIONALE PROMOSSA DAL PONTIFICIO CONSIGLIO PER GLI OPERATORI SANITARI (PER LA PASTORALE DELLA SALUTE) Sala Clementina Venerdì, 20 novembre 2009

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Cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di incontravi in occasione della XXIV Conferenza Internazionale organizzata dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari su un tema di grande rilevanza sociale ed ecclesiale: Effatà! La persona sorda nella vita della Chiesa. Saluto il Presidente del Dicastero, l'Arcivescovo Zygmunt Zimowski, e lo ringrazio per le sue cordiali parole. Il mio saluto si estende al Segretario ed al nuovo Sotto-Segretario, ai Sacerdoti, ai Religiosi e ai Laici, agli Esperti e a tutti i presenti. Desidero esprimere il mio apprezzamento e incoraggiamento per il generoso impegno da voi profuso in questo importante settore della pastorale.

Numerose, infatti, e delicate sono le problematiche riguardanti le persone non udenti, che sono state fatte oggetto di attenta riflessione in questi giorni. Si tratta di una realtà articolata, che spazia dall'orizzonte sociologico a quello pedagogico, da quello medico e psicologico a quello etico-spirituale e pastorale. Le relazioni degli specialisti, lo scambio di esperienze tra chi opera nel settore, le testimonianze stesse di non udenti, hanno offerto la possibilità di un’analisi approfondita della situazione e di formulare proposte e indicazioni per un’attenzione sempre più adeguata a questi nostri fratelli e sorelle.

La parola “Effatà”, posta all'inizio del titolo della Conferenza, richiama alla mente il noto episodio del Vangelo di Marco (cfr 7,31-37), che costituisce un paradigma di come il Signore opera verso le persone non udenti. Gesù prende in disparte un uomo sordo e muto e, dopo aver compiuto alcuni gesti simbolici, alza gli occhi al Cielo e gli dice: “Effatà!”, cioè: “Apriti!”. In quell’istante, riferisce l'evangelista, all'uomo fu restituito l'udito, gli si sciolse la lingua e parlava correttamente. I gesti di Gesù sono colmi di attenzione amorosa ed esprimono profonda compassione per l’uomo che gli sta davanti: gli manifesta il suo interessamento concreto, lo toglie dalla confusione della folla, gli fa sentire la sua vicinanza e comprensione mediante alcuni gesti densi di significato. Gli pone le dita negli orecchi e con la saliva gli tocca la lingua. Lo invita poi a volgere con Lui lo sguardo interiore, quello del cuore, verso il Padre celeste. Infine, lo guarisce e lo restituisce alla sua famiglia, alla sua gente. E la folla, stupita, non può che esclamare: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!” (
Mc 7,37).

Col suo modo di agire, che rivela l’amore di Dio Padre, Gesù non sana solo la sordità fisica, ma indica che esiste un'altra forma di sordità da cui l'umanità deve guarire, anzi da cui deve essere salvata: è la sordità dello spirito, che alza barriere sempre più alte alla voce di Dio e del prossimo, specialmente al grido di aiuto degli ultimi e dei sofferenti, e rinchiude l’uomo in un profondo e rovinoso egoismo. Come ho avuto modo di ricordare nell’omelia della mia visita pastorale alla Diocesi di Viterbo, il 6 settembre scorso, “Possiamo vedere in questo ‘segno’ l'ardente desiderio di Gesù di vincere nell'uomo la solitudine e l'incomunicabilità create dall'egoismo, per dare volto ad una ‘nuova umanità’, l'umanità dell'ascolto e della parola, del dialogo, della comunicazione, della comunione con Dio. Un’umanità ‘buona’, come buona è tutta la creazione di Dio; una umanità senza discriminazioni, senza esclusioni… così che il mondo sia veramente e per tutti ‘campo di genuina fraternità’…” (L’Oss. Rm 7-8 settembre 2009, pag. 6).

Purtroppo l’esperienza non sempre attesta gesti di solerte accoglienza, di convinta solidarietà e di calorosa comunione verso le persone non udenti. Le numerose associazioni, nate per tutelare e promuovere i loro diritti, evidenziano l’esistenza di una mai sopita cultura segnata da pregiudizi e discriminazioni. Sono atteggiamenti deplorevoli e ingiustificabili, perché contrari al rispetto per la dignità della persona non udente e alla sua piena integrazione sociale. Molto più vaste, però, sono le iniziative promosse da istituzioni e da associazioni, sia in campo ecclesiale che in quello civile, ispirate ad un'autentica e generosa solidarietà, che hanno apportato un miglioramento delle condizioni di vita di molte persone non udenti. A tale proposito, è significativo ricordare che le prime scuole per l'istruzione e la formazione religiosa di questi nostri fratelli e sorelle sono sorte in Europa, già nel settecento. Da allora sono andate moltiplicandosi, nella Chiesa, opere caritative, sotto l'impulso di sacerdoti, religiosi, religiose e laici, con lo scopo di offrire ai non udenti non solo una formazione, ma anche un'assistenza integrale per la piena realizzazione di se stessi. Non è possibile, però dimenticare la grave situazione in cui essi vivono ancora oggi nei Paesi in via di sviluppo, sia per la mancanza di appropriate politiche e legislazioni, sia per la difficoltà ad avere accesso alle cure sanitarie primarie; la sordità, infatti, è spesso conseguenza di malattie facilmente curabili. Faccio appello, quindi, alle autorità politiche e civili, nonché agli organismi internazionali, affinché offrano il necessario sostegno per promuovere, anche in quei Paesi, il dovuto rispetto della dignità e dei diritti delle persone non udenti, favorendo, con aiuti adeguati, la loro piena integrazione sociale. La Chiesa, seguendo l'insegnamento e l'esempio del suo divino Fondatore, continua ad accompagnare le diverse iniziative pastorali e sociali a loro beneficio con amore e solidarietà, riservando speciale attenzione verso chi soffre, nella consapevolezza che proprio nella sofferenza è nascosta una particolare forza che avvicina interiormente l'uomo a Cristo, una grazia particolare.

Cari fratelli e sorelle non udenti, voi non siete solo destinatari dell'annunzio del messaggio evangelico, ma ne siete, a pieno titolo, anche annunciatori, in forza del vostro Battesimo. Vivete quindi ogni giorno da testimoni del Signore negli ambienti della vostra esistenza, facendo conoscere Cristo e il suo Vangelo. In quest’Anno Sacerdotale pregate anche per le vocazioni, perché il Signore susciti numerosi e buoni ministri per la crescita delle comunità ecclesiali.

Cari amici, vi ringrazio per questo incontro e affido tutti voi qui presenti alla materna protezione di Maria Madre dell'amore, Stella della speranza, Madonna del Silenzio. Con questi voti, vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica, che estendo alle vostre famiglie e a tutte le associazioni che attivamente operano nel servizio dei non udenti.





INCONTRO CON GLI ARTISTI Cappella Sistina Sabato, 21 novembre 2009

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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
illustri Artisti,
Signore e Signori!

Con grande gioia vi accolgo in questo luogo solenne e ricco di arte e di memorie. Rivolgo a tutti e a ciascuno il mio cordiale saluto, e vi ringrazio per aver accolto il mio invito. Con questo incontro desidero esprimere e rinnovare l’amicizia della Chiesa con il mondo dell’arte, un’amicizia consolidata nel tempo, poiché il Cristianesimo, fin dalle sue origini, ha ben compreso il valore delle arti e ne ha utilizzato sapientemente i multiformi linguaggi per comunicare il suo immutabile messaggio di salvezza. Questa amicizia va continuamente promossa e sostenuta, affinché sia autentica e feconda, adeguata ai tempi e tenga conto delle situazioni e dei cambiamenti sociali e culturali. Ecco il motivo di questo nostro appuntamento. Ringrazio di cuore Mons. Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, per averlo promosso e preparato, con i suoi collaboratori, come pure per le parole che mi ha poc’anzi rivolto. Saluto i Signori Cardinali, i Vescovi, i Sacerdoti e le distinte Personalità presenti. Ringrazio anche la Cappella Musicale Pontificia Sistina che accompagna questo significativo momento. Protagonisti di questo incontro siete voi, cari e illustri Artisti, appartenenti a Paesi, culture e religioni diverse, forse anche lontani da esperienze religiose, ma desiderosi di mantenere viva una comunicazione con la Chiesa cattolica e di non restringere gli orizzonti dell’esistenza alla mera materialità, ad una visione riduttiva e banalizzante. Voi rappresentate il variegato mondo delle arti e, proprio per questo, attraverso di voi vorrei far giungere a tutti gli artisti il mio invito all’amicizia, al dialogo, alla collaborazione.

Alcune significative circostanze arricchiscono questo momento. Ricordiamo il decennale della Lettera agli Artisti del mio venerato predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II. Per la prima volta, alla vigilia del Grande Giubileo dell’Anno 2000, questo Pontefice, anch’egli artista, scrisse direttamente agli artisti con la solennità di un documento papale e il tono amichevole di una conversazione tra “quanti – come recita l’indirizzo –, con appassionata dedizione, cercano nuove «epifanie» della bellezza”. Lo stesso Papa, venticinque anni or sono, aveva proclamato patrono degli artisti il Beato Angelico, indicando in lui un modello di perfetta sintonia tra fede e arte. Il mio pensiero va, poi, al 7 maggio del 1964, quarantacinque anni fa, quando, in questo stesso luogo, si realizzava uno storico evento, fortemente voluto dal Papa Paolo VI per riaffermare l’amicizia tra la Chiesa e le arti. Le parole che ebbe a pronunciare in quella circostanza risuonano ancor oggi sotto la volta di questa Cappella Sistina, toccando il cuore e l’intelletto. “Noi abbiamo bisogno di voi - egli disse -. Il Nostro ministero ha bisogno della vostra collaborazione. Perché, come sapete, il Nostro ministero è quello di predicare e di rendere accessibile e comprensibile, anzi commovente, il mondo dello spirito, dell’invisibile, dell’ineffabile, di Dio. E in questa operazione… voi siete maestri. E’ il vostro mestiere, la vostra missione; e la vostra arte è quella di carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parola, di colori, di forme, di accessibilità” (Insegnamenti II, [1964], 313). Tanta era la stima di Paolo VI per gli artisti, da spingerlo a formulare espressioni davvero ardite: “E se Noi mancassimo del vostro ausilio – proseguiva –, il ministero diventerebbe balbettante ed incerto e avrebbe bisogno di fare uno sforzo, diremmo, di diventare esso stesso artistico, anzi di diventare profetico. Per assurgere alla forza di espressione lirica della bellezza intuitiva, avrebbe bisogno di far coincidere il sacerdozio con l’arte” (Ibid., 314). In quella circostanza, Paolo VI assunse l’ impegno di “ristabilire l’amicizia tra la Chiesa e gli artisti”, e chiese loro di farlo proprio e di condividerlo, analizzando con serietà e obiettività i motivi che avevano turbato tale rapporto e assumendosi ciascuno con coraggio e passione la responsabilità di un rinnovato, approfondito itinerario di conoscenza e di dialogo, in vista di un’autentica “rinascita” dell’arte, nel contesto di un nuovo umanesimo.

Quello storico incontro, come dicevo, avvenne qui, in questo santuario di fede e di creatività umana. Non è dunque casuale il nostro ritrovarci proprio in questo luogo, prezioso per la sua architettura e per le sue simboliche dimensioni, ma ancora di più per gli affreschi che lo rendono inconfondibile, ad iniziare dai capolavori di Perugino e Botticelli, Ghirlandaio e Cosimo Rosselli, Luca Signorelli ed altri, per giungere alle Storie della Genesi e al Giudizio Universale, opere eccelse di Michelangelo Buonarroti, che qui ha lasciato una delle creazioni più straordinarie di tutta la storia dell’arte. Qui è anche risuonato spesso il linguaggio universale della musica, grazie al genio di grandi musicisti, che hanno posto la loro arte al servizio della liturgia, aiutando l’anima ad elevarsi a Dio. Al tempo stesso, la Cappella Sistina è uno scrigno singolare di memorie, giacché costituisce lo scenario, solenne ed austero, di eventi che segnano la storia della Chiesa e dell’umanità. Qui, come sapete, il Collegio dei Cardinali elegge il Papa; qui ho vissuto anch’io, con trepidazione e assoluta fiducia nel Signore, il momento indimenticabile della mia elezione a Successore dell’apostolo Pietro.

Cari amici, lasciamo che questi affreschi ci parlino oggi, attirandoci verso la méta ultima della storia umana. Il Giudizio Universale, che campeggia alle mie spalle, ricorda che la storia dell’umanità è movimento ed ascensione, è inesausta tensione verso la pienezza, verso la felicità ultima, verso un orizzonte che sempre eccede il presente mentre lo attraversa. Nella sua drammaticità, però, questo affresco pone davanti ai nostri occhi anche il pericolo della caduta definitiva dell’uomo, minaccia che incombe sull’umanità quando si lascia sedurre dalle forze del male. L’affresco lancia perciò un forte grido profetico contro il male; contro ogni forma di ingiustizia. Ma per i credenti il Cristo risorto è la Via, la Verità e la Vita. Per chi fedelmente lo segue è la Porta che introduce in quel “faccia a faccia”, in quella visione di Dio da cui scaturisce senza più limitazioni la felicità piena e definitiva. Michelangelo offre così alla nostra visione l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine della storia, e ci invita a percorrere con gioia, coraggio e speranza l’itinerario della vita. La drammatica bellezza della pittura michelangiolesca, con i suoi colori e le sue forme, si fa dunque annuncio di speranza, invito potente ad elevare lo sguardo verso l’orizzonte ultimo. Il legame profondo tra bellezza e speranza costituiva anche il nucleo essenziale del suggestivo Messaggio che Paolo VI indirizzò agli artisti alla chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II, l’8 dicembre 1965: “A voi tutti - egli proclamò solennemente - la Chiesa del Concilio dice con la nostra voce: se voi siete gli amici della vera arte, voi siete nostri amici!” (Enchiridion Vaticanum
1P 305). Ed aggiunse: “Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione. La bellezza, come la verità, è ciò che infonde gioia al cuore degli uomini, è quel frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione. E questo grazie alle vostre mani… Ricordatevi che siete i custodi della bellezza nel mondo” (Ibid.).

Il momento attuale è purtroppo segnato, oltre che da fenomeni negativi a livello sociale ed economico, anche da un affievolirsi della speranza, da una certa sfiducia nelle relazioni umane, per cui crescono i segni di rassegnazione, di aggressività, di disperazione. Il mondo in cui viviamo, poi, rischia di cambiare il suo volto a causa dell’opera non sempre saggia dell’uomo il quale, anziché coltivarne la bellezza, sfrutta senza coscienza le risorse del pianeta a vantaggio di pochi e non di rado ne sfregia le meraviglie naturali. Che cosa può ridare entusiasmo e fiducia, che cosa può incoraggiare l’animo umano a ritrovare il cammino, ad alzare lo sguardo sull’orizzonte, a sognare una vita degna della sua vocazione se non la bellezza? Voi sapete bene, cari artisti, che l’esperienza del bello, del bello autentico, non effimero né superficiale, non è qualcosa di accessorio o di secondario nella ricerca del senso e della felicità, perché tale esperienza non allontana dalla realtà, ma, al contrario, porta ad un confronto serrato con il vissuto quotidiano, per liberarlo dall’oscurità e trasfigurarlo, per renderlo luminoso, bello.

Una funzione essenziale della vera bellezza, infatti, già evidenziata da Platone, consiste nel comunicare all’uomo una salutare “scossa”, che lo fa uscire da se stesso, lo strappa alla rassegnazione, all’accomodamento del quotidiano, lo fa anche soffrire, come un dardo che lo ferisce, ma proprio in questo modo lo “risveglia” aprendogli nuovamente gli occhi del cuore e della mente, mettendogli le ali, sospingendolo verso l’alto. L’espressione di Dostoevskij che sto per citare è senz’altro ardita e paradossale, ma invita a riflettere: “L’umanità può vivere - egli dice - senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo. Tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui”. Gli fa eco il pittore Georges Braque: “L’arte è fatta per turbare, mentre la scienza rassicura”. La bellezza colpisce, ma proprio così richiama l’uomo al suo destino ultimo, lo rimette in marcia, lo riempie di nuova speranza, gli dona il coraggio di vivere fino in fondo il dono unico dell’esistenza. La ricerca della bellezza di cui parlo, evidentemente, non consiste in alcuna fuga nell’irrazionale o nel mero estetismo.

Troppo spesso, però, la bellezza che viene propagandata è illusoria e mendace, superficiale e abbagliante fino allo stordimento e, invece di far uscire gli uomini da sé e aprirli ad orizzonti di vera libertà attirandoli verso l’alto, li imprigiona in se stessi e li rende ancor più schiavi, privi di speranza e di gioia. Si tratta di una seducente ma ipocrita bellezza, che ridesta la brama, la volontà di potere, di possesso, di sopraffazione sull’altro e che si trasforma, ben presto, nel suo contrario, assumendo i volti dell’oscenità, della trasgressione o della provocazione fine a se stessa. L’autentica bellezza, invece, schiude il cuore umano alla nostalgia, al desiderio profondo di conoscere, di amare, di andare verso l’Altro, verso l’Oltre da sé. Se accettiamo che la bellezza ci tocchi intimamente, ci ferisca, ci apra gli occhi, allora riscopriamo la gioia della visione, della capacità di cogliere il senso profondo del nostro esistere, il Mistero di cui siamo parte e da cui possiamo attingere la pienezza, la felicità, la passione dell’impegno quotidiano. Giovanni Paolo II, nella Lettera agli Artisti, cita, a tale proposito, questo verso di un poeta polacco, Cyprian Norwid: “La bellezza è per entusiasmare al lavoro, / il lavoro è per risorgere” (n. 3). E più avanti aggiunge: “In quanto ricerca del bello, frutto di un’immaginazione che va al di là del quotidiano, l’arte è, per sua natura, una sorta di appello al Mistero. Persino quando scruta le profondità più oscure dell’anima o gli aspetti più sconvolgenti del male, l’artista si fa in qualche modo voce dell’universale attesa di redenzione” (n. 10). E nella conclusione afferma: “La bellezza è cifra del mistero e richiamo al trascendente” (n. 16).

Queste ultime espressioni ci spingono a fare un passo in avanti nella nostra riflessione. La bellezza, da quella che si manifesta nel cosmo e nella natura a quella che si esprime attraverso le creazioni artistiche, proprio per la sua caratteristica di aprire e allargare gli orizzonti della coscienza umana, di rimandarla oltre se stessa, di affacciarla sull’abisso dell’Infinito, può diventare una via verso il Trascendente, verso il Mistero ultimo, verso Dio. L’arte, in tutte le sue espressioni, nel momento in cui si confronta con i grandi interrogativi dell’esistenza, con i temi fondamentali da cui deriva il senso del vivere, può assumere una valenza religiosa e trasformarsi in un percorso di profonda riflessione interiore e di spiritualità. Questa affinità, questa sintonia tra percorso di fede e itinerario artistico, l’attesta un incalcolabile numero di opere d’arte che hanno come protagonisti i personaggi, le storie, i simboli di quell’immenso deposito di “figure” – in senso lato – che è la Bibbia, la Sacra Scrittura. Le grandi narrazioni bibliche, i temi, le immagini, le parabole hanno ispirato innumerevoli capolavori in ogni settore delle arti, come pure hanno parlato al cuore di ogni generazione di credenti mediante le opere dell’artigianato e dell’arte locale, non meno eloquenti e coinvolgenti.

Si parla, in proposito, di una via pulchritudinis, una via della bellezza che costituisce al tempo stesso un percorso artistico, estetico, e un itinerario di fede, di ricerca teologica. Il teologo Hans Urs von Balthasar apre la sua grande opera intitolata Gloria. Un’estetica teologica con queste suggestive espressioni: “La nostra parola iniziale si chiama bellezza. La bellezza è l’ultima parola che l’intelletto pensante può osare di pronunciare, perché essa non fa altro che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto”. Osserva poi: “Essa è la bellezza disinteressata senza la quale il vecchio mondo era incapace di intendersi, ma che ha preso congedo in punta di piedi dal moderno mondo degli interessi, per abbandonarlo alla sua cupidità e alla sua tristezza. Essa è la bellezza che non è più amata e custodita nemmeno dalla religione”. E conclude: “Chi, al suo nome, increspa al sorriso le labbra, giudicandola come il ninnolo esotico di un passato borghese, di costui si può essere sicuri che – segretamente o apertamente – non è più capace di pregare e, presto, nemmeno di amare”. La via della bellezza ci conduce, dunque, a cogliere il Tutto nel frammento, l’Infinito nel finito, Dio nella storia dell’umanità. Simone Weil scriveva a tal proposito: “In tutto quel che suscita in noi il sentimento puro ed autentico del bello, c’è realmente la presenza di Dio. C’è quasi una specie di incarnazione di Dio nel mondo, di cui la bellezza è il segno. Il bello è la prova sperimentale che l’incarnazione è possibile. Per questo ogni arte di prim’ordine è, per sua essenza, religiosa”. Ancora più icastica l’affermazione di Hermann Hesse: “Arte significa: dentro a ogni cosa mostrare Dio”. Facendo eco alle parole del Papa Paolo VI, il Servo di Dio Giovanni Paolo II ha riaffermato il desiderio della Chiesa di rinnovare il dialogo e la collaborazione con gli artisti: “Per trasmettere il messaggio affidatole da Cristo, la Chiesa ha bisogno dell’arte” (Lettera agli Artisti, n. 12); ma domandava subito dopo: “L’arte ha bisogno della Chiesa?”, sollecitando così gli artisti a ritrovare nella esperienza religiosa, nella rivelazione cristiana e nel “grande codice” che è la Bibbia una sorgente di rinnovata e motivata ispirazione.

Cari Artisti, avviandomi alla conclusione, vorrei rivolgervi anch’io, come già fece il mio Predecessore, un cordiale, amichevole ed appassionato appello. Voi siete custodi della bellezza; voi avete, grazie al vostro talento, la possibilità di parlare al cuore dell’umanità, di toccare la sensibilità individuale e collettiva, di suscitare sogni e speranze, di ampliare gli orizzonti della conoscenza e dell’impegno umano. Siate perciò grati dei doni ricevuti e pienamente consapevoli della grande responsabilità di comunicare la bellezza, di far comunicare nella bellezza e attraverso la bellezza! Siate anche voi, attraverso la vostra arte, annunciatori e testimoni di speranza per l’umanità! E non abbiate paura di confrontarvi con la sorgente prima e ultima della bellezza, di dialogare con i credenti, con chi, come voi, si sente pellegrino nel mondo e nella storia verso la Bellezza infinita! La fede non toglie nulla al vostro genio, alla vostra arte, anzi li esalta e li nutre, li incoraggia a varcare la soglia e a contemplare con occhi affascinati e commossi la méta ultima e definitiva, il sole senza tramonto che illumina e fa bello il presente.

Sant’Agostino, cantore innamorato della bellezza, riflettendo sul destino ultimo dell’uomo e quasi commentando ante litteram la scena del Giudizio che avete oggi davanti ai vostri occhi, così scriveva: “Godremo, dunque di una visione, o fratelli, mai contemplata dagli occhi, mai udita dalle orecchie, mai immaginata dalla fantasia: una visione che supera tutte le bellezze terrene, quella dell’oro, dell’argento, dei boschi e dei campi, del mare e del cielo, del sole e della luna, delle stelle e degli angeli; la ragione è questa: che essa è la fonte di ogni altra bellezza” (In Ep. Jo. Tr. 4,5: PL 35, 2008). Auguro a tutti voi, cari Artisti, di portare nei vostri occhi, nelle vostre mani, nel vostro cuore questa visione, perché vi dia gioia e ispiri sempre le vostre opere belle. Mentre di cuore vi benedico, vi saluto, come già fece Paolo VI, con una sola parola: arrivederci!



[Sono lieto di salutare tutti gli artisti presenti. Cari amici, vi incoraggio a scoprire e a esprimere sempre meglio, attraverso la bellezza delle vostre opere, il mistero di Dio e il mistero dell'uomo. Che Dio vi benedica!]



[Cari amici, grazie per la vostra presenza qui oggi. Che la bellezza che esprimete grazie alle doti che Dio vi ha dato spinga sempre i cuori di altri a rendere gloria al Creatore, fonte di tutto ciò che è bene! Le benedizioni di Dio siano su tutti voi!]



[Vi saluto di tutto cuore, cari amici! Con il vostro talento artistico rendete, in un certo senso, visibile l'opera della creazione di Dio. Il Signore, che vuole essere vicino a noi nella bellezza, vi colmi con il suo spirito di amore! Dio vi benedica tutti!]


[Saluto cordialmente gli artisti che partecipano a questo incontro. Cari amici, vi incoraggio a promuovere il significato e le manifestazioni della bellezza nel creato. Che Dio vi benedica! Grazie].





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