Discorsi 2005-13 27029

AI MEMBRI DELLE ASSOCIAZIONI "PRO PETRI SEDE" E "ETRENNES PONTIFICALES" Venerdì, 27 febbraio 2009

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Cari amici,

Sono particolarmente lieto di accogliervi mentre realizzate il pellegrinaggio che, ogni due anni, vi conduce alle tombe degli Apostoli al fine di chiedere al Signore di rafforzare la vostra fede e di benedire gli sforzi che fate per testimoniare generosamente il suo amore.

L'Anno paolino ci offre l'opportunità, mediante la meditazione sulla parola dell'Apostolo delle Genti, di prendere più vivamente coscienza del fatto che la Chiesa è un Corpo, attraverso il quale circola una stessa vita che è quella di Gesù. Per questo, ogni membro del corpo ecclesiale è collegato in modo molto profondo a tutti gli altri e non può ignorare i loro bisogni.

Alimentati dallo stesso pane eucaristico, i battezzati non possono restare indifferenti quando manca il pane sulla tavola degli uomini. Anche quest'anno avete accettato di ascoltare l'appello ad aprire il vostro cuore alle necessità dei diseredati, affinché i membri del Corpo di Cristo vittime della miseria siano confortati e divengano così più vitali e più liberi per testimoniare la Buona Novella.

Affidando il frutto dei vostri risparmi al successore di Pietro, gli permettete di praticare una carità concreta e attiva che è il segno della sua sollecitudine per tutte le Chiese, per ogni battezzato e per ogni uomo. Vi ringraziamo vivamente per tutto ciò a nome di tutte le persone che la vostra generosità sosterrà nella lotta contro i mali che attentano alla loro dignità.

Combattendo la povertà, diamo sempre maggiori possibilità alla pace d'instaurarsi e di radicarsi nei cuori.

Affidando voi e tutte le persone che amate all'intercessione della Beata Vergine Maria, Madre di Misericordia, vi imparto di tutto cuore la Benedizione Apostolica, che estendo ai membri delle vostre due associazioni e alle loro famiglie.




SALUTO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI ALLA CERIMONIA DI CONSEGNA AL PATRIARCATO DI MOSCA DELLA CHIESA RUSSA DI SAN NICOLA A BARI Bari, 1° marzo 2009

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Parole di saluto del Santo Padre Benedetto XVI rivolte ai presenti alla cerimonia tramite l’Em.mo Card. Salvatore De Giorgi:

Il Santo Padre, Benedetto XVI, che mi ha chiesto di rappresentarLo in questa significativa cerimonia, rivolge il suo cordiale saluto alle Autorità religiose e civili e a tutti i presenti, in particolare al Presidente della Repubblica Italiana, Onorevole Giorgio Napolitano, al Presidente della Federazione Russa, Onorevole Dimitry Medvedev, agli Onorevoli Ministri, a Sua Eccellenza Mark, Presidente "ad interim" del Dipartimento per le Relazioni Ecclesiastiche Esterne del Patriarcato di Mosca e all’Eccellentissimo Mons. Francesco Cacucci, Pastore di questa Chiesa particolare. Egli desidera rinnovare anzitutto il suo fervido augurio al Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Sua Santità Kirill I, chiedendo allo Spirito Santo che illumini il suo impegnativo ministero.

Il Papa si compiace che questo edificio venga incontro, qui a Bari, alla devozione degli Ortodossi russi verso San Nicola. Il popolo russo non è mai venuto meno nel suo amore verso questo grande Santo, che lo ha sempre sostenuto nei momenti di gioia e nelle difficoltà. Ne è testimonianza anche questa chiesa ortodossa russa di San Nicola realizzata agli inizi del secolo scorso per ospitare i pellegrini, che, specialmente nei viaggi verso la Terra Santa, facevano tappa a Bari, punto di incontro tra l’Oriente e l’Occidente, per venerare le reliquie del Santo. E come non riconoscere che questa bella Chiesa risveglia in noi la nostalgia per la piena unità e tiene vivo in noi l’impegno a lavorare per l’unione tra tutti i discepoli di Cristo?

In verità, la storia di Bari e di questa Regione è segnata in modo profondo dalla presenza del mondo orientale, e la sensibilità ecumenica costituisce una caratteristica tipica delle popolazioni pugliesi. E proprio per questo il Santo Padre Benedetto XVI auspica che anche l’odierna manifestazione contribuisca a far sì che Bari continui ad essere, come ebbe a dire il Papa Giovanni Paolo II, di venerata memoria, un "ponte naturale verso l’Oriente", offrendo il suo prezioso contributo al cammino verso la piena comunione tra i Cristiani.

Con questi sentimenti, invocando l’intercessione della Madre di Dio e di San Nicola, il Papa rinnova il suo saluto ai presenti ai quali invia, per mio tramite, la sua Benedizione.




CONCLUSIONE DEGLI ESERCIZI SPIRITUALI DELLA CURIA ROMANA Cappella "Redemptoris Mater" Sabato, 7 marzo 2009

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Eminenza, cari venerati Confratelli,

è una delle belle funzioni del Papa dire "grazie". In questo momento vorrei, a nome di tutti noi e di tutti voi, di cuore dire grazie a Lei, Eminenza, per queste meditazioni che ci ha donato. Ci ha guidato, illuminato, aiutato a rinnovare il nostro sacerdozio. La Sua non è stata un'acrobazia teologica. Non ci ha offerto acrobazie teologiche, ma ci ha dato una sana dottrina, il pane buono della nostra fede.

Ascoltando le Sue parole mi è venuta in mente una profezia del profeta Ezechiele interpretata da sant'Agostino. Nel libro di Ezechiele il Signore, il Dio pastore, dice al popolo: io guiderò le mie pecore sui monti di Israele, su pascoli erbosi. E sant'Agostino si chiede dove sono questi monti di Israele, che cosa sono questi pascoli erbosi. E dice: i monti di Israele, i pascoli erbosi sono la Sacra Scrittura, la Parola di Dio che ci dà il vero nutrimento.

La sua predicazione è stata permeata dalla Sacra Scrittura, con una grande familiarità con la Parola di Dio letta nel contesto della Chiesa viva, dai Padri fino al catechismo della Chiesa cattolica, sempre contestualizzata nella lettura, nella liturgia. E proprio così la Scrittura è stata presente nella sua piena attualità. La sua teologia, come ci ha detto, non è stata una teologia astratta, ma marcata da un sano realismo. Ho ammirato e mi è piaciuta questa esperienza concreta dei suoi cinquant'anni di sacerdozio, dei quali Lei ha parlato e alla luce dei quali ci ha aiutati a concretizzare la nostra fede. Ci ha detto parole giuste, concrete per la nostra vita, per il nostro comportamento da sacerdoti. E spero che molti leggeranno anche queste parole e le prenderanno a cuore.

All'inizio Lei ha cominciato con questo sempre affascinante e bel racconto dei primi discepoli che seguono Gesù. Ancora un po' incerti e timidi chiedono: Maestro, dove abiti? E la risposta, che Lei ci ha interpretato, è: "venite e vedrete". Per vedere dobbiamo venire, dobbiamo camminare e seguire Gesù, che ci precede sempre. Solo camminando e seguendo Gesù possiamo anche vedere. Lei ci ha mostrato dove abita Gesù, dov'è la sua dimora: nella sua Chiesa, nella sua Parola, nella santissima Eucaristia.
Grazie, Eminenza, per questa Sua guida. Con nuovo slancio e con nuova gioia intraprendiamo il cammino verso la Pasqua. Auguro a tutti voi buona Quaresima e buona Pasqua.





VISITA IN CAMPIDOGLIO Palazzo del Campidoglio Lunedì, 9 marzo 2009

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Signor Sindaco,
Signor Presidente del Consiglio Comunale,
Signori e Signore Assessori e Consiglieri del Comune di Roma,
Illustri Autorità,
cari amici!

Come è stato ricordato, non è la prima volta che un Papa viene accolto con tanta cordialità in questo Palazzo Senatorio, e prende la parola in questa solenne Aula consiliare, nella quale si riuniscono i massimi rappresentanti dell’amministrazione cittadina. Gli annali della storia registrano innanzitutto la breve sosta del beato Pio IX nella Piazza del Campidoglio, dopo la visita alla Basilica dell’Ara Coeli, il 16 settembre 1870. Molto più recente è la visita che compì il Papa Paolo VI il 16 aprile 1966, alla quale seguì quella del mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II, il 15 gennaio del 1998. Sono gesti che testimoniano l’affetto e la stima che i Successori di Pietro, Pastori della comunità cattolica romana e della Chiesa universale, nutrono da sempre nei confronti di Roma, centro della civiltà latina e cristiana, “madre accogliente dei popoli” (cfr Prudenzio, Peristephanon, carme 11, 191) e “discepola della verità” (cfr Leone Magno, Tract. septem et nonaginta).

E’ pertanto con comprensibile emozione che prendo ora la parola nel corso dell’odierna mia visita. La prendo per esprimere innanzitutto, Signor Sindaco, la mia riconoscenza per il gentile invito a visitare il Campidoglio che Ella mi ha rivolto all’inizio del Suo mandato di primo magistrato dell’Urbe. Grazie anche per le profonde espressioni con cui, interpretando il pensiero dei presenti, mi ha accolto. Il mio saluto si estende al Signor Presidente del Consiglio comunale, che ringrazio per i nobili sentimenti espressi a nome anche dei colleghi. Ho seguito con grande attenzione le riflessioni sia del Sindaco che del Presidente ed ho colto in esse la decisa volontà dell’Amministrazione di servire questa Città puntando al suo vero ed integrale benessere materiale, sociale e spirituale. Il mio cordiale saluto va infine agli Assessori e ai Consiglieri del Comune, ai Rappresentanti del Governo, alle Autorità e alle Personalità, a tutta la cittadinanza romana.

Con l’odierna mia presenza su questo Colle, sede ed emblema della storia e della missione di Roma, mi preme rinnovare l’assicurazione dell’attenzione paterna che il Vescovo della comunità cattolica nutre non solamente nei confronti dei membri di questa, ma anche di tutti i romani e di quanti da varie parti d’Italia e del mondo vengono nella Capitale per ragioni religiose, turistiche, di lavoro, o per restarvi integrandosi nel tessuto cittadino. Sono qui quest’oggi per incoraggiare l’impegno non facile di voi Amministratori al servizio di questa singolare Metropoli; per condividere le attese e le speranze degli abitanti ed ascoltarne le preoccupazioni e i problemi di cui voi vi fate responsabili interpreti in questo Palazzo, che costituisce il naturale e dinamico centro dei progetti che fervono nel “cantiere” della Roma del terzo millennio. Signor Sindaco, ho ravvisato nel suo intervento il fermo proposito di operare perché Roma continui ad essere faro di vita e di libertà, di civiltà morale e di sviluppo sostenibile, promosso nel rispetto della dignità di ogni essere umano e della sua fede religiosa. Mi preme assicurare Lei ed i suoi collaboratori, che la Chiesa cattolica, come sempre, non farà mancare il suo attivo sostegno ad ogni iniziativa culturale e sociale rivolta a promuovere il bene autentico di ogni persona e della Città nel suo insieme. Segno di questa collaborazione vuole essere il dono del “Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa”, che con affetto offro al Sindaco e agli altri Amministratori.

Signor Sindaco, Roma è sempre stata una città accogliente. Specialmente negli ultimi secoli, essa ha aperto i suoi istituti universitari e centri di ricerca civili ed ecclesiastici a studenti provenienti da ogni parte del mondo, i quali, tornando nei loro Paesi, sono poi chiamati a ricoprire ruoli e mansioni di alta responsabilità in vari settori della società, come pure nella Chiesa. Questa nostra città, come del resto l’Italia e l’intera umanità, si trova ad affrontare oggi inedite sfide culturali, sociali ed economiche, a causa delle profonde trasformazioni e dei numerosi cambiamenti sopravvenuti in questi ultimi decenni. Roma si è andata popolando di gente che proviene da altre nazioni e appartiene a culture e tradizioni religiose diverse, ed in conseguenza di ciò, ha ormai il volto di una Metropoli multietnica e multireligiosa, nella quale talvolta l’integrazione è faticosa e complessa. Da parte della comunità cattolica non verrà mai meno un convinto apporto per trovare modalità sempre più adatte alla tutela dei diritti fondamentali della persona nel rispetto della legalità. Sono anch’io persuaso, come Ella, Signor Sindaco, ha affermato, che, attingendo nuova linfa alle radici della sua storia plasmata dal diritto antico e dalla fede cristiana, Roma saprà trovare la forza per esigere da tutti il rispetto delle regole della convivenza civile e respingere ogni forma di intolleranza e discriminazione.

Mi sia permesso, inoltre, notare che gli episodi di violenza, da tutti deplorati, manifestano un disagio più profondo; sono il segno – direi – di una vera povertà spirituale che affligge il cuore dell’uomo contemporaneo. La eliminazione di Dio e della sua legge, come condizione della realizzazione della felicità dell’uomo, non ha affatto raggiunto il suo obbiettivo; al contrario, priva l’uomo delle certezze spirituali e della speranza necessarie per affrontare le difficoltà e le sfide quotidiane. Quando, ad esempio, ad una ruota manca l’asse centrale, viene meno la sua funzione motrice. Così la morale non adempie al suo fine ultimo se non ha come perno l’ispirazione e la sottomissione a Dio, fonte e giudice di ogni bene. Dinanzi all’affievolimento preoccupante degli ideali umani e spirituali che hanno reso Roma “modello” di civiltà per il mondo intero, la Chiesa, attraverso le comunità parrocchiali e le altre realtà ecclesiali, si sta impegnando in una capillare opera educativa, tesa a far riscoprire, in particolare alle nuove generazioni, quei valori perenni. Nell’era post-moderna Roma deve riappropriarsi della sua anima più profonda, delle sue radici civili e cristiane, se vuole farsi promotrice di un nuovo umanesimo che ponga al centro la questione dell’uomo riconosciuto nella sua piena realtà. L’uomo, svincolato da Dio, resterebbe privo della propria vocazione trascendente. Il cristianesimo è portatore di un luminoso messaggio sulla verità dell'uomo, e la Chiesa, che di tale messaggio è depositaria, è consapevole della propria responsabilità nei confronti della cultura contemporanea.

Quante altre cose vorrei dire in questo momento! Come Vescovo di questa Città non posso dimenticare che anche a Roma, a causa dell’attuale crisi economica a cui prima accennavo, va crescendo il numero di coloro che, perdendo l’occupazione, vengono a trovarsi in condizioni precarie e talora non riescono a fare fronte agli impegni finanziari assunti, penso ad esempio all’acquisto o la locazione della casa. Occorre allora uno sforzo concorde fra le diverse Istituzioni per venire incontro a quanti vivono nella povertà. La Comunità cristiana, attraverso le parrocchie e altre strutture caritative, è già impegnata a sostenere quotidianamente tante famiglie che faticano a mantenere un dignitoso tenore di vita e, come già avvenuto recentemente, è pronta a collaborare con le autorità preposte al perseguimento del bene comune. Anche in questo caso i valori della solidarietà e della generosità, che sono radicati nel cuore dei romani, potranno essere sostenuti dalla luce del Vangelo, perché tutti si facciano nuovamente carico delle esigenze dei più disagiati, sentendosi partecipi di un’unica famiglia. In effetti, quanto più maturerà in ciascun cittadino la coscienza di sentirsi responsabile in prima persona della vita e del futuro degli abitanti della nostra Città, tanto più crescerà la fiducia di poter superare le difficoltà del momento presente.

E che dire delle famiglie, dei bambini e della gioventù? Grazie, Signor Sindaco, perché in occasione di questa mia visita, Ella mi ha offerto come dono un segno di speranza per i giovani chiamandolo con il mio nome, quello di un anziano Pontefice che guarda fiducioso ai giovani e per essi prega ogni giorno. Le famiglie, la gioventù possono sperare in un avvenire migliore nella misura in cui l’individualismo lascerà spazio a sentimenti di fraterna collaborazione fra tutte le componenti della società civile e della comunità cristiana. Possa anche questa erigenda opera essere uno stimolo per Roma a realizzare un tessuto sociale di accoglienza e di rispetto, dove l’incontro tra la cultura e la fede, tra la vita sociale e la testimonianza religiosa cooperi a formare comunità veramente libere e animate da sentimenti di pace. A questo potrà offrire un suo singolare apporto anche il realizzando “Osservatorio per la libertà religiosa”, a cui Ella ha fatto poc’anzi cenno.

Signor Sindaco, cari amici, al termine di questo mio intervento, permettete che volga lo sguardo verso la Madonna con il Bambino, che da alcuni secoli veglia materna in questa sala sui lavori dell’Amministrazione Cittadina. A Lei affido ognuno di voi, il vostro lavoro e i propositi di bene che vi animano. Possiate sempre essere tutti concordi al servizio di questa amata Città, nella quale il Signore mi ha chiamato a svolgere il ministero episcopale. Su ciascuno di voi invoco di cuore l’abbondanza delle benedizioni divine e per tutti assicuro un ricordo nella preghiera. Grazie per la vostra accoglienza!






VISITA IN CAMPIDOGLIO - SALUTO DEL SANTO PADRE ALLA CITTÀ DI ROMA Palazzo del Campidoglio Lunedì, 9 marzo 2009

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Cari fratelli e sorelle,

dopo aver incontrato gli Amministratori della Città, sono molto contento di salutare cordialmente tutti voi, raccolti in questa piazza del Campidoglio, verso la quale si proietta, in un ideale abbraccio, il colonnato con cui il Bernini ha completato la splendida struttura della Basilica Vaticana. Vivendo a Roma da tantissimi anni, ormai sono diventato un po’ romano; ma più romano mi sento come vostro Vescovo. Con più viva partecipazione allora, rivolgo, attraverso ciascuno di voi, il mio pensiero a tutti i “nostri” concittadini, che in un certo modo voi oggi rappresentate: alle famiglie, alle comunità e alle parrocchie, ai bambini, ai giovani e agli anziani, ai disabili e ai malati, ai volontari e agli operatori sociali, agli immigrati e ai pellegrini. Ringrazio il Cardinale Vicario, che mi accompagna in questa mia visita, e incoraggio a proseguire nel loro impegno quanti - sacerdoti, persone consacrate e fedeli laici - collaborano attivamente con le pubbliche Amministrazioni per il bene di Roma, delle sue periferie e borgate.

Qualche giorno fa, proprio intrattenendomi con i parroci e i sacerdoti di Roma, dicevo che il cuore romano è un “cuore di poesia”, a sottolineare che la bellezza è quasi “un suo privilegio, un suo carisma naturale”. Roma è bella per le vestigia della sua antichità, per le istituzioni culturali e i monumenti che ne narrano la storia, per le chiese e i suoi molteplici capolavori d’arte. Ma Roma è bella soprattutto per la generosità e la santità di tanti suoi figli, che hanno lasciato tracce eloquenti della loro passione per la bellezza di Dio, la bellezza dell’amore che non sfiorisce né invecchia. Di questa bellezza furono testimoni gli Apostoli Pietro e Paolo e la schiera dei martiri dell’inizio del cristianesimo; sono stati testimoni molti uomini e donne che, romani per nascita o per adozione, lungo i secoli si sono spesi al servizio della gioventù, degli ammalati, dei poveri e di tutti i bisognosi. Mi limito a citarne alcuni: il diacono san Lorenzo, santa Francesca Romana, la cui festa cade proprio oggi, san Filippo Neri, san Gaspare del Bufalo, san Giovanni Battista De Rossi, san Vincenzo Pallotti, la Beata Anna Maria Taigi, i beati coniugi Luigi e Maria Beltrami Quattrocchi. Il loro esempio mostra che, quando una persona incontra Cristo, non si chiude in sé stessa, ma si apre alle necessità degli altri e, in ogni ambito della società, antepone al proprio interesse il bene di tutti.

Di uomini e donne così, ce n’è veramente bisogno anche in questo nostro tempo, perchè non poche famiglie, non pochi giovani e adulti versano in situazioni precarie e talora persino drammatiche; situazioni che solo insieme è possibile superare, come insegna anche la storia di Roma, che ha conosciuto ben altri momenti difficili. Mi viene in mente, in proposito, un verso del grande poeta latino Ovidio che, in una sua elegia, così incoraggiava i romani di allora: “Perfer et obdura: multo graviora tulisti – sopporta e resisti: hai superato situazioni molto più difficili” (cfr Trist., lib. V, el. XI, v. 7). Oltre alla necessaria solidarietà e al dovuto impegno di tutti, possiamo sempre contare sull’aiuto certo di Dio, che mai abbandona i suoi figli.

Cari amici, rientrando nelle vostre case, comunità e parrocchie, dite a quanti incontrerete che il Papa assicura a tutti la sua comprensione, la sua vicinanza spirituale e la sua preghiera. A ciascuno, specialmente a chi è malato, sofferente e si trova in più gravi difficoltà, portate il mio ricordo e la benedizione di Dio, che ora invoco su di voi per intercessione dei santi Pietro e Paolo, di santa Francesca Romana, co-patrona di Roma, e specialmente di Maria Salus populi romani. Iddio benedica e protegga sempre Roma e tutti i suoi abitanti!





VISITA AL MONASTERO DI SANTA FRANCESCA ROMANA A TOR DE' SPECCHI Lunedì, 9 marzo 2009

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Care Sorelle Oblate!

Con grande gioia, dopo la visita al vicino Campidoglio, vengo ad incontrarvi in questo storico monastero di santa Francesca Romana, mentre ancora è in corso il quarto centenario della sua canonizzazione avvenuta il 29 maggio del 1608. Proprio oggi, poi, cade la festa di questa grande Santa, nel ricordo della data della sua nascita al cielo. Sono dunque particolarmente grato al Signore di poter rendere questo omaggio alla “più romana delle Sante”, in felice successione con l’incontro che ho avuto con gli Amministratori nella sede del governo cittadino. Nel rivolgere il mio saluto cordiale alla vostra comunità, e in particolare alla Presidente, Madre Maria Camilla Rea – che ringrazio per le cortesi parole con cui ha interpretato i comuni sentimenti – lo estendo al Vescovo Ausiliare Mons. Ernesto Mandara, alle studentesse ospiti e a tutti i presenti.

Come sapete, sono reduce con i miei collaboratori della Curia Romana dagli Esercizi spirituali, che coincidono con la prima settimana di Quaresima. In questi giorni ho sperimentato ancora una volta quanto siano indispensabili il silenzio e la preghiera. E ho pensato anche a santa Francesca Romana, alla sua totale dedizione a Dio e al prossimo, da cui è scaturita l’esperienza di vita comunitaria qui, a Tor de’ Specchi. Contemplazione e azione, preghiera e servizio di carità, ideale monastico e impegno sociale: tutto questo ha trovato qui un “laboratorio” ricco di frutti, in stretto legame con i monaci Olivetani di Santa Maria Nova. Il vero motore però di quanto qui si è compiuto nel corso del tempo è stato il cuore di Francesca, nel quale lo Spirito Santo riversò i suoi doni spirituali e al tempo stesso suscitò tante iniziative di bene.

Il vostro monastero si trova nel cuore della città. Come non vedere in questo quasi il simbolo della necessità di riportare al centro della convivenza civile la dimensione spirituale, per dare senso pieno alle molteplici attività dell’essere umano? Proprio in questa prospettiva, la vostra comunità, insieme con tutte le altre comunità di vita contemplativa, è chiamata ad essere una sorta di “polmone” spirituale della società, perché a tutto il fare, a tutto l’attivismo di una città non venga a mancare il “respiro” spirituale, il riferimento a Dio e al suo disegno di salvezza. È questo il servizio che rendono in particolare i monasteri, luoghi di silenzio e di meditazione della Parola divina, luoghi dove ci si preoccupa di tenere sempre la terra aperta verso il cielo. Il vostro monastero, poi, ha una sua peculiarità, che naturalmente riflette il carisma di santa Francesca Romana. Qui si vive un singolare equilibrio tra vita religiosa e vita laicale, tra vita nel mondo e fuori dal mondo. Un modello che non è nato sulla carta, ma nell’esperienza concreta di una giovane romana: scritto – si direbbe – da Dio stesso nell’esistenza straordinaria di Francesca, nella sua storia di bambina, di adolescente, di giovanissima sposa e madre, di donna matura, conquistata da Gesù Cristo, come direbbe san Paolo. Non per nulla le pareti di questi ambienti sono decorate da immagini della vita di lei, a dimostrare che il vero edificio che Dio ama costruire è la vita dei santi.

Anche ai nostri giorni, Roma ha bisogno di donne – e naturalmente anche di uomini, ma qui voglio sottolineare la dimensione femminile – donne, dicevo, tutte di Dio e tutte del prossimo; donne capaci di raccoglimento e di servizio generoso e discreto; donne che sanno obbedire ai Pastori, ma anche sostenerli e stimolarli con i loro suggerimenti, maturati nel colloquio con Cristo e nell’esperienza diretta sul campo della carità, dell’assistenza ai malati, agli emarginati, ai minori in difficoltà. E’ il dono di una maternità che fa tutt’uno con l’oblazione religiosa, sul modello di Maria Santissima. Pensiamo al mistero della Visitazione: Maria dopo aver concepito nel cuore e nella carne il Verbo di Dio, subito si mette in cammino per andare ad aiutare l’anziana parente Elisabetta. Il cuore di Maria è il chiostro dove la Parola continua a parlare nel silenzio, e al tempo stesso è la fornace di una carità che spinge a gesti coraggiosi, come pure a una condivisione perseverante e nascosta.

Care Sorelle! Grazie della preghiera con cui accompagnate sempre il ministero del Successore di Pietro, e grazie per la vostra presenza preziosa nel cuore di Roma. Vi auguro di sperimentare ogni giorno la gioia di non anteporre nulla all’amore di Cristo, un motto che abbiamo ereditato da san Benedetto, ma che ben rispecchia la spiritualità dell’apostolo Paolo, da voi venerato quale patrono della vostra Congregazione. A voi, ai monaci Olivetani e a tutti i presenti imparto di cuore una speciale Benedizione Apostolica.








ALLA DELEGAZIONE DEL GRAN RABBINATO D'ISRAELE E DELLA COMMISSIONE PER I RAPPORTI RELIGIOSI CON L'EBRAISMO Giovedì, 12 marzo 2009

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Distinti rappresentanti del Gran rabbinato di Israele,
Cari delegati cattolici,

È per me una grande gioia accogliervi, membri della delegazione del Gran rabbinato di Israele, insieme ai partecipanti cattolici guidati dalla Commissione della Santa Sede per i Rapporti religiosi con l'Ebraismo.

L'importante dialogo in cui siete impegnati è un frutto della storica visita del mio amato predecessore Papa Giovanni Paolo II in Terra Santa nel marzo del 2000. Era sua intenzione instaurare un dialogo con istituzioni religiose ebraiche in Israele e il suo incoraggiamento è stato decisivo per raggiungere tale obiettivo. Ricevendo i due Rabbini Capo di Israele nel gennaio del 2004 ha definito questo dialogo un "segno di grande speranza".

Durante questi sette anni non solo si è rafforzata l'amicizia fra la Commissione e il Gran rabbinato, ma avete anche potuto riflettere su temi importanti sia per la tradizione ebraica sia per quella cristiana. Dal momento che riconosciamo l'esistenza di un ricco patrimonio spirituale comune, un dialogo basato su comprensione e rispetto reciproci è, come raccomanda la Nostra aetate (n. 4), necessario e possibile.

Cooperando siete divenuti sempre più consapevoli dei valori comuni che sono alla base delle nostre rispettive tradizioni religiose, studiandoli nel corso dei sette incontri che si sono svolti sia a Roma sia a Gerusalemme.

Avete riflettuto sulla santità di vita, sui valori familiari, sulla giustizia sociale e sulla condotta etica, sull'importanza della Parola di Dio espressa nelle Sacre Scritture per la società e per l'educazione, sul rapporto fra autorità religiosa e civile e sulla libertà di religione e di coscienza. Nelle dichiarazioni comuni diffuse dopo ogni incontro, sono state evidenziate le idee radicate nelle nostre rispettive convinzioni religiose, mentre sono state anche riconosciute le differenze di comprensione. La Chiesa riconosce che gli inizi della sua fede risalgono al divino intervento storico nella vita del popolo ebraico e che qui ha il suo fondamento il nostro rapporto unico. Il popolo ebraico, che venne scelto come popolo eletto, comunica a tutta la famiglia umana la conoscenza del Dio uno, unico e vero e la fedeltà verso di Lui. I cristiani riconoscono di buon grado che le loro radici affondano in quella stessa autorivelazione di Dio che nutre l'esperienza religiosa del popolo ebraico.

Come sapete, sto preparando la visita in Terra Santa come pellegrino. È mia intenzione pregare in particolare per il dono prezioso dell'unità e della pace sia all'interno della regione sia per la famiglia umana di tutto il mondo. Come ricorda il Salmo 125, Dio protegge il suo popolo: "I monti circondano Gerusalemme: il Signore circonda il suo popolo, da ora e per sempre". Possa la mia visita contribuire anche ad approfondire il dialogo della Chiesa con il popolo ebraico, cosicché gli ebrei, i cristiani e anche i musulmani possano vivere in pace e in armonia in Terra Santa!

Vi ringrazio per questa visita e rinnovo il mio personale impegno a promuovere la visione enunciata per le generazioni future nella Dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II.






AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DELLA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI Sala del Concistoro Venerdì, 13 marzo 2009

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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli!

Con grande gioia e con sempre viva riconoscenza vi ricevo, in occasione della Plenaria della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. In questa importante occasione mi è gradito, in primo luogo, porgere il mio cordiale saluto al Prefetto, il Signor Cardinale Antonio Cañizares Llovera, che ringrazio per le parole con cui ha illustrato i lavori svolti in questi giorni e ha dato espressione ai sentimenti di quanti sono oggi qui presenti. Estendo il mio saluto affettuoso e il mio cordiale ringraziamento a tutti i Membri ed Officiali del Dicastero, a cominciare dal Segretario, Mons. Malcom Ranjith, e dal Sotto-Segretario, fino a tutti gli altri che, nelle diverse mansioni, prestano con competenza e dedizione il loro servizio per «la regolamentazione e la promozione della sacra liturgia» (Pastor Bonus ). Nella Plenaria avete riflettuto sul Mistero eucaristico e, in modo particolare, sul tema dell’adorazione eucaristica. Mi è ben noto come, dopo la pubblicazione dell’Istruzione «Eucharisticum mysterium»del 25 maggio 1967 e la promulgazione, il 21 giugno 1973, del Documento «De sacra communione et cultu mysterii eucharistici extra Missam», l’insistenza sul tema dell’Eucaristia come fonte inesauribile di santità è stata una premura di primo piano del Dicastero.

Ho accolto, pertanto, volentieri la proposta che la Plenaria si occupasse del tema dell’adorazione eucaristica, nella fiducia che una rinnovata riflessione collegiale su tale prassi potesse contribuire a mettere in chiaro, nei limiti di competenza del Dicastero, i mezzi liturgici e pastorali con cui la Chiesa dei nostri tempi può promuovere la fede nella presenza reale del Signore nella Santa Eucaristia e assicurare alla celebrazione della Santa Messa tutta la dimensione dell’adorazione. Ho sottolineato questo aspetto nell’Esortazione apostolica Sacramentum caritatis, in cui raccoglievo i frutti della XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo, svoltasi nell’ottobre del 2005. In essa, evidenziando l’importanza della relazione intrinseca tra celebrazione dell’Eucaristia e adorazione (cfr n. 66), citavo l’insegnamento di sant’Agostino: «Nemo autem illam carnem manducat, nisi prius adoraverit; peccemus non adorando» (Enarrationes in Psalmos, 98, 9: CCL 39, 1385). I Padri sinodali non avevano mancato di manifestare preoccupazione per una certa confusione ingeneratasi, dopo il Concilio Vaticano II, circa la relazione tra Messa e adorazione del Santissimo Sacramento (cfr Sacramentum caritatis, n. 66). In questo, trovava eco quanto il mio Predecessore, Papa Giovanni Paolo II, aveva già espresso circa le devianze che hanno talvolta inquinato il rinnovamento liturgico post-conciliare, rivelando «una comprensione assai riduttiva del mistero eucaristico» (Ecclesia de Eucharistia,
EE 10).

Il Concilio Vaticano Secondo ha messo in luce il ruolo singolare che il mistero eucaristico ha nella vita dei fedeli (Sacrosanctum Concilium SC 48-54). Come Papa Paolo VI ha più volte ribadito: «l’Eucaristia è un altissimo mistero, anzi propriamente, come dice la Sacra Liturgia, il mistero di fede» (Mysterium fidei MF 15). L’Eucaristia, infatti, è alle origini stesse della Chiesa (cfr Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia EE 21) ed è la sorgente della grazia, costituendo un’incomparabile occasione sia per la santificazione dell’umanità in Cristo che per la glorificazione di Dio. In questo senso, da una parte, tutte le attività della Chiesa sono ordinate al mistero dell’Eucaristia (cfr Sacrosanctum Concilium SC 10 Lumen gentium LG 11 Presbyterorum ordinis PO 5 Sacramentum caritatis PO 17), e, dall’altra, è in virtù dell’Eucaristia che «la Chiesa continuamente vive e cresce» (Lumen gentium LG 26). Nostro compito è percepire il preziosissimo tesoro di questo ineffabile mistero di fede «tanto nella stessa celebrazione della Messa quanto nel culto delle sacre specie, che sono conservate dopo la Messa per estendere la grazia del Sacrificio» (Istruz. Eucharisticum mysterium, n. 3, g.). La dottrina della transustanziazione del pane e del vino e della presenza reale sono verità di fede evidenti già nella Sacra Scrittura stessa e confermate poi dai Padri della Chiesa. Papa Paolo VI, al riguardo, ricordava che «la Chiesa Cattolica non solo ha sempre insegnato, ma anche vissuto la fede nella presenza del corpo e del sangue di Cristo nella Eucaristia, adorando sempre con culto latreutico, che compete solo a Dio, un così grande Sacramento» (Mysterium fidei MF 56 cfr Catechismo della Chiesa Cattolica CEC 1378).

È opportuno ricordare, al riguardo, le diverse accezioni che il vocabolo «adorazione» ha nella lingua greca e in quella latina. La parola greca proskýnesis indica il gesto di sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire. La parola latina adoratio, invece, denota il contatto fisico, il bacio, l’abbraccio, che è implicito nell’idea di amore. L’aspetto della sottomissione prevede un rapporto d’unione, perché colui al quale ci sottomettiamo è Amore. Infatti, nell’Eucaristia l’adorazione deve diventare unione: unione col Signore vivente e poi col suo Corpo mistico. Come ho detto ai giovani sulla Spianata di Marienfeld, a Colonia, durante la Santa Messa in occasione della XX Giornata mondiale della Gioventù, il 21 agosto 2005: «Dio non è più soltanto di fronte a noi, come il Totalmente Altro. È dentro di noi, e noi siamo in Lui. La sua dinamica ci penetra e da noi vuole propagarsi agli altri e estendersi a tutto il mondo, perché il suo amore diventi realmente la misura dominante del mondo» (Insegnamenti, vol. I, 2005, PP 457 s.). In questa prospettiva ricordavo ai giovani che nell’Eucaristia si vive la «fondamentale trasformazione della violenza in amore, della morte in vita; essa trascina poi con sé le altre trasformazioni. Pane e vino diventano il suo Corpo e Sangue. A questo punto però la trasformazione non deve fermarsi, anzi è qui che deve cominciare appieno. Il Corpo e il Sangue di Cristo sono dati a noi affinché noi stessi veniamo trasformati a nostra volta» (ibid., p. 457).

Il mio Predecessore, Papa Giovanni Paolo II, nella Lettera Apostolica «Spiritus et Sponsa», in occasione del 40° anniversario della Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla Sacra Liturgia, esortava ad intraprendere i passi necessari per approfondire l’esperienza del rinnovamento. Ciò è importante anche rispetto al tema dell’adorazione eucaristica. Tale approfondimento sarà possibile soltanto attraverso una maggiore conoscenza del mistero in piena fedeltà alla sacra Tradizione ed incrementando la vita liturgica all’interno delle nostre comunità (cfr Spiritus et Sponsa, nn. 6-7). A questo riguardo, apprezzo in particolare che la Plenaria si sia soffermata anche sul discorso della formazione di tutto il Popolo di Dio nella fede, con una speciale attenzione ai seminaristi, per favorirne la crescita in uno spirito di autentica adorazione eucaristica. Spiega, infatti, S. Tommaso: «Che in questo sacramento sia presente il vero Corpo e il vero Sangue di Cristo non si può apprendere coi sensi, ma con la sola fede, la quale si appoggia all’autorità di Dio» (Summa theologiae, III, 75, 1; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica CEC 1381).

Stiamo vivendo i giorni della Santa Quaresima che costituisce non soltanto un cammino di più intenso tirocinio spirituale, ma anche una efficace preparazione a celebrare meglio la santa Pasqua. Ricordando tre pratiche penitenziali molto care alla tradizione biblica e cristiana - la preghiera, l’elemosina, il digiuno -, incoraggiamoci a vicenda a riscoprire e vivere con rinnovato fervore il digiuno non solo come prassi ascetica, ma anche come preparazione all’Eucaristia e come arma spirituale per lottare contro ogni eventuale attaccamento disordinato a noi stessi. Questo periodo intenso della vita liturgica ci aiuti ad allontanare tutto ciò che distrae lo spirito e ad intensificare ciò che nutre l’anima, aprendola all’amore di Dio e del prossimo. Con tali sentimenti, formulo già fin d’ora a tutti Voi i miei auguri per le prossime feste pasquali e, mentre vi ringrazio per il lavoro che avete svolto in questa Sessione Plenaria, così come per tutto il lavoro della Congregazione, imparto a ciascuno con affetto la mia Benedizione.









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