Discorsi 2005-13 14039

AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI ARGENTINA IN VISITA "AD LIMINA APSOTOLORUM" Sala del Concistoro Sabato 14 marzo 2009

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Signor Cardinale,
Cari Fratelli nell'Episcopato,

1. È per me motivo di profonda gioia darvi il benvenuto in questo incontro con il Successore di Pietro e Capo del Collegio Episcopale.
Ringrazio il Cardinale Jorge Mario Bergoglio, Arcivescovo di Buenos Aires e Presidente della Conferenza Episcopale Argentina, per le cordiali parole con le quali si è fatto interprete dei sentimenti di tutti. Attraverso di voi desidero salutare anche tutto il clero, le comunità religiose e i laici delle vostre diocesi, esprimendo loro la mia stima e la mia vicinanza, e anche il mio incoraggiamento costante nell'appassionante compito dell'evangelizzazione che stanno portando avanti con grande dedizione e generosità.

2. Siete venuti fino a qui per venerare le tombe dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e condividere con il Vescovo di Roma le gioie e le speranze, le esperienze e le difficoltà del vostro ministero episcopale. La visita ad limina è un momento significativo nella vita di tutti coloro ai quali è stata affidata la cura pastorale di una porzione del Popolo di Dio, poiché in essa mostrano e rafforzano la loro comunione con il Romano Pontefice.

Il Signore ha fondato la Chiesa perché sia "in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (Lumen gentium
LG 1). La Chiesa è in sé un mistero di comunione, un "popolo che deriva la sua unità dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (Ibidem, n. 4). In effetti, Dio ha voluto portare a tutte le genti la pienezza della salvezza rendendole partecipi dei doni della redenzione di Cristo e permettendo loro di entrare così in comunione di vita con la Trinità.

3. Il ministero episcopale è al servizio dell'unità e della comunione di tutto il Corpo mistico di Cristo. Il Vescovo, che è il principio e il fondamento visibile di unità nella sua Chiesa particolare, è chiamato a promuovere e a difendere l'integrità della fede e la disciplina comune di tutta la Chiesa, insegnando inoltre ai fedeli ad amare tutti i loro fratelli (cfr. Ibidem, n. 23).

Desidero esprimervi la mia riconoscenza per la vostra decisa volontà di mantenere e di rafforzare l'unità in seno alla vostra Conferenza episcopale e alle vostre comunità diocesane. Le parole di Nostro Signore - "che tutti siano una cosa sola" (Jn 17,21) - devono essere una fonte costante d'ispirazione nella vostra attività pastorale, il che si tradurrà senza dubbio in una maggiore efficacia apostolica. Questa unità, che dovete promuovere intensamente e in modo visibile, sarà inoltre fonte di consolazione nel serio incarico che vi è stato affidato. Grazie a questa collegialità affettiva ed effettiva, nessun Vescovo è solo, poiché è sempre e strettamente unito a Cristo, Buon Pastore, e anche, in virtù della sua ordinazione episcopale e della comunione gerarchica, ai suoi fratelli nell'Episcopato e a colui che il Signore ha scelto come Successore di Pietro (cfr. Giovanni Paolo II, Pastores gregis ). Desidero dirvi ora, in modo particolare, che potete contare su tutto il mio sostegno, la mia preghiera quotidiana e la mia vicinanza spirituale nel vostro sforzo e impegno per fare della Chiesa "la casa e la scuola di comunione" (Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte NM 43).

4. Questo spirito di comunione ha un ambito privilegiato di applicazione nelle relazioni del vescovo con i suoi sacerdoti. Conosco bene la vostra volontà di prestare maggiore attenzione ai presbiteri e, con il Concilio Vaticano II, vi incoraggio a preoccuparvi con amore di padri e di fratelli "per le loro condizioni spirituali, intellettuali e materiali, affinché essi, con una vita santa e pia, possano esercitare il loro ministero fedelmente e fruttuosamente" (Christus Dominus CD 16). Allo stesso modo, vi esorto a dimostrare carità e prudenza quando dovete correggere insegnamenti, atteggiamenti o comportamenti che non si confanno alla condizione sacerdotale dei vostri più stretti collaboratori e che, inoltre, possono danneggiare e confondere la fede e la vita cristiana dei fedeli.

Il ruolo fondamentale che i presbiteri svolgono vi deve portare a compiere un grande sforzo per promuovere le vocazioni sacerdotali. A tale riguardo, sarebbe opportuno programmare una pastorale matrimoniale e familiare più incisiva, che tenga conto della dimensione vocazionale del cristiano, e anche una pastorale giovanile più audace, che aiuti i giovani a rispondere con generosità alla chiamata che Dio fa loro. È altresì necessario intensificare la formazione dei seminaristi in tutte le sue dimensioni, umana, spirituale, intellettuale, affettiva e pastorale, portando avanti, inoltre, un efficace ed esigente lavoro di discernimento dei candidati ai sacri ordini.

5. In questa ottica di approfondimento della comunione in seno alla Chiesa, è di somma importanza riconoscere, valorizzare e stimolare la partecipazione dei religiosi all'attività evangelizzatrice diocesana, che arricchiscono con il contributo dei loro rispettivi carismi.

Anche i fedeli, in virtù del loro battesimo, sono chiamati a cooperare all'edificazione del Corpo di Cristo. A tal fine occorre portarli ad avere un'esperienza più viva di Gesù Cristo e del mistero del suo amore. Il contatto costante con il Signore mediante un'intensa vita di preghiera e un'adeguata formazione spirituale e dottrinale accrescerà in tutti i cristiani il piacere di credere e di celebrare la propria fede e la gioia di appartenere alla Chiesa, spingendoli così a partecipare attivamente alla missione di proclamare la Buona Novella a tutti gli uomini.

6. Cari fratelli, vi assicuro ancora una volta della mia vicinanza nella preghiera quotidiana e della mia ferma speranza nel progresso e nel rinnovamento spirituale delle vostre comunità. Che il Signore vi conceda la gioia di servirlo, guidando a suo nome il gregge che vi è stato affidato! Che la Vergine Maria, nel suo titolo di Nuestra Señora de Luján, accompagni e protegga sempre tutti voi e i vostri fedeli diocesani! Con grande affetto vi imparto una speciale Benedizione Apostolica.






AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DELLA CONGREGAZIONE PER IL CLERO Sala del Concistoro Lunedì, 16 marzo 2009

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Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio!

Sono lieto di potervi accogliere in speciale Udienza alla vigilia della partenza per l’Africa, ove mi recherò per consegnare l’Instrumentum laboris della Seconda Assemblea Speciale del Sinodo per l’Africa, che si terrà qui a Roma nel prossimo ottobre. Ringrazio il Prefetto della Congregazione, il Signor Cardinale Cláudio Hummes, per le gentili espressioni con cui ha interpretato i comuni sentimenti. Con lui saluto tutti voi, Superiori, Officiali e Membri della Congregazione, con animo grato per tutto il lavoro che svolgete a servizio di un settore tanto importante della vita della Chiesa.

Il tema che avete scelto per questa Plenaria - «L’identità missionaria del presbitero nella Chiesa, quale dimensione intrinseca dell’esercizio dei tria munera» - consente alcune riflessioni per il lavoro di questi giorni e per i frutti abbondanti che certamente esso porterà. Se l’intera Chiesa è missionaria e se ogni cristiano, in forza del Battesimo e della Confermazione, quasi ex officio (cfr
CEC 1305) riceve il mandato di professare pubblicamente la fede, il sacerdozio ministeriale, anche da questo punto di vista, si distingue ontologicamente, e non solo per grado, dal sacerdozio battesimale, detto anche sacerdozio comune. Del primo, infatti, è costitutivo il mandato apostolico: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15). Tale mandato non è, lo sappiamo, un semplice incarico affidato a collaboratori; le sue radici sono più profonde e vanno ricercate molto più lontano.

La dimensione missionaria del presbitero nasce dalla sua configurazione sacramentale a Cristo Capo: essa porta con sé, come conseguenza, un’adesione cordiale e totale a quella che la tradizione ecclesiale ha individuato come l’apostolica vivendi forma. Questa consiste nella partecipazione ad una “vita nuova” spiritualmente intesa, a quel “nuovo stile di vita” che è stato inaugurato dal Signore Gesù ed è stato fatto proprio dagli Apostoli. Per l’imposizione delle mani del Vescovo e la preghiera consacratoria della Chiesa, i candidati divengono uomini nuovi, divengono “presbiteri”. In questa luce appare chiaro come i tria munera siano prima un dono e solo conseguentemente un ufficio, prima una partecipazione ad una vita, e perciò una potestas.Certamente, la grande tradizione ecclesiale ha giustamente svincolato l’efficacia sacramentale dalla concreta situazione esistenziale del singolo sacerdote, e così le legittime attese dei fedeli sono adeguatamente salvaguardate. Ma questa giusta precisazione dottrinale nulla toglie alla necessaria, anzi indispensabile, tensione verso la perfezione morale, che deve abitare ogni cuore autenticamente sacerdotale.

Proprio per favorire questa tensione dei sacerdoti verso la perfezione spirituale dalla quale soprattutto dipende l’efficacia del loro ministero, ho deciso di indire uno speciale “Anno Sacerdotale”, che andrà dal 19 giugno prossimo fino al 19 giugno 2010. Ricorre infatti il 150° anniversario della morte del Santo Curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney, vero esempio di Pastore a servizio del gregge di Cristo. Sarà cura della vostra Congregazione, d’intesa con gli Ordinari diocesani e con i Superiori degli Istituti religiosi, promuovere e coordinare le varie iniziative spirituali e pastorali che appariranno utili a far percepire sempre più l’importanza del ruolo e della missione del sacerdote nella Chiesa e nella società contemporanea.

La missione del presbitero, come evidenzia il tema della plenaria, si svolge «nella Chiesa». Una tale dimensione ecclesiale, comunionale, gerarchica e dottrinale è assolutamente indispensabile ad ogni autentica missione e, sola, ne garantisce la spirituale efficacia. I quattro aspetti menzionati devono essere sempre riconosciuti come intimamente correlati: la missione è “ecclesiale” perché nessuno annuncia o porta se stesso, ma dentro ed attraverso la propria umanità ogni sacerdote deve essere ben consapevole di portare un Altro, Dio stesso, al mondo. Dio è la sola ricchezza che, in definitiva, gli uomini desiderano trovare in un sacerdote. La missione è “comunionale”, perché si svolge in un’unità e comunione che solo secondariamente ha anche aspetti rilevanti di visibilità sociale. Questi, d’altra parte, derivano essenzialmente da quell’intimità divina della quale il sacerdote è chiamato ad essere esperto, per poter condurre, con umiltà e fiducia, le anime a lui affidate al medesimo incontro con il Signore. Infine le dimensioni “gerarchica” e “dottrinale” suggeriscono di ribadire l’importanza della disciplina (il termine si collega con “discepolo”) ecclesiastica e della formazione dottrinale, e non solo teologica, iniziale e permanente.

La consapevolezza dei radicali cambiamenti sociali degli ultimi decenni deve muovere le migliori energie ecclesiali a curare la formazione dei candidati al ministero. In particolare, deve stimolare la costante sollecitudine dei Pastori verso i loro primi collaboratori, sia coltivando relazioni umane veramente paterne, sia preoccupandosi della loro formazione permanente, soprattutto sotto il profilo dottrinale. La missione ha le sue radici in special modo in una buona formazione, sviluppata in comunione con l’ininterrotta Tradizione ecclesiale, senza cesure né tentazioni di discontinuità. In tal senso, è importante favorire nei sacerdoti, soprattutto nelle giovani generazioni, una corretta ricezione dei testi del Concilio Ecumenico Vaticano II, interpretati alla luce di tutto il bagaglio dottrinale della Chiesa. Urgente appare anche il recupero di quella consapevolezza che spinge i sacerdoti ad essere presenti, identificabili e riconoscibili sia per il giudizio di fede, sia per le virtù personali sia anche per l’abito, negli ambiti della cultura e della carità, da sempre al cuore della missione della Chiesa.

Come Chiesa e come sacerdoti annunciamo Gesù di Nazaret Signore e Cristo, crocifisso e risorto, Sovrano del tempo e della storia, nella lieta certezza che tale verità coincide con le attese più profonde del cuore umano. Nel mistero dell’incarnazione del Verbo, nel fatto cioè che Dio si è fatto uomo come noi, sta sia il contenuto che il metodo dell’annuncio cristiano. La missione ha qui il suo vero centro propulsore: in Gesù Cristo, appunto. La centralità di Cristo porta con sé la giusta valorizzazione del sacerdozio ministeriale, senza il quale non ci sarebbe né l’Eucaristia, né, tanto meno, la missione e la stessa Chiesa. In tal senso è necessario vigilare affinché le “nuove strutture” od organizzazioni pastorali non siano pensate per un tempo nel quale si dovrebbe “fare a meno” del ministero ordinato, partendo da un’erronea interpretazione della giusta promozione dei laici, perché in tal caso si porrebbero i presupposti per l’ulteriore diluizione del sacerdozio ministeriale e le eventuali presunte “soluzioni” verrebbero drammaticamente a coincidere con le reali cause delle problematiche contemporanee legate al ministero.

Sono certo che in questi giorni il lavoro dell’Assemblea plenaria, sotto la protezione della Mater Ecclesiae, potrà approfondire questi brevi spunti che mi permetto di sottoporre all’attenzione dei Signori Cardinali e degli Arcivescovi e Vescovi, invocando su tutti la copiosa abbondanza dei doni celesti, in pegno dei quali imparto a voi e alle persone a voi care una speciale, affettuosa Benedizione Apostolica.




VIAGGIO APOSTOLICO IN CAMERUN E ANGOLA

(17-23 MARZO 2009)



INTERVISTA AI GIORNALISTI DURANTE IL VOLO VERSO L'AFRICA Volo Papale, Martedì, 17 marzo 2009

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P. Lombardi – Santità, benvenuto in mezzo al gruppo dei colleghi: siamo una settantina che ci stiamo accingendo a vivere questo viaggio con Lei. Le facciamo i migliori auguri e speriamo di poterLa accompagnare con il nostro servizio, in modo tale da far partecipare anche tante altre persone a questa avventura. Come al solito, noi Le siamo molto grati per la conversazione che adesso ci concede; l’abbiamo preparata raccogliendo, nei giorni scorsi, un certo numero di domande da parte dei colleghi – ne ho ricevute una trentina – e poi ne abbiamo scelte alcune che potessero presentare un discorso un po’ completo su questo viaggio e che potessero interessare tutti; e Le siamo molto grati per le risposte che ci darà. La prima domanda, la pone il nostro collega Brunelli, della televisione italiana, che si trova qui, alla nostra destra:

DomandaBuongiorno. Santità, da tempo – e in particolare, dopo la Sua ultima lettera ai Vescovi del mondo – molti giornali parlano di ‘solitudine del Papa’. Ecco: Lei che cosa ne pensa? Si sente davvero solo? E con quali sentimenti, dopo le recenti vicende, ora vola verso l’Africa con noi?

Papa – Per dire la verità, devo dire che mi viene un po’ da ridere su questo mito della mia solitudine: in nessun modo mi sento solo. Ogni giorno ricevo nelle visite di tabella i collaboratori più stretti, incominciando dal Segretario di Stato fino alla Congregazione di Propaganda Fide, eccetera; vedo poi tutti i Capi Dicastero regolarmente, ogni giorno ricevo Vescovi in visita ad Limina – ultimamente tutti i Vescovi, uno dopo l’altro, della Nigeria, poi i Vescovi dell’Argentina … Abbiamo avuto due Plenarie in questi giorni, una della Congregazione per il Culto Divino e l’altra della Congregazione per il Clero, e poi colloqui amichevoli; una rete di amicizia, anche i miei compagni di Messa dalla Germania sono venuti recentemente per un giorno, per chiacchierare con me … Allora, dunque, la solitudine non è un problema, sono realmente circondato da amici in una splendida collaborazione con Vescovi, con collaboratori, con laici e sono grato per questo. In Africa vado con grande gioia: io amo l’Africa, ho tanti amici africani già dai tempi in cui ero professore fino a tutt’oggi; amo la gioia della fede, questa gioiosa fede che si trova in Africa. Voi sapete che il mandato del Signore per il successore di Pietro è “confermare i fratelli nella fede”: io cerco di farlo. Ma sono sicuro che tornerò io stesso confermato dai fratelli, contagiato – per così dire – dalla loro gioiosa fede.



P. Lombardi – La seconda domanda viene fatta da John Thavis, responsabile della sezione romana dell’agenzia di notizie cattolica degli Stati Uniti:

DomandaSantità, Lei va in viaggio in Africa mentre è in corso una crisi economica mondiale che ha i suoi riflessi anche sui Paesi poveri. Peraltro, l’Africa in questo momento deve affrontare una crisi alimentare. Vorrei chiedere tre cose: questa situazione troverà eco nel Suo viaggio? E: Lei si rivolgerà alla comunità internazionale affinché si faccia carico dei problemi dell’Africa? E, la terza cosa, si parlerà di questi problemi anche nell’Enciclica che sta preparando?

Papa – Grazie per la domanda. Naturalmente, io non vado in Africa con un programma politico-economico, per cui mi mancherebbe la competenza. Vado con un programma religioso, di fede, di morale, ma proprio questo è anche un contributo essenziale al problema della crisi economica che viviamo in questo momento. Tutti sappiamo che un elemento fondamentale della crisi è proprio un deficit di etica nelle strutture economiche; si è capito che l’etica non è una cosa ‘fuori’ dall’economia, ma ‘dentro’ e che l’economia non funziona se non porta in sé l’elemento etico. Perciò, parlando di Dio e parlando dei grandi valori spirituali che costituiscono la vita cristiana, cercherò di dare un contributo proprio anche per superare questa crisi, per rinnovare il sistema economico dal di dentro, dove sta il punto della vera crisi. E, naturalmente, farò appello alla solidarietà internazionale: la Chiesa è cattolica, cioè universale, aperta a tutte le culture, a tutti i continenti; è presente in tutti i sistemi politici e così la solidarietà è un principio interno, fondamentale per il cattolicesimo. Vorrei rivolgere naturalmente un appello innanzitutto alla solidarietà cattolica stessa, estendendolo però anche alla solidarietà di tutti coloro che vedono la loro responsabilità nella società umana di oggi. Ovviamente parlerò di questo anche nell’Enciclica: questo è un motivo del ritardo. Eravamo quasi arrivati a pubblicarla, quando si è scatenata questa crisi e abbiamo ripreso il testo per rispondere più adeguatamente, nell’ambito delle nostre competenze, nell’ambito della Dottrina sociale della Chiesa, ma con riferimento agli elementi reali della crisi attuale. Così spero che l’Enciclica possa anche essere un elemento, una forza per superare la difficile situazione presente.



P. Lombardi – Santità, la terza domanda ci viene posta dalla nostra collega Isabelle de Gaulmyn, de “La Croix”:

DomandaTrès Saint Père, bon jour. Faccio la domanda in italiano, ma se gentilmente può rispondere in francese … Il Consiglio speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi ha chiesto che la forte crescita quantitativa della Chiesa africana diventi anche una crescita qualitativa. A volte, i responsabili della Chiesa sono considerati come un gruppo di ricchi e privilegiati e i loro comportamenti non sono coerenti con l’annuncio del Vangelo. Lei inviterà la Chiesa in Africa ad un impegno di esame di coscienza e di purificazione delle sue strutture?

Papa – J’essayerai, si c’est possible, de parler en français. J’ai une vision plus positive de l’Eglise en Afrique: c’est une Eglise très proche des pauvres, une Eglise avec les souffrants, avec des personnes qui ont besoin d’aide et donc il me semble que l’Eglise est réellement une institution qui fonctionne encore, alors que d’autres structures ne fonctionnent plus, et avec son système d’éducation, d’hôpitaux, d’aide, dans toutes ces situations, elle est présente dans le monde des pauvres et des souffrants. Naturellement, le pêché originel est présent aussi dans l’Eglise; il n’y a pas une société parfaite et donc il y a aussi des pêcheurs et des déficiences dans l’Eglise en Afrique, et dans ce sens un examen de conscience, une purification intérieure est toujours nécessaire, et je rappellerais aussi dans ce sens la liturgie eucharistique: on commence toujours avec une purification de la conscience, et un nouveau commencement devant la présence du Seigneur. Et je dirais plus qu’une purification des structures, qui est toujours aussi nécessaire, une purification des coeurs est nécessaire, parce que les structures sont le reflet des coeurs, et nous faisons notre possible pour donner une nouvelle force à la spiritualité, à la présence de Dieu dans notre coeur, soit pour purifier les structures de l’Eglise, soit aussi pour aider la purification des structures de la société.



P. Lombardi – Adesso, una domanda che viene dalla componente tedesca di questo gruppo di giornalisti: è Christa Kramer che rappresenta il Sankt Ulrich Verlag, che ci fa la domanda:

DomandaHeiliger Vater, gute Reise! Padre Lombardi mi ha detto di parlare in italiano, così faccio la domanda in italiano. Quando Lei si rivolge all’Europa, parla spesso di un orizzonte dal quale Dio sembra scomparire. In Africa non è così, ma vi è una presenza aggressiva delle sètte, vi sono le religioni tradizionali africane. Qual è allora la specificità del messaggio della Chiesa cattolica che Lei vuole presentare in questo contesto?

Papa – Allora, prima riconosciamo tutti che in Africa il problema dell’ateismo quasi non si pone, perché la realtà di Dio è così presente, così reale nel cuore degli africani che non credere in Dio, vivere senza Dio non appare una tentazione. E’ vero che ci sono anche i problemi delle sètte: non annunciamo, noi, come fanno alcuni di loro, un Vangelo di prosperità, ma un realismo cristiano; non annunciamo miracoli, come alcuni fanno, ma la sobrietà della vita cristiana. Siamo convinti che tutta questa sobrietà, questo realismo che annuncia un Dio che si è fatto uomo, quindi un Dio profondamente umano, un Dio che soffre, anche, con noi, dà un senso alla nostra sofferenza per un annuncio con un orizzonte più vasto, che ha più futuro. E sappiamo che queste sètte non sono molto stabili nella loro consistenza: sul momento può fare bene l’annuncio della prosperità, di guarigioni miracolose ecc., ma dopo un po’ di tempo si vede che la vita è difficile, che un Dio umano, un Dio che soffre con noi è più convincente, più vero, e offre un più grande aiuto per la vita. E’ importante, anche, che noi abbiamo la struttura della Chiesa cattolica. Annunciamo non un piccolo gruppo che dopo un certo tempo si isola e si perde, ma entriamo in questa grande rete universale della cattolicità, non solo trans-temporale, ma presente soprattutto come una grande rete di amicizia che ci unisce e ci aiuta anche a superare l’individualismo per giungere a questa unità nella diversità, che è la vera promessa.



P. Lombardi – E ora, diamo di nuovo la parola ad una voce francese: è il nostro collega Philippe Visseyrias di France 2:

DomandaSantità, tra i molti mali che travagliano l’Africa, vi è anche e in particolare quello della diffusione dell’Aids. La posizione della Chiesa cattolica sul modo di lottare contro di esso viene spesso considerata non realistica e non efficace. Lei affronterà questo tema, durante il viaggio? Très Saint Père, Vous serait-il possible de répondre en français à cette question?

Papa – Io direi il contrario: penso che la realtà più efficiente, più presente sul fronte della lotta contro l’Aids sia proprio la Chiesa cattolica, con i suoi movimenti, con le sue diverse realtà. Penso alla Comunità di Sant’Egidio che fa tanto, visibilmente e anche invisibilmente, per la lotta contro l’Aids, ai Camilliani, a tante altre cose, a tutte le Suore che sono a disposizione dei malati … Direi che non si può superare questo problema dell’Aids solo con soldi, pur necessari, ma se non c’è l’anima, se gli africani non aiutano (impegnando la responsabilità personale), non si può superarlo con la distribuzione di preservativi: al contrario, aumentano il problema. La soluzione può essere solo duplice: la prima, una umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro; la seconda, una vera amicizia anche e soprattutto per le persone sofferenti, la disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, ad essere con i sofferenti. E questi sono i fattori che aiutano e che portano visibili progressi. Perciò, direi questa nostra duplice forza di rinnovare l’uomo interiormente, di dare forza spirituale e umana per un comportamento giusto nei confronti del proprio corpo e di quello dell’altro, e questa capacità di soffrire con i sofferenti, di rimanere presente nelle situazioni di prova. Mi sembra che questa sia la giusta risposta, e la Chiesa fa questo e così offre un contributo grandissimo ed importante. Ringraziamo tutti coloro che lo fanno.



P. Lombardi – E ora, un’ultima domanda che viene addirittura dal Cile, perché noi siamo quindi molto internazionali: abbiamo anche la corrispondente della televisione cattolica cilena con noi. E le diamo la voce per l’ultima domanda: Maria Burgos …

DomandaGrazie, padre Lombardi. Santità, quali segni di speranza vede la Chiesa nel Continente africano? E: Lei pensa di poter rivolgere all’Africa un messaggio di speranza?

Papa – La nostra fede è speranza per definizione: lo dice la Sacra Scrittura. E perciò, chi porta la fede è convinto di portare anche la speranza. Mi sembra, nonostante tutti i problemi che conosciamo bene, che ci siano grandi segni di speranza. Nuovi governi, nuova disponibilità di collaborazione, lotta contro la corruzione – un grande male che dev’essere superato! – e anche l’apertura delle religioni tradizionali alla fede cristiana, perché nelle religioni tradizionali tutti conoscono Dio, l’unico Dio, ma appare un po’ lontano. Aspettano che si avvicini. E’ nell’annuncio del Dio fattosi Uomo che queste si riconoscono: Dio si è realmente avvicinato. Poi, la Chiesa cattolica ha tanto in comune: diciamo, il culto degli antenati trova la sua risposta nella comunione dei santi, nel purgatorio. I santi non sono solo i canonizzati, sono tutti i nostri morti. E così, nel Corpo di Cristo si realizza proprio anche quanto intuiva il culto degli antenati. E così via. Così c’è un incontro profondo che dà realmente speranza. E cresce anche il dialogo interreligioso – ho parlato io adesso con più della metà dei vescovi africani, e le relazioni con i musulmani, nonostante i problemi che si possono verificare, sono molto promettenti, essi mi hanno detto; il dialogo cresce nel rispetto reciproco e la collaborazione nelle comuni responsabilità etiche. E del resto anche cresce questo senso di cattolicità che aiuta a superare il tribalismo, uno dei grandi problemi, e ne scaturisce la gioia di essere cristiani. Un problema delle religioni tradizionali è la paura degli spiriti. Uno dei Vescovi africani mi ha detto: uno è realmente convertito al cristianesimo, è divenuto pienamente cristiano quando sa che Cristo è realmente più forte. Non c’è più paura. E anche questo è un fenomeno in crescita. Così, direi, con tanti elementi e problemi che non possono mancare, crescono le forze spirituali, economiche, umane che ci danno speranza, e vorrei proprio mettere in luce gli elementi di speranza.



P. Lombardi – Grazie mille, Santità, del tempo che ci ha dato, delle cose che ci ha detto. E’ una ottima introduzione per seguire il Suo viaggio con molto entusiasmo. Ci daremo veramente da fare per allargare il Suo messaggio a tutto il Continente e a tutti i nostri lettori ed ascoltatori.




CERIMONIA DI BENVENUTO Aeroporto internazionale Nsimalen di Yaoundé Martedì, 17 marzo 2009

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Signor Presidente,
Illustri Rappresentanti delle Autorità civili,
Signor Cardinale Tumi,
Venerati Fratelli Vescovi,
Cari fratelli e sorelle,

grazie per il benvenuto con cui mi avete accolto. E grazie a Lei, Signor Presidente, per le Sue gentili parole. Apprezzo grandemente l’invito a visitare il Camerun e per questo desidero esprimere la mia riconoscenza a Lei ed al Presidente della Conferenza Episcopale Nazionale, l’Arcivescovo Tonyé Bakot. Porgo il mio saluto a tutti voi che mi avete onorato con la vostra presenza in questa circostanza, e desidero che sappiate quale gioia mi procura l’essere tra voi in terra africana, per la prima volta dalla mia elezione alla Sede di Pietro. Saluto affettuosamente i miei Fratelli Vescovi, come pure il clero e i fedeli laici qui convenuti. Il mio rispettoso saluto va anche ai Rappresentanti del Governo, alle Autorità civili e al Corpo diplomatico. Dal momento che questa Nazione, così come numerose altre in Africa, si avvicina al cinquantesimo anniversario della sua indipendenza, desidero aggiungere la mia voce al coro dei rallegramenti e degli auspici che i vostri amici in ogni parte del mondo vi invieranno in tale lieta occasione. Con gratitudine registro la presenza di membri di altre Confessioni cristiane e di seguaci di altre religioni.

Unendovi a noi in questo giorno, voi offrite un chiaro segnale della buona volontà e dell’armonia che esiste in questo Paese tra persone di differenti tradizioni religiose.

Vengo tra voi come pastore. Vengo per confermare i miei fratelli e le mie sorelle nella fede. Questo è stato il compito che Cristo ha affidato a Pietro nell’Ultima Cena, e questo è il ruolo dei successori di Pietro. Quando Pietro predicò alla moltitudine in Gerusalemme nel giorno di Pentecoste, erano presenti tra loro anche visitatori provenienti dall’Africa. La testimonianza poi di molti grandi santi di questo Continente durante i primi secoli del cristianesimo – San Cipriano, Santa Monica, Sant’Agostino, Sant’Atanasio, per nominarne solo alcuni – assicura all’Africa un posto di distinzione negli annali della storia della Chiesa. Fino ai giorni nostri schiere di missionari e di martiri hanno continuato ad offrire la loro testimonianza a Cristo in ogni parte dell’Africa, e oggi la Chiesa è qui benedetta con la presenza di circa centocinquanta milioni di fedeli. Quanto appropriata è dunque la decisione del Successore di Pietro di venire in Africa per celebrare con voi la vivificante fede in Cristo, che sostiene e nutre un così gran numero di figli e figlie in questo grande Continente.

Fu qui a Yaoundé nel 1995 che il mio venerato Predecessore, Papa Giovanni Paolo II, promulgò l’Esortazione post-sinodale Ecclesia in Africa, frutto della Prima Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, svoltasi a Roma l’anno precedente. Il decimo anniversario di quello storico momento fu celebrato or non è molto con grande solennità in questa stessa città. Sono venuto qui per presentare l’Instrumentum laboris per la Seconda Assemblea Speciale, che si realizzerà a Roma nel prossimo Ottobre. I Padri del Sinodo rifletteranno insieme sul tema: “La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace: ‘Voi siete il sale della terra…Voi siete la luce del mondo (
Mt 5,13-14)”. Dopo quasi dieci anni del nuovo millennio, questo momento di grazia è un appello a tutti i Vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli laici del Continente a dedicarsi nuovamente alla missione della Chiesa a portare speranza ai cuori del popolo dell’Africa, e con ciò pure ai popoli di tutto il mondo.

Anche in mezzo alle più grandi sofferenze, il messaggio cristiano reca sempre con sé speranza. La vita di Santa Josephine Bakhita offre uno splendido esempio della trasformazione che l’incontro con il Dio vivente può portare in una situazione di grande sofferenza ed ingiustizia. Di fronte al dolore o alla violenza, alla povertà o alla fame, alla corruzione o all’abuso di potere, un cristiano non può mai rimanere in silenzio. Il messaggio salvifico del Vangelo esige di essere proclamato con forza e chiarezza, così che la luce di Cristo possa brillare nel buio della vita delle persone. Qui, in Africa, come pure in tante altre parti del mondo, innumerevoli uomini e donne anelano ad udire una parola di speranza e di conforto. Conflitti locali lasciano migliaia di senza tetto e di bisognosi, di orfani e di vedove. In un Continente che, nel passato, ha visto tanti suoi abitanti crudelmente rapiti e portati oltremare a lavorare come schiavi, il traffico di esseri umani, specialmente di inermi donne e bambini, è diventato una moderna forma di schiavitù. In un tempo di globale scarsità di cibo, di scompiglio finanziario, di modelli disturbati di cambiamenti climatici, l’Africa soffre sproporzionatamente: un numero crescente di suoi abitanti finisce preda della fame, della povertà, della malattia. Essi implorano a gran voce riconciliazione, giustizia e pace, e questo è proprio ciò che la Chiesa offre loro. Non nuove forme di oppressione economica o politica, ma la libertà gloriosa dei figli di Dio (cfr Rm 8,21). Non l’imposizione di modelli culturali che ignorano il diritto alla vita dei non ancora nati, ma la pura acqua salvifica del Vangelo della vita. Non amare rivalità interetniche o interreligiose, ma la rettitudine, la pace e la gioia del Regno di Dio, descritto in modo così appropriato dal Papa Paolo VI come “civiltà dell’amore” (cfr Messaggio per il Regina caeli, Pentecoste 1970).

Qui in Camerun, dove oltre un quarto della popolazione è cattolica, la Chiesa è ben piazzata per portare avanti la sua missione per la salute e la riconciliazione. Nel Centro Cardinal Léger, potrò osservare di persona la sollecitudine pastorale di questa Chiesa locale per le persone malate e sofferenti; ed è particolarmente encomiabile che i malati di Aids in questo Paese siano curati gratuitamente. L’impegno educativo è un altro elemento-chiave del ministero della Chiesa, ed ora vediamo gli sforzi di generazioni di insegnanti missionari portare il loro frutto nell’opera dell’Università Cattolica dell’Africa Centrale, un segno di grande speranza per il futuro della regione.

Il Camerun è effettivamente terra di speranza per molti nell’Africa Centrale. Migliaia di rifugiati dai Paesi della regione devastati dalla guerra hanno ricevuto qui accoglienza. E’ una terra di vita, con un Governo che parla chiaramente in difesa dei diritti del non nati. E’ una terra di pace: risolvendo mediante il dialogo il contenzioso sulla penisola Bakassi, Camerun e Nigeria hanno mostrato al mondo che una paziente diplomazia può di fatto recare frutto. E’ una terra di giovani, benedetta con una popolazione giovane piena di vitalità e impaziente di costruire un mondo più giusto e pacifico. Giustamente viene descritto come un’”Africa in miniatura”, patria di oltre duecento gruppi etnici differenti che vivono in armonia gli uni con gli altri. Sono, queste, altrettante ragioni per lodare e ringraziare Dio.

Venendo tra voi, oggi, prego che la Chiesa qui e dappertutto in Africa possa continuare a crescere nella santità, nel servizio alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace. Prego perché il lavoro della Seconda Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi possa soffiare sul fuoco dei doni che lo Spirito ha riversato sulla Chiesa in Africa. Prego per ciascuno di voi, per le vostre famiglie e i vostri cari e chiedo a voi di unirvi a me nella preghiera per tutti gli abitanti di questo vasto continente. Dio benedica il Camerun! Dio benedica l’Africa!





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