Discorsi 2005-13 20339

INCONTRO CON I VESCOVI DELL'ANGOLA E SÃO TOMÉ Cappella della Nunziatura Apostolica - Luanda Venerdì, 20 marzo 2009

20339

Signor Cardinale,
Carissimi Vescovi di Angola e São Tomé!

Provo una gioia immensa nel potervi incontrare in questa sede che l’Angola ha riservato al Successore di Pietro – di solito nella persona di un suo Rappresentante –, quale espressione visibile dei legami che uniscono i vostri Popoli alla Chiesa cattolica, la quale da più di cinquecento anni si rallegra di potervi annoverare tra i suoi figli. Si innalzino, concordi e ferventi, le nostre lodi a Dio Padre che, per opera e grazia dello Spirito Santo, non cessa di generare il Corpo mistico del suo Figlio con i lineamenti angolani e santomensi, senza perdere con ciò le fisionomie ebrea, romana, portoghese e tante altre acquistate prima, «poiché quanti siete stati battezzati in Cristo (…), siete uno in Cristo Gesù» (
Ga 3,27 Ga 3,28). Il buon Dio, per portare avanti oggi quest’opera della gestazione del Cristo totale mediante la fede e il battesimo, ha voluto avere bisogno di me e di voi, venerati Fratelli; non desti quindi stupore che le doglie del parto si facciano sentire in noi finché Cristo non sia completamente formato (cfr Ga 4,19) nel cuore del vostro popolo. Dio vi ricompenserà di ogni fatica apostolica che avete portato avanti in condizioni difficili, sia durante la guerra sia nei giorni presenti a contatto con tante limitazioni, contribuendo in questo modo a dare alla Chiesa in Angola e in São Tomé e Príncipe quel dinamismo che tutti le riconoscono.

Consapevole del ministero che sono stato chiamato a svolgere al servizio della comunione ecclesiale, vi prego di farvi interpreti della mia costante sollecitudine verso le vostre comunità, che saluto con sincero affetto nella persona di ognuno dei membri di questa Conferenza episcopale. Rivolgo un saluto particolare al vostro Presidente, Mons. Damião Franklin, che ringrazio per le parole di benvenuto che a nome vostro mi ha rivolto, evidenziando il vostro impegno per un puntuale discernimento e per il conseguente piano unitario da attuare nelle vostre comunità diocesane «per rendere idonei i fratelli (…), finché arriviamo tutti allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ep 4,12 Ep 4,13). Infatti, contro un diffuso relativismo che nulla riconosce come definitivo e anzi tende ad erigere a misura ultima l’io personale e i suoi capricci, noi proponiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, che è anche vero uomo. È Lui la misura del vero umanesimo. Il cristiano di fede adulta e matura non è colui che segue le onde della moda e l’ultima novità, ma colui che vive profondamente radicato nell’amicizia di Cristo. Questa amicizia ci apre verso tutto ciò che è buono e ci offre il criterio per discernere tra errore e verità.

Certamente decisivo in ordine al futuro della fede e all’indirizzo globale della vita della Nazione è il campo della cultura, in cui la Chiesa gode di rinomate istituzioni accademiche, le quali devono proporsi come punto d’onore di far sì che la voce dei cattolici sia sempre presente nel dibattito culturale della Nazione, perché si rafforzino le capacità di elaborare razionalmente, alla luce della fede, le tante questioni che sorgono nei diversi ambiti della scienza e della vita. Inoltre la cultura e i modelli di comportamento si trovano oggi sempre più condizionati e caratterizzati dalle immagini proposte dai mezzi di comunicazione sociale; perciò è lodevole ogni vostro sforzo per avere, anche a questo livello, una capacità di comunicazione che vi metta in grado di offrire a tutti un’interpretazione cristiana degli eventi, dei problemi e delle realtà umane.

Una di queste realtà umane, oggi esposta a parecchie difficoltà e minacce, è la famiglia, la quale ha un particolare bisogno di essere evangelizzata e concretamente sostenuta, poiché, alla fragilità ed instabilità interna di tante unioni coniugali, si viene ad aggiungere la tendenza diffusa nella società e nella cultura di contestare il carattere unico e la missione propria della famiglia fondata sul matrimonio. Nella vostra sollecitudine di Pastori nei confronti di ogni essere umano, continuate ad alzare la voce in difesa della sacralità della vita umana e del valore dell’istituto matrimoniale e per la promozione del ruolo che ha la famiglia nella Chiesa e nella società, chiedendo misure economiche e legislative che le rechino sostegno nella generazione e nell’educazione dei figli.

Mi rallegro per la presenza nelle vostre Nazioni sia di tante comunità vibranti di fede, con un laicato impegnato che si dedica a parecchie opere di apostolato, sia di un numero consistente di vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata, in special modo quella contemplativa: costituiscono un vero segno di speranza per il futuro. E mentre il clero diventa sempre più autoctono, desidero prestare omaggio al lavoro svolto pazientemente ed eroicamente dai missionari per annunziare Cristo e il suo Vangelo e per far nascere le comunità cristiane di cui oggi siete responsabili. Vi invito a seguire da vicino i vostri presbiteri, preoccupandovi della loro formazione permanente a livello sia teologico che spirituale, e mantenendovi attenti alle loro condizioni di vita e d’esercizio della propria missione, affinché siano autentici testimoni della Parola che annunziano e dei Sacramenti che celebrano. Possano, nel dono di se stessi a Cristo e al popolo di cui sono i pastori, rimanere fedeli alle esigenze del loro stato e vivere il loro ministero presbiterale come un vero cammino di santità, cercando di farsi santi per suscitare intorno a sé nuovi santi.

Venerati Fratelli, nell’affidarmi al vostro orante ricordo presso il Signore, vi assicuro da parte mia una speciale preghiera a Colui che è il vero Sposo della Chiesa, da Lui amata, protetta e nutrita: il Figlio unigenito del Dio vivente, Gesù Cristo Nostro Signore. Egli sostenga con la sua grazia i vostri impegni pastorali, perché diventino fecondi secondo l’esempio e sotto la protezione dell’Immacolato Cuore della Vergine Madre. Con tali sentimenti, imparto la mia Benedizione ad ognuno di voi, ai vostri presbiteri, alle persone consacrate, ai seminaristi, ai catechisti e a tutti i fedeli laici, membri del gregge che Dio vi ha affidato.






INCONTRO CON I GIOVANI Stadio dos Coqueiros - Luanda Sabato, 21 marzo 2009

21039

Carissimi amici!

Siete venuti in gran numero, in rappresentanza di molti altri spiritualmente a voi uniti, per incontrare il Successore di Pietro e, insieme a me, proclamare davanti a tutti la gioia di credere in Gesù Cristo e rinnovare l’impegno di essere suoi fedeli discepoli in questo nostro tempo. Un identico incontro ha avuto luogo in questa stessa città, in data 7 giugno 1992, con l’amato Papa Giovanni Paolo II. Con lineamenti un po’ diversi, ma con lo stesso amore nel cuore, ecco davanti a voi l’attuale Successore di Pietro, che vi abbraccia tutti in Gesù Cristo, che “è lo stesso ieri, oggi e per sempre” (
He 13,8).

Prima di tutto, voglio ringraziarvi per questa festa che voi mi fate, per questa festa che voi siete, per la vostra presenza e la vostra gioia. Rivolgo un saluto affettuoso ai venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio e ai vostri animatori. Di cuore ringrazio e saluto quanti hanno preparato quest’Incontro e, in particolare, la Commissione episcopale per la Gioventù e le Vocazioni con il suo Presidente, Mons. Kanda Almeida, che ringrazio per le cordiali parole di benvenuto rivoltemi. Saluto tutti i giovani, cattolici e non cattolici, alla ricerca di una risposta per i loro problemi, alcuni dei quali sicuramente riferiti dai vostri Rappresentanti, le cui parole ho ascoltato con gratitudine. L’abbraccio che ho scambiato con loro vale naturalmente per tutti voi.

Incontrare i giovani fa bene a tutti! Essi hanno a volte tante difficoltà, ma portano con sé tanta speranza, tanto entusiasmo, tanta voglia di ricominciare. Giovani amici, voi custodite in voi stessi la dinamica del futuro. Vi invito a guardarlo con gli occhi dell’apostolo Giovanni: «Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra (…) e anche la città santa, la nuova Gerusalemme scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono: “Ecco la dimora di Dio con gli uomini”» (Ap 21,1-3). Carissimi amici, Dio fa la differenza. A cominciare dalla serena intimità fra Dio e la coppia umana nel giardino dell’Eden, passando alla gloria divina che irradiava dalla Tenda della Riunione in mezzo al popolo d’Israele durante la traversata del deserto, fino all’incarnazione del Figlio di Dio che si è indissolubilmente unito all’uomo in Gesù Cristo. Questo stesso Gesù riprende la traversata del deserto umano passando attraverso la morte e arriva alla risurrezione, trascinando con sé verso Dio l’intera umanità. Ora Gesù non si trova più confinato in un luogo e in un tempo determinato, ma il suo Spirito, lo Spirito Santo, emana da Lui e entra nei nostri cuori, unendoci così con Gesù stesso e con Lui al Padre – con il Dio uno e trino.

Sì, miei cari amici! Dio fa la differenza… Di più! Dio ci fa differenti, ci fa nuovi. Tale è la promessa che Egli stesso ci fa: «Ecco io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Ed è vero! Ce lo dice l’apostolo san Paolo: «Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con se mediante Cristo» (2Ch 5,17-18). Essendo salito al Cielo ed essendo entrato nell’eternità, Gesù Cristo è diventato Signore di tutti i tempi. Perciò, può farsi nostro compagno nel presente, portando il libro dei nostri giorni nella sua mano: in essa sostiene fermamente il passato, con le sorgenti e le fondamenta del nostro essere; in essa custodisce gelosamente il futuro, lasciandoci intravedere l’alba più bella di tutta la nostra vita che da lui irradia, ossia la risurrezione in Dio. Il futuro dell’umanità nuova è Dio; proprio un iniziale anticipo di ciò è la sua Chiesa. Quando ne avrete la possibilità, leggetene con attenzione la storia: potrete rendervi conto che la Chiesa, nello scorrere degli anni, non invecchia; anzi diventa sempre più giovane, perché cammina incontro al Signore, avvicinandosi ogni giorno di più alla sola e vera sorgente da dove scaturisce la gioventù, la rigenerazione, la forza della vita.

Amici che mi ascoltate, il futuro è Dio. Come abbiamo ascoltato poc’anzi, Egli «tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate» (Ap 21,4). Nel frattempo, vedo qui presenti alcuni delle migliaia di giovani angolani mutilati in conseguenza della guerra e delle mine, penso alle innumerevoli lacrime che tanti di voi hanno versato per la perdita dei familiari, e non è difficile immaginare le nubi grigie che coprono ancora il cielo dei vostri sogni migliori… Leggo nel vostro cuore un dubbio, che voi rivolgete a me: «Questo è ciò che abbiamo. Quello che tu ci dici non si vede! La promessa ha la garanzia divina – e noi vi crediamo –, ma Dio quando si alzerà per rinnovare ogni cosa?». La risposta di Gesù è la stessa che Egli ha dato ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, vi avrei mai detto: Vado a prepararvi un posto?» (Jn 14,1-2). Ma voi, carissimi giovani, insistete: «D’accordo! Ma quando accadrà questo?» Ad una domanda simile fatta dagli apostoli, Gesù rispose: «Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni (…) fino agli estremi confini della terra» (Ac 1,7-8). Guardate che Gesù non ci lascia senza risposta; ci dice chiaramente una cosa: il rinnovamento inizia dentro; riceverete una forza dall’Alto. La forza dinamica del futuro si trova dentro di voi.

Si trova dentro… ma come? Come la vita è dentro un seme: così ha spiegato Gesù, in un’ora critica del suo ministero. Era iniziato – il suo ministero - con grande entusiasmo, poiché la gente vedeva i malati guariti, i demoni cacciati, il Vangelo annunziato; ma, per il resto, il mondo andava avanti come prima: i romani dominavano ancora; la vita era difficile nel susseguirsi dei giorni, nonostante ci fossero quei segni, quelle belle parole. E l’entusiasmo si era andato spegnendo, fino al punto che parecchi discepoli avevano abbandonato il Maestro (cfr Jn 6,66), che predicava ma non cambiava il mondo. E tutti si domandavano: In fondo che valore ha questo messaggio? Cosa ci porta questo Profeta di Dio? Allora Gesù parlò di un seminatore che semina nel campo del mondo, e spiegò poi che il seme è la sua Parola (cfr Mc 4,3-20), sono le guarigioni operate: davvero poca cosa se paragonate con le enormi carenze e “macas” [difficoltà] della realtà di ogni giorno. Eppure nel seme è presente il futuro, perché il seme porta dentro di sé il pane di domani, la vita di domani. Il seme sembra quasi niente, ma è la presenza del futuro, è promessa presente già oggi; quando cade in terra buona fruttifica trenta, sessanta ed anche cento volte tanto.

Amici miei, voi siete un seme gettato da Dio nella terra; esso porta nel cuore una forza dell’Alto, la forza dello Spirito Santo. Tuttavia per passare dalla promessa di vita al frutto, la sola via possibile è offrire la vita per amore, è morire per amore. Lo ha detto lo stesso Gesù: «Se il seme caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita, la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (cfr Jn 12,24-25). Così ha parlato Gesù, e così ha fatto: la sua crocifissione sembra il fallimento totale, ma non lo è! Gesù, animato dalla forza di «uno Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio» (He 9,14). E in questo modo, caduto cioè in terra, Egli ha potuto dar frutto in ogni tempo e lungo tutti i tempi. E in mezzo a voi si trova il nuovo Pane, il Pane della vita futura, la Santissima Eucaristia che ci alimenta e fa sbocciare la vita trinitaria nel cuore degli uomini.

Giovani amici, sementi dotate della forza del medesimo Spirito eterno, sbocciate al calore dell’Eucaristia, nella quale si realizza il testamento del Signore: Lui si dona a noi e noi rispondiamo donandoci agli altri per amore suo. Questa è la via della vita; ma sarà possibile percorrerla alla sola condizione di un dialogo costante con il Signore e di un dialogo vero tra voi. La cultura sociale dominante non vi aiuta a vivere la Parola di Gesù e neppure il dono di voi stessi a cui Egli vi invita secondo il disegno del Padre. Carissimi amici, la forza si trova dentro di voi, come era in Gesù che diceva: «Il Padre che è in me compie le sue opere. (…) Anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne fará di più grandi, perché io vado al Padre» (Jn 14,10 Jn 14,12). Perciò non abbiate paura di prendere decisioni definitive. Generosità non vi manca – lo so! Ma di fronte al rischio di impegnarsi per tutta la vita, sia nel matrimonio che in una vita di speciale consacrazione, provate paura: «Il mondo vive in continuo movimento e la vita è piena di possibilità. Potrò io disporre in questo momento della mia vita intera ignorando gli imprevisti che essa mi riserva? Non sarà che io, con una decisione definitiva, mi gioco la mia libertà e mi lego con le mie stesse mani?». Tali sono i dubbi che vi assalgono e l’attuale cultura individualistica e edonista li esaspera. Ma quando il giovane non si decide, corre il rischio di restare un eterno bambino!

Io vi dico: Coraggio! Osate decisioni definitive, perché in verità queste sono le sole che non distruggono la libertà, ma ne creano la giusta direzione, consentendo di andare avanti e di raggiungere qualcosa di grande nella vita. Non c’è dubbio che la vita ha valore soltanto se avete il coraggio dell’avventura, la fiducia che il Signore non vi lascerà mai soli. Gioventù angolana, libera dentro di te lo Spirito Santo, la forza dall’Alto! Con fiducia in questa forza, come Gesù, rischia questo salto per così dire nel definitivo e, con ciò, offri una possibilità alla vita! Così verranno a crearsi tra voi delle isole, delle oasi e poi grandi superfici di cultura cristiana, in cui diventerà visibile quella «città santa che scende dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo». Questa è la vita che merita di essere vissuta e che di cuore vi auguro. Viva la gioventù di Angola!




INCONTRO CON I MOVIMENTI CATTOLICI PER LA PROMOZIONE DELLA DONNA Parrocchia di Santo António di Luanda Domenica, 22 marzo 2009

22039

Carissimi fratelli e sorelle,

«Non hanno più vino» – disse Maria supplicando Gesù affinché lo sposalizio potesse continuare nella festa, come del resto sempre deve essere: «Gli invitati a nozze non possono digiunare quando hanno con loro lo sposo» (cfr
Mc 2,19). Poi la Madre di Gesù si recò dai servi per raccomandar loro: «Fate quello che vi dirà» (cfr Jn 2,1-5). E quella mediazione materna rese possibile il «vino buono», premonitore di una nuova alleanza tra l’onnipotenza divina e il cuore umano povero ma disponibile. È ciò che, del resto, era già successo in passato quando – lo abbiamo ascoltato nella prima lettura – «tutto il popolo rispose insieme e disse: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!”» (Ex 19,8).

Queste stesse parole salgano dal cuore di quanti siamo radunati qui in questa chiesa di Sant’Antonio, sorta grazie alla benemerita opera missionaria dei Frati minori cappuccini, i quali la vollero quale nuova Tenda per l’Arca dell’Alleanza, segno della presenza di Dio in mezzo al popolo in cammino. Su di loro e su quanti collaborano e traggono beneficio dall’assistenza religiosa e sociale qui elargita, il Papa traccia una benevola e incoraggiante Benedizione. Saluto con affetto ciascuno dei presenti: Vescovi, presbiteri, consacrati e consacrate, e in modo particolare voi, fedeli laici, che abbracciate consapevolmente i doveri d’impegno e di testimonianza cristiana che derivano dal sacramento del Battesimo e, per gli sposati, anche dal sacramento del Matrimonio. E, dettato dalla ragione principale che ci raduna qui, un mio saluto carico di affetto e di speranza va alle donne, alle quali Dio ha affidato le sorgenti della vita: Vivete e scommettete sulla vita, perché il Dio vivente ha scommesso su di voi! Con animo grato, saluto i responsabili e gli animatori dei Movimenti ecclesiali che hanno a cuore, tra l’altro, la promozione della donna angolana. Ringrazio Mons. José de Queirós Alves e ai vostri rappresentanti per le parole che mi hanno rivolte, illustrando gli affanni e le speranze di tante silenziose eroine quali sono le donne in questa Nazione amata.

Tutti esorto ad un’effettiva consapevolezza delle condizioni sfavorevoli a cui sono state – e continuano ad essere – sottoposte tante donne, esaminando in quale misura la condotta e gli atteggiamenti degli uomini, a volte la loro mancanza di sensibilità o di responsabilità, possano esserne la causa. I disegni di Dio sono diversi. Abbiamo sentito nella lettura che tutto il popolo rispose insieme: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!» Dice la Sacra Scrittura che il Creatore divino, nell’esaminare l’opera compiuta, vide che qualcosa mancava: tutto sarebbe stato buono, se l’uomo non fosse stato solo! Come poteva l’uomo solo essere ad immagine e somiglianza di Dio che è uno e trino, di Dio che è comunione? «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile» (cfr Gn 2,18). Dio di nuovo si mise all’opera per creare l’aiuto che mancava, e lo dotò in modo privilegiato introducendo l’ordine dell’amore, che non vedeva abbastanza rappresentato nella creazione.

Come sapete, fratelli e sorelle, quest’ordine dell’amore appartiene alla vita intima di Dio stesso, alla vita trinitaria, essendo lo Spirito Santo l’ipostasi personale dell’amore. Orbene, «nel fondamento del disegno eterno di Dio – come diceva il compianto Papa Giovanni Paolo II – la donna è colei in cui l’ordine dell’amore nel mondo creato delle persone trova un terreno per gettare la sua prima radice» (Lett. ap. Mulieris dignitatem, 29). Infatti, nel vedere l’affascinante incanto che irradia dalla donna a causa dell’intima grazia che Dio le ha donata, il cuore dell’uomo si illumina e si rivede in essa: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa» (Gn 2,23). La donna è un’altro «io» nella comune umanità. Bisogna riconoscere, affermare e difendere l’uguale dignità dell’uomo e della donna: sono ambedue persone, differentemente da ogni altro essere vivente del mondo attorno a loro.

Ambedue sono chiamati a vivere in profonda comunione, in un vicendevole riconoscimento e dono di se stessi, lavorando insieme per il bene comune con le caratteristiche complementari di ciò che è maschile e di ciò che è femminile. Chi non avverte, oggi, il bisogno di dare più spazio alle «ragioni del cuore»? In un mondo come l’attuale dominato dalla tecnica, si sente bisogno di questa complementarietà della donna, affinché l’essere umano vi possa vivere senza disumanizzarsi del tutto. Si pensi alle terre dove abbonda la povertà, alle regioni devastate dalla guerra, a tante situazioni tragiche risultanti da migrazioni forzate e non… Sono quasi sempre le donne che vi mantengono intatta la dignità umana, difendono la famiglia e tutelano i valori culturali e religiosi.

Carissimi fratelli e sorelle, la storia registra quasi esclusivamente le conquiste dei maschi, quando in realtà una parte importantissima si deve ad azioni determinanti, perseveranti e benefiche poste da donne. Lasciate che, fra tante donne straordinarie, vi parli di due: Teresa Gomes e Maria Bonino. Angolana la prima, è deceduta l’anno 2004 nella città di Sumbe, dopo una vita coniugale felice da cui sono nati 7 figli; incrollabile è stata la sua fede cristiana e ammirevole il suo zelo apostolico, sopratutto negli anni 1975 e 1976 quando una feroce propaganda ideologica e politica si abbatté sopra la parrocchia di Nostra Signora delle Grazie di Porto Amboim, riuscendo quasi a far chiudere le porte della chiesa. Allora Teresa divenne la leader dei fedeli che non si arrendevano alla situazione, sostenendoli, proteggendo coraggiosamente le strutture parrocchiali e tentando ogni possibile strada per avere di nuovo la santa Messa. Il suo amore alla Chiesa la rese instancabile nell’opera dell’evangelizzazione, sotto la guida dei sacerdoti.

Quanto a Maria Bonino: era una pediatra italiana, offertasi volontaria per varie missioni in quest’Africa amata, e divenuta la responsabile del Reparto pediatrico dell’Ospedale provinciale d’Uíje negli ultimi due anni della sua vita. Votata alle cure quotidiane di migliaia di bambini lì ricoverati, Maria dovette pagare con il sacrificio più alto il servizio ivi reso durante una terribile epidemia della febbre emorragica di Marburg, finendo lei stessa contagiata; anche se trasferita a Luanda, qui decedette e qui riposa dal 24 marzo del 2005 – si compie dopodomani il quarto anniversario. La Chiesa e la società umana sono state – e continuano ad essere – enormemente arricchite dalla presenza e dalle virtù delle donne, in particolare di quelle che si sono consacrate al Signore e, poggiando su di Lui, si sono messe al servizio degli altri.

Carissimi angolani, oggi nessuno dovrebbe più dubitare del fatto che le donne, sulla base della loro dignità pari a quella degli uomini, hanno «pieno diritto di inserirsi attivamente in ogni ambito della vita pubblica, e il loro diritto deve essere affermato e protetto anche mediante strumenti legali, là dove questi appaiano necessari. Tuttavia il riconoscimento del ruolo pubblico delle donne non deve sminuire l’insostituibile funzione che esse hanno all’interno della famiglia: qui, infatti, il loro contributo per il bene e lo sviluppo sociale, anche se poco considerato, è di un valore realmente inestimabile» (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace nel 1995, n. 9). Peraltro, a livello personale, la donna sente la propria dignità non tanto quale risultato dell’affermazione di diritti sul piano giuridico, quanto piuttosto come diretta conseguenza delle attenzioni materiali e spirituali ricevute nel cuore della famiglia. La presenza materna all’interno della famiglia è così importante per la stabilità e la crescita di questa cellula fondamentale della società, che dovrebbe essere riconosciuta, lodata e sostenuta in ogni modo possibile. E, per lo stesso motivo, la società deve richiamare i mariti e i padri alle loro responsabilità riguardo alla propria famiglia.

Carissime famiglie, certamente vi siete rese conto del fatto che nessuna coppia umana può da sola, unicamente con le proprie forze, offrire adeguatamente ai figli l’amore e il senso della vita. Infatti, per poter dire a qualcuno: «La tua vita è buona, nonostante non ne conosca il futuro», c’è bisogno di un’autorità e di una credibilità più alte di quanto possono offrire i genitori da soli. I cristiani sanno che quest’autorità più grande è stata assegnata a quella famiglia più ampia che Dio, per mezzo del Figlio suo Gesù Cristo e del dono dello Spirito Santo, ha creato nella storia degli uomini, e cioè alla Chiesa. Vediamo qui al lavoro quell’Amore eterno e indistruttibile che assicura alla vita di ciascuno di noi un senso permanente, anche se non ne conosciamo il futuro. Per questo motivo, l’edificazione di ogni famiglia cristiana avviene all’interno di quella famiglia più grande che è la Chiesa, la quale la sostiene e la stringe al suo petto garantendo che sopra di essa si posa, ora e nel futuro, il «sì» del Creatore.

«Non hanno più vino» – dice Maria a Gesù. Carissime donne angolane, prendeteLa come Avvocata vostra presso il Signore. Così la conosciamo da quelle nozze di Cana: come la Donna benigna, piena di materna sollecitudine e di coraggio, la Donna che si accorge dei bisogni altrui e, volendo rimediare, li porta davanti al Signore. Presso di Lei, possiamo tutti, donne e uomini, ricuperare quella serenità e intima fiducia che ci fa sentire beati in Dio e instancabili nella lotta per la vita. Possa la Madonna di Muxima essere la stella della vostra vita; Essa vi custodisca uniti nella grande famiglia di Dio. Amen.





CERIMONIA DI CONGEDO Aeroporto internazionale 4 de Fevereiro di Luanda Lunedì, 23 marzo 2009

23039

Eccellentissimo Signor Presidente della Repubblica,
Illustrissime Autorità civili, militari ed ecclesiastiche,
Cari fratelli e sorelle in Cristo,
Amici tutti di Angola!

Vivamente sensibile alla presenza di Vostra Eccellenza, Signor Presidente, in quest’ora della mia partenza, voglio esprimerLe il mio apprezzamento e la mia gratitudine tanto per il distinto trattamento che mi ha riservato quanto per le disposizioni prese per facilitare lo svolgimento dei diversi incontri che ho avuto la gioia di vivere. Sia alle Autorità civili e militari che ai Pastori e ai responsabili delle comunità ed istituzioni ecclesiali coinvolte nei suddetti incontri, rivolgo i più cordiali ringraziamenti per ogni gentilezza con cui hanno voluto onorare la mia persona durante questi giorni che ho potuto passare tra voi. Una parola di riconoscenza è dovuta agli operatori dei mezzi di comunicazione sociale, agli agenti dei servizi di sicurezza e a tutti i volontari che, con generosità, efficienza e discrezione, hanno contribuito al buon esito della mia visita.

Ringrazio Iddio di aver trovato una Chiesa viva e, nonostante le difficoltà, piena di entusiasmo, che ha saputo prendere sulle spalle la sua croce e quella altrui, rendendo testimonianza davanti a tutti della forza salvifica del messaggio evangelico. Essa continua ad annunziare che è arrivato il tempo della speranza, impegnandosi nella pacificazione degli animi e invitando all’esercizio di una carità fraterna che sappia aprirsi alla accoglienza di tutti, nel rispetto delle idee e sentimenti di ciascuno. È ora di congedarmi e di ripartire alla volta di Roma, rattristato per dovervi lasciare, ma contento di aver conosciuto un popolo coraggioso e deciso a rinascere. Nonostante le resistenze e gli ostacoli, questo popolo intende edificare il suo futuro camminando per sentieri di perdono, giustizia e solidarietà.

Se mi è permesso rivolgere qui un appello finale, vorrei chiedere che la giusta realizzazione delle fondamentali aspirazioni delle popolazioni più bisognose costituisca la preoccupazione principale di coloro che ricoprono le cariche pubbliche, poiché la loro intenzione – sono certo – è quella di svolgere la missione ricevuta non per se stessi ma in vista del bene comune. Il nostro cuore non può darsi pace finché ci sono fratelli che soffrono per mancanza di cibo, di lavoro, di una casa o di altri beni fondamentali. Per arrivare a dare una risposta concreta a questi nostri fratelli in umanità, la prima sfida da vincere è quella della solidarietà: solidarietà fra le generazioni, solidarietà fra le Nazioni e tra i Continenti che generi una sempre più equa condivisione delle risorse della terra fra tutti gli uomini.

E da Luanda allargo lo sguardo verso l’Africa intera, dandole appuntamento per il prossimo mese di ottobre nella Città del Vaticano, quando ci raduneremo per la II Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi dedicata a questo Continente, dove il Verbo incarnato in persona ha trovato rifugio. Prego ora Iddio di fare sentire la sua protezione ed aiuto ai rifugiati ed espatriati senza numero che vagano nella attesa di un ritorno alla propria casa. Il Dio del cielo ripete loro: «Anche se la mamma si dimenticasse di te, Io invece non ti dimenticherò mai» (cfr
Is 49,15). È come figli e figlie che Dio vi ama; Egli veglia sui vostri giorni e sulle vostre notti, sulle vostre fatiche e aspirazioni.

Fratelli e amici di Africa, carissimi angolani, coraggio! Non vi stancate di far progredire la pace, compiendo gesti di perdono e lavorando per la riconciliazione nazionale, affinché mai la violenza prevalga sul dialogo, la paura e lo scoraggiamento sulla fiducia, il rancore sull’amore fraterno. E ciò sarà possibile se vi riconoscerete a vicenda quali figli dello stesso e unico Padre del Cielo. Dio benedica l’Angola! Benedica ognuno dei suoi figli e figlie! Benedica il presente e il futuro di questa amata Nazione. Addio!





PAROLE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI Volo Papale Lunedì, 23 marzo 2009

23139
Cari amici,

vedo che voi lavorate ancora. Il mio lavoro è quasi finito, invece il vostro comincia di nuovo. Grazie per questo impegno.

Mi sono rimaste nella memoria soprattutto due impressioni: da una parte, l’impressione di questa cordialità quasi esuberante, di questa gioia, di un’Africa in festa, e mi sembra che nel Papa hanno visto, diciamo, la personificazione del fatto che siamo tutti figli e famiglia di Dio. Esiste questa famiglia e noi, con tutti i nostri limiti, siamo in questa famiglia e Dio è con noi. Così la presenza del Papa ha, diciamo, aiutato a sentire questo e ad essere realmente nella gioia.

Dall’altra parte, mi ha fatto grande impressione lo spirito di raccoglimento nelle liturgie, il forte senso del sacro: nelle liturgie non c’è autopresentazione dei gruppi, autoanimazione, ma c’è la presenza del sacro, di Dio stesso: Anche i movimenti erano sempre movimenti di rispetto e di consapevolezza della presenza divina. Questo ha suscitato in me una grande impressione.

Poi devo dire che sono stato profondamente colpito dal fatto che, venerdì sera nel caos formatosi davanti alla porta allo Stadio, sono morte due ragazze. Ho pregato e prego per loro. Purtroppo una di loro non è stata ancora identificata. Il Cardinal Bertone e mons. Filoni hanno potuto visitare la mamma dell’altra, una donna vedova, coraggiosa, con cinque figli. La prima dei cinque - quella adesso morta - era catechista. Noi tutti preghiamo e speriamo che in futuro le cose possano essere organizzate in modo che questo non succeda più.

Poi due altri ricordi rimasti nella mia memoria: un ricordo speciale – ci sarebbe tanto da dire – riguarda il Centro Cardinal Léger: mi ha toccato il cuore vedere lì il mondo delle molteplici sofferenze – tutto il dolore, la tristezza, la povertà dell’esistenza umana – ma anche vedere come Stato e Chiesa collaborano per aiutare i sofferenti. Da una parte lo Stato gestisce in modo esemplare questo grande Centro, dall’altra movimenti ecclesiali e realtà della Chiesa collaborano per aiutare realmente queste persone. E si vede, mi sembra, che l’uomo aiutando chi soffre diventa più uomo, il mondo diventa più umano. Questo è ciò che rimane iscritto nella mia memoria.

Non solo abbiamo distribuito l’Instrumentum laboris per il Sinodo, ma abbiamo anche lavorato per il Sinodo. Nella sera del giorno di San Giuseppe mi sono riunito con tutti i componenti del Consiglio per il Sinodo – 12 Vescovi – e ognuno ha parlato della situazione della sua Chiesa locale. Mi hanno parlato delle loro proposte, delle loro aspettative, e così è nata un’idea molto ricca della realtà della Chiesa in Africa: come si muove, come soffre, che cosa fa, quali sono le speranze, i problemi. Potrei raccontare molto, per esempio della Chiesa del Sud Africa, che ha avuto un’esperienza di riconciliazione difficile, ma sostanzialmente riuscita: essa aiuta adesso con le sue esperienze il tentativo di riconciliazione in Burundi e cerca di fare qualcosa di simile, anche se con grandissime difficoltà, in Zimbabwe.

E finalmente vorrei ancora una volta ringraziare tutti coloro che hanno contribuito alla bella riuscita di questo viaggio: abbiamo visto quali preparativi lo avevano preceduto, come hanno collaborato tutti. Desidero ringraziare le autorità statali, civili, quelle della Chiesa e tutti i singoli che hanno collaborato. Mi sembra che veramente la parola “grazie” debba concludere questa avventura. Grazie ancora una volta anche a voi, giornalisti, per il lavoro che avete fatto e che continuate a fare. Buon viaggio a voi tutti. Grazie!



Discorsi 2005-13 20339