Discorsi 2005-13 30159

CELEBRAZIONE MARIANA PER LA CONCLUSIONE DEL MESE DI MAGGIO IN VATICANO Giardini Vaticani Sabato, 30 maggio 2009

30159


Venerati Fratelli,
cari fratelli e sorelle,

vi saluto tutti con affetto, al termine della tradizionale veglia mariana, che conclude il mese di Maggio in Vaticano. Quest’anno essa ha acquistato un valore tutto speciale, perché cade alla vigilia di Pentecoste. Radunandovi insieme, spiritualmente raccolti intorno alla Vergine Maria, e contemplando i misteri del Santo Rosario, avete rivissuto l’esperienza dei primi discepoli, riuniti nel Cenacolo con “la madre di Gesù”, “perseveranti e concordi nella preghiera” in attesa della venuta dello Spirito Santo (cfr
Ac 1,14). Anche noi, in questa penultima sera di maggio, dal colle Vaticano invochiamo l’effusione dello Spirito Paraclito su di noi, sulla Chiesa che è in Roma e su tutto il popolo cristiano.

La grande festa di Pentecoste ci invita a meditare sul rapporto tra lo Spirito Santo e Maria, un rapporto strettissimo, privilegiato, indissolubile. La Vergine di Nazaret fu prescelta per diventare la Madre del Redentore ad opera dello Spirito Santo: nella sua umiltà, trovò grazia agli occhi di Dio (cfr Lc 1,30). In effetti, nel Nuovo Testamento noi vediamo che la fede di Maria, per così dire, “attira” il dono dello Spirito Santo. Prima di tutto nel concepimento del Figlio di Dio, mistero che lo stesso arcangelo Gabriele spiega così: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra” (Lc 1,35). Subito dopo Maria si recò ad aiutare Elisabetta, ed ecco che quando giunge da lei e la saluta, lo Spirito Santo fa sussultare il bambino nel grembo dell’anziana parente (cfr Lc 1,44); e tutto il dialogo tra le due madri è ispirato dallo Spirito di Dio, soprattutto il cantico di lode con cui Maria esprime i suoi sentimenti profondi, il Magnificat. L’intera vicenda della nascita di Gesù e della sua prima infanzia è guidata in maniera quasi palpabile dallo Spirito Santo, anche se non viene sempre nominato. Il cuore di Maria, in perfetta consonanza con il Figlio divino, è tempio dello Spirito di verità, dove ogni parola e ogni avvenimento vengono custoditi nella fede, nella speranza e nella carità (cfr Lc 2,19 Lc 2,51).

Possiamo così essere certi che il cuore santissimo di Gesù in tutto l’arco della vita nascosta a Nazaret ha sempre trovato nel cuore immacolato della Madre un “focolare” sempre acceso di preghiera e di costante attenzione alla voce dello Spirito. Testimonianza di questa singolare sintonia tra Madre e Figlio nel cercare la volontà di Dio, è quanto avvenne alle nozze di Cana. In una situazione carica di simboli dell’alleanza, quale è il banchetto nuziale, la Vergine Madre intercede e provoca, per così dire, un segno di grazia sovrabbondante: il “vino buono” che rimanda al mistero del Sangue di Cristo. Questo ci conduce direttamente al Calvario, dove Maria sta sotto la croce insieme con le altre donne e con l’apostolo Giovanni. La Madre e il discepolo raccolgono spiritualmente il testamento di Gesù: le sue ultime parole e il suo ultimo respiro, nel quale Egli incomincia ad effondere lo Spirito; e raccolgono il grido silenzioso del suo Sangue, interamente versato per noi (cfr Jn 19,25-34). Maria sapeva da dove veniva quel sangue: si era formato in lei per opera dello Spirito Santo, e sapeva che quella stessa “potenza” creatrice avrebbe risuscitato Gesù, come Egli aveva promesso.

Così la fede di Maria sostenne quella dei discepoli fino all’incontro con il Signore risorto, e continuò ad accompagnarli anche dopo la sua Ascensione al cielo, nell’attesa del “battesimo nello Spirito Santo” (cfr Ac 1,5). Nella Pentecoste, la Vergine Madre appare nuovamente come Sposa dello Spirito, per una maternità universale nei confronti di tutti coloro che sono generati da Dio per la fede in Cristo. Ecco perché Maria è per tutte le generazioni immagine e modello della Chiesa, che insieme allo Spirito cammina nel tempo invocando il ritorno glorioso di Cristo: “Vieni, Signore Gesù” (cfr Ap 22,17 Ap 22,20).

Cari amici, alla scuola di Maria, impariamo anche noi a riconoscere la presenza dello Spirito Santo nella nostra vita, ad ascoltare le sue ispirazioni e a seguirle docilmente. Egli ci fa crescere secondo la pienezza di Cristo, secondo quei frutti buoni che l’apostolo Paolo elenca nella Lettera ai Galati: “Amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Ga 5,22). Vi auguro di essere ricolmi di questi doni e di camminare sempre con Maria secondo lo Spirito e, mentre vi esprimo la mia lode per la partecipazione a questa celebrazione serale, imparto di cuore a tutti voi e ai vostri cari la Benedizione Apostolica.






ALLA COMUNITÀ DEL SEMINARIO FRANCESE DI ROMA Sala Clementina Sabato, 6 giugno 2009

60609

Signori Cardinali,
Cari fratelli nell'Episcopato,
Signor Rettore,
Cari sacerdoti e seminaristi,

È con gioia che vi accolgo in occasione delle celebrazioni che segnano in questi giorni un momento importante della storia del Pontificio Seminario Francese di Roma. La Congregazione dello Spirito Santo che, dalla sua fondazione, se ne è assunta la tutela, l'affida ora, dopo un secolo e mezzo di fedele servizio, alla Conferenza dei Vescovi di Francia.

Dobbiamo rendere grazie al Signore per l'opera svolta in questa istituzione in cui, dalla sua apertura, circa 5000 seminaristi o giovani sacerdoti sono stati preparati alla loro futura vocazione. Rendendo omaggio al lavoro dei membri della Congregazione del Santo Spirito, Padri e Fratelli, desidero affidare in modo particolare al Signore gli apostolati che la Congregazione fondata dal venerabile Padre Liberman conserva e sviluppa in tutto il mondo - e specialmente in Africa - a partire dal proprio carisma che non ha perduto nulla della sua forza e della sua pertinenza. Possa il Signore benedire la Congregazione e la sua missione!

Il compito di formare sacerdoti è una missione delicata. La formazione proposta nel seminario è esigente, poiché sarà una porzione del popolo di Dio a essere affidata alla sollecitudine pastorale dei futuri sacerdoti, quel popolo che Cristo ha salvato e per il quale ha dato la propria vita. È bene che i seminaristi si ricordino che se la Chiesa si mostra esigente con loro, è perché dovranno prendersi cura di coloro che Cristo ha a così caro prezzo attratto a sé. Le attitudini richieste ai futuri sacerdoti sono numerose: la maturità umana, le qualità spirituali, lo zelo apostolico, il rigore intellettuale... Per conseguire queste virtù, i candidati al sacerdozio non solo devono poter esserne i testimoni fra i loro formatori, ma ancor di più devono poter essere i primi beneficiari di queste qualità vissute e dispensate da quanti hanno il compito di farli crescere. È una legge della nostra umanità e della nostra fede il fatto che, molto spesso, siamo capaci di dare solo ciò che abbiamo ricevuto in precedenza da Dio attraverso le mediazioni ecclesiali e umane che Egli ha istituito. Chi riceve il compito del discernimento e della formazione deve ricordarsi che la speranza che ha per gli altri è in primo luogo un dovere per se stesso.

Questo passaggio di testimone coincide con l'inizio dell'Anno sacerdotale.È una grazia per il nuovo gruppo di sacerdoti formatori riuniti dalla Conferenza dei Vescovi di Francia. Mentre questa riceve la sua missione, le viene data, come a tutta la Chiesa, la possibilità di scrutare più profondamente l'identità del sacerdote, mistero di grazia e di misericordia. Mi compiaccio di citare qui quell'eminente personalità che fu il Cardinale Suhard, dicendo a proposito dei ministri di Cristo: "Eterno paradosso del sacerdote. Egli ha in sé i contrari. Concilia, a prezzo della sua vita, la fedeltà a Dio con la fedeltà all'uomo. Ha l'aria povera e senza forze... Non ha in mano né i mezzi politici, né le risorse finanziarie, né la forza delle armi, di cui altri si servono per conquistare la terra. La sua forza è di essere disarmato e di "potere ogni cosa in Colui che lo fortifica"" (Ecclesia n. 141, p. 21, dicembre 1960). Possano queste parole che evocano così bene la figura del santo Curato d'Ars risuonare come una chiamata vocazionale per molti giovani cristiani di Francia che desiderano una vita utile e feconda per servire l'amore di Dio!

Il Seminario Francese ha la particolarità di essere situato nella città di Pietro; per rispondere al voto di Paolo VI (cfr. Discorso agli ex-alunni del Seminario francese, 11 settembre 1968), auspico che nel corso del loro soggiorno a Roma, i seminaristi possano, in modo privilegiato, familiarizzare con la storia della Chiesa, scoprire l'ampiezza della sua cattolicità e la sua unità vivente attorno al Successore di Pietro, e che sia così impresso per sempre nel loro cuore di pastori l'amore della Chiesa.
Invocando su voi tutti abbondanti grazie del Signore per intercessione della Beata Vergine Maria, di santa Chiara e del beato Pio IX, imparto di cuore a tutti voi, alle vostre famiglie, agli ex-alunni che non sono potuti venire e al personale laico del Seminario, la Benedizione Apostolica.




AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL VENEZUELA IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM» Lunedì, 8 giugno 2009

8069

Signor Cardinale
Cari Fratelli nell'episcopato

1. Vi do il mio cordiale benvenuto, pastori della Chiesa in Venezuela, a questo incontro in occasione della vostra visita ad limina e, come Successore di Pietro, ringrazio il Signore per questa occasione di confermare i miei fratelli nella fede (cfr. Lc
Lc 22,32) e di partecipare con loro alle loro gioie e alle loro preoccupazioni, ai loro progetti e alle loro difficoltà.

Ringrazio anzitutto Mons. Ubaldo Ramón Santana Sequera, Arcivescovo di Maracaibo e Presidente della Conferenza Episcopale Venezuelana, per le sue parole, che manifestano la vostra comunione con il Vescovo di Roma e Capo del Collegio Episcopale, così come le sfide e le speranze del vostro ministero pastorale.

2. Le sfide che dovete affrontare nel vostro compito pastorale sono infatti sempre più abbondanti e difficili, e inoltre negli ultimi tempi si sono incrementate a causa di una grave crisi economica mondiale. Il momento attuale offre tuttavia numerosi e veri motivi di speranza, di quella speranza capace di riempire i cuori di tutti gli uomini, che "può essere solo Dio - il Dio che ci ha amati e ci ama tuttora fino alla fine" (Spe salvi ). Come ha fatto coi discepoli di Emmaus (cfr. Lc Lc 24,13-35), il Signore risuscitato cammina anche al nostro fianco, infondendoci il suo spirito di amore e fortezza, affinché possiamo aprire i nostri cuori a un futuro pieno di speranza e di vita eterna.

3. Avete di fronte a voi, cari Fratelli, un appassionante compito di evangelizzazione e avete iniziato la "Missione per il Venezuela", in linea con la Missione Continentale promossa dalla V Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, in Aparecida. Anche questi sono tempi di grazia per coloro i quali si dedicano totalmente alla causa del Vangelo. Confidate nel Signore. Lui renderà fecondi i vostri impegni e i vostri sacrifici.

Vi incoraggio, dunque, a incrementare le iniziative per far conoscere in tutta la loro integrità e bellezza la figura e il messaggio di Gesù Cristo. Perciò, oltre a una buona formazione dottrinale di tutto il Popolo di Dio, è importante promuovere una profonda vita di fede e preghiera. Nella liturgia e nel dialogo intimo della preghiera personale o comunitaria il Risorto viene incontro a noi, trasformando il nostro cuore con la sua presenza amorosa.

Desidero ricordare anche la necessità della vita spirituale dei Vescovi. Questi, configurati pienamente con Cristo Capo dal sacramento dell'Ordine, sono in certo modo per la Chiesa loro affidata un segno visibile del Signore Gesù (cfr. Lumen gentium LG 21). Perciò, il ministero pastorale deve essere un riflesso coerente di Gesù, Servo di Dio, mostrando a tutti l'importanza fondamentale della fede, così come il bisogno di mettere al primo posto la vocazione alla santità (cfr. Giovanni Paolo II, Esort. Ap. Pastores gregis, 12).

4. Per svolgere una fruttuosa azione pastorale è indispensabile la stretta comunione affettiva ed effettiva tra i Pastori del Popolo di Dio, che devono "essere sempre tra loro uniti e dimostrarsi solleciti di tutte le Chiese" (Christus Dominus CD 6). Quest'unità, che oggi e sempre deve essere promossa ed espressa in maniera visibile, sarà fonte di consolazione e di efficacia apostolica nel ministero che vi è stato affidato.

5. Lo spirito di comunione vi deve portare a prestare speciale attenzione ai vostri sacerdoti. Questi, collaboratori immediati del ministero episcopale, devono essere i primi destinatari della vostra cura pastorale, devono essere trattati con la vicinanza e con fraterna amicizia. Ciò li aiuterà a svolgere con dedizione il ministero ricevuto e anche ad accogliere con spirito filiale, se fosse necessario, gli avvertimenti riguardo aspetti che devono migliorare o correggere. Perciò, vi incoraggio a raddoppiare gli sforzi per stimolare lo zelo pastorale tra i presbiteri, in particolare durante questo prossimo anno sacerdotale che ho voluto indire.

A questo si aggiunge l'interesse che bisogna mostrare riguardo al Seminario Diocesano, per incoraggiare una attenta e competente selezione e formazione di coloro che sono stati chiamati a essere pastori del Popolo di Dio, senza risparmiare mezzi umani e materiali per questo.

6. I fedeli laici, da parte loro, partecipano secondo il loro modo specifico alla missione salvifica della Chiesa (cfr. Lumen gentium LG 33). Come discepoli e missionari di Cristo, sono chiamati a illuminare e ordinare le realtà temporali affinché rispondano al disegno amoroso di Dio (ibid.31). Perciò, c'è bisogno di un laicato maturo, che testimoni fedelmente la sua fede e senta la gioia della sua appartenenza al Corpo di Cristo, al quale è necessario offrire, tra l'altro, un'adeguata conoscenza della dottrina sociale della Chiesa. In questo senso, apprezzo il vostro impegno per irradiare la luce del Vangelo sugli avvenimenti di maggior rilievo che riguardano il vostro Paese, senza cercare nessun altro interesse se non la diffusione dei più autentici valori cristiani, in vista anche di favorire la ricerca del bene comune, la convivenza armonica e la stabilità sociale.

Vi affido in modo particolare i bisognosi. Continuate a promuovere le molteplici iniziative di carità della Chiesa in Venezuela, affinché i nostri fratelli più bisognosi possano sperimentare la presenza tra di loro di Colui che ha dato la sua vita sulla Croce per tutti gli uomini.

7. Vorrei concludere con una parola di speranza e incoraggiamento per il vostro compito; contate sempre sul mio sostegno, sulla mia sollecitudine e sulla mia vicinanza spirituale. Vi chiedo di portare i miei affettuosi saluti a tutti i membri delle vostre Chiese particolari: ai Vescovi emeriti, ai sacerdoti, ai religiosi e ai fedeli laici, in modo speciale agli sposi, ai giovani, agli anziani e alle persone che soffrono. Con questi sentimenti, e invocando la protezione della Vergine Maria, Nostra Signora di Coromoto, tanto amata in tutto il Venezuela, vi imparto di cuore la benedizione apostolica.



ALLA FONDAZIONE "CENTESIMUS ANNUS - PRO PONTIFICE" Sala Clementina Sabato, 13 giugno 2009

13069
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
illustri e cari amici!

Grazie per questa vostra visita, che si colloca nel contesto della vostra annuale riunione. Vi saluto tutti con affetto e vi sono grato per quanto voi fate, con provata generosità, al servizio della Chiesa. Saluto e ringrazio il Conte Lorenzo Rossi di Montelera, vostro Presidente, che ha interpretato con fine sensibilità i vostri sentimenti, esponendo a grandi linee l’attività della Fondazione. Ringrazio anche coloro che, in lingue diverse, hanno voluto presentarmi l’attestato della comune devozione. L’odierno nostro incontro assume un significato e un valore particolare alla luce della situazione che vive in questo momento l’intera umanità.

In effetti, la crisi finanziaria ed economica che ha colpito i Paesi industrializzati, quelli emergenti e quelli in via di sviluppo, mostra in modo evidente come siano da ripensare certi paradigmi economico-finanziari che sono stati dominanti negli ultimi anni. Bene ha fatto, quindi, la vostra Fondazione ad affrontare, nel Convegno internazionale svoltosi ieri, il tema della ricerca e della individuazione di quali siano i valori e le regole a cui il mondo economico dovrebbe attenersi per porre in essere un nuovo modello di sviluppo più attento alle esigenze della solidarietà e più rispettoso della dignità umana.

Sono lieto di apprendere che avete esaminato, in particolare, le interdipendenze tra istituzioni, società e mercato partendo, in accordo con l’Enciclica Centesimus annus del mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II, dalla riflessione secondo la quale l’economia di mercato, intesa quale “sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell'impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell'economia” (n. 42), può essere riconosciuta come via di progresso economico e civile solo se orientata al bene comune (cfr n. 43). Tale visione però deve anche accompagnarsi all’altra riflessione secondo la quale la libertà nel settore dell’economia deve inquadrarsi “in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale”, una libertà responsabile “il cui centro è etico e religioso” (n. 42). Opportunamente l’Enciclica menzionata afferma: “Come la persona realizza pienamente se stessa nel libero dono di sé, così la proprietà si giustifica moralmente nel creare, nei modi e nei tempi dovuti, occasioni di lavoro e crescita umana per tutti” (n. 43).

Auspico che le indagini sviluppate nei vostri lavori, ispirandosi agli eterni principi del Vangelo, elaborino una visione dell'economia moderna rispettosa dei bisogni e dei diritti dei deboli. Come sapete, verrà prossimamente pubblicata la mia Enciclica dedicata proprio al vasto tema dell’economia e del lavoro: in essa verranno posti in evidenza quelli che per noi cristiani sono gli obbiettivi da perseguire e i valori da promuovere e difendere instancabilmente, al fine di realizzare una convivenza umana veramente libera e solidale. Prendo altresì atto con compiacimento di quanto state operando a favore del PISAI (Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica), alle cui finalità, da voi condivise, attribuisco grande valore per un dialogo interreligioso sempre più fecondo.

Cari amici, grazie ancora una volta per la vostra visita; assicuro per ciascuno di voi un ricordo nella preghiera, mentre di cuore tutti vi benedico.






A SUA BEATITUDINE IGNACE YOUSSIF III YOUNAN, PATRIARCA DI ANTIOCHIA DEI SIRI Venerdì, 19 giugno 2009

19069

Beatitudine,

la visita che compie a Roma per venerare le tombe degli Apostoli e incontrare il Successore di Pietro è per me motivo di grande gioia. Oggi rinnovo con affetto sincero e fraterno il saluto e il bacio di pace in Cristo che all'inizio dell'anno ho scambiato con lei, all'indomani della sua elezione a Patriarca di Antiochia dei Siri. La ringrazio per le cordiali parole che mi ha rivolto a nome della sua Chiesa Patriarcale. Desidero altresì esprimere la mia riconoscenza alle loro Beatitudini il Cardinale Ignace Moussa Daoud, Prefetto emerito della Congregazione per le Chiese Orientali, e Ignace Pierre Abdel Ahad, Patriarchi emeriti della sua Chiesa, e anche a tutti i membri del Sinodo episcopale. I miei ringraziamenti divengono preghiera, in particolare per lei, Beatitudine, nuovo Patriarca, mentre accompagno con solidarietà fraterna i primi passi del suo servizio ecclesiale.

Beatitudine, la Provvidenza divina ci ha costituiti ministri di Cristo e Pastori del suo unico gregge. Manteniamo dunque lo sguardo del cuore fisso su di Lui, sommo Pastore e Vescovo delle nostre anime, sicuri che, dopo avere messo sulle nostre spalle il munus episcopale, non ci abbandonerà mai. È Cristo stesso, nostro Signore, che ha stabilito l'Apostolo Pietro come la "roccia" sulla quale poggia l'edificio spirituale della Chiesa, chiedendo ai suoi discepoli di procedere in piena unità con lui, sotto la sua guida sicura e sotto quella dei suoi Successori. Nel corso della vostra storia più che millenaria, la comunione con il Vescovo di Roma è sempre andata di pari passo con la fedeltà alla tradizione spirituale dell'Oriente cristiano, e tutte e due formano gli aspetti complementari di quell'unico patrimonio di fede che la sua venerabile Chiesa professa. Insieme, professiamo questa stessa fede cattolica, unendo la nostra voce a quella degli Apostoli, dei martiri e dei santi che ci hanno preceduti, elevando a Dio Padre, in Cristo e nello Spirito Santo, l'inno di lode e di azione di rendimento di grazie per l'immensa ricchezza di questo dono che è affidato alle nostre fragili mani.

Cari Fratelli della Chiesa siro-cattolica, ho pensato in particolare a voi durante la solenne Celebrazione eucaristica della festa del Corpus Domini.Nell'omelia, che ho pronunciato sul sagrato della Basilica di San Giovanni in Laterano, ho citato il grande Dottore sant'Efrem il Siro, che afferma: "Durante la cena Gesù immolò se stesso: sulla croce Egli fu immolato dagli altri". Questa interessante annotazione mi permette di sottolineare l'origine eucaristica della ecclesiastica communio che le ho concesso, Beatitudine, al momento dell'elezione sinodale. In modo molto opportuno, lei ha voluto mostrare, con un segno pubblico, questo vincolo molto stretto che la unisce al Vescovo di Roma e alla Chiesa universale, nel corso dell'Eucaristia che ha celebrato ieri, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, alla quale ha partecipato il mio rappresentante con mandato speciale, il Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, il signor Cardinale Leonardo Sandri. In effetti, è l'Eucaristia che fonda le nostre diverse tradizioni nell'unità dell'unico Spirito, facendo di esse una ricchezza per l'intero popolo di Dio. Che la celebrazione dell'Eucaristia, fonte e culmine della vita ecclesiale, vi mantenga ancorati all'antica tradizione siriaca, che rivendica di possedere la lingua stessa del Signore Gesù e, allo stesso tempo, schiuda dinanzi a voi l'orizzonte dell'universalità ecclesiale! Che vi renda sempre attenti a quello che lo Spirito suggerisce alle Chiese; che apra gli occhi del vostro cuore affinché possiate scrutare i segni dei tempi alla luce del Vangelo e sappiate accogliere le attese e le speranze dell'umanità, rispondendo generosamente ai bisogni di quanti vivono in gravi condizioni di povertà. L'Eucaristia è il Pane della Vita che nutre le vostre comunità e le fa crescere tutte nell'unità e nella carità. Sappiate dunque attingere dall'Eucaristia, Sacramento dell'unità e della comunione, la forza per superare le difficoltà che la vostra Chiesa ha conosciuto in questi ultimi anni, al fine di ritrovare il cammino del perdono, della riconciliazione e della comunione.

Cari Fratelli, ancora grazie per la vostra visita che mi permette di esprimervi la mia profonda sollecitudine nei confronti delle vostre problematiche ecclesiali. Seguo con soddisfazione la piena ripresa del funzionamento del vostro Sinodo e incoraggio gli sforzi volti a favorire l'unità, la comprensione e il perdono, che dovrete sempre considerare come doveri prioritari per l'edificazione della Chiesa di Dio. Inoltre, prego costantemente per la pace in Medio Oriente, in particolare per i cristiani che vivono nell'amata nazione irachena, dei quali presento ogni giorno al Signore le sofferenze nel corso del Sacrificio eucaristico.

Desidero infine condividere con voi un'altra delle mie preoccupazioni principali: quella della vita spirituale dei sacerdoti. Proprio oggi, nella Solennità del Sacro Cuore di Gesù, giornata di santificazione sacerdotale, avrò l'immensa gioia di aprire l'Anno Sacerdotale, in ricordo del 150º anniversario della morte del santo Curato d'Ars. Credo che questo anno giubilare speciale, che inizia quando termina l'Anno Paolino, sarà un'opportunità feconda, offerta a tutta la Chiesa. Sul Calvario, Maria era con l'Apostolo Giovanni ai piedi della Croce. Oggi, anche noi ci rechiamo spiritualmente ai piedi della Croce, con tutti i vostri sacerdoti, per volgere il nostro sguardo verso Colui che è stato trafitto e dal quale riceviamo la pienezza di ogni grazia. Che Maria, Regina degli Apostoli e Madre della Chiesa, vegli su di lei, Beatitudine, sul Sinodo e su tutta la Chiesa siro-cattolica! Quanto a me, l'assicuro di accompagnarla con la mia preghiera e le imparto la Benedizione Apostolica, che estendo a tutti i fedeli della sua venerabile Chiesa, che si trovano nelle diverse nazioni del mondo.






AI MEMBRI DEL CONSIGLIO DELLA FONDAZIONE ALCIDE DE GASPERI Sala dei Papi Sabato, 20 giugno 2009

20069
Cari amici del Consiglio della Fondazione Alcide De Gasperi!

Mi è molto gradita la vostra visita, e con affetto tutti vi saluto. In particolare, saluto la Signora Maria Romana, figlia di Alcide De Gasperi, e l’On. Giulio Andreotti, che a lungo è stato suo stretto collaboratore. Colgo volentieri l’opportunità, che mi offre la vostra presenza, per rievocare la figura di questa grande personalità, che, in momenti storici di profondi cambiamenti sociali in Italia e in Europa, irti di non poche difficoltà, seppe prodigarsi efficacemente per il bene comune. Formato alla scuola del Vangelo, De Gasperi fu capace di tradurre in atti concreti e coerenti la fede che professava. Spiritualità e politica furono in effetti due dimensioni che convissero nella sua persona e ne caratterizzarono l’impegno sociale e spirituale. Con prudente lungimiranza guidò la ricostruzione dell’Italia uscita dal fascismo e dalla seconda guerra mondiale, e ne tracciò con coraggio il cammino verso il futuro; ne difese la libertà e la democrazia; ne rilanciò l’immagine in ambito internazionale; ne promosse la ripresa economica aprendosi alla collaborazione di tutte le persone di buona volontà.

Spiritualità e politica si integrarono così bene in lui che, se si vuole comprendere sino in fondo questo stimato uomo di governo, occorre non limitarsi a registrare i risultati politici da lui conseguiti, ma bisogna tener conto anche della sua fine sensibilità religiosa e della fede salda che costantemente ne animò il pensiero e l’azione. Nel 1981, a cento anni dalla nascita, il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II gli rese omaggio, affermando che “in lui la fede fu centro ispiratore, forza coesiva, criterio di valori, ragione di scelta” (Insegnamenti, IV, 1981, p. 861). Le radici di tale solida testimonianza evangelica vanno ricercate nella formazione umana e spirituale ricevuta nella sua regione, il Trentino, in una famiglia dove l’amore per Cristo costituiva pane quotidiano e riferimento di ogni scelta. Egli aveva poco più di vent’anni quando nel 1902, prendendo parte al primo Congresso Cattolico trentino, tracciò le linee di azione apostolica che costituiranno il programma dell’intera sua esistenza: “Non basta conservare il cristianesimo in se stessi – egli disse – , conviene combattere con tutto il grosso dell’esercito cattolico per riconquistare alla fede i campi perduti” (cfr A. De Gasperi, I cattolici trentini sotto l’Austria, Ed. di storia e letteratura, Roma 1964, p. 24). A quest’orientamento resterà fedele sino alla morte, anche a costo di sacrifici personali, affascinato dalla figura di Cristo. “Non sono bigotto – scriveva alla sua futura sposa Francesca – e forse nemmeno religioso come dovrei essere; ma la personalità del Cristo vivente mi trascina; mi soggioga, mi solleva come un fanciullo. Vieni, io ti voglio con me e che mi segua nella stessa attrazione, come verso un abisso di luce” (A. De Gasperi, Cara Francesca, Lettere, a cura di M.R. De Gasperi, Morcelliana, Brescia 1999, PP 40-41).

Non si resta allora sorpresi quando si apprende che nella sua giornata, oberata di impegni istituzionali, conservarono sempre largo spazio la preghiera e il rapporto con Dio, iniziando ogni giorno, quando gli era possibile, con il partecipare alla Santa Messa. Anzi i momenti più caotici e movimentati segnarono il vertice della sua spiritualità. Quando, ad esempio, conobbe l’esperienza del carcere, volle con sé come primo libro la Bibbia ed in seguito conservò l’abitudine di annotare i riferimenti biblici su foglietti per alimentare costantemente il suo spirito. Verso la fine della sua attività governativa, dopo un duro confronto parlamentare, ad un collega del governo che gli chiedeva quale fosse il segreto della sua azione politica rispose: “Che vuoi, è il Signore!”.

Cari amici, mi piacerebbe soffermarmi ancor più su questo personaggio che ha onorato la Chiesa e l’Italia, ma mi limito a evidenziarne la riconosciuta dirittura morale, basata su un’indiscussa fedeltà ai valori umani e cristiani, come pure la serena coscienza morale che lo guidò nelle scelte della politica. “Nel sistema democratico - afferma in uno dei suoi interventi - viene conferito un mandato politico amministrativo con una responsabilità specifica…, ma parallelamente vi è una responsabilità morale dinanzi alla propria coscienza, e la coscienza per decidere deve essere sempre illuminata dalla dottrina e dall’insegnamento della Chiesa” (cfr A. De Gasperi, Discorsi politici 1923–1954, Cinque Lune, Roma 1990, p. 243). Certo, in qualche momento non mancarono difficoltà e, forse, anche incomprensioni da parte del mondo ecclesiastico, ma De Gasperi non conobbe tentennamenti nella sua adesione alla Chiesa che fu - come ebbe a testimoniare in un discorso a Napoli nel giugno del 1954 - “piena e sincera… anche nelle direttive morali e sociali contenute nei documenti pontifici che quasi quotidianamente hanno alimentato e formano la nostra vocazione alla vita pubblica”.

In quella stessa occasione notava che “per operare nel campo sociale e politico non basta la fede né la virtù; conviene creare ed alimentare uno strumento adatto ai tempi… che abbia un programma, un metodo proprio, una responsabilità autonoma, una fattura e una gestione democratica”. Docile ed obbediente alla Chiesa, fu dunque autonomo e responsabile nelle sue scelte politiche, senza servirsi della Chiesa per fini politici e senza mai scendere a compromessi con la sua retta coscienza. Al tramonto dei suoi giorni potrà dire: “Ho fatto tutto ciò che era in mio potere, la mia coscienza è in pace”, spegnendosi, confortato dal sostegno dei familiari, il 19 agosto del 1954, dopo aver mormorato per tre volte il nome di Gesù. Cari amici, mentre preghiamo per l’anima di questo statista di fama internazionale, che con la sua azione politica ha reso servizio alla Chiesa, all’Italia e all’Europa, domandiamo al Signore che il ricordo della sua esperienza di governo e della sua testimonianza cristiana siano incoraggiamento e stimolo per coloro che oggi reggono le sorti dell’Italia e degli altri popoli, specialmente per quanti si ispirano al Vangelo. Con questo auspicio, vi ringrazio ancora per la vostra visita e con affetto tutti vi benedico.







VISITA PASTORALE A SAN GIOVANNI ROTONDO



INCONTRO CON GLI AMMALATI, IL PERSONALE MEDICO E I DIRIGENTI DELL'OSPEDALE Domenica, 21 giugno 2009

21069

Ingresso monumentale della Casa Sollievo della Sofferenza

Cari fratelli e sorelle,
cari ammalati,

in questa mia visita a San Giovanni Rotondo, non poteva mancare una sosta nella Casa Sollievo della Sofferenza, ideata e voluta da san Pio da Pietrelcina quale "luogo di preghiera e di scienza dove il genere umano si ritrovi in Cristo Crocifisso come un solo gregge con un solo pastore". Proprio per questo volle affidarla al sostegno materiale e soprattutto spirituale dei Gruppi di Preghiera, che qui hanno il centro della loro missione al servizio della Chiesa. Padre Pio voleva che in questa attrezzata struttura sanitaria si potesse toccare con mano che l'impegno della scienza nel curare il malato non deve mai disgiungersi da una filiale fiducia verso Dio, infinitamente tenero e misericordioso. Inaugurandola, il 5 maggio del 1956, la definì "creatura della Provvidenza" e parlava di questa istituzione come di "un seme deposto da Dio sulla terra, che Egli riscalderà con i raggi del suo amore".

Eccomi, dunque, tra voi per ringraziare Iddio per il bene che, da più di cinquant'anni, fedeli alle direttive di un umile Frate Cappuccino, voi fate in questa "Casa Sollievo della Sofferenza", con riconosciuti risultati sul piano scientifico e medico. Non mi è purtroppo possibile, come pur desidererei, visitarne ogni padiglione e salutare uno ad uno i degenti insieme a coloro che di essi si prendono cura. Mi preme però far giungere a ciascuno - malati, medici, familiari, operatori sanitari e pastorali - una parola di paterno conforto e di incoraggiamento a proseguire insieme quest'opera evangelica a sollievo della vita sofferente, valorizzando ogni risorsa per il bene umano e spirituale degli ammalati e dei loro familiari.

Con questi sentimenti, saluto cordialmente voi tutti, a cominciare da voi, fratelli e sorelle che siete provati dalla malattia. Saluto poi i medici, gli infermieri e il personale sanitario ed amministrativo. Saluto voi, venerati Padri Cappuccini, che, come Cappellani, proseguite l'apostolato del vostro santo Confratello. Saluto i Presuli e, in primo luogo, l'Arcivescovo Domenico Umberto D'Ambrosio, già Pastore di questa Diocesi e ora chiamato a guidare la comunità arcidiocesana di Lecce; gli sono grato per le parole che mi ha voluto indirizzare a vostro nome. Saluto poi, il Direttore Generale dell'Ospedale, il Dottor Domenico Crupi, e il rappresentante degli ammalati, e sono riconoscente per le gentili e cordiali espressioni che essi mi hanno poc'anzi rivolto, permettendomi di meglio conoscere quanto qui viene compiuto e lo spirito con cui voi lo realizzate.
Ogni volta che si entra in un luogo di cura, il pensiero va naturalmente al mistero della malattia e del dolore, alla speranza della guarigione e al valore inestimabile della salute, di cui ci si rende conto spesso soltanto allorché essa viene a mancare. Negli ospedali si tocca con mano la preziosità della nostra esistenza, ma anche la sua fragilità. Seguendo l'esempio di Gesù, che percorreva tutta la Galilea, "curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo" (
Mt 4,23), la Chiesa, fin dalle sue origini, mossa dallo Spirito Santo, ha considerato un proprio dovere e privilegio stare accanto a chi soffre, coltivando un'attenzione preferenziale per i malati.

La malattia, che si manifesta in tante forme e colpisce in modi diversi, suscita inquietanti domande: Perché soffriamo? Può ritenersi positiva l'esperienza del dolore? Chi ci può liberare dalla sofferenza e dalla morte? Interrogativi esistenziali, che restano umanamente il più delle volte senza risposta, dato che il soffrire costituisce un enigma imperscrutabile alla ragione. La sofferenza fa parte del mistero stesso della persona umana. È quanto ho sottolineato nell'Enciclica Spe salvi, notando che "essa deriva, da una parte, dalla nostra finitezza, dall'altra, dalla massa di colpa che, nel corso della storia si è accumulata e anche nel presente cresce in modo inarrestabile". Ed ho aggiunto che "certamente bisogna fare tutto il possibile per diminuire la sofferenza... ma eliminarla completamente dal mondo non sta nelle nostre possibilità semplicemente perché... nessuno di noi è in grado di eliminare il potere del male... continuamente fonte di sofferenza" (cfr. n. 36).

Chi può eliminare il potere del male è solo Dio. Proprio per il fatto che Gesù Cristo è venuto nel mondo per rivelarci il disegno divino della nostra salvezza, la fede ci aiuta a penetrare il senso di tutto l'umano e quindi anche del soffrire. Esiste, quindi, un'intima relazione fra la Croce di Gesù - simbolo del supremo dolore e prezzo della nostra vera libertà - e il nostro dolore, che si trasforma e si sublima quando è vissuto nella consapevolezza della vicinanza e della solidarietà di Dio. Padre Pio aveva intuito tale profonda verità e, nel primo anniversario dell'inaugurazione di quest'Opera, ebbe a dire che in essa "il sofferente deve vivere l'amore di Dio per mezzo della saggia accettazione dei suoi dolori, della serena meditazione del suo destino a Lui" (Discorso del 5 maggio 1957). Annotava ancora che nella Casa Sollievo "ricoverati, medici, sacerdoti saranno riserve di amore, che tanto più sarà abbondante in uno, tanto più si comunicherà agli altri" (ibid.).

Essere "riserve di amore": Ecco, cari fratelli e sorelle, la missione che questa sera il nostro Santo richiama a voi, che a vario titolo formate la grande famiglia di questa Casa Sollievo della Sofferenza. Il Signore vi aiuti a realizzare il progetto avviato da Padre Pio con l'apporto di tutti: dei medici e dei ricercatori scientifici, degli operatori sanitari e dei collaboratori dei vari uffici, dei volontari e dei benefattori, dei Frati Cappuccini e degli altri Sacerdoti. Senza dimenticare i gruppi di preghiera che, "affiancati alla Casa del Sollievo, sono le posizioni avanzate di questa Cittadella della carità, vivai di fede, focolai d'amore" (Padre Pio, Discorso del 5 maggio 1966). Su tutti e ciascuno invoco l'intercessione di Padre Pio e la materna protezione di Maria, Salute dei malati. Grazie ancora per la vostra accoglienza e, mentre assicuro la mia preghiera per ciascuno di voi, di cuore tutti vi benedico.






Discorsi 2005-13 30159