Discorsi 2005-13 20809

CONCERTO IN ONORE DEL SANTO PADRE OFFERTO DALLA "BAYERISCHES KAMMERORCHESTER BAD BRÜCKENAU" Cortile interno del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo Domenica, 2 agosto 2009

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Egregio decano Kemmer,
egregi musicisti,
cari amici,

oggi per la prima volta dopo un così bel concerto non ho potuto applaudire con vigore. Sono dunque ancor più lieto di poter esprimere al signor Albrecht Mayer e ai musicisti della Bayerisches Kammerorchester Bad Brückenau il ringraziamento e l'ammirazione di tutti i presenti. Parimenti ringrazio il decano Kilian Kemmer per le sue parole di saluto e tutti coloro che hanno organizzato e reso possibile questo concerto a Castel Gandolfo.

Per noi, naturalmente, il grande fascino di questa sera è stato il suono dell'oboe che Lei, caro signor Mayer, ci ha magistralmente offerto.

È stato commovente osservare come da un pezzo di legno, da questo strumento, fluisca un intero universo di musica: l'insondabile e il gioioso, il serio e il faceto, il grandioso e l'umile, il dialogo interiore delle melodie.

Ho pensato quant'è magnifico che in un piccolo pezzo creativo si nasconda una tale promessa, che il maestro può liberare. E ciò significa che tutta la creazione è colma di promesse e che l'uomo riceve il dono di sfogliare questo libro di promesse almeno per un po'. Penso che questa sera ci inviti non solo a serbare le forze naturali che ci aiutano a far emergere le energie fisiche, che sono una promessa della creazione, ma anche a serbare le promesse più profonde, più grandi che questa musica ci ha indicato, nella vigilanza del cuore, che ci permette di comprendere anche questo pezzo di creazione.

Il programma di sala, con la descrizione del concerto, ci ha introdotto un po' nelle opere dei compositori. Penso che sia per noi tutti commovente che tali maestri si siano comportati come il buon padre di famiglia del Vangelo, di cui parla il Signore. Non traggono solo il vecchio e il nuovo dalle loro ricchezze. Sotto la spinta dei loro compiti, possono non solo creare sempre cose nuove, ma anche riprendere in considerazione il vecchio e quindi diventano visibili nuove potenzialità, che erano presenti nell'opera precedente. Questo concerto con gli assoli dell'oboe ha assolto il compito di esprimere nuove potenzialità, in cui la musica prosegue, rimane viva e rinasce in ogni esecuzione, come anche ora.

Mi viene in mente che oggi nella Chiesa ricorre il giorno della Porziuncola, che ci ricorda la miracolosa visione di san Francesco. Nella piccola chiesa della Porziuncola ad Assisi, egli vede il Signore, sua Madre e gli Angeli intorno. Il Signore gli concede di esprimere un desiderio e san Francesco chiede di poter portare a casa il perdono. La richiesta viene accettata, egli torna a casa e dice gioioso ai fratelli: amici, il Signore vuole averci tutti in Paradiso! Oggi penso che dovremmo trascorrere questo momento come un'ora di paradiso, osservare e ascoltare il paradiso e la bellezza incorrotta e il bene della creazione. Non è una fuga dalla miseria di questo mondo e della quotidianità, perché possiamo continuare a contrastare il male e le tenebre solo se noi stessi crediamo nel bene e possiamo credere nel bene soltanto se lo sperimentiamo e lo viviamo come realtà. In quest'ora abbiamo sfiorato il bene e il bello con il nostro cuore.

Cari amici,
ho parlato in lingua tedesca, perché i musicisti e la gran parte dei partecipanti sono tedeschi. Purtroppo dopo gli avvenimenti della torre di Babele le lingue ci separano, creano barriere. Ma in questa ora abbiamo visto e sentito che c'è una parte indistrutta del mondo, anche dopo la torre e la superbia di Babele, ed è la musica: la lingua che noi possiamo tutti capire, perché tocca il cuore di noi tutti. Questo per noi non è solo una garanzia che la bontà e la bellezza della creazione di Dio non sono distrutte, ma che noi siamo chiamati e capaci di lavorare per il bene e per il bello, e sono anche una promessa che il mondo futuro verrà, che Dio vince, che la bellezza e la bontà vincono.

Per questa consolazione, per questo conforto nel nostro lavoro quotidiano, siamo grati a voi musicisti. Grazie a voi tutti, buona sera e buona settimana.





PROIEZIONE DEL FILM «SANT'AGOSTINO» - Sala degli Svizzeri del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo Mercoledì, 2 settembre 2009

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Cari amici,

alla fine di questo grande viaggio spirituale, che si è realizzato nel film che abbiamo visto, sento il dovere di dire grazie a tutti coloro che ci hanno offerto questa visione. Grazie alla Televisione Bavarese per l'impegno profuso — ed è una grande gioia che un'osservazione piuttosto casuale fatta tre anni fa, sia stata l'inizio di un cammino che ha portato a questa grandiosa rappresentazione della vita di sant'Agostino. Grazie a Lux Vide e grazie alla Rai per questa realizzazione.

In realtà, mi sembra che il film sia un viaggio spirituale in un continente spirituale molto distante da noi e tuttavia molto vicino a noi, perché il dramma umano è sempre lo stesso. Abbiamo visto come, in un contesto per noi molto lontano, si rappresenta tutta la realtà della vita umana, con tutti i problemi, le tristezze, gli insuccessi, come pure il fatto che, alla fine, la Verità è più forte di qualunque ostacolo e trova l'uomo. Questa è la grande speranza che rimane alla fine: noi non possiamo trovare da soli la Verità, ma la Verità, che è Persona, ci trova. Esternamente la vita di sant'Agostino sembra finire in modo tragico: il mondo per il quale e nel quale è vissuto finisce, viene distrutto. Ma come è stato qui affermato, il suo messaggio è rimasto e, anche nei cambiamenti del mondo, esso perdura, perché viene dalla Verità e guida alla Carità, che è la nostra comune destinazione.

Grazie a tutti. Speriamo che molti, vedendo questo dramma umano, possano essere trovati dalla Verità e trovare la Carità.




VISITA PASTORALE A VITERBO E BAGNOREGIO - INCONTRO CON LA CITTADINANZA Piazza Sant’Agostino - Bagnoregio Domenica, 6 settembre 2009

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Cari fratelli e sorelle!

La solenne celebrazione eucaristica di questa mattina a Viterbo ha aperto la mia visita pastorale alla vostra Comunità diocesana, e questo nostro incontro qui a Bagnoregio, praticamente la chiude. Vi saluto tutti con affetto: Autorità religiose, civili e militari, sacerdoti, religiosi e religiose, operatori pastorali, giovani e famiglie, e vi ringrazio per la cordialità con cui mi avete accolto. Rinnovo il mio ringraziamento in primo luogo al vostro Vescovo per le sue affettuose parole che hanno richiamato il mio legame con san Bonaventura. E saluto con deferenza il Sindaco di Bagnoregio, grato per il cortese benvenuto che mi ha indirizzato a nome di tutta la Città.

Giovanni Fidanza, che divenne poi fra’ Bonaventura, unisce il suo nome a quello di Bagnoregio nella nota presentazione che di se stesso fa nella Divina Commedia. Dicendo: “Io son la vita di Bonaventura da Bagnoregio, che nei grandi offici sempre posposi la sinistra cura” (Dante, Paradiso XII,127-129), sottolinea come negli importanti compiti che ebbe a svolgere nella Chiesa, pospose sempre la cura delle realtà temporali (“la sinistra cura”) al bene spirituale delle anime. Qui, a Bagnoregio, egli trascorse la sua infanzia e l’adolescenza; seguì poi san Francesco, verso il quale nutriva speciale gratitudine perché, come ebbe a scrivere, quando era bambino lo aveva “strappato dalle fauci della morte” (Legenda Maior, Prologus, 3,3) e gli aveva predetto “Buona ventura”, come ha ricordato poc’anzi il vostro Sindaco. Con il Poverello di Assisi seppe stabilire un legame profondo e duraturo, traendo da lui ispirazione ascetica e genio ecclesiale. Di questo vostro illustre concittadino voi custodite gelosamente l’insigne reliquia del “Santo Braccio”, mantenete viva la memoria e approfondite la dottrina, specialmente mediante il Centro di Studi Bonaventuriani fondato da Bonaventura Tecchi, che con cadenza annuale promuove qualificati convegni di studio a lui dedicati.

Non è facile sintetizzare l’ampia dottrina filosofica, teologica e mistica lasciataci da san Bonaventura. In questo Anno Sacerdotale vorrei invitare specialmente i sacerdoti a mettersi alla scuola di questo grande Dottore della Chiesa per approfondirne l’insegnamento di sapienza radicata in Cristo. Alla sapienza, che fiorisce in santità, egli orienta ogni passo della sua speculazione e tensione mistica, passando per i gradi che vanno da quella che chiama “sapienza uniforme” concernente i principi fondamentali della conoscenza, alla “sapienza multiforme”, che consiste nel misterioso linguaggio della Bibbia, e poi alla “sapienza onniforme”, che riconosce in ogni realtà creata il riflesso del Creatore, sino alla “sapienza informe”, l’esperienza cioè dell’intimo contatto mistico con Dio, allorché l’intelletto dell’uomo sfiora in silenzio il Mistero infinito (cfr J. Ratzinger, San Bonaventura e la teologia della storia, Ed. Porziuncola, 2006, pp. 92ss). Nel ricordo di questo profondo ricercatore ed amante della sapienza, vorrei inoltre esprimere incoraggiamento e stima per il servizio che, nella Comunità ecclesiale, i teologi sono chiamati a rendere a quella fede che cerca l’intelletto, quella fede che è “amica dell’intelligenza” e che diventa vita nuova secondo il progetto di Dio.

Dal ricco patrimonio dottrinale e mistico di san Bonaventura mi limito questa sera a trarre qualche “pista” di riflessione, che potrebbe risultare utile per il cammino pastorale della vostra Comunità diocesana. Egli fu, in primo luogo, un instancabile cercatore di Dio sin da quando frequentava gli studi a Parigi, e continuò ad esserlo sino alla morte. Nei suoi scritti indica l’itinerario da percorrere. “Poiché Dio è in alto – egli scrive - è necessario che la mente si innalzi a Lui con tutte le forze” (De reductione artium ad theologiam, n. 25). Traccia così un percorso di fede impegnativo, nel quale non basta “la lettura senza l’unzione, la speculazione senza la devozione, la ricerca senza l’ammirazione, la considerazione senza l’esultanza, l’industria senza la pietà, la scienza senza la carità, l’intelligenza senza l’umiltà, lo studio senza la grazia divina, lo specchio senza la sapienza divinamente ispirata” (Itinerarium mentis in Deum, prol. 4). Questo cammino di purificazione coinvolge tutta la persona per arrivare, attraverso Cristo, all’amore trasformante della Trinità. E dato che Cristo, da sempre Dio e per sempre uomo, opera nei fedeli una creazione nuova con la sua grazia, l’esplorazione della presenza divina diventa contemplazione di Lui nell’anima “dove Egli abita con i doni del suo incontenibile amore” (ibid. IV,4), per essere alla fine trasportati in Lui. La fede è pertanto perfezionamento delle nostre capacità conoscitive e partecipazione alla conoscenza che Dio ha di se stesso e del mondo; la speranza l’avvertiamo come preparazione all’incontro con il Signore, che segnerà il pieno compimento di quell’amicizia che fin d’ora ci lega a Lui. E la carità ci introduce nella vita divina, facendoci considerare fratelli tutti gli uomini, secondo la volontà del comune Padre celeste.

Oltre che cercatore di Dio, san Bonaventura fu serafico cantore del creato, che, alla sequela di san Francesco, apprese a “lodare Dio in tutte e per mezzo di tutte le creature”, nelle quali “risplendono l’onnipotenza, la sapienza e la bontà del Creatore” (ibid. I,10). San Bonaventura presenta del mondo, dono d’amore di Dio agli uomini, una visione positiva: riconosce nel mondo il riflesso della somma Bontà e Bellezza che, sulla scia di sant’Agostino e san Francesco, afferma essere Dio stesso. Tutto ci è stato dato da Dio. Da Lui, come da fonte originaria, scaturisce il vero, il bene e il bello. Verso Dio, come attraverso i gradini di una scala, si sale sino a raggiungere e quasi afferrare il Sommo Bene e in Lui trovare la nostra felicità e la nostra pace. Quanto sarebbe utile che anche oggi si riscoprisse la bellezza e il valore del creato alla luce della bontà e della bellezza divine! In Cristo, l’universo stesso, nota san Bonaventura, può tornare ad essere voce che parla di Dio e ci spinge ad esplorarne la presenza; ci esorta ad onorarlo e glorificarlo in tutte le cose (cfr ibid. I,15). Si avverte qui l’animo di san Francesco, di cui il nostro Santo condivise l’amore per tutte le creature.

San Bonaventura fu messaggero di speranza. Una bella immagine della speranza la troviamo in una delle sue prediche di Avvento, dove paragona il movimento della speranza al volo dell’uccello, che dispiega le ali nel modo più ampio possibile, e per muoverle impiega tutte le sue forze. Rende, in un certo senso, tutto se stesso movimento per andare in alto e volare. Sperare è volare, dice san Bonaventura. Ma la speranza esige che tutte le nostre membra si facciano movimento e si proiettino verso la vera altezza del nostro essere, verso le promesse di Dio. Chi spera - egli afferma - “deve alzare il capo, rivolgendo verso l’alto i suoi pensieri, verso l’altezza della nostra esistenza, cioè verso Dio” (Sermo XVI, Dominica I Adv., Opera omnia, IX, 40a).

Il Signor Sindaco nel suo discorso ha posto la domanda: “Che cosa sarà Bagnoregio domani?”. In verità tutti ci interroghiamo circa l’avvenire nostro e del mondo e quest’interrogativo ha molto a vedere con la speranza, di cui ogni cuore umano ha sete. Nell’Enciclica Spe salvi ho notato che non basta però una qualsiasi speranza per affrontare e superare le difficoltà del presente; è indispensabile una “speranza affidabile”, che, dandoci la certezza di giungere ad una meta “grande”, giustifichi “la fatica del cammino” (cfr n. 1). Solo questa “grande speranza-certezza” ci assicura che nonostante i fallimenti della vita personale e le contraddizioni della storia nel suo insieme, ci custodisce sempre il “potere indistruttibile dell’Amore”. Quando allora a sorreggerci è tale speranza non rischiamo mai di perdere il coraggio di contribuire, come hanno fatto i santi, alla salvezza dell’umanità, aprendo noi stessi e il mondo all’ingresso di Dio: della verità, dell’amore, della luce (cfr n. 35). Ci aiuti san Bonaventura a “dispiegare le ali” della speranza che ci spinge ad essere, come lui, incessanti cercatori di Dio, cantori delle bellezze del creato e testimoni di quell’Amore e di quella Bellezza che “tutto muove”.

Grazie, cari amici, ancora una volta per la vostra accoglienza. Mentre vi assicuro un ricordo nella preghiera imparto, per intercessione di san Bonaventura e specialmente di Maria, Vergine fedele e Stella della speranza, una speciale Benedizione Apostolica, che volentieri estendo a tutti gli abitanti di questa Terra bella e ricca di santi.

Grazie per la vostra attenzione!



AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL BRASILE (OVEST 1-2) IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM» Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo Lunedì, 7 settembre 2009

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Cari Fratelli nell'Episcopato,

Con sentimenti d'intima gioia e di amicizia, accolgo e saluto tutti e ognuno di voi, amati Pastori dei Regionais Oeste 1 e 2, nell'ambito della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile. Con il vostro gruppo, si apre il lungo pellegrinaggio dei membri di questa Conferenza Episcopale in visita ad limina Apostolorum, che mi darà l'occasione di conoscere meglio la realtà delle vostre rispettive comunità diocesane. Saranno giornate di condivisione fraterna per riflettere insieme sulle questioni che vi preoccupano. Un momento profondamente atteso da quelle indimenticabili giornate di maggio del 2007, in cui, durante la mia visita nel vostro paese, ho potuto constatare tutto l'affetto del popolo brasiliano per il Successore di Pietro e, in modo particolare, quando ho avuto l'opportunità di abbracciare con lo sguardo l'intero episcopato di questa grande nazione nell'incontro nella Catedral da Sé di San Paolo.

In effetti, solo il cuore grande di Dio può conoscere, custodire e guidare la moltitudine di figli e figlie che Egli stesso ha generato nella vastità immensa del Brasile. Nel corso dei nostri colloqui di questi giorni, sono emersi alcuni problemi e sfide che dovete affrontare, come l'Arcivescovo di Campo Grande ha riferito all'inizio di questo incontro. Impressionano le distanze che voi stessi, insieme ai vostri sacerdoti e agli altri agenti missionari, dovete percorrere per servire e animare pastoralmente i vostri rispettivi fedeli, molti dei quali convivono con i problemi propri di una urbanizzazione relativamente recente, in cui lo Stato non sempre riesce a essere uno strumento di promozione della giustizia e del bene comune. Non vi scoraggiate! Ricordatevi che l'annuncio del Vangelo e l'adesione ai valori cristiani, come ho affermato di recente nell'Enciclica Caritas in veritate, "è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale" (n. 4). La ringrazio, monsignor Vitório Pavanello, per le cordiali parole e i devoti sentimenti che mi ha rivolto a nome di tutti e che sono lieto di contraccambiare con voti di pace e di prosperità per il popolo brasiliano in questo significativo giorno della sua Festa Nazionale.

Come Successore di Pietro e Pastore Universale, vi posso assicurare che il mio cuore vive ogni giorno le vostre preoccupazioni e fatiche apostoliche, non smettendo di ricordare presso Dio le sfide che affrontate nella crescita delle vostre comunità diocesane. In questi giorni, e concretamente in Brasile, gli operai nella messe del Signore continuano a essere pochi per la raccolta, che è grande (cfr . Mt
Mt 36-37). Nonostante tale carenza, resta veramente essenziale un'adeguata formazione di quanti sono chiamati a servire il Popolo di Dio. Per questo motivo, nell'ambito dell'Anno Sacerdotale in corso, permettetemi di soffermarmi oggi a riflettere con voi, amati Vescovi dell'Ovest brasiliano, sulla sollecitudine propria del vostro ministero episcopale che è quella di generare nuovi pastori.

Sebbene sia Dio l'unico capace di seminare nel cuore umano la chiamata al servizio pastorale del suo popolo, tutti i membri della Chiesa dovrebbero interrogarsi sull'urgenza intima e sull'impegno reale con cui sentono e vivono questa causa. Un giorno, ad alcuni discepoli che temporeggiavano osservando che mancavano "ancora quattro mesi" alla mietitura, Gesù rispose: "Ecco io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura" (Jn 4,35). Dio non vede come l'uomo!

L'urgenza del buon Dio è dettata dal suo desiderio che "tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità" (1Tm 2,4). Ci sono tante persone che sembrano voler consumare l'intera vita in un minuto, altri che vagano nel tedio e nell'inerzia, o si abbandonano a violenze di ogni genere. In fondo, non sono altro che vite disperate alla ricerca della speranza, come dimostra una diffusa, sebbene a volte confusa, esigenza di spiritualità, una rinnovata ricerca di punti di riferimento per riprendere il cammino della vita.

Amati Fratelli, nei decenni successivi al Concilio Vaticano II, alcuni hanno interpretato l'apertura al mondo non come un'esigenza dell'ardore missionario del Cuore di Cristo, ma come un passaggio alla secolarizzazione, scorgendo in essa alcuni valori di grande spessore cristiano, come l'uguaglianza, la libertà e la solidarietà, e mostrandosi disponibili a fare concessioni e a scoprire campi di cooperazione. Si è così assistito a interventi di alcuni responsabili ecclesiali in dibattiti etici, in risposta alle aspettative dell'opinione pubblica, ma si è smesso di parlare di certe verità fondamentali della fede, come il peccato, la grazia, la vita teologale e i novissimi. Inconsciamente si è caduti nell'autosecolarizzazione di molte comunità ecclesiali; queste, sperando di compiacere quanti erano lontani, hanno visto andare via, defraudati e disillusi, coloro che già vi partecipavano: i nostri contemporanei, quando s'incontrano con noi, vogliono vedere quello che non vedono in nessun'altra parte, ossia la gioia e la speranza che nascono dal fatto di stare con il Signore risorto.

Attualmente c'è una nuova generazione nata in questo ambiente ecclesiale secolarizzato che, invece di registrare apertura e consensi, vede allargarsi sempre più nella società il baratro delle differenze e delle contrapposizioni al Magistero della Chiesa, soprattutto in campo etico. In questo deserto di Dio, la nuova generazione prova una grande sete di trascendenza.

Sono i giovani di questa nuova generazione a bussare oggi alla porta del seminario e ad aver bisogno di trovarvi formatori che siano veri uomini di Dio, sacerdoti totalmente dediti alla formazione, che testimonino il dono di sé alla Chiesa, attraverso il celibato e una vita austera, secondo il modello di Cristo Buon Pastore. Così questi giovani impareranno a essere sensibili all'incontro con il Signore, nella partecipazione quotidiana all'Eucaristia, amando il silenzio e la preghiera e cercando, in primo luogo, la gloria di Dio e la salvezza delle anime.

Amati Fratelli, come sapete, è compito del Vescovo stabilire i criteri fondamentali per la formazione dei seminaristi e dei presbiteri nella fedeltà alle norme universali della Chiesa: è in questo spirito che si devono sviluppare le riflessioni sul tema, oggetto dell'Assemblea Plenaria della vostra Conferenza Episcopale, svoltasi lo scorso aprile.

Certo di poter contare sul vostro zelo per quel che concerne la formazione sacerdotale, invito tutti i Vescovi, i loro sacerdoti e i seminaristi a riprodurre nella propria vita la carità di Cristo Sacerdote e Buon Pastore, come fece il santo Curato d'Ars. E, come lui, prendano come modello e protezione della propria vocazione la Vergine Madre, la quale rispose in modo unico alla chiamata di Dio, concependo nel suo cuore e nella sua carne il Verbo fatto uomo per donarlo all'umanità. Alle vostre diocesi, con un cordiale saluto e la certezza della mia preghiera, portate una paterna Benedizione Apostolica.




AL GRUPPO DI PROMOTORI DEL PADIGLIONE DELLA SANTA SEDE PRESSO L’EXPO INTERNAZIONALE 2008 A ZARAGOZA (SPAGNA) Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo Giovedì, 10 settembre 2009

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Caro Signor Arcivescovo,
Eccellentissimo Signor Ambasciatore,
Cari Fratelli e Sorelle,

Sono lieto di ricevervi e di dare il benvenuto a tutti e a ciascuno di voi, accompagnati dalle vostre famiglie, in questo incontro. Spero vivamente che la vostra visita a Roma, presso le tombe degli Apostoli, vi rafforzi nella fede e colmi i vostri cuori di gioia e di pace.

Innanzitutto desidero esprimervi il mio sincero ringraziamento per la vostra significativa collaborazione con l'Arcivescovado di Zaragoza e la Nunziatura Apostolica di Madrid, nella realizzazione del padiglione della Santa Sede per l'Esposizione Internazionale di Zaragoza dello scorso anno.

Questa installazione, che è stata fra le più visitate e apprezzate, ha ospitato un'importante mostra sul prezioso patrimonio artistico, culturale e religioso che la Chiesa custodisce. Con questa iniziativa, si è cercato di offrire ai suoi numerosi visitatori un'opportuna riflessione sull'importanza e sul valore fondamentale che l'acqua ha per la vita dell'uomo.

Attraverso la sua partecipazione all'Esposizione, la Santa Sede ha voluto inoltre mettere in evidenza non solo l'imperiosa necessità di proteggere sempre l'ambiente e la natura, ma anche di scoprire la loro dimensione spirituale e religiosa più profonda. Oggi più che mai occorre aiutare le persone affinché sappiano vedere nel creato qualcosa di più di una semplice fonte di ricchezza e di sfruttamento nelle mani dell'uomo. In effetti, Dio, con la creazione, ha dato all'uomo le chiavi della terra, e si aspetta da lui che sappia usare questo grande dono facendolo fruttificare in modo responsabile e rispettoso. L'essere umano scopre il valore intrinseco della natura se impara a vederla come ciò che realmente è, ossia espressione di un progetto di amore e di verità che ci parla del Creatore e del suo amore per l'umanità, e che troverà la sua pienezza in Cristo, alla fine dei tempi (cfr. Caritas in veritate, n. 48). In tal senso, è opportuno ricordare ancora una volta lo stretto rapporto esistente fra la cura dell'ambiente e il rispetto delle esigenze etiche della natura umana, poiché "quando "l'ecologia umana" è rispettata dentro la società, anche l'ecologia ambientale ne trae beneficio" (Ibidem, n. 51).

Al termine di questo incontro, desidero esprimere nuovamente la mia riconoscenza per la generosa collaborazione a voi e a tutte le persone, istituzioni e imprese che hanno partecipato a questo importante e lodevole progetto. In questa circostanza, vi affido in modo particolare all'intercessione della Vergine del Pilar, che vede i propri piedi bagnati dalle copiose acque del fiume Ebro. Con questi vivi sentimenti, imparto di cuore a voi e alle vostre famiglie la mia Benedizione Apostolica.




AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL BRASILE (NORDESTE 2) IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM» Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo Giovedì, 17 settembre 2009

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Venerati fratelli nell'episcopato,

come l'apostolo Paolo ai primordi della Chiesa, siete venuti, amati pastori delle provincie ecclesiastiche di Olinda e Recife, Paraiba, Maceió e Natal, a visitare Pietro (cfr. Gal
Ga 1,18). Accolgo e saluto con affetto ognuno di voi, a cominciare da monsignor Antônio Munoz Fernandes, arcivescovo di Maceió, che ringrazio per i sentimenti che ha espresso a nome di tutti, facendosi interprete anche delle gioie, delle difficoltà e delle speranze del popolo di Dio che peregrina nel Regional Nordeste II. Nella persona di ognuno di voi, abbraccio i presbiteri e i fedeli delle vostre comunità diocesane.

Con i suoi fedeli e con i suoi ministri, la Chiesa è sulla terra la comunità sacerdotale organicamente strutturata come Corpo di Cristo, per svolgere efficacemente, unita al suo capo, la sua missione storica di salvezza. Così ci insegna san Paolo: "Voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra" (1Co 12,27). In effetti, le membra non hanno tutte la stessa funzione: è questo che costituisce la bellezza e la vita del corpo (cfr. 1Co 12,14-17). È nella diversità fondamentale fra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune che si comprende l'identità specifica dei fedeli ordinati e laici. Per questo è necessario evitare la secolarizzazione dei sacerdoti e la clericalizzazione dei laici. In tale prospettiva, i fedeli laici devono quindi impegnarsi a esprimere nella realtà, anche attraverso l'impegno politico, la visione antropologica cristiana e la dottrina sociale della Chiesa.

Diversamente, i sacerdoti devono restare lontani da un coinvolgimento personale nella politica, al fine di favorire l'unità e la comunione di tutti i fedeli e poter così essere un punto di riferimento per tutti. È importante far crescere questa consapevolezza nei sacerdoti, nei religiosi e nei fedeli laici, incoraggiando e vegliando affinché ciascuno possa sentirsi motivato ad agire secondo il proprio stato.

L'approfondimento armonioso, corretto e chiaro del rapporto fra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale costituisce attualmente uno dei punti più delicati dell'essere e della vita della Chiesa. Il numero esiguo di presbiteri potrebbe infatti portare le comunità a rassegnarsi a questa carenza, consolandosi a volte con il fatto che quest'ultima evidenzia meglio il ruolo dei fedeli laici. Ma non è la mancanza di presbiteri a giustificare una partecipazione più attiva e consistente dei laici. In realtà, quanto più i fedeli diventano consapevoli delle loro responsabilità nella Chiesa, tanto più si evidenziano l'identità specifica e il ruolo insostituibile del sacerdote come pastore dell'insieme della comunità, come testimone dell'autenticità della fede e dispensatore, in nome di Cristo-Capo, dei misteri della salvezza.

Sappiamo che "la missione di salvezza affidata dal Padre al proprio Figlio incarnato è affidata agli apostoli e da essi ai loro successori; questi ricevono lo Spirito di Gesù per operare in suo nome e in persona di lui. Il ministro ordinato è dunque il legame sacramentale che collega l'azione liturgica a ciò che hanno detto e fatto gli apostoli e, tramite loro, a ciò che ha detto e operato Cristo, sorgente e fondamento dei sacramenti" (Catechismo della Chiesa Cattolica CEC 1120). Per questo, la funzione del presbitero è essenziale e insostituibile per l'annuncio della Parola e per la celebrazione dei sacramenti, soprattutto dell'eucaristia, memoriale del sacrificio supremo di Cristo, che dona il proprio Corpo e il proprio Sangue. Per questo urge chiedere al Signore di mandare operai per la sua messe; oltre a ciò, è necessario che i sacerdoti manifestino la gioia della fedeltà alla propria identità con l'entusiasmo della missione.

Amati fratelli, sono certo che, nella vostra sollecitudine pastorale nella vostra prudenza, cercate con particolare attenzione di assicurare alle comunità delle vostre diocesi la presenza di un ministro ordinato. È importante evitare che la situazione attuale, in cui molti di voi sono costretti a organizzare la vita ecclesiale con pochi presbiteri, non sia considerata normale o tipica del futuro. Come ho ricordato la scorsa settimana al primo gruppo di vescovi brasiliani, dovete concentrare i vostri sforzi per risvegliare nuove vocazioni sacerdotali e trovare i pastori indispensabili alle vostre diocesi, aiutandovi reciprocamente affinché tutti dispongano di presbiteri meglio formati e più numerosi per sostenere la vita di fede e la missione apostolica dei fedeli.

D'altro canto, anche coloro che hanno ricevuto gli ordini sacri sono chiamati a vivere con coerenza e in pienezza la grazia e gli impegni del Battesimo, ossia a offrire se stessi e tutta la loro vita in unione con l'oblazione di Cristo. La celebrazione quotidiana del sacrificio dell'altare e la preghiera diaria della liturgia delle ore devono essere sempre accompagnate dalla testimonianza di un'esistenza che si fa dono a Dio e agli altri e diviene così orientamento per i fedeli.

In questi mesi la Chiesa ha dinanzi agli occhi l'esempio del santo curato d'Ars, che invitava i fedeli a unire la propria vita al sacrificio di Cristo e offriva se stesso esclamando: "Come fa bene un padre a offrirsi in sacrificio a Dio tutte le mattine!" (Le Curé d'Ars. Sa pensée - son coeur, coord. Bernard Nodet, 1966, pagine 104). Egli continua a essere un modello attuale per i vostri presbiteri, in particolare nel vivere il celibato come esigenza di dono totale di sé, espressione di quella carità pastorale che il Concilio Vaticano II presenta come centro unificatore dell'essere e dell'agire sacerdotali. Quasi contemporaneamente viveva nel nostro amato Brasile, a San Paolo, Fra Antônio de Sant'Anna Galvão, che ho avuto la gioia di canonizzare l'11 maggio 2007; anch'egli ha lasciato una "testimonianza di fervente adoratore dell'Eucaristia vivendo in laus perennis, in costante atteggiamento di adorazione" (Omelia per la sua canonizzazione, n. 2). In tal modo entrambi cercarono di imitare Gesù Cristo, facendosi ognuno non solo sacerdote ma anche vittima e oblazione come Gesù.

Amati Fratelli nell'Episcopato, sono già visibili numerosi segni di speranza per il futuro delle vostre Chiese particolari, un futuro che Dio sta preparando attraverso lo zelo e la fedeltà con cui esercitate il vostro ministero episcopale. Desidero assicurarvi del mio sostegno fraterno e allo stesso tempo chiedo le vostre preghiere affinché mi sia concesso di confermare tutti nella fede apostolica (cfr. Lc Lc 22,32). La Beata Vergine Maria interceda per tutto il popolo di Dio in Brasile, affinché Pastori e fedeli possano, con coraggio e gioia, "annunciare apertamente il mistero del Vangelo" (cfr. Ef Ep 6,19). Con questa preghiera, imparto la mia Benedizione Apostolica a voi, ai presbiteri e a tutti i fedeli delle vostre diocesi: "Pace a voi tutti che siete in Cristo!" (1P 5,14).




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