Discorsi 2005-13 19199

INCONTRO CON I PATRIARCHI E GLI ARCIVESCOVI MAGGIORI ORIENTALI Castel Gandolfo Sabato, 19 settembre 2009

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Signori Cardinali,
Beatitudini,
Venerati Patriarchi ed Arcivescovi Maggiori!

Vi saluto tutti cordialmente e vi ringrazio per avere accolto l’invito a partecipare a questo incontro: a ciascuno do il mio fraterno abbraccio di pace. Saluto il Cardinale Tarcisio Bertone, mio Segretario di Stato, e il Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, insieme al Segretario e agli altri collaboratori del Dicastero.

Rendiamo grazie a Dio per questa riunione di carattere informale, che ci permette di ascoltare la voce delle Chiese che voi servite con ammirevole abnegazione, e di rafforzare i vincoli di comunione che le legano alla Sede Apostolica. L’odierno incontro mi richiama alla mente quello del 24 aprile 2005 presso la tomba di san Pietro. Allora, proprio nei primi giorni del mio pontificato, volli intraprendere un ideale pellegrinaggio nel cuore dell’Oriente cristiano: pellegrinaggio che oggi conosce un’altra significativa tappa e che è mia intenzione proseguire. In diverse circostanze è stato da voi sollecitato un contatto più frequente con il Vescovo di Roma per rendere sempre più salda la comunione delle vostre Chiese col Successore di Pietro ed esaminare insieme, all’occasione, eventuali tematiche di particolare importanza. Proposta questa rinnovata anche nell’ultima Plenaria del Dicastero per le Chiese Orientali e nelle Assemblee Generali del Sinodo dei Vescovi.

Quanto a me, avverto come precipuo dovere promuovere quella sinodalità tanto cara all’ecclesiologia orientale e salutata con apprezzamento dal Concilio Ecumenico Vaticano II. La stima che l’Assise conciliare ha riservato alle vostre Chiese nel Decreto Orientalium Ecclesiarum, e che il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II ha ribadito soprattutto nell’Esortazione apostolica Orientale Lumen, è da me pienamente condivisa, insieme all’auspicio che le Chiese Orientali Cattoliche “fioriscano” per assolvere “con rinnovato vigore apostolico la missione loro affidata… di promuovere l’unità di tutti i cristiani, specialmente orientali, secondo il decreto sull’ecumenismo…” (Orientalium Ecclesiarum
OE 1). L’orizzonte ecumenico è spesso connesso a quello interreligioso. In questi due ambiti è tutta la Chiesa ad avere bisogno dell’esperienza di convivenza che le vostre Chiese hanno maturato fin dal primo millennio cristiano.

Venerati Fratelli, in questo fraterno incontro, dai vostri interventi emergeranno certamente quelle problematiche che vi assillano e che potranno trovare orientamenti adeguati nelle sedi competenti. Io vorrei assicurarvi che siete costantemente nel mio pensiero e nella mia preghiera. Non dimentico, in particolare, l’appello di pace che avete posto nelle mie mani alla fine dell’Assemblea del Sinodo dei Vescovi dello scorso ottobre. E, parlando di pace, il pensiero va, in primo luogo, alle regioni del Medio Oriente. Colgo pertanto l’occasione per dare l’annuncio dell’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente, da me convocata e che si terrà dal 10 al 24 ottobre 2010, sul tema “La Chiesa cattolica in Medio Oriente: comunione e testimonianza: “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola” (Ac 4,32).

Mentre auguro che l’odierna riunione apporti i frutti sperati, invocando la materna intercessione di Maria Santissima, di cuore benedico voi e tutte le Chiese Orientali Cattoliche.




AI VESCOVI DI RECENTE NOMINA PROMOSSO (CONGREGAZIONE PER I VESCOVI E CONGREGAZIONE PER LE CHIESE ORIENTALI) Sala degli Svizzeri - Castel Gandolfo Lunedì, 21 settembre 2009

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Cari Fratelli nell’Episcopato!

Grazie di cuore per la vostra visita, in occasione del convegno promosso per i Vescovi che da poco hanno intrapreso il loro ministero pastorale. Queste giornate di riflessione, di preghiera e di aggiornamento, sono davvero propizie per aiutarvi, cari Fratelli, a meglio familiarizzare con i compiti che siete chiamati ad assolvere come Pastori di comunità diocesane; sono anche giornate di amichevole convivenza che costituiscono una singolare esperienza di quella “collegialitas affectiva” che unisce tutti i Vescovi nell’unico corpo apostolico, insieme al Successore di Pietro, “perpetuo e visibile fondamento dell’unità” (Lumen gentium
LG 23).

Ringrazio il Cardinale Giovanni Battista Re, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, per le cortesi espressioni che mi ha rivolto a nome vostro; saluto il Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, ed esprimo la mia riconoscenza a quanti in vari modi collaborano all’organizzazione di questo annuale incontro.

Quest’anno, il vostro convegno si inserisce nel contesto dell’Anno Sacerdotale, indetto per il 150° anniversario della morte di san Giovanni Maria Vianney. Come ho scritto nella Lettera inviata per l’occasione a tutti i sacerdoti, questo anno speciale “vuole contribuire a promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi”. L’imitazione di Gesù Buon Pastore è, per ogni sacerdote, la strada obbligata della propria santificazione e la condizione essenziale per esercitare responsabilmente il ministero pastorale. Se questo vale per i presbiteri, vale ancor più per noi, cari Fratelli Vescovi. Ed anzi, è importante non dimenticare che uno dei compiti essenziali del Vescovo è proprio quello di aiutare, con l’esempio e con il fraterno sostegno, i sacerdoti a seguire fedelmente la loro vocazione, e a lavorare con entusiasmo e amore nella vigna del Signore.

A questo proposito, nell’Esortazione postsinodale Pastores gregis, il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II ebbe ad osservare che il gesto del sacerdote, quando pone le proprie mani nelle mani del Vescovo nel giorno dell’ordinazione presbiterale, impegna entrambi: il sacerdote e il Vescovo. Il novello presbitero sceglie di affidarsi al Vescovo e, da parte sua, il Vescovo si impegna a custodire queste mani (Cfr n.47). A ben vedere questo è un compito solenne che si configura per il Vescovo come paterna responsabilità nel custodire e promuovere l’identità sacerdotale dei presbiteri affidati alle proprie cure pastorali, un’identità che vediamo oggi purtroppo messa a dura prova dalla crescente secolarizzazione. Il Vescovo dunque – prosegue la Pastores gregis – “cercherà sempre di agire coi suoi sacerdoti come padre e fratello che li ama, li accoglie, li corregge, li conforta, ne ricerca la collaborazione e, per quanto possibile, si adopera per il loro benessere umano, spirituale, ministeriale ed economico” (Ibidem, 47).

In modo speciale, il Vescovo è chiamato ad alimentare nei sacerdoti la vita spirituale, per favorire in essi l’armonia tra la preghiera e l’apostolato, guardando all’esempio di Gesù e degli Apostoli, che Egli chiamò innanzitutto perché “stessero con Lui” (Mc 3,14). Condizione indispensabile perché produca frutti di bene è infatti che il sacerdote resti unito al Signore; sta qui il segreto della fecondità del suo ministero: soltanto se incorporato a Cristo, vera Vite, porta frutto. La missione di un presbitero e, a maggior ragione, quella di un Vescovo, comporta oggi una mole di lavoro che tende ad assorbirlo continuamente e totalmente. Le difficoltà aumentano e le incombenze vanno moltiplicandosi, anche perché si è posti di fronte a realtà nuove e ad accresciute esigenze pastorali. Tuttavia, l’attenzione ai problemi di ogni giorno e le iniziative tese a condurre gli uomini sulla via di Dio non devono mai distrarci dall’unione intima e personale con Cristo. L’essere a disposizione della gente non deve diminuire o offuscare la nostra disponibilità verso il Signore. Il tempo che il sacerdote e il Vescovo consacrano a Dio nella preghiera è sempre quello meglio impiegato, perché la preghiera è l’anima dell’attività pastorale, la “linfa” che ad essa infonde forza, è il sostegno nei momenti di incertezza e di scoraggiamento e la sorgente inesauribile di fervore missionario e di amore fraterno verso tutti.

Al centro della vita sacerdotale c’è l’Eucaristia. Nell’Esortazione Apostolica Sacramentum caritatis ho sottolineato come “la Santa Messa è formativa nel senso più profondo del termine, in quanto promuove la conformazione a Cristo e rinsalda il sacerdote nella sua vocazione” (n. 80). La celebrazione eucaristica illumini dunque tutta la vostra giornata e quella dei vostri sacerdoti, imprimendo la sua grazia e il suo influsso spirituale sui momenti tristi o gioiosi, agitati o riposanti, di azione o di contemplazione. Un modo privilegiato di prolungare nella giornata la misteriosa azione santificante dell’Eucaristia è la devota recita della Liturgia delle Ore, come pure l’adorazione eucaristica, la lectio divina e la preghiera contemplativa del Rosario. Il Santo Curato d’Ars ci insegna quanto siano preziose l’immedesimazione del sacerdote al Sacrificio eucaristico e l’educazione dei fedeli alla presenza eucaristica e alla comunione. Con la Parola e i Sacramenti – ho ricordato nella Lettera ai Sacerdoti – san Giovanni Maria Vianney ha edificato il suo popolo. Il Vicario Generale della diocesi di Belley, al momento della nomina a parroco di Ars, gli aveva detto: “Non c’è molto amore di Dio in quella parrocchia, ma voi ce lo metterete!”. E quella parrocchia fu trasformata.

Cari Vescovi novelli, grazie per il servizio che rendete alla Chiesa con dedizione e amore. Vi saluto con affetto e vi assicuro il mio costante sostegno unito alla preghiera perché “andiate e portiate frutto, e il vostro frutto rimanga” (Jn 15,16). Per questo invoco l’intercessione di Maria Regina Apostolorum, ed imparto di cuore su voi, sui vostri sacerdoti e sulle vostre comunità diocesane una speciale Benedizione Apostolica.




AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL BRASILE (NORDESTE 1 E NORDESTE 4) IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM» Sala del Concistoro Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo Venerdì, 25 settembre 2009

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Carissimi Fratelli nell'Episcopato,

Siate i benvenuti! Con grande soddisfazione vi accolgo in questa casa e di tutto cuore auspico che la vostra visita ad limina vi dia il conforto e l'incoraggiamento che vi aspettate. Vi ringrazio per il cordiale saluto che mi avete appena rivolto attraverso monsignor José Antônio Aparecido Tosi Marques, arcivescovo di Fortaleza, testimoniando i sentimenti di affetto e di comunione che uniscono le vostre Chiese particolari alla Sede di Roma e la determinazione con cui avete assunto l'urgente impegno della missione per riaccendere la luce e la grazia di Cristo nei cammini della vita del vostro popolo.

Desidero parlavi oggi del primo di questi cammini: la famiglia basata sul matrimonio, come "alleanza coniugale nella quale l'uomo e la donna si danno e si ricevono" (cfr. Gaudium et spes
GS 48). Istituzione naturale confermata dalla legge divina, la famiglia è ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione della prole, che costituisce il suo coronamento (cfr. Ibidem, n. 48). Ponendo in discussione tutto ciò, vi sono forze e voci nella società attuale che sembrano impegnate a demolire la culla naturale della vita umana. I vostri resoconti e i nostri colloqui individuali hanno ripetutamente affrontato questa situazione di assedio alla famiglia, con la vita che esce sconfitta da numerose battaglie; tuttavia è incoraggiante percepire che, nonostante tutte le influenze negative, il popolo dei vostri Regionais Nordeste 1 e Nordeste 4, sostenuto dalla sua caratteristica pietà religiosa e da un profondo senso di solidarietà fraterna, continua a essere aperto al Vangelo della Vita.

Poiché noi sappiamo che solamente da Dio possono provenire quell'immagine e quella somiglianza proprie dell'essere umano (cfr. Gen Gn 1,27), così come avvenne nella creazione - la generazione e la continuazione della creazione -, con voi e con i vostri fedeli "piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ha origine ogni discendenza in cielo e sulla terra, perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati nell'uomo interiore mediante il suo Spirito" (Ep 3,14-16). Che in ogni focolare domestico il padre e la madre, intimamente rinvigoriti dalla forza dello Spirito Santo, continuino uniti a essere la benedizione di Dio nella propria famiglia, cercando l'eternità del loro amore nelle fonti della grazia affidate alla Chiesa, che è "un popolo che deriva la sua unità dall'unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Lumen gentium LG 4)!

Tuttavia, mentre la Chiesa paragona la vita umana con la vita della Santissima Trinità - prima unità di vita nella pluralità delle persone - e non si stanca di insegnare che la famiglia ha il proprio fondamento nel matrimonio e nel piano di Dio, la coscienza diffusa nel mondo secolarizzato vive nell'incertezza più profonda e tale riguardo, soprattutto da quando le società occidentali hanno legalizzato il divorzio. L'unico fondamento riconosciuto sembra essere il sentimento, o la soggettività individuale, che si esprime nella volontà di convivere. In questa situazione, diminuisce il numero dei matrimoni, poiché nessuno impegna la propria vita con una premessa tanto fragile e incostante, crescono le unioni di fatto e aumentano i divorzi. In questa fragilità si consuma il dramma di tanti bambini privati del sostegno dei genitori, vittime del malessere e dell'abbandono, e si diffonde il disordine sociale.

La Chiesa non può restare indifferente di fronte alla separazione dei coniugi e al divorzio, di fronte alla rovina delle famiglie e alle conseguenze che il divorzio provoca sui figli. Questi, per essere istruiti ed educati, hanno bisogno di punti di riferimento estremamente precisi e concreti, vale a dire di genitori determinati e certi che, in modo diverso, concorrono alla loro educazione. Ora è questo principio che la pratica del divorzio sta minando e compromettendo con la cosiddetta famiglia allargata e mutevole, che moltiplica i "padri" e le "madri" e fa sì che oggi la maggior parte di coloro che si sentono "orfani" non siano figli senza genitori, ma figli che ne hanno troppi. Questa situazione, con le inevitabili interferenze e l'incrociarsi di rapporti, non può non generare conflitti e confusioni interne, contribuendo a creare e imprimere nei figli una tipologia alterata di famiglia, assimilabile in un certo senso alla stessa convivenza a causa della sua precarietà.

È ferma convinzione della Chiesa che i problemi che oggi i coniugi incontrano e che debilitano la loro unione, hanno la loro vera soluzione in un ritorno alla solidità della famiglia cristiana, ambito di mutua fiducia, di dono reciproco, di rispetto della libertà e di educazione alla vita sociale. È importante ricordare che, "l'amore degli sposi esige, per sua stessa natura, l'unità e l'indissolubilità della loro comunità di persone che ingloba tutta la loro vita" (Catechismo della Chiesa Cattolica CEC 1644). In effetti, Gesù ha detto chiaramente: "l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto" (Mc 10,9), e ha aggiunto: "Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio" (Mc 10,11-12). Con tutta la comprensione che la Chiesa può provare dinanzi a simili situazioni, non esistono coniugi di seconda unione, ma solo di prima unione; l'altra è una situazione irregolare e pericolosa, che è necessario risolvere, nella fedeltà a Cristo, trovando con l'aiuto di un sacerdote, un cammino possibile per salvare quanti in essa sono implicati.

Per aiutare le famiglie, vi esorto a proporre loro, con convinzione, le virtù della Santa Famiglia: la preghiera, pietra d'angolo di ogni focolare domestico fedele alla propria identità e alla propria missione; la laboriosità, asse di ogni matrimonio maturo e responsabile; il silenzio, fondamento di ogni attività libera ed efficace. In tal modo, incoraggio i vostri sacerdoti e i centri pastorali delle vostre diocesi ad accompagnare le famiglie, affinché non siano illuse e sedotte da certi stili di vita relativistici, che le produzioni cinematografiche e televisive e altri mezzi di informazione promuovono. Ho fiducia nella testimonianza di quelle famiglie che traggono la loro energia dal sacramento del matrimonio; con esse diviene possibile superare la prova che si presenta, saper perdonare un'offesa, accogliere un figlio che soffre, illuminare la vita dell'altro, anche se debole e disabile, mediante la bellezza dell'amore. È a partire da tali famiglie che si deve ristabilire il tessuto della società.

Questi sono, carissimi fratelli, alcuni pensieri che vi lascio al termine della vostra visita ad limina, ricca di notizie confortanti ma anche piena di trepidazione per la fisionomia che in futuro potrà acquisire la vostra amata nazione. Lavorate con intelligenza e con zelo; non lesinate sforzi nella preparazione di comunità attive e consapevoli della propria fede. In esse si consoliderà la fisionomia della popolazione nordestina secondo l'esempio della Santa Famiglia di Nazareth. Sono questi i miei voti che confermo con la benedizione apostolica che imparto a tutti voi, estendendola alle famiglie cristiane e alle diverse comunità ecclesiali con i loro pastori, e a tutti i fedeli delle vostre amate diocesi.




VIAGGIO APOSTOLICO NELLA REPUBBLICA CECA

(26-28 SETTEMBRE 2009)



INTERVISTA CONCESSA DAL SANTO PADRE AI GIORNALISTI DURANTE IL VOLO VERSO LA REPUBBLICA CECA Volo Papale Sabato, 26 settembre 2009

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Padre Lombardi: Santità, siamo molto grati che anche questa volta Lei voglia darci qualche minuto e qualche risposta alle domande che abbiamo raccolto in preparazione a questo viaggio, e ci dia così anche occasione di augurarLe buon viaggio.

La prima domanda: come Lei ha detto all’Angelus di domenica scorsa, la Repubblica Ceca si trova non solo geograficamente, ma anche storicamente nel cuore dell’Europa. Vuole spiegarci meglio questo “storicamente” e dirci come e perché pensa che questa visita possa essere significativa per il continente nel suo insieme, nel suo cammino culturale, spirituale ed eventualmente anche politico, di costruzione dell’Unione Europea?

R. – In tutti i secoli, la Repubblica Ceca, il territorio della Repubblica Ceca è stato luogo di incontro di culture. Cominciamo nel IX secolo: da una parte, in Moravia, abbiamo la grande missione dei fratelli Cirillo e Metodio, che da Bisanzio portano la cultura bizantina, ma creano una cultura slava, con i caratteri cirillici e con una liturgia in lingua slava; dall’altra parte, in Boemia, sono le diocesi confinanti di Regensburg e Passau che portano il Vangelo in lingua latina, e, nella connessione con la cultura romano-latina, si incontrano così le due culture. Ogni incontro è difficile, ma anche fecondo. Si potrebbe facilmente mostrare con questo esempio. Faccio un grande salto: nel XIV secolo è Carlo IV che crea qui, a Praga, la prima università nel Centro Europa. L’università di per sé è un luogo di incontro di culture; in questo caso, diventa inoltre un luogo di incontro tra cultura slava e germanofona. Come nel secolo e nei tempi della Riforma, proprio in questo territorio, gli incontri e gli scontri diventano decisi e forti, lo sappiamo tutti. Faccio ora un salto al nostro presente: nel secolo scorso, la Repubblica Ceca ha sofferto sotto una dittatura comunista particolarmente rigorosa, ma ha anche avuto una resistenza sia cattolica, sia laica di grandissimo livello. Penso ai testi di Vaclav Havel, del cardinale Vlk, a personalità come il cardinale Tomášek, che realmente hanno dato all’Europa un messaggio di che cosa sia la libertà e di come dobbiamo vivere e lavorare nella libertà. E penso che da questo incontro di culture nei secoli, e proprio da questa ultima fase di riflessione, non solo, di sofferenza per un concetto nuovo di libertà e di società libera, escano per noi tanti messaggi importanti, che possono e devono essere fecondi per la costruzione dell’Europa. Dobbiamo essere molto attenti proprio al messaggio di questo Paese.

D. – Siamo a vent’anni dalla caduta dei regimi comunisti nell’Est europeo; Giovanni Paolo II, visitando diversi Paesi reduci dal comunismo, li incoraggiava ad usare con responsabilità la libertà recuperata. Qual è oggi il suo messaggio per i popoli dell’Europa orientale in questa nuova fase storica?

R. – Come ho detto, questi Paesi hanno sofferto particolarmente sotto la dittatura, ma nella sofferenza sono anche maturati concetti di libertà che sono attuali e che adesso devono essere ancora ulteriormente elaborati e realizzati. Penso, per esempio, ad un testo di Vaclav Havel che dice: “La dittatura è basata sulla menzogna e se la menzogna venisse superata, se nessuno mente più e se viene alla luce la verità, c’è anche la libertà”. E così ha elaborato questo nesso tra verità e libertà, dove libertà non è libertinismo, arbitrarietà, ma è connessa e condizionata dai grandi valori della verità e dell’amore e della solidarietà e del bene in generale. Così, penso che questi concetti, queste idee maturate nel tempo della dittatura non debbano andare persi: ora dobbiamo proprio ritornare ad essi! E nella libertà spesso un po’ vuota e senza valori, di nuovo riconoscere che libertà e valori, libertà e bene, libertà e verità vanno insieme: altrimenti si distrugge anche la libertà. Questo mi sembra il messaggio che viene da questi Paesi e che dev’essere attualizzato in questo momento.

D. – Santità, la Repubblica Ceca è un Paese molto secolarizzato in cui la Chiesa cattolica è una minoranza. In tale situazione, come può contribuire la Chiesa effettivamente al bene comune del Paese?

R. – Direi che normalmente sono le minoranze creative che determinano il futuro, e in questo senso la Chiesa cattolica deve comprendersi come minoranza creativa che ha un’eredità di valori che non sono cose del passato, ma sono una realtà molto viva ed attuale. La Chiesa deve attualizzare, essere presente nel dibattito pubblico, nella nostra lotta per un concetto vero di libertà e di pace. Così, può contribuire in diversi settori. Direi che il primo è proprio il dialogo intellettuale tra agnostici e credenti. Ambedue hanno bisogno dell’altro: l’agnostico non può essere contento di non sapere se Dio esiste o no, ma deve essere in ricerca e sentire la grande eredità della fede; il cattolico non può accontentarsi di avere la fede, ma deve essere alla ricerca di Dio, ancora di più, e nel dialogo con gli altri ri-imparare Dio in modo più profondo. Questo è il primo livello: il grande dialogo intellettuale, etico ed umano. Poi, nel settore educativo, la Chiesa ha molto da fare e da dare, per quanto riguarda la formazione. In Italia parliamo del problema dell’emergenza educativa. E’ un problema comune a tutto l’Occidente: qui la Chiesa deve di nuovo attualizzare, concretizzare, aprire per il futuro la sua grande eredità. Un terzo settore è la “Caritas”. La Chiesa ha sempre avuto questo come segno della sua identità: quello di venire in aiuto ai poveri, di essere strumento della carità. La Caritas nella Repubblica Ceca fa moltissimo nelle diverse comunità, nelle situazioni di bisogno, e offre molto anche all’umanità sofferente nei diversi continenti, dando così un esempio di responsabilità per gli altri, di solidarietà internazionale, che è anche condizione della pace.

D. – Santità, la sua ultima Enciclica “Caritas in veritate” ha avuto un’ampia eco nel mondo. Come valuta questa eco? Ne è soddisfatto? Pensa che effettivamente la crisi mondiale recente sia un’occasione in cui l’umanità sia divenuta più disponibile a riflettere sull’importanza dei valori morali e spirituali, per fronteggiare i grandi problemi del suo futuro? E la Chiesa, continuerà ad offrire orientamenti in questa direzione?

R. – Sono molto contento per questa grande discussione. Era proprio questo lo scopo: incentivare e motivare una discussione su questi problemi, non lasciare andare le cose come sono, ma trovare nuovi modelli per una economia responsabile, sia nei singoli Paesi, sia per la totalità dell’umanità unificata. Mi sembra realmente visibile, oggi, che l’etica non è qualcosa di esteriore all’economia, la quale come una tecnica potrebbe funzionare da sé, ma è un principio interiore dell’economia, la quale non funziona se non tiene conto dei valori umani della solidarietà, delle responsabilità reciproche e se non integra l’etica nella costruzione dell’economia stessa: è la grande sfida di questo momento. Spero, con l’Enciclica, di aver contribuito a questa sfida. Il dibattito in corso mi sembra incoraggiante. Certamente vogliamo continuare a rispondere alle sfide del momento e ad aiutare affinché il senso della responsabilità sia più forte della volontà del profitto, che la responsabilità nei riguardi degli altri sia più forte dell’egoismo; in questo senso, vogliamo contribuire ad un’economia umana anche in futuro.

D. – E per concludere, una domanda un po’ più personale: nel corso dell’estate, vi è stato il piccolo incidente al polso. Lo considera ora pienamente superato? Ha potuto riprendere pienamente la sua attività e ha potuto anche lavorare alla seconda parte del suo libro su Gesù, come desiderava?

R. – Non è ancora pienamente superato, ma vedete che la mano destra è in funzione e l’essenziale posso farlo: posso mangiare e, soprattutto, posso scrivere. Il mio pensiero si sviluppa soprattutto scrivendo; così per me è stata veramente una pena, una scuola di pazienza, non poter scrivere per sei settimane. Tuttavia, ho potuto lavorare, leggere, fare altre cose e sono anche andato un po’ avanti con il libro. Ma ho ancora molto da fare. Penso che, con la bibliografia e tutto quello che segue ancora, “Deo adiuvante”, potrebbe essere terminato nella prossima primavera. Ma questa è una speranza!

Padre Lombardi: Grazie mille, Santità, e ancora una volta i migliori auguri per questo viaggio che è breve, ma molto intenso e, come Lei ci ha spiegato, è anche molto significativo.




CERIMONIA DI BENVENUTO Aeroporto Internazionale Stará Ruzyne - Praga Sabato, 26 settembre 2009

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Signor Presidente,
Signori Cardinali
Cari Fratelli nell’Episcopato,
Eccellenze, Signore e Signori!

È per me una grande gioia essere qui con voi oggi nella Repubblica Ceca e sono profondamente grato a tutti per la cordialità del vostro benvenuto. Ringrazio il Presidente, S.E. Václav Klaus, per l’invito rivoltomi a visitare il Paese e per le sue cortesi parole. Sono onorato per la presenza delle Autorità civili e politiche ed estendo il mio saluto a loro, insieme a tutto il Popolo ceco. Essendo qui, in primo luogo, per visitare le comunità cattoliche della Boemia e Moravia, esprimo un cordiale, fraterno saluto al Cardinale Vlk, Arcivescovo di Praga, a S.E. Mons. Graubner, Arcivescovo di Olomouc e Presidente della Conferenza Episcopale Ceca e a tutti i Vescovi e fedeli presenti. Sono stato particolarmente colpito dal gesto della giovane coppia che mi ha portato dei doni tipici della cultura di questa Nazione, assieme all’offerta di un po’ della vostra terra. Ciò mi ricorda quanto profondamente la cultura ceca sia permeata dal cristianesimo, dal momento che questi elementi del pane e del sale hanno un particolare significato tra le immagini del Nuovo Testamento.

Se l’intera cultura europea è stata profondamente plasmata dall’eredità cristiana, ciò è vero in modo particolare nelle terre ceche, poiché, grazie all’azione missionaria dei Santi Cirillo e Metodio nel nono secolo, l’antica lingua slava fu per la prima volta messa in iscritto. Apostoli dei popoli slavi e fondatori della loro cultura, essi a ragione sono venerati come Patroni d’Europa. È poi degno di menzione il fatto che questi due grandi santi della tradizione bizantina incontrarono qui missionari provenienti dall’Occidente latino.

Nella sua storia, questo territorio posto nel cuore del continente europeo, al crocevia tra nord e sud, est ed ovest, è stato un punto d’incontro di popoli, tradizioni e culture diverse. Non si può negare che ciò abbia talora causato delle frizioni, tuttavia, nel tempo, ciò si è rivelato essere un incontro fruttuoso. Da qui il significativo ruolo che le terre ceche hanno giocato nella storia intellettuale, culturale e religiosa d’Europa, talora come un campo di battaglia, più spesso come un ponte.

Nei prossimi mesi si ricorderà il ventesimo anniversario della “Rivoluzione di Velluto”, che felicemente pose fine in modo pacifico ad un’epoca particolarmente dura per questo Paese, un’epoca in cui la circolazione di idee e di movimenti culturali era rigidamente controllata. Mi unisco a voi e ai vostri vicini nel rendere grazie per la vostra liberazione da quei regimi oppressivi. Se il crollo del muro di Berlino ha segnato uno spartiacque nella storia mondiale, ciò è ancora più vero per i Paesi dell’Europa Centrale e Orientale, rendendoli capaci di assumere quel posto che spetta loro nel consesso delle Nazioni, in qualità di attori sovrani.

Non si deve tuttavia sottovalutare il costo di quarant’anni di repressione politica. Una particolare tragedia per questa terra è stato il tentativo spietato da parte del Governo di quel tempo di mettere a tacere la voce della Chiesa. Nel corso della vostra storia, dal tempo di San Venceslao, di Santa Ludmilla e Sant’Adalberto fino a San Giovanni Nepomuceno, vi sono stati martiri coraggiosi la cui fedeltà a Cristo si è fatta sentire con voce più chiara e più eloquente di quella dei loro uccisori. Quest’anno ricorre il quarantesimo anniversario della morte del Servo di Dio il Cardinale Josef Beran, Arcivescovo di Praga. Desidero rendere omaggio a lui e al suo successore, il Cardinale František Tomášek, che ho avuto il privilegio di conoscere personalmente, per la loro indomita testimonianza cristiana di fronte alla persecuzione. Essi, ed altri innumerevoli coraggiosi sacerdoti, religiosi e laici, uomini e donne, hanno mantenuto viva la fiamma della fede in questo Paese. Ora che è stata recuperata la libertà religiosa, faccio appello a tutti i cittadini della Repubblica, perché riscoprano le tradizioni cristiane che hanno plasmato la loro cultura ed esorto la comunità cristiana a continuare a far sentire la propria voce mentre la nazione deve affrontare le sfide del nuovo millennio. “Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia” (Caritas in veritate ). La verità del Vangelo è indispensabile per una società prospera, poiché apre alla speranza e ci rende capaci di scoprire la nostra inalienabile dignità di figli di Dio.

Signor Presidente, sono a conoscenza del Suo desiderio di vedere riconosciuto alla religione un ruolo maggiore nelle questioni del Paese. La bandiera presidenziale che sventola sul Castello di Praga ha come motto “Pravda Vítezí – La Verità vince”: è il mio più fermo auspicio che la luce della verità continui a guidare questa nazione, tanto benedetta nel corso della sua storia dalla testimonianza di grandi santi e martiri. In questa età della scienza è significativo richiamare l’esempio di Johann Gregor Mendel, l’abate agostiniano della Moravia le cui ricerche pionieristiche gettarono le fondamenta della moderna genetica. Non sarebbe stato certo indirizzato a lui il rimprovero del suo patrono, Sant’Agostino, il quale lamentava che molti fossero “più portati ad ammirare i fatti che a cercarne le cause” (Epistula 120,5; cfr Giovanni Paolo II, Commemorazione dell’abate Gregorio Mendel nel I° centenario della morte, 10 marzo 1984, 2). Il progresso autentico dell’umanità è servito al meglio proprio da una tale convergenza tra sapienza della fede ed intuito della ragione. Possa il Popolo ceco godere sempre i benefici che provengono da questa felice sintesi.

Mi rimane solo di rinnovare il mio ringraziamento a tutti voi e dirvi quanto ho atteso di poter trascorrere questi giorni nella Repubblica Ceca, che voi con orgoglio chiamate “žeme Ceská, domov muj” (terra ceca, casa mia). Grazie di cuore!






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