Discorsi 2005-13 19109

A S.E. IL SIGNOR YVES GAZZO, CAPO DELLA DELEGAZIONE DELLA COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE PRESSO LA SANTA SEDE Lunedì, 19 ottobre 2009

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Signor Ambasciatore,

Sono lieto di riceverla, Eccellenza, e di accreditarla come Rappresentante della Commissione delle Comunità Europee presso la Santa Sede. Le sarei grato se volesse esprimere a S.E. il signor José Manuel Barroso, che è stato appena rieletto a capo della Commissione, i miei voti cordiali per la sua persona e per il nuovo mandato che gli è stato affidato, e anche per tutti i suoi collaboratori.

Quest'anno l'Europa commemora il ventesimo anniversario della caduta del muro di Berlino. Ho voluto onorare in modo particolare questo evento recandomi nella Repubblica Ceca. In quella terra provata dal giogo di una dolorosa ideologia, ho potuto rendere grazie per il dono della libertà recuperata che ha permesso al continente europeo di ritrovare la sua integrità e la sua unità.

Lei, signor Ambasciatore, ha appena definito l'Unione Europea come "un'area di pace e di stabilità che riunisce ventisette Stati con gli stessi valori fondamentali". È una felice definizione. È tuttavia giusto osservare che l'Unione Europea non si è dotata di questi valori, ma che sono stati piuttosto questi valori condivisi a farla nascere e a essere la forza di gravità che ha attirato verso il nucleo dei Paesi fondatori le diverse nazioni che hanno successivamente aderito a essa, nel corso del tempo. Questi valori sono il frutto di una lunga e tortuosa storia nella quale, nessuno lo può negare, il cristianesimo ha svolto un ruolo di primo piano. La pari dignità di tutti gli esseri umani, la libertà d'atto di fede alla radice di tutte le altre libertà civili, la pace come elemento decisivo del bene comune, lo sviluppo umano - intellettuale, sociale ed economico - in quanto vocazione divina (cfr. Caritas in veritate ) e il senso della storia che ne deriva, sono altrettanti elementi centrali della Rivelazione cristiana che continuano a modellare la civiltà europea.

Quando la Chiesa ricorda le radici cristiane dell'Europa, non è alla ricerca di uno statuto privilegiato per se stessa. Essa vuole fare opera di memoria storica ricordando in primo luogo una verità - sempre più passata sotto silenzio - ossia l'ispirazione decisamente cristiana dei Padri fondatori dell'Unione Europea. A livello più profondo, essa desidera mostrare anche che la base dei valori proviene soprattutto dall'eredità cristiana che continua ancora oggi ad alimentarla.

Questi valori comuni non costituiscono un aggregato anarchico o aleatorio, ma formano un insieme coerente che si ordina e si articola, storicamente, a partire da una visione antropologica precisa. Può l'Europa omettere il principio organico originale di questi valori che hanno rivelato all'uomo allo stesso tempo la sua eminente dignità e il fatto che la sua vocazione personale lo apre a tutti gli altri uomini con i quali è chiamato a costituire una sola famiglia? Lasciarsi andare a questo oblio, non significa esporsi al rischio di vedere questi grandi e bei valori entrare in concorrenza o in conflitto gli uni con gli altri? O ancora, questi valori non rischiano di essere strumentalizzati da individui e da gruppi di pressione desiderosi di far valere interessi particolari a detrimento di un progetto collettivo ambizioso - che gli europei attendono - che si preoccupi del bene comune degli abitanti del Continente e del mondo intero? Questo rischio è già stato percepito e denunciato da numerosi osservatori che appartengono a orizzonti molto diversi. È importante che l'Europa non permetta che il suo modello di civiltà si sfaldi, pezzo dopo pezzo. Il suo slancio originale non deve essere soffocato dall'individualismo o dall'utilitarismo.

Le immense risorse intellettuali, culturali ed economiche del continente continueranno a recare frutto se continueranno a essere fecondate dalla visione trascendente della persona umana che costituisce il tesoro più prezioso dell'eredità europea. Questa tradizione umanista, nella quale si riconoscono tante famiglie dal pensiero a volte molto diverso, rende l'Europa capace di affrontare le sfide di domani e di rispondere alle attese della popolazione. Si tratta principalmente della ricerca del giusto e delicato equilibrio fra l'efficienza economica e le esigenze sociali, della salvaguardia dell'ambiente, e soprattutto dell'indispensabile e necessario sostegno alla vita umana dal concepimento fino alla morte naturale, e alla famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna. L'Europa sarà realmente se stessa solo se saprà conservare l'originalità che ha fatto la sua grandezza e che è in grado di fare di essa, nel futuro, uno degli attori principali nella promozione dello sviluppo integrale delle persone, che la Chiesa cattolica considera come l'unica via in grado di porre rimedio agli squilibri presenti nel nostro mondo.

Per tutti questi motivi, signor Ambasciatore, la Santa Sede segue con rispetto e grande attenzione l'attività delle Istituzioni europee, auspicando che queste, con il loro lavoro e la loro creatività, onorino l'Europa che è più di un continente, è una "casa spirituale" (cfr. Discorso alle Autorità civili e al Corpo diplomatico, Praga, 26 settembre 2009). La Chiesa desidera "accompagnare" la costruzione dell'Unione Europea. Per questo si permette di ricordarle quali sono i valori fondatori e costitutivi della società europea affinché possano essere promossi per il bene di tutti.

Mentre comincia la sua missione presso la Santa Sede, desidero ribadirle la mia soddisfazione per le eccellenti relazioni che intrattengono la Comunità Europea e la Santa Sede, e le formulo, signor Ambasciatore, i miei voti migliori per il buon svolgimento del suo nobile incarico. Sia certo che troverà presso i miei collaboratori l'accoglienza e la comprensione di cui potrà aver bisogno.

Su di lei, Eccellenza, sulla sua famiglia e sui suoi collaboratori, invoco di tutto cuore l'abbondanza delle Benedizioni divine.




AI DOCENTI, AGLI STUDENTI E AL PERSONALE DEL PONTIFICIO ISTITUTO BIBLICO Sala Clementina Lunedì, 26 ottobre 2009

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Signori Cardinali,
Reverendissimo Preposito Generale della Compagnia di Gesù,
Illustre Rettore,
Illustri docenti e cari alunni del Pontificio Istituto Biblico!

Con vero piacere vi incontro in occasione del 100° anniversario della fondazione del vostro Istituto, voluto dal mio santo predecessore Pio X al fine di costituire nella città di Roma – come è stato detto - un centro di studi specializzati sulla Sacra Scrittura e le discipline connesse. Saluto con deferenza il Cardinale Zenon Grocholewski, a cui va il mio ringraziamento per le cortesi parole che mi ha voluto rivolgere a nome vostro. Saluto parimenti il Preposito Generale, Padre Adolfo Nicolás Pachón, e colgo volentieri l’opportunità che mi è data per manifestare sincera gratitudine alla Compagnia di Gesù, la quale, non senza notevole sforzo, dispiega investimenti finanziari e risorse umane nella gestione della Facoltà dell’Oriente antico, della Facoltà biblica qui a Roma e della sede dell’Istituto a Gerusalemme. Saluto il Rettore e i docenti, che hanno consacrato la vita allo studio e alla ricerca in costante ascolto della parola di Dio. Saluto e ringrazio il personale, gli impiegati e gli operai per la loro apprezzata collaborazione, come pure i benefattori che hanno messo e continuano a porre a disposizione le risorse necessarie per la manutenzione delle strutture e per le attività del Pontificio Istituto Biblico. Saluto gli ex allievi spiritualmente uniti a noi in questo momento, e specialmente saluto voi, cari alunni, che provenite da ogni parte del mondo.

Sono trascorsi 100 anni dalla nascita del Pontificio Istituto Biblico. Nel corso di questo secolo, è certamente aumentato l’interesse per la Bibbia, e, grazie al Concilio Vaticano II, soprattutto alla Costituzione dogmatica Dei Verbum - della cui elaborazione fui diretto testimone partecipando come teologo alle discussioni che ne hanno preceduto l’approvazione – si è avvertita molto più l’importanza della Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Ciò ha favorito nelle comunità cristiane un autentico rinnovamento spirituale e pastorale, che ha interessato soprattutto la predicazione, la catechesi, lo studio della teologia, e il dialogo ecumenico. A questo rinnovamento il vostro Pontificio Istituto ha dato un proprio significativo contributo con la ricerca scientifica biblica, con l’insegnamento delle discipline bibliche e la pubblicazione di qualificati studi e riviste specializzate. Nel corso dei decenni si sono succedute varie generazioni di illustri docenti - qui vorrei ricordare, tra gli altri, il Cardinale Bea -, che hanno formato più di 7 mila professori di Sacra Scrittura e promotori di gruppi biblici, come pure molti esperti inseriti attualmente in diversi servizi ecclesiali, in ogni regione del mondo. Rendiamo grazie al Signore per questa vostra attività tesa ad interpretare i testi biblici nello spirito nel quale sono stati scritti (cfr Dei Verbum
DV 12), ed aperta al dialogo con le altre discipline, con le diverse culture e religioni. Anche se ha conosciuto momenti di difficoltà, essa è stata condotta in costante fedeltà al magistero secondo le finalità proprie del vostro Istituto, sorto appunto “ut in Urbe Roma altiorum studiorum ad Libros sacros pertinentium habeatur centrum, quod efficaciore, quo liceat, modo doctrinam biblicam et studia omnia eidem adiuncta, sensu Ecclesiae catholicae promoveat” (Pius PP. X, Litt. Ap. Vinea electa (7 maggio 1909): AAS 1 (1909), 447-448).

Cari amici, la ricorrenza del centenario costituisce un traguardo e al tempo stesso un punto di partenza. Arricchiti dell’esperienza del passato, proseguite il vostro cammino con rinnovato impegno, consapevoli del servizio alla Chiesa che vi è richiesto, quello cioè di avvicinare la Bibbia alla vita del Popolo di Dio, perché sappia affrontare in maniera adeguata le inedite sfide che i tempi moderni pongono alla nuova evangelizzazione. Comune auspicio è che la Sacra Scrittura diventi in questo mondo secolarizzato non solo l’anima della teologia, bensì pure la fonte della spiritualità e del vigore della fede di tutti i credenti in Cristo. Il Pontificio Istituto Biblico continui, pertanto, a crescere come centro ecclesiale di studio di alta qualità nell’ambito della ricerca biblica, avvalendosi delle metodologie critiche moderne e in collaborazione con gli specialisti in dogmatica e in altre aree teologiche; assicuri un’accurata formazione ai futuri professori di Sacra Scrittura perché, avvalendosi delle lingue bibliche e delle diverse metodologie esegetiche, possano accedere direttamente ai testi biblici.

La già citata Costituzione dogmatica Dei Verbum, a tale riguardo, ha sottolineato la legittimità e la necessità del metodo storico-critico, riconducendolo a tre elementi essenziali: l’attenzione ai generi letterari; lo studio del contesto storico; l’esame di ciò che si usa chiamare Sitz im Leben. Il documento conciliare al tempo stesso mantiene fermo il carattere teologico dell’esegesi indicando i punti di forza del metodo teologico nell’interpretazione del testo. Questo perché il presupposto fondamentale sul quale riposa la comprensione teologica della Bibbia è l’unità della Scrittura, ed a tale presupposto corrisponde come cammino metodologico l’analogia della fede, cioè la comprensione dei singoli testi a partire dall’insieme. Il testo conciliare aggiunge un’ulteriore indicazione metodologica. Essendo la Scrittura una cosa sola a partire dall’unico popolo di Dio, che ne è stato il portatore attraverso la storia, conseguentemente leggere la Scrittura come un’unità significa leggerla a partire dal Popolo di Dio, dalla Chiesa come dal suo luogo vitale e ritenere la fede della Chiesa come la vera chiave d’interpretazione. Se l’esegesi vuole essere anche teologia, deve riconoscere che la fede della Chiesa è quella forma di “sim-patia” senza la quale la Bibbia resta un libro sigillato: la Tradizione non chiude l’accesso alla Scrittura, ma piuttosto lo apre; d’altro canto, spetta alla Chiesa, nei suoi organismi istituzionali, la parola decisiva nell’interpretazione della Scrittura. È alla Chiesa, infatti, che è affidato l’ufficio di interpretare autenticamente la parola di Dio scritta e trasmessa, esercitando la sua autorità nel nome di Gesù Cristo (cfr Dei Verbum DV 10)

Cari fratelli e sorelle, mentre ringrazio per la vostra gradita visita, vi incoraggio a proseguire il vostro servizio ecclesiale, in costante adesione al magistero della Chiesa ed assicurando a ciascuno di voi il sostegno della preghiera, di cuore imparto a tutti, quale pegno dei divini favori, la Benedizione Apostolica.




A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR ALI AKBAR NASERI, NUOVO AMBASCIATORE DELLA REPUBBLICA ISLAMICA DELL'IRAN PRESSO LA SANTA SEDE Giovedì 29 ottobre 2009

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Signor Ambasciatore,

Sono lieto di accoglierla in questo giorno in cui presenta le Lettere che l'accreditano come Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica Islamica dell'Iran presso la Santa Sede. Le esprimo la mia gratitudine per le cordiali parole che mi ha rivolto, come anche per i voti che mi ha trasmesso da parte di Sua Eccellenza il signor Mahmoud Ahmadinejad, Presidente della Repubblica. In cambio le sarei grato se potesse ringraziarlo e assicurarlo dei miei auguri cordiali per tutta la nazione.

La sua presenza qui, questa mattina, manifesta l'interesse del suo Paese per lo sviluppo di buone relazioni con la Santa Sede. Come lei sa, signor Ambasciatore, con la sua presenza nelle istanze internazionali e le sue relazioni bilaterali con numerosi Paesi, la Santa Sede desidera difendere e promuovere la dignità dell'uomo. Vuole così essere al servizio del bene della famiglia umana, mostrando particolare interesse per gli aspetti etici, morali e umanitari delle relazioni fra i popoli. In questa prospettiva, la Santa Sede desidera consolidare le sue relazioni con la Repubblica Islamica dell'Iran, e favorire la comprensione reciproca e la collaborazione in vista del bene comune.

L'Iran è una grande Nazione che possiede eminenti tradizioni spirituali e il suo popolo ha una sensibilità religiosa profonda. Questo può essere un motivo di speranza per un'apertura crescente e una collaborazione fiduciosa con la comunità internazionale. Da parte sua, la Santa Sede sarà sempre pronta a lavorare in armonia con coloro che servono la causa della pace e promuovono la dignità di cui il Creatore ha dotato ogni essere umano. Oggi tutti dobbiamo auspicare e sostenere una nuova fase di cooperazione internazionale, più saldamente fondata su principi umanitari e sull'aiuto effettivo a quanti soffrono, meno dipendente da freddi calcoli di scambio e da benefici tecnici ed economici.

La fede nel Dio unico deve avvicinare tutti i credenti e spingerli a lavorare insieme per la difesa e la promozione dei valori umani fondamentali. Fra i diritti universali, la libertà religiosa e la libertà di coscienza occupano un posto fondamentale, poiché sono alla base delle altre libertà. La difesa di altri diritti che nascono dalla dignità delle persone e dei popoli, in particolare la promozione della tutela della vita, della giustizia e della solidarietà, deve essere a sua volta l'oggetto di una reale collaborazione. Del resto, come ho avuto spesso occasione di sottolineare, stabilire relazioni cordiali fra i credenti delle diverse religioni è una necessità urgente del nostro tempo, per costruire un mondo più umano e più conforme al progetto di Dio per il creato. Sono dunque lieto dell'esistenza, da diversi anni, d'incontri organizzati regolarmente e congiuntamente dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e dall'Organizzazione per la Cultura e le Relazioni Islamiche, su temi d'interesse comune. Contribuendo a ricercare insieme ciò che è giusto e vero, simili incontri permettono a tutti di progredire nella conoscenza reciproca e di cooperare nella riflessione sulle importanti questioni che concernono la vita dell'umanità.

D'altro canto, i cattolici sono presenti in Iran dai primi secoli del cristianesimo e sono sempre stati parte integrante della vita e della cultura della Nazione. Questa comunità è realmente iraniana e la sua esperienza secolare di buona convivenza con i credenti musulmani è di grande utilità per la promozione di una maggiore comprensione e cooperazione. La Santa Sede confida nel fatto che le Autorità iraniane sapranno rafforzare e garantire ai cristiani la libertà di professare la loro fede e sapranno assicurare alla comunità cattolica le condizioni essenziali per la sua esistenza, in particolare la possibilità di avere personale religioso sufficiente e di spostarsi facilmente nel Paese al fine di garantire il servizio religioso ai fedeli. In tale prospettiva, auspico che un dialogo fiducioso e sincero si sviluppi con le istituzioni del Paese al fine di migliorare la situazione delle comunità cristiane e delle loro attività nel contesto della società civile e anche di far crescere il loro senso di appartenenza alla vita nazionale. Da parte sua, la Santa Sede, della cui natura e della cui missione è proprio l'interessarsi direttamente alla vita delle Chiese locali, desidera compiere gli sforzi necessari per aiutare la comunità cattolica in Iran a mantenere vivi i segni della presenza cristiana, in uno spirito d'intesa benevola con tutti.

Signor Ambasciatore, desidero infine approfittare di questa lieta occasione per salutare calorosamente le comunità cattoliche che vivono in Iran, e anche i loro Pastori. Il Papa è vicino a tutti i fedeli e prega per loro affinché, pur conservando con perseveranza la loro identità propria e restando legati alla loro terra, collaborino generosamente con tutti i loro concittadini allo sviluppo della Nazione.

Eccellenza, mentre inizia la sua missione presso la Santa Sede, le formulo i miei migliori auspici per il suo buon esito. Le posso assicurare che presso i miei collaboratori troverà sempre comprensione e sostegno per il suo felice svolgimento.

Invoco di tutto cuore sulla sua persona, sulla sua famiglia, sui suoi collaboratori, come pure su tutti gli Iraniani, l'abbondanza delle Benedizioni dell'Altissimo.




AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI Sala del Concistoro Giovedì, 29 ottobre 2009

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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle in Cristo,

con grande gioia vi porgo il mio cordiale benvenuto in occasione dell’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Desidero anzitutto esprimere la mia gratitudine a Mons. Claudio Maria Celli, Presidente del vostro Pontificio Consiglio, per le cortesi parole che mi ha rivolto a nome di voi tutti. Estendo il mio saluto ai suoi collaboratori e a voi qui presenti, ringraziandovi per il contributo che offrite ai lavori della Plenaria, e per il servizio che rendete alla Chiesa nel campo delle comunicazioni sociali.

In questi giorni vi soffermate a riflettere sulle nuove tecnologie della comunicazione. Anche un osservatore poco attento può facilmente costatare che nel nostro tempo, grazie proprio alle più moderne tecnologie, è in atto una vera e propria rivoluzione nell’ambito delle comunicazioni sociali, di cui la Chiesa va prendendo sempre più responsabile consapevolezza. Tali tecnologie, infatti, rendono possibile una comunicazione veloce e pervasiva, con una condivisione ampia di idee e di opinioni; facilitano l’acquisizione di informazioni e di notizie in maniera capillare e accessibile a tutti. Il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali segue da tempo questa sorprendente e veloce evoluzione dei media, facendo tesoro degli interventi del magistero della Chiesa. Vorrei qui ricordare, in particolare, due Istruzioni Pastorali: la Communio et Progressio del Papa Paolo VI e la Aetatis Novae voluta da Giovanni Paolo II. Due autorevoli documenti dei miei venerati Predecessori, che hanno favorito e promosso nella Chiesa un’ampia sensibilizzazione su queste tematiche. Inoltre, i grandi cambiamenti sociali avvenuti negli ultimi vent’anni hanno sollecitato e continuano a sollecitare un’attenta analisi sulla presenza e sull’azione della Chiesa in tale campo. Il Servo di Dio Giovanni Paolo II nell’Enciclica Redemptoris missio (1990) ricordava che “l’impegno nei mass media, non ha solo lo scopo di moltiplicare l’annunzio: si tratta di un fatto più profondo, perché l’evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in gran parte dal loro influsso”. Ed aggiungeva: “Non basta, quindi, usarli per diffondere il messaggio cristiano e il magistero della Chiesa, ma occorre integrare il messaggio stesso in questa ‘nuova cultura’ creata dalla comunicazione moderna” (n. 37.c). In effetti, la cultura moderna scaturisce, ancor prima che dai contenuti, dal dato stesso dell’esistenza di nuovi modi di comunicare che utilizzano linguaggi nuovi, si servono di nuove tecniche e creano nuovi atteggiamenti psicologici. Tutto questo costituisce una sfida per la Chiesa chiamata ad annunciare il Vangelo agli uomini del terzo millennio mantenendone inalterato il contenuto, ma rendendolo comprensibile grazie anche a strumenti e modalità consoni alla mentalità e alle culture di oggi.

I mezzi di comunicazione sociale, così chiamati nel Decreto conciliare Inter Mirifica, hanno oggi assunto potenzialità e funzioni all’epoca forse difficilmente immaginabili. Il carattere multimediale e la interattività strutturale dei singoli nuovi media, ha, in un certo modo, diminuito la specificità di ognuno di essi, generando gradualmente una sorta di sistema globale di comunicazione, per cui, pur mantenendo ciascun mezzo il proprio peculiare carattere, l’evoluzione attuale del mondo della comunicazione obbliga sempre più a parlare di un’unica forma comunicativa, che fa sintesi delle diverse voci o le pone in stretta reciproca connessione. Molti fra voi, cari amici, sono esperti in materia e possono analizzare con più grande professionalità le varie dimensioni di questo fenomeno, incluse soprattutto quelle antropologiche. Vorrei cogliere l’occasione per invitare quanti nella Chiesa operano nell’ambito della comunicazione ed hanno responsabilità di guida pastorale a saper raccogliere le sfide che pongono all’evangelizzazione queste nuove tecnologie.

Nel Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali di quest’anno, sottolineando l’importanza che rivestono le nuove tecnologie, ho incoraggiato i responsabili dei processi comunicativi ad ogni livello, a promuovere una cultura del rispetto per la dignità e il valore della persona umana, un dialogo radicato nella ricerca sincera della verità, dell’amicizia non fine a se stessa, ma capace di sviluppare i doni di ciascuno per metterli a servizio della comunità umana. In tal modo la Chiesa esercita quella che potremmo definire una “diaconia della cultura” nell’odierno “continente digitale”, percorrendone le strade per annunciare il Vangelo, la sola Parola che può salvare l’uomo. Al Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali tocca approfondire ogni elemento della nuova cultura dei media, a iniziare dagli aspetti etici, ed esercitare un servizio di orientamento e di guida per aiutare le Chiese particolari a cogliere l’importanza della comunicazione, che rappresenta ormai un punto fermo e irrinunciabile di ogni piano pastorale. Proprio le caratteristiche dei nuovi mezzi rendono, peraltro, possibile, anche su larga scala e nella dimensione globalizzata che essa ha assunto, un’azione di consultazione, di condivisione e di coordinamento che, oltre a incrementare un’efficace diffusione del messaggio evangelico, evita talvolta un’inutile dispersione di forze e di risorse. Per i credenti la necessaria valorizzazione delle nuove tecnologie mediatiche va sempre però sostenuta da una costante visione di fede, sapendo che, al di là dei mezzi che si utilizzano, l’efficacia dell’annuncio del Vangelo dipende in primo luogo dall’azione dello Spirito Santo, che guida la Chiesa e il cammino dell’umanità.

Cari fratelli e sorelle, quest’anno ricorre il 50.mo anniversario della fondazione della Filmoteca Vaticana, voluta dal mio venerato predecessore, il Beato Giovanni XXIII, e che ha raccolto e catalogato materiale filmato dal 1896 a oggi in grado di illustrare la storia della Chiesa. La Filmoteca Vaticana possiede pertanto un ricco patrimonio culturale, che appartiene all’intera umanità. Mentre esprimo viva gratitudine per ciò che è già stato compiuto, incoraggio a proseguire tale interessante lavoro di raccolta, che documenta le tappe del cammino della cristianità, attraverso la suggestiva testimonianza dell’immagine, affinché questi beni siano custoditi e conosciuti. A voi qui presenti ancora una volta grazie per l’apporto che offrite alla Chiesa in un ambito quanto mai importante, com’è quello delle Comunicazioni Sociali, e vi assicuro la mia preghiera perché l’azione del vostro Pontificio Consiglio continui a portare molti frutti. Invoco su ciascuno l’intercessione della Madonna ed imparto a tutti voi la Benedizione Apostolica.




ALLA SIGNORA DELIA CÁRDENAS CHRISTIE, AMBASCIATORE DI PANAMA PRESSO LA SANTA SEDE Venerdì, 30 ottobre 2009

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Signora Ambasciatore,

1. Sono lieto di riceverla in questo solenne atto in cui lei, Eccellenza, presenta le Lettere che l'accreditano come Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario della Repubblica di Panamá presso la Santa Sede.

La ringrazio per le cordiali parole che mi ha rivolto, e anche per il deferente saluto da parte del Presidente della Repubblica, l'Eccellentissimo Signor Ricardo Martinelli Berrocal. La prego di volergli trasmettere i miei voti migliori per lo svolgimento della sua missione, ricordando con stima la cortesia e la cordialità da lui mostrate nel nostro recente incontro a Castel Gandolfo.

Lei, Eccellenza, è qui in rappresentanza di una Nazione che mantiene relazioni bilaterali fluide e fruttuose con la Santa Sede. La visita del Signor Presidente di Panamá, che ho menzionato prima, è una significativa dimostrazione della buona intesa esistente, già dimostrata nell'accordo firmato il 1º giugno 2005, che si spera venga prontamente ratificato e si possa così erigere una circoscrizione ecclesiastica che assista pastoralmente le Forze di Sicurezza Panamensi.

Nel quadro delle rispettive competenze e del rispetto reciproco, l'operato della Chiesa che, a motivo della sua missione non si confonde con quello dello Stato, né può identificarsi con alcun programma politico, si muove in un ambito di natura religiosa e spirituale, che tende alla promozione della dignità dell'essere umano e alla tutela dei suoi diritti fondamentali. Tuttavia, questa distinzione non implica indifferenza o mutua ignoranza, poiché, sebbene a diverso titolo, Chiesa e Stato convergono nel bene comune degli stessi cittadini, stando al servizio della loro vocazione personale e sociale (cfr. Gaudium et spes
GS 76). Allo stesso modo, le funzioni diplomatiche cercano di promuovere la grande causa dell'uomo e di far crescere la concordia fra i popoli, e per questo la Santa Sede nutre grande considerazione e stima per il compito che oggi lei, Eccellenza, inizia a svolgere.

2. L'identità del suo Paese, che si è forgiata nel corso dei secoli come un mosaico di etnie, popoli e culture, si presenta come un segno eloquente di fronte all'intera famiglia umana del fatto che è possibile una convivenza pacifica fra persone di origine diversa, in un clima di comunione e di cooperazione. Questa pluralità umana deve essere considerata un elemento di ricchezza e un aspetto che va potenziato ogni giorno di più, nella consapevolezza che il fattore umano è il primo capitale da salvaguardare e da valorizzare (cfr. Caritas in veritate ). A tal proposito, incoraggio tutti i suoi concittadini a lavorare per una maggiore uguaglianza sociale, economica e culturale fra i diversi settori della società, di modo che, rinunciando agli interessi egoistici, rafforzando la solidarietà e conciliando le volontà, si bandisca, con le parole di Papa Paolo VI, "lo scandalo di disuguaglianze clamorose" (Populorum progressio PP 9).

3. Il messaggio del Vangelo ha svolto un ruolo fondamentale e costruttivo nella configurazione dell'identità panamense, formando parte del patrimonio spirituale e del bagaglio culturale di questa Nazione. Una testimonianza luminosa di ciò è la Bolla Pastoralis officii debitum, con la quale, il 9 settembre 1513, Papa Leone X eresse canonicamente la diocesi di Santa María La Antigua, la prima sulla terra ferma del Continente americano. Per commemorare il V Centenario di questo evento tanto significativo, la Chiesa nel Paese sta preparando diverse iniziative, che mostreranno quanto è radicata nella sua Patria la comunità ecclesiale, che non mira ad altro bene oltre a quello del popolo stesso, di cui fa parte e che ha servito e serve con fini nobili e generosità. Chiedo a Dio che questa ricorrenza accresca la vita cristiana di tutti gli amati figli di questa Nazione, di modo che la fede continui a essere in essa fonte ispiratrice per affrontare in modo positivo e proficuo le sfide con cui questa Repubblica deve attualmente confrontarsi.

In tal senso, è giusto riconoscere le numerose attività di promozione umana e sociale che realizzano a Panamá le diocesi, le parrocchie, le comunità religiose, le associazioni laicali e i movimenti di apostolato, contribuendo in modo decisivo a dare dinamismo al presente e a ravvivare l'anelito di un futuro promettente per la sua Patria. Particolare importanza ha la presenza della Chiesa nel campo educativo e nell'assistenza ai poveri, ai malati, ai detenuti e agli emigranti, e nella difesa di aspetti fondamentali come l'impegno per la giustizia sociale, la lotta contro la corruzione, l'operato a favore della pace, l'inviolabilità del diritto alla vita umana dal momento del suo concepimento fino alla sua morte naturale, come pure la salvaguardia della famiglia basata sul matrimonio fra un uomo e una donna. Questi sono elementi insostituibili per creare un sano tessuto sociale ed edificare una società vigorosa, proprio per la solidità dei valori morali che la sostengono, la nobilitano e le danno dignità.

In tale contesto, non posso non riconoscere l'impegno che le autorità panamensi hanno ripetutamente profuso nel rafforzare le istituzioni democratiche e una vita pubblica fondata su solidi pilastri etici. A tale riguardo, non bisogna lesinare sforzi per promuovere un sistema giuridico efficiente e indipendente, e bisogna agire in ogni ambito con onestà, trasparenza nella gestione comunitaria e professionalità e diligenza nella risoluzione dei problemi che riguardano i cittadini. Ciò favorirà lo sviluppo di una società giusta e fraterna, nella quale nessun settore della popolazione si veda dimenticato o esposto alla violenza e alla emarginazione.

4. Il momento presente invita tutti noi, le istituzioni e i responsabili del destino dei popoli, a riflettere seriamente sui fenomeni che si producono a livello internazionale e locale. È degno di menzione il prezioso ruolo che Panamá sta svolgendo per la stabilità politica dell'area centroamericana, in momenti come quello attuale in cui la congiuntura mette in evidenza come un progresso consistente e armonioso della comunità umana non dipende unicamente dallo sviluppo economico e dalle scoperte tecnologiche. Questi aspetti devono essere necessariamente completati con altri di carattere etico e spirituale, poiché una società progredisce soprattutto quando in essa abbondano persone con rettitudine interiore, condotta irreprensibile e ferma volontà di prodigarsi per il bene comune, e che, inoltre, inculchino nelle nuove generazioni un vero umanesimo, seminato nella famiglia e coltivato nella scuola, di modo che la vitalità della Nazione sia frutto della crescita integrale della persona e di tutte le persone (cfr. Caritas in veritate ).

5. Signora Ambasciatore, prima di concludere il nostro incontro, rinnovo il mio saluto e il mio benvenuto a lei, Eccellenza, e alle persone a lei care, e allo stesso tempo le auguro un lavoro fecondo, insieme con il personale di questa Missione diplomatica, a favore del suo Paese, tanto vicino al cuore del Papa.

Con questi sentimenti, ripongo nelle mani della Santissima Vergine Maria, Nostra Signora La Antigua, le speranze e le sfide dell'amato popolo panamense, per il quale supplico dal Signore copiose benedizioni.





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