Discorsi 2005-13 28200

AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA DELLE SCIENZE Sala Clementina Giovedì, 28 ottobre 2010

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Eccellenze,
distinti Signore e Signori,

sono lieto di salutare tutti voi qui presenti mentre la Pontificia Accademia delle Scienze si riunisce per la sua Sessione Plenaria per riflettere su "L'eredità scientifica del ventesimo secolo". Saluto in particolare il Vescovo Marcelo Sánchez Sorondo, Cancelliere dell'Accademia. Colgo questa opportunità anche per ricordare con affetto e gratitudine il professor Nicola Cabibbo, vostro compianto Presidente. Con tutti voi, nella preghiera, affido a Dio, Padre di misericordia, la sua nobile anima.

La storia della scienza nel ventesimo secolo è segnata da indubbie conquiste e da grandi progressi. Purtroppo, l'immagine popolare della scienza del ventesimo secolo è a volte caratterizzata in modo diverso, da due elementi estremi. Da una parte, la scienza è considerata da alcuni come una panacea, dimostrata dai risultati importanti del secolo scorso. In effetti, i suoi innumerevoli progressi sono stati talmente determinanti e rapidi da avvalorare, apparentemente, l'opinione secondo la quale la scienza potrebbe rispondere a tutte le domande circa l'esistenza dell'uomo e anche alle sue più alte aspirazioni. Dall'altra parte, ci sono quelli che temono la scienza e se ne allontanano a causa di certi sviluppi che fanno riflettere, come la costruzione e l'uso terrificante di armi nucleari.
Di certo, la scienza non è definita da nessuno di questi due estremi. Il suo compito era e rimane una ricerca paziente e tuttavia appassionata della verità sul cosmo, sulla natura e sulla costituzione dell'essere umano. In questa ricerca ci sono stati molti successi e molti fallimenti, trionfi e battute d'arresto. Gli sviluppi della scienza sono stati sia esaltanti, come quando sono stati scoperti la complessità della natura e i suoi fenomeni, al di là delle nostre aspettative; sia umilianti, come quando alcune delle teorie che avrebbero dovuto spiegare tali fenomeni una volta per tutte si sono dimostrate soltanto parziali. Ciò non di meno, anche i risultati provvisori sono un contributo reale alla scoperta della corrispondenza fra l'intelletto e le realtà naturali, su cui le generazioni successive potranno basarsi per un ulteriore sviluppo.

I progressi compiuti nella conoscenza scientifica nel ventesimo secolo, in tutte le sue varie discipline, hanno portato a una consapevolezza decisamente maggiore del posto che l'uomo e questo pianeta occupano nell'universo. In tutte le scienze, il denominatore comune continua a essere la nozione di sperimentazione come metodo organizzato per osservare la natura. L'uomo ha compiuto più progressi nello scorso secolo che in tutta la storia precedente dell'umanità, sebbene non sempre nella conoscenza di sé e di Dio, ma di certo in quella dei macro e dei microcosmi. Cari amici, il nostro incontro qui, oggi, è una dimostrazione della stima della Chiesa per la costante ricerca scientifica e della sua gratitudine per lo sforzo scientifico che incoraggia e di cui beneficia. Ai giorni nostri, gli scienziati stessi apprezzano sempre di più la necessità di essere aperti alla filosofia per scoprire il fondamento logico ed epistemologico della loro metodologia e delle loro conclusioni. Da parte sua la Chiesa è convinta del fatto che l'attività scientifica benefici decisamente della consapevolezza della dimensione spirituale dell'uomo e della sua ricerca di risposte definitive, che permettano il riconoscimento di un mondo che esiste indipendentemente da noi, che non comprendiamo del tutto e che possiamo comprendere soltanto nella misura in cui riusciamo ad afferrare la sua logica intrinseca. Gli scienziati non creano il mondo. Essi apprendono delle cose su di esso e tentano di imitarlo, seguendo le leggi e l'intelligibilità che la natura ci manifesta.

L'esperienza dello scienziato quale essere umano è quindi quella di percepire una costante, una legge, un logos che egli non ha creato, ma che ha invece osservato: infatti, esso ci porta ad ammettere l'esistenza di una Ragione onnipotente, che è altro da quella dell'uomo e che sostiene il mondo. Questo è il punto di incontro fra le scienze naturali e la religione. Di conseguenza, la scienza diventa un luogo di dialogo, un incontro fra l'uomo e la natura e, potenzialmente, anche fra l'uomo e il suo Creatore.

Mentre guardiamo al ventunesimo secolo, vorrei offrirvi due pensieri su cui riflettere ulteriormente. In primo luogo, nel momento in cui i risultati sempre più numerosi delle scienze accrescono la nostra meraviglia di fronte alla complessità della natura, viene sempre più percepita la necessità di un approccio interdisciplinare legato a una riflessione filosofica che porti a una sintesi. In secondo luogo, in questo nuovo secolo, la conquista scientifica dovrebbe essere sempre informata dagli imperativi di fraternità e di pace, contribuendo a risolvere i grandi problemi dell'umanità, e orientando gli sforzi di ognuno verso l'autentico bene dell'uomo e lo sviluppo integrale dei popoli del mondo. L'esito positivo della scienza del ventunesimo secolo dipenderà sicuramente, in grande misura, dalla capacità dello scienziato di ricercare la verità e di applicare le scoperte in un modo che va di pari passo con la ricerca di ciò che è giusto e buono.

Con questi sentimenti, vi invito a fissare il vostro sguardo su Cristo, la Sapienza non creata, e a riconoscere nel suo volto il Logos del Creatore di tutte le cose. Rinnovando i miei buoni auspici per la vostra opera, imparto volentieri la mia Benedizione Apostolica.




CONVEGNO PROMOSSO DALLA FONDAZIONE "ROMANO GUARDINI" DI BERLINO Sala Clementina Venerdì, 29 ottobre 2010

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SUL TEMA “EREDITÀ SPIRITUALE E INTELLETTUALE DI ROMANO GUARDINI”


Eccellenze,
Illustrissimo Signor Presidente Prof. von Pufendorf,
Illustri Signore e Signori,
Cari amici!

E’ per me una gioia poter dare il benvenuto qui, nel Palazzo Apostolico, a voi tutti venuti a Roma in occasione del Convegno della Fondazione Guardini sul tema “Eredità spirituale e intellettuale di Romano Guardini”. In particolare, ringrazio Lei, caro Professore von Pufendorf, per le cordiali parole che mi ha rivolto all’inizio di questo nostro incontro, nelle quali ha espresso l’intera “lotta” attuale, che ci lega a Guardini e, al tempo stesso, ci richiede di portare avanti l’opera della sua vita.

Nel discorso di ringraziamento in occasione della celebrazione del suo 80o genetliaco, nel febbraio 1965 all’Università “Ludwig-Maximilian” di Monaco, Guardini descrive il compito della sua vita, quale egli lo intende, come una modo “di interrogarsi, in un continuo scambio spirituale, cosa significhi una Weltanschauung cristiana” (Stationen und Rückblicke, S. 41). La visione, questo sguardo complessivo sul mondo, è stato per Guardini non uno sguardo dall’esterno come di un mero oggetto di ricerca. Egli non intendeva nemmeno la prospettiva della storia dello spirito, che esamina e pondera quanto altri hanno detto o scritto sulla forma religiosa di un’epoca. Tutte questi punti di vista erano insufficienti secondo Guardini. Negli appunti sulla sua vita, egli affermava “Ciò che immediatamente mi interessava, non era la questione di cosa qualcuno avesse detto sulla verità cristiana, ma di cosa sia vero” (Berichte über mein Leben, S. 24). Ed era questa impostazione del suo insegnamento che colpì noi giovani, perché noi non volevamo conoscere uno “spettacolo pirotecnico” delle opinioni esistenti dentro o fuori della Cristianità: noi volevamo conoscere ciò che è. E lì c’era uno che senza timore e, al tempo stesso, con tutta la serietà del pensiero critico, poneva questa questione e ci aiutava a pensare insieme. Guardini non voleva conoscere qualcosa o molte cose, egli aspirava alla verità di Dio e alla verità sull’uomo. Lo strumento per avvicinarsi a questa verità, era per lui la Weltanschauung – come la si chiamava a quel tempo - che si realizza in uno scambio vivo con il mondo e con gli uomini. Lo specifico cristiano consiste nel fatto che l’uomo si sa in una relazione con Dio che lo precede e alla quale non può sottrarsi. Non è il nostro pensare il principio che stabilisce il metro di misura, ma Dio che supera il nostro metro di misura e non può essere ridotto ad alcuna entità creata da noi. Dio rivela sé stesso come la verità, ma essa non è astratta, bensí si trova nel concreto-vivente, infine, nella forma di Gesù Cristo. Chi, però, vuole vedere Gesù, la verità, deve “invertire la rotta”, deve uscire dall’autonomia del pensiero arbitrario verso la disposizione all’ascolto, che accoglie ciò che è. E questo cammino a ritroso, che egli ha compiuto nella sua conversione, ha plasmato l’intero suo pensiero e l’intera sua vita come un continuo uscire dall’autonomia verso l’ascolto, verso il ricevere. Tuttavia perfino in un autentico rapporto con Dio l’uomo non sempre comprende ciò che Dio dice. Egli ha bisogno di un correttivo, e questo consiste nello scambio con gli altri, che nella Chiesa vivente di ogni tempo ha trovato la sua forma attendibile, che congiunge tutti gli uni con gli altri.

Guardini era un uomo del dialogo. Le sue opere sono quasi senza eccezione sorte da un colloquio, perlomeno interiore. Le lezioni del Professore di filosofia della religione e di Weltanschauung cristiana all’Università di Berlino negli anni 20 rappresentavano soprattutto incontri con personalità della storia del pensiero. Guardini leggeva le opere di questi autori, li ascoltava, imparava da loro come vedevano il mondo ed entrava in dialogo con loro, per sviluppare in dialogo con essi ciò che egli, in quanto pensatore cattolico, aveva da dire al loro pensiero. Questa abitudine egli la continuò a Monaco, ed era anche la peculiarità dello stile delle sue lezioni, il fatto che egli fosse in dialogo con i Pensatori. La sua parola chiave era: “ Vedete…” perché voleva guidarci a “vedere” ed egli stesso stava in un comune dialogo interiore con gli uditori. Questa era la novità rispetto alla retorica dei vecchi tempi: che egli non cercasse affatto alcuna retorica, bensì parlasse in modo del tutto semplice con noi e, insieme a ciò, parlasse con la verità e ci inducesse al dialogo con la verità. E questo è un ampio spettro di “dialoghi” con autori come Socrate, Sant’Agostino o Pascal, con Dante, Hölderlin, Mörike, Rilke e Dostojevskij. Egli vedeva in loro dei mediatori viventi, che scoprono in una parola del passato il presente, permettendo di vederlo e viverlo in modo nuovo. Essi ci donano una forza, che può condurci di nuovo a noi stessi.

Dall’apertura dell’uomo per il vero segue, per Guardini, un ethos, una base per il nostro comportamento morale verso il nostro prossimo, come esigenza della nostra esistenza. Poiché l’uomo può incontrare Dio, può anche agire bene. Per lui vale questo primato dell’ontologia sull’ethos, dall’essere, dall’essere stesso di Dio rettamente compreso e ascoltato segue dunque il retto agire. Egli diceva: “Una prassi autentica, cioè un agire corretto, sorge dalla verità, e per questa si deve lottare” (ibid., S. 111).

Un tale anelito verso il vero e il protendersi verso ciò che è originario ed essenziale, Guardini lo notava anzitutto anche presso i giovani. Nei suoi dialoghi con la gioventù, particolarmente al Castello di Rothenfels, che allora grazie a Guardini era diventato il centro del movimento giovanile cattolico, il sacerdote ed educatore portò avanti gli ideali del movimento giovanile quali l’autodeterminazione, la responsabilità propria e l’interiore disposizione alla verità; egli li purificò e li approfondì. Libertà. Sì, ma libero è solo - ci diceva - colui che “è completamente ciò che deve essere secondo la sua natura. […] Libertà è verità” (Auf dem Wege, S. 20). La verità dell’uomo è per Guardini essenzialità e conformità all’essere. Il cammino porta alla verità quando l’uomo esercita “l’obbedienza del nostro essere nei confronti dell’essere di Dio” (ibid., S. 21). Ciò avviene ultimamente nell’adorazione, che per Guardini appartiene all’ambito del pensiero.

Nell’accompagnare la gioventù, Guardini cercò anche un nuovo accesso alla liturgia. La riscoperta della liturgia era per lui una riscoperta dell’unità fra spirito e corpo nella totalità dell’unico essere umano, poiché l’atto liturgico è sempre allo stesso tempo un atto corporale e spirituale. Il pregare viene dilatato attraverso l’agire corporale e comunitario, e così si rivela l’unità di tutta la realtà. La liturgia è un agire simbolico. Il simbolo come quintessenza dell’unità tra lo spirituale e il materiale va perso dove ambedue si separano, dove il mondo viene spaccato in modo dualistico in spirito e corpo, in soggetto e oggetto. Guardini era profondamente convinto che l’uomo è spirito in corpo e corpo in spirito e che, pertanto, la liturgia e il simbolo lo conducono all’essenza di se stesso, in definitiva lo portano, tramite l’adorazione, alla verità.

Tra i grandi temi di vita di Guardini il rapporto tra fede e mondo è di permanente attualità. Guardini vedeva soprattutto nell’Università il luogo della ricerca della verità. L’Università può esserlo, però, solo quando è libera da ogni strumentalizzazione e tornaconto per fini politici e di altro tipo. Oggi, in un mondo di globalizzazione e frammentazione, è ancora più necessario che venga portato avanti questo proposito, un proposito che sta molto a cuore alla Fondazione Guardini e per la cui realizzazione è stata creata la cattedra Guardini.

Di nuovo esprimo il mio cordiale ringraziamento a tutti i presenti per essere venuti. Possa la frequentazione dell’opera di Guardini affinare la sensibilità per i fondamenti cristiani della nostra cultura e società. Volentieri imparto a tutti voi la Benedizione Apostolica.



INCONTRO CON I RAGAZZI E I GIOVANISSIMI DELL'AZIONE CATTOLICA ITALIANA Piazza San Pietro Sabato, 30 ottobre 2010

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Domanda del ragazzo ACR:


Santità, cosa significa diventare grandi? Cosa devo fare per crescere seguendo Gesù? Chi mi può aiutare?

Cari amici dell’Azione Cattolica Italiana!

Sono semplicemente felice di incontrarvi, così numerosi, su questa bella piazza e vi ringrazio di cuore per il vostro affetto! A tutti voi rivolgo il mio benvenuto. In particolare, saluto il Presidente, Prof. Franco Miano, e l’Assistente Generale, Mons. Domenico Sigalini. Saluto il Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, gli altri Vescovi, i sacerdoti, gli educatori e i genitori che hanno voluto accompagnarvi.

Allora, ho ascoltato la domanda del ragazzo dell’ACR. La risposta più bella su che cosa significa diventare grandi la portate scritta voi tutti sulle vostre magliette, sui cappellini, sui cartelloni: “C’è di più”. Questo vostro motto, che non conoscevo, mi fa riflettere. Che cosa fa un bambino per vedere se diventa grande? Confronta la sua altezza con quella dei compagni; e immagina di diventare più alto, per sentirsi più grande. Io, quando sono stato ragazzo, alla vostra età, nella mia classe ero uno dei più piccoli, e tanto più ho avuto il desiderio di essere un giorno molto grande; e non solo grande di misura, ma volevo fare qualcosa di grande, di più nella mia vita, anche se non conoscevo questa parola “c’è di più”. Crescere in altezza implica questo “c’è di più”. Ve lo dice il vostro cuore, che desidera avere tanti amici, che è contento quando si comporta bene, quando sa dare gioia al papà e alla mamma, ma soprattutto quando incontra un amico insuperabile, buonissimo e unico che è Gesù. Voi sapete quanto Gesù voleva bene ai bambini e ai ragazzi! Un giorno tanti bambini come voi si avvicinarono a Gesù, perché si era stabilita una bella intesa, e nel suo sguardo coglievano il riflesso dell’amore di Dio; ma c’erano anche degli adulti che invece si sentivano disturbati da quei bambini. Capita anche a voi che qualche volta, mentre giocate, vi divertite con gli amici, i grandi vi dicono di non disturbare… Ebbene, Gesù rimprovera proprio quegli adulti e dice loro: Lasciate qui tutti questi ragazzi, perché hanno nel cuore il segreto del Regno di Dio. Così Gesù ha insegnato agli adulti che anche voi siete “grandi” e che gli adulti devono custodire questa grandezza, che è quella di avere un cuore che vuole bene a Gesù. Cari bambini, cari ragazzi: essere “grandi” vuol dire amare tanto Gesù, ascoltarlo e parlare con Lui nella preghiera, incontrarlo nei Sacramenti, nella Santa Messa, nella Confessione; vuole dire conoscerlo sempre di più e anche farlo conoscere agli altri, vuol dire stare con gli amici, anche i più poveri, gli ammalati, per crescere insieme. E l’ACR è proprio parte di quel “di più”, perché non siete soli a voler bene a Gesù - siete in tanti, lo vediamo anche questa mattina! -, ma vi aiutate gli uni gli altri; perché non volete lasciare che nessun amico sia solo, ma a tutti volete dire forte che è bello avere Gesù come amico ed è bello essere amici di Gesù; ed è bello esserlo insieme, aiutati dai vostri genitori, sacerdoti, animatori! Così diventate grandi davvero, non solo perché la vostra altezza aumenta, ma perché il vostro cuore si apre alla gioia e all’amore che Gesù vi dona. E così si apre alla vera grandezza, stare nel grande amore di Dio, che è anche sempre amore degli amici. Speriamo e preghiamo di crescere in questo senso, di trovare il “di più” e di essere veramente persone con un cuore grande, con un Amico grande che dà la sua grandezza anche a noi. Grazie.

Domanda della giovanissima:

Santità, i nostri educatori dell’Azione Cattolica ci dicono che per diventare grandi occorre imparare ad amare, ma spesso noi ci perdiamo e soffriamo nelle nostre relazioni, nelle nostre amicizie, nei nostri primi amori. Ma cosa significa amare fino in fondo? Come possiamo imparare ad amare davvero?

Una grande questione. E’ molto importante, direi fondamentale imparare ad amare, amare veramente, imparare l’arte del vero amore! Nell’adolescenza ci si ferma davanti allo specchio e ci si accorge che si sta cambiando. Ma fino a quando si continua a guardare se stessi, non si diventa mai grandi! Diventate grandi quando non permettete più allo specchio di essere l’unica verità di voi stessi, ma quando la lasciate dire a quelli che vi sono amici. Diventate grandi se siete capaci di fare della vostra vita un dono agli altri, non di cercare se stessi, ma di dare se stessi agli altri: questa è la scuola dell’amore. Questo amore, però, deve portarsi dentro quel “di più” che oggi gridate a tutti. “C’è di più”! Come vi ho già detto, anch’io nella mia giovinezza volevo qualcosa di più di quello che mi presentava la società e la mentalità del tempo. Volevo respirare aria pura, soprattutto desideravo un mondo bello e buono, come lo aveva voluto per tutti il nostro Dio, il Padre di Gesù. E ho capito sempre di più che il mondo diventa bello e diventa buono se si conosce questa volontà di Dio e se il mondo è in corrispondenza con questa volontà di Dio, che è la vera luce, la bellezza, l’amore che dà senso al mondo.

E’ proprio vero: voi non potete e non dovete adattarvi ad un amore ridotto a merce di scambio, da consumare senza rispetto per sé e per gli altri, incapace di castità e di purezza. Questa non è libertà. Molto “amore” proposto dai media, in internet, non è amore, ma è egoismo, chiusura, vi dà l’illusione di un momento, ma non vi rende felici, non vi fa grandi, vi lega come una catena che soffoca i pensieri e i sentimenti più belli, gli slanci veri del cuore, quella forza insopprimibile che è l’amore e che trova in Gesù la sua massima espressione e nello Spirito Santo la forza e il fuoco che incendia le vostre vite, i vostri pensieri, i vostri affetti. Certo costa anche sacrificio vivere in modo vero l’amore - senza rinunce non si arriva a questa strada - ma sono sicuro che voi non avete paura della fatica di un amore impegnativo e autentico, E’ l’unico che, in fin dei conti, dà la vera gioia! C’è una prova che vi dice se il vostro amore sta crescendo bene: se non escludete dalla vostra vita gli altri, soprattutto i vostri amici che soffrono e sono soli, le persone in difficoltà, e se aprite il vostro cuore al grande Amico che è Gesù. Anche l’Azione Cattolica vi insegna le strade per imparare l’amore autentico: la partecipazione alla vita della Chiesa, della vostra comunità cristiana, il voler bene ai vostri amici del gruppo di ACR, di AC, la disponibilità verso i coetanei che incontrate a scuola, in parrocchia o in altri ambienti, la compagnia della Madre di Gesù, Maria, che sa custodire il vostro cuore e guidarvi nella via del bene. Del resto, nell’Azione Cattolica, avete tanti esempi di amore genuino, bello, vero: il beato Pier Giorgio Frassati, il beato Alberto Marvelli; amore che arriva anche al sacrificio della vita, come la beata Pierina Morosini e la beata Antonia Mesina.

Giovanissimi di Azione Cattolica, aspirate a mete grandi, perché Dio ve ne dà la forza. Il “di più” è essere ragazzi e giovanissimi che decidono di amare come Gesù, di essere protagonisti della propria vita, protagonisti nella Chiesa, testimoni della fede tra i vostri coetanei. Il “di più” è la formazione umana e cristiana che sperimentate in AC, che unisce la vita spirituale, la fraternità, la testimonianza pubblica della fede, la comunione ecclesiale, l’amore per la Chiesa, la collaborazione con i Vescovi e i sacerdoti, l’amicizia spirituale. “Diventare grandi insieme” dice l’importanza di far parte di un gruppo e di una comunità che vi aiutano a crescere, a scoprire la vostra vocazione e a imparare il vero amore. Grazie.

Domanda dell’educatrice:

Santità, cosa significa oggi essere educatori? Come affrontare le difficoltà che incontriamo nel nostro servizio? E come fare in modo che siano tutti a prendersi cura del presente e del futuro delle nuove generazioni? Grazie.

Una grande domanda. Lo vediamo in questa situazione del problema dell’educazione. Direi che essere educatori significa avere una gioia nel cuore e comunicarla a tutti per rendere bella e buona la vita; significa offrire ragioni e traguardi per il cammino della vita, offrire la bellezza della persona di Gesù e far innamorare di Lui, del suo stile di vita, della sua libertà, del suo grande amore pieno di fiducia in Dio Padre. Significa soprattutto tenere sempre alta la meta di ogni esistenza verso quel “di più” che ci viene da Dio. Questo esige una conoscenza personale di Gesù, un contatto personale, quotidiano, amorevole con Lui nella preghiera, nella meditazione sulla Parola di Dio, nella fedeltà ai Sacramenti, all’Eucaristia, alla Confessione; esige di comunicare la gioia di essere nella Chiesa, di avere amici con cui condividere non solo le difficoltà, ma anche le bellezze e le sorprese della vita di fede.

Voi sapete bene che non siete padroni dei ragazzi, ma servitori della loro gioia a nome di Gesù, guide verso di Lui. Avete ricevuto il mandato dalla Chiesa per questo compito. Quando aderite all’Azione Cattolica dite a voi stessi e a tutti che amate la Chiesa, che siete disposti ad essere corresponsabili con i Pastori della sua vita e della sua missione, in un’associazione che si spende per il bene delle persone, per i loro e vostri cammini di santità, per la vita delle comunità cristiane nella quotidianità della loro missione. Voi siete dei buoni educatori se sapete coinvolgere tutti per il bene dei più giovani. Non potete essere autosufficienti, ma dovete far sentire l’urgenza dell’educazione delle giovani generazioni a tutti i livelli. Senza la presenza della famiglia, ad esempio, rischiate di costruire sulla sabbia; senza una collaborazione con la scuola non si forma un’intelligenza profonda della fede; senza un coinvolgimento dei vari operatori del tempo libero e della comunicazione la vostra opera paziente rischia di non essere efficace, di non incidere sulla vita quotidiana. Io sono sicuro che l’Azione Cattolica è ben radicata nel territorio e ha il coraggio di essere sale e luce. La vostra presenza qui, stamattina, dice non solo a me, ma a tutti che è possibile educare, che è faticoso ma bello dare entusiasmo ai ragazzi e ai giovanissimi. Abbiate il coraggio, vorrei dire l’audacia di non lasciare nessun ambiente privo di Gesù, della sua tenerezza che fate sperimentare a tutti, anche ai più bisognosi e abbandonati, con la vostra missione di educatori.

Cari amici, alla fine vi ringrazio per aver partecipato a questo incontro. Mi piacerebbe fermarmi ancora con voi, perché quando sono in mezzo a tanta gioia ed entusiasmo, anche io sono pieno di gioia, mi sento ringiovanito! Ma purtroppo il tempo passa veloce, mi aspettano altri. Ma col cuore sono con voi e rimango con voi! E vi invito, cari amici, a continuare nel vostro cammino, ad essere fedeli all’identità e alla finalità dell’Azione Cattolica. La forza dell’amore di Dio può compiere in voi grandi cose. Vi assicuro che mi ricordo di tutti nella mia preghiera e vi affido alla materna intercessione della Vergine Maria, Madre della Chiesa, perché come lei possiate testimoniare che “c’è di più”, la gioia della vita piena della presenza del Signore. Grazie a tutti voi di cuore!



AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL BRASILE (REGIONE SUL II) IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM» Venerdì, 5 novembre 2010

51110

Venerati Fratelli nell'Episcopato,

"Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo" (
Rm 15,13), al fine di guidare il vostro popolo alla pienezza della salvezza in Cristo. Saluto di cuore tutti e ognuno di voi, amati pastori del regionale Sul 2 in visita ad limina Apostolorum, e ringrazio per le parole che mi ha rivolto il vostro presidente, monsignor Moacyr, che si è fatto interprete dei sentimenti di comunione che vi uniscono al Successore di Pietro. Per tutto ciò vi sono grato. Questa casa è anche la vostra: siate i benvenuti! In essa potete sperimentare l'universalità della Chiesa di Cristo che si estende fino agli estremi confini della terra.
A sua volta, ognuna delle vostre Chiese particolari, cari vescovi, è il generoso punto di arrivo di una missione universale, l'affiorare "qui e ora" della Chiesa universale. In questo caso, la giusta relazione fra "universale" e "particolare" si verifica non quando l'universale retrocede di fronte al particolare, ma quando il particolare si apre all'universale e si lascia attrarre e valorizzare da esso. Nell'idea divina, la Chiesa è una sola: il Corpo di Cristo, la Sposa dell'Agnello, la Gerusalemme celeste, quella Città definitiva che sarebbe l'obiettivo più profondo della creazione, voluta come un luogo dove si realizza la volontà di Dio e la terra diventa cielo. Vi ricordo questi principi, non perché i li ignorate, ma perché ci aiutano a situare bene le persone consacrate nella Chiesa. In effetti, in essa l'unità e la pluralità non solo non si oppongono ma si arricchiscono anche reciprocamente, nella misura in cui ricercano l'edificazione dell'unico Corpo di Cristo, la Chiesa, per mezzo dell'amore "che le unisce in modo perfetto" (Col 3,14).

Porzione eletta del Popolo di Dio, i consacrati e le consacrate ricordano oggi "una pianta dai molti rami, che affonda le sue radici nel Vangelo e produce frutti copiosi in ogni stagione della Chiesa" (Esortazione apostolica Vita consecrata VC 5). Essendo la carità il primo frutto dello Spirito (cfr. Gal Ga 5,22) e il più grande di tutti i carismi (cfr. 1Co 12,31), la comunità religiosa arricchisce la Chiesa, della quale è parte viva, prima di tutto con il suo amore: ama la sua Chiesa particolare, l'arricchisce con i suoi carismi e l'apre a una dimensione più universale. Le delicate relazioni fra le esigenze pastorali della Chiesa particolare e la specificità carismatica della comunità religiosa sono state trattate dal documento Mutuae relationes,al quale è estranea sia l'idea di isolamento e d'indipendenza della comunità religiosa in rapporto alla Chiesa particolare, sia l'idea del suo pratico assorbimento nell'ambito della Chiesa particolare. "Come la comunità religiosa non può agire indipendentemente o in alternativa o meno ancora contro le direttive e la pastorale della Chiesa particolare, così la Chiesa particolare non può disporre a suo piacimento, secondo le sue necessità, della comunità religiosa o di alcuni suoi membri" (Documento La vita fraterna in comunità, n. 60).

Dinanzi alla diminuzione dei membri in molti istituti e al loro invecchiamento, evidente in alcune parti del mondo, molti si chiedono se la vita consacrata sia ancora oggi una proposta capace di attrarre i giovani e le giovani. Sappiamo bene, cari vescovi, che le varie famiglie religiose, dalla vita monastica alle congregazioni religiose e alle società di vita apostolica, dagli istituti secolari alle nuove forme di consacrazione, hanno avuto la propria origine nella storia, ma la vita consacrata come tale ha avuto origine con il Signore stesso che scelse per sé questa forma di vita verginale, povera e obbediente. Per questo la vita consacrata non potrà mai mancare né morire nella Chiesa: fu voluta da Gesù stesso come porzione irremovibile della sua Chiesa. Da qui l'appello all'impegno generale nella pastorale vocazionale: se la vita consacrata è un bene di tutta la Chiesa, qualcosa che interessa tutti, anche la pastorale che mira a promuovere le vocazioni alla vita consacrata deve essere un impegno sentito da tutti: vescovi, sacerdoti, consacrati e laici.

Pertanto, come afferma il decreto conciliare Perfectae caritatis, "l'aggiornamento degli istituti dipende in massima parte dalla formazione dei loro membri" (n. 18). Si tratta di un'affermazione fondamentale per ogni forma di vita consacrata. La capacità formativa di un istituto, sia nella sua fase iniziale sia nelle fasi successive, è al centro di tutto il processo di rinnovamento. "Se, infatti, la vita consacrata è in se stessa una "progressiva assimilazione dei sentimenti di Cristo", sembra evidente che tale cammino non potrà che durare tutta l'esistenza, per coinvolgere tutta la persona (...) e renderla simile al Figlio che si dona al Padre per l'umanità. Così concepita la formazione non è più solo tempo pedagogico di preparazione ai voti, ma rappresenta un modo teologico di pensare la vita consacrata stessa, che è in sé formazione mai terminata "partecipazione all'azione del Padre che, mediante lo Spirito, plasma nel cuore i sentimenti del Figlio"" (Istruzione Ripartire da Cristo, n. 15).

Nel modo che ritenete più opportuno, venerati fratelli, fate giungere alle vostre comunità di consacrati e di consacrate, indipendentemente dal servizio claustrale o apostolico che stanno svolgendo, la viva gratitudine del Papa che di tutte e di tutti si ricorda nelle sue preghiere, e soprattutto degli anziani e dei malati, di quanti attraversano momenti di crisi e di solitudine, di chi soffre e si sente confuso e anche dei giovani e delle giovani che oggi bussano alla porta delle loro Case e chiedono di potersi dedicare a Gesù Cristo nella radicalità del Vangelo. Ora, invocando la celeste protezione di Maria, modello perfetto di consacrazione a Cristo, vi confermo ancora una volta la mia stima fraterna e vi imparto una propiziatoria Benedizione Apostolica, che estendo a tutti i fedeli affidati alla vostra sollecitudine pastorale.



VIAGGIO APOSTOLICO A SANTIAGO DE COMPOSTELA E BARCELONA

(6-7 NOVEMBRE 2010)



INTERVISTA AI GIORNALISTI DURANTE IL VOLO VERSO LA SPAGNA Volo Papale Sabato, 6 novembre 2010

61110

P. Lombardi. Santità, benvenuto per questo abituale incontro con i colleghi giornalisti all’inizio di questo bel viaggio. E’ un viaggio breve, ma un viaggio che suscita molto interesse. Posso dire che secondo le informazioni dei giorni scorsi, in Spagna ci sono più di 3.000 giornalisti accreditati per seguire, tra Santiago e Barcellona, di oltre 300 testate diverse. Quindi, c’è veramente molto interesse. E qui, nel volo, con lei, abbiamo 61 giornalisti, 61 colleghi, e c’è una grossa rappresentanza spagnola, naturalmente: otto sono i colleghi spagnoli accreditati a Roma, che viaggiano con Lei, e otto sono i colleghi spagnoli venuti apposta dalla Spagna per fare tutto il viaggio, compreso questo volo, con Lei. Voglio segnalare la presenza della televisione di Galizia, della televisione di Catalogna che garantiranno la copertura completa degli eventi di questo viaggio, anche con il loro lavoro, e ne siamo molto grati.

Allora, come al solito, Le propongo alcune domande che sono state formulate dai colleghi in questi giorni e che poi abbiamo scelto con un criterio di interesse comune per illuminare il significato di questo viaggio. Partiamo naturalmente da Santiago:

Santità, nel messaggio per il recente Congresso dei Santuari che si svolgeva proprio a Santiago de Compostela, Lei ha detto di vivere il suo pontificato “con i sentimenti del pellegrino”. Anche nel Suo stemma, c’è la conchiglia del pellegrino. Vuole dirci qualcosa sulla prospettiva del pellegrinaggio, anche nella Sua vita personale e nella Sua spiritualità, e sui sentimenti con cui si reca come pellegrino a Santiago?

Il Santo Padre. Buongiorno! Potrei dire che l’essere in cammino è già iscritto nella mia biografia – Marktl, Tittmoning, Aschau, Traunstein, München, Freising, Bonn, Münster, Tübingen, Regensburg, München, Roma – ma forse questa è una cosa esteriore. Tuttavia, mi ha fatto pensare all’instabilità di questa vita, l’essere in cammino … Naturalmente, contro il pellegrinaggio uno potrebbe dire: Dio è dappertutto, non c’è bisogno di andare in un altro luogo. Ma è anche vero che la fede, secondo la sua essenza, è un “essere pellegrino”.

La Lettera agli Ebrei dimostra che cosa sia fede nella figura di Abramo, che esce dalla sua terra e rimane un pellegrino verso il futuro per tutta la sua vita; e questo movimento abramico rimane nell’atto della fede, è un essere pellegrino soprattutto interiormente, ma deve anche esprimersi esteriormente. Qualche volta, uscire dalla quotidianità, dal mondo dell’utile, dell’utilitarismo, uscire solo per essere realmente in cammino verso la trascendenza; trascendere se stesso, trascendere la quotidianità e così trovare anche una nuova libertà, un tempo di ripensamento interiore, di identificazione di se stesso, di vedere l’altro, Dio, e così è anche il pellegrinaggio, sempre: non solo un uscire da se stesso verso il più grande, ma anche un andare insieme. Il pellegrinaggio riunisce: andiamo insieme verso l’altro e così ci troviamo reciprocamente. Basta dire che i cammini di San Giacomo sono un elemento nella formazione dell’unità spirituale del Continente europeo. Qui, peregrinando, si sono trovati, hanno trovato l’identità comune europea, e anche oggi rinasce questo movimento, questo bisogno di essere in movimento spiritualmente e fisicamente, di trovarsi l’un l’altro e di trovare così silenzio, libertà, rinnovamento, e trovare Dio.

P. Lombardi. Grazie, Santità. E adesso spostiamo lo sguardo verso Barcellona. Quale significato può avere la consacrazione di un tempio come la Sagrada Familia all’inizio del secolo XXI? E c’è qualche aspetto specifico della visione di Gaudí che L’ha colpita in particolare?

Il Santo Padre. In realtà, questa cattedrale è anche un segno proprio per il nostro tempo. Trovo nella visione di Gaudí soprattutto tre elementi.

Il primo, questa sintesi tra continuità e novità, tradizione e creatività. Gaudí ha avuto questo coraggio di inserirsi nella grande tradizione delle cattedrali, di osare di nuovo, nel suo secolo - con una visione totalmente nuova - questa realtà: la cattedrale luogo dell’incontro tra Dio e l’uomo, in una grande solennità; e questo coraggio di rimanere nella tradizione, ma con un creatività nuova, che rinnova la tradizione e dimostra così l’unità della storia e il progresso della storia, è una cosa bella.

Secondo. Gaudí voleva questo trinomio: libro della Natura, libro della Scrittura, libro della Liturgia. E questa sintesi proprio oggi è di grande importanza. Nella liturgia, la Scrittura diventa presente, diventa realtà oggi: non è più una Scrittura di duemila anni fa, ma va celebrata, realizzata. E nella celebrazione della Scrittura parla la creazione, parla il creato e trova la sua vera risposta, perché, come ci dice san Paolo, la creatura soffre, e, invece di essere distrutta, disprezzata, aspetta i figli di Dio, cioè quelli che la vedono nella luce di Dio. E così - penso - questa sintesi tra senso del creato, Scrittura e adorazione è proprio un messaggio molto importante per l’oggi.

E, infine - terzo punto - questa cattedrale è nata da una devozione tipica dell’Ottocento: san Giuseppe, la Sacra Famiglia di Nazareth, il mistero di Nazareth. Ma proprio questa devozione di ieri, si potrebbe dire, è di grandissima attualità, perché il problema della famiglia, del rinnovamento della famiglia come cellula fondamentale della società, è il grande tema di oggi e ci indica dove possiamo andare sia nella costruzione della società sia nella unità tra fede e vita, tra religione e società. Famiglia è il tema fondamentale che si esprime qui, dicendo che Dio stesso si è fatto figlio in una famiglia e ci chiama a costruire e vivere la famiglia.

P. Lombardi. Gaudí e la Sagrada Familia rappresentano con particolare efficacia il binomio fede-arte. Come può la fede ritrovare oggi il suo posto nel mondo dell’arte e della cultura? E’ questo uno dei temi importanti del Suo pontificato?

Il Santo Padre. E’ così. Voi sapete che io insisto molto sulla relazione tra fede e ragione, che la fede, e la fede cristiana, ha la sua identità solo nell’apertura alla ragione, e che la ragione diventa se stessa se si trascende verso la fede. Ma ugualmente importante è la relazione tra fede e arte, perché la verità, scopo, meta della ragione, si esprime nella bellezza e diventa se stessa nella bellezza, si prova come verità. Quindi dove c’è la verità deve nascere la bellezza, dove l’essere umano si realizza in modo corretto, buono, si esprime nella bellezza. La relazione tra verità e bellezza è inscindibile e perciò abbiamo bisogno della bellezza. Nella Chiesa, dall’inizio, anche nella grande modestia e povertà del tempo delle persecuzioni, l’arte, la pittura, l’esprimersi della salvezza di Dio nelle immagini del mondo, il canto, e poi anche l’edificio, tutto questo è costitutivo per la Chiesa e rimane costitutivo per sempre. Così la Chiesa è stata madre delle arti per secoli e secoli: il grande tesoro dell’arte occidentale - sia musica, sia architettura, sia pittura - è nato dalla fede all’interno della Chiesa. Oggi c’è un certo “dissenso”, ma questo fa male sia all’arte, sia alla fede: l’arte che perdesse la radice della trascendenza, non andrebbe più verso Dio, sarebbe un’arte dimezzata, perderebbe la radice viva; e una fede che avesse l’arte solo nel passato, non sarebbe più fede nel presente; ed oggi deve esprimersi di nuovo come verità, che è sempre presente. Perciò il dialogo o l’incontro, direi l’insieme, tra arte e fede è inscritto nella più profonda essenza della fede; dobbiamo fare di tutto perché anche oggi la fede si esprima in autentica arte, come Gaudí, nella continuità e nella novità, e che l’arte non perda il contatto con la fede.

P. Lombardi. In questi mesi si sta avviando il nuovo Dicastero per la “nuova evangelizzazione”. E molti si sono domandati se proprio la Spagna, con gli sviluppi della secolarizzazione e della diminuzione rapida della pratica religiosa, sia uno dei Paesi a cui Lei ha pensato come obiettivo per questo nuovo Dicastero, o addirittura se non ne sia l’obiettivo principale. Questa è la nostra domanda.

Il Santo Padre. Con questo Dicastero ho pensato di per sé al mondo intero perché la novità del pensiero, la difficoltà di pensare nei concetti della Scrittura, della teologia, è universale, ma c’è naturalmente un centro e questo è il mondo occidentale con il suo secolarismo, la sua laicità, e la continuità della fede che deve cercare di rinnovarsi per essere fede oggi e per rispondere alla sfida della laicità. Nell’Occidente tutti i grandi Paesi hanno il loro proprio modo di vivere questo problema: abbiamo avuto ad esempio i viaggi in Francia, nella Repubblica Ceca, nel Regno Unito, dove dappertutto è presente in modo specifico per ciascuna nazione, per ciascuna storia, lo stesso problema, e questo vale anche in modo forte per la Spagna. La Spagna è stata, da sempre, un Paese “originario” della fede; pensiamo che la rinascita del cattolicesimo nell’epoca moderna avviene soprattutto grazie alla Spagna; figure come sant’Ignazio di Loyola, santa Teresa d’Avila e san Giovanni d’Avila, sono figure che hanno realmente rinnovato il cattolicesimo, hanno formato la fisionomia del cattolicesimo moderno. Ma è ugualmente vero che in Spagna è nata anche una laicità, un anticlericalismo, un secolarismo forte e aggressivo, come abbiamo visto proprio negli anni Trenta, e questa disputa, più questo scontro tra fede e modernità, ambedue molto vivaci, si realizza anche oggi di nuovo in Spagna: perciò per il futuro della fede e dell’incontro - non lo scontro, ma l’incontro tra fede e laicità - ha un punto centrale anche proprio nella cultura spagnola. In questo senso, ho pensato a tutti i grandi Paesi dell’Occidente, ma soprattutto anche alla Spagna.

P. Lombardi. Con il viaggio a Madrid dell’anno prossimo per la Giornata Mondiale della Gioventù, Lei avrà fatto tre viaggi in Spagna, cosa che non avviene per nessun altro Paese. Come mai questo privilegio? E’ un segno di amore o di particolare preoccupazione?

Il Santo Padre. Naturalmente è un segno di amore. Si potrebbe dire che è per caso che vengo tre volte in Spagna. La prima, il grande incontro internazionale delle famiglie, a Valencia: come potrebbe essere assente il Papa, se le famiglie del mondo si incontrano? Il prossimo anno la Gmg, l’incontro della gioventù del mondo a Madrid, e il Papa non può essere assente in questa occasione. E, infine, abbiamo l’Anno Santo di San Giacomo, abbiamo la consacrazione, dopo più di cento anni di lavoro, della cattedrale della Sagrada Familia di Barcellona, come potrebbe non venire il Papa? Di per sé, quindi, le occasioni sono le sfide, quasi una necessità di andarci, ma il fatto che proprio in Spagna si concentrino tante occasioni, mostra anche che è realmente un Paese pieno di dinamismo, pieno di forza della fede, e la fede risponde alle sfide che sono ugualmente presenti in Spagna; perciò diciamo: il caso ha fatto sì che venga, ma questo caso dimostra una realtà più profonda, la forza della fede e la forza della sfida per la fede.

P. Lombardi. Grazie, Santità. E ora se vuole dire qualche altra cosa per concludere questo nostro incontro. C’è qualche messaggio particolare che Lei spera di dare alla Spagna e al mondo di oggi con questo viaggio?

Il Santo Padre. Io direi che questo viaggio ha due temi. Ha il tema del pellegrinaggio, dell’essere in cammino, e ha il tema della bellezza, della espressione della verità nella bellezza, della continuità tra tradizione e rinnovamento. Io penso che questi due temi del viaggio siano anche un messaggio: essere in cammino, non perdere il cammino della fede, cercare la bellezza della fede, la novità e la tradizione della fede che sa esprimersi e sa incontrarsi con la bellezza moderna, con il mondo di oggi. Grazie.

P. Lombardi. Grazie a Lei, Santità, di avere passato questo tempo con noi e di averci dato anche queste risposte così belle. Credo che questo viaggio sia in particolare un bel viaggio per i temi che affronta, per le circostanze che andremo a vivere insieme e credo che tutti noi che siamo qui presenti come comunicatori cercheremo di accompagnare e collaborare nel modo migliore perché Lei possa dare il Suo messaggio di gioia e di speranza. Grazie, Santità!






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