Discorsi 2005-13 27129

PRANZO CON I POVERI ASSISTITI DALLA COMUNITÀ DI SANT'EGIDIO NELLA SEDE ROMANA DI TRASTEVERE Domenica, 27 dicembre 2009

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AL TERMINE DEL PRANZO - SALUTO FINALE



Cari Amici!

È per me un’esperienza commovente essere con voi, essere qui nella famiglia della Comunità di Sant’Egidio, essere con gli amici di Gesù, perché Gesù ama specialmente le persone sofferenti, le persone con difficoltà, e vuole averli come i suoi fratelli e sorelle. Grazie per questa possibilità! Sono molto lieto e ringrazio quanti con amore e competenza hanno preparato il cibo – realmente ho sentito la competenza di questa cucina, complimenti! – e anche per quelli che lo hanno servito celermente così che in un’ora abbiamo fatto un grande pranzo. Grazie e complimenti! Rivolgo il mio cordiale pensiero al Vicegerente, Mons. Luigi Moretti, e a Mons. Vincenzo Paglia, Vescovo di Terni-Narni-Amelia. Saluto con affetto il Prof. Andrea Riccardi, Fondatore della Comunità – amico da tanto tempo, come anche Mons. Paglia e Mons. Spreafico - ringraziandolo per le cortesi e profonde parole che ha voluto indirizzarmi. Con il prof. Riccardi saluto anche il Presidente Prof. Marco Impagliazzo, il Parroco di Santa Maria in Trastevere, Mons. Matteo Zuppi, Assistente ecclesiastico. Rivolgo infine un particolare pensiero a tutti gli amici di Sant'Egidio e a ciascuno dei presenti. Durante il pranzo ho potuto conoscere un po’ la storia di alcuni, come riflesso delle situazioni umane qui presenti, ho ascoltato vicende dolorose e cariche di umanità, anche storie di un amore ritrovato qui a Sant’Egidio: esperienze di anziani, emigrati, gente senza fissa dimora, zingari, disabili, persone con problemi economici o altre difficoltà, tutti, in un modo o nell’altro, provati dalla vita. Sono qui tra voi per dirvi che vi sono vicino e vi voglio bene e che le vostre persone e le vostre vicende non sono lontane dai miei pensieri, ma al centro e nel cuore della Comunità dei credenti e così anche nel mio cuore.

Attraverso gesti di amore di quanti seguono Gesù diventa visibile la verità che “(Dio) per primo ci ha amati e continua ad amarci per primo; per questo anche noi possiamo rispondere con l’amore” (Enc. Deus caritas est ). Gesù dice: “ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (
Mt 25,35-36). E conclude: “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me” (v. 40). Ascoltando queste parole, come non sentirsi davvero amici di quelli in cui il Signore si riconosce? E non solo amici, ma anche familiari. Sono venuto tra voi proprio nella Festa della Santa Famiglia, perché, in un certo senso, essa vi assomiglia. Infatti, anche la Famiglia di Gesù, fin dai suoi primi passi, ha incontrato difficoltà: ha vissuto il disagio di non trovare ospitalità, fu costretta ad emigrare in Egitto per la violenza del Re Erode. Voi sapete bene cosa significa difficoltà, ma avete qui qualcuno che vi vuole bene e vi aiuta, anzi, qualcuno qui ha trovato la sua famiglia grazie al servizio premuroso della Comunità di Sant'Egidio, che offre un segno dell’amore di Dio per i poveri.

Qui oggi si realizza quanto avviene a casa: chi serve e aiuta si confonde con chi è aiutato e servito, e al primo posto si trova chi è maggiormente nel bisogno. Mi torna alla mente l’espressione del Salmo: “Ecco, come è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme” (Ps 133,1). L'impegno di far sentire in famiglia chi è solo o nel bisogno, così lodevolmente portato avanti dalla Comunità di Sant’Egidio, nasce dall’ascolto attento della Parola di Dio e dalla preghiera. Desidero incoraggiare tutti a perseverare in questo cammino di fede. Con le parole di San Giovanni Crisostomo vorrei ricordare a ciascuno: “Pensa che diventi sacerdote di Cristo, dando con la tua propria mano non carne ma pane, non sangue ma un bicchiere d'acqua” (Omelie sul Vangelo di Mt 42,3). Quale ricchezza offre alla vita l’amore di Dio, che si esprime nel servizio concreto verso i fratelli che sono nella necessità! San Lorenzo, diacono della Chiesa di Roma, quando i Magistrati romani di quel tempo gli intimarono di consegnare i tesori della Chiesa, egli mostrò i poveri di Roma come il vero tesoro della Chiesa. Ricordando il gesto di san Lorenzo possiamo ben dire che anche per voi poveri siete il tesoro prezioso della Chiesa.

Amare, servire dona la gioia del Signore, che dice: “Si è più beati nel dare che nel ricevere” (Ac 20,35). In questo tempo di particolari difficoltà economiche ciascuno sia segno di speranza e testimone di un mondo nuovo per chi, chiuso nel proprio egoismo e illuso di poter essere felice da solo, vive nella tristezza o in una gioia effimera che lascia il cuore vuoto.

Sono trascorsi pochi giorni dal Santo Natale: Dio si è fatto Bambino, si è fatto vicino a noi per dirci che ci ama ed ha bisogno del nostro amore. A tutti auguro con affetto buone feste e la gioia di sperimentare sempre di più l’amore di Dio. Invoco la protezione della Vergine della Visitazione, Colei che ci insegna ad andare “in fretta” verso i bisogni dei fratelli, e con affetto vi benedico.
* * *


Prima di lasciare la Comunità il Santo Padre ha pronunciato le seguenti parole:
Cari fratelli e sorelle,

dopo aver partecipato al pranzo di festa nella Mensa della Comunità di Sant'Egidio e aver salutato alcuni studenti della Scuola di Lingua e di Cultura della Comunità, rivolgo i più calorosi auguri a voi che non siete potuti entrare, ma che avete preso parte a questo incontro dall’esterno, mi dicono già da un’ora o due. Grazie!

Tante persone, provenienti da vari Paesi, segnate dal bisogno, si ritrovano qui per cercare una parola, un aiuto, una luce per un futuro migliore. Impegnatevi perché nessuno sia solo, nessuno sia emarginato, nessuno sia abbandonato.

C'è una lingua, che al di là delle differenti lingue, tutto unisce: quella dell'amore. Come dice l'apostolo Paolo: “Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita” (1Co 13,1). È questa la lingua anche di questa Scuola, che dobbiamo apprendere e praticare sempre di più. Ce lo insegna il Bambino Gesù, Dio che per amore si è fatto uno di noi e parla innanzitutto con la sua presenza, con la sua umiltà di essere un Bambino che si fa dipendente dal nostro amore. Questa lingua renderà migliori la nostra città e il mondo.

Vi benedico tutti con affetto e con riconoscenza per quanto fate per i poveri, in vista della costruzione della civiltà dell’amore. Grazie a tutti voi. Buone Feste e Buon Anno!






A S.E. IL SIGNOR KENAN GÜRSOY, NUOVO AMBASCIATORE DI TURCHIA PRESSO LA SANTA SEDE Giovedì, 7 gennaio 2010

7010

Signor Ambasciatore,

sono lieto di accoglierla in Vaticano e di accettare le Lettere che la accreditano quale Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario della Repubblica di Turchia presso la Santa Sede. La ringrazio per le parole cordiali e per i saluti che mi porge da parte del suo Presidente, sua Eccellenza Abdullah Gül. La prego di trasmettergli i miei buoni auspici e di assicurarlo delle mie preghiere costanti per il benessere e la prosperità di tutti i cittadini del suo Paese.

Come Lei, Eccellenza, ha osservato, ci avviciniamo rapidamente al cinquantesimo anniversario dell'instaurazione di relazioni diplomatiche fra la Turchia e la Santa Sede, un frutto del pontificato del mio predecessore Papa Giovanni XXIII, che fu Delegato Apostolico a Istanbul e il cui affetto per il popolo turco è ben noto. Negli ultimi cinquant'anni si è ottenuto molto nelle aree di interesse comune che Lei ha indicato, e confido nel fatto che queste relazioni cordiali possano divenire più profonde e più solide in seguito alla collaborazione costante in molte e importanti questioni che attualmente sorgono negli affari multilaterali.

Ricordo con grande piacere la mia visita nel vostro Paese, nel 2006, quando ho potuto porgere i miei omaggi al popolo turco e ai membri del suo Governo. Colgo quest'opportunità per rinnovare il mio apprezzamento per l'accoglienza calorosa che ho ricevuto. Uno dei momenti salienti di quella visita è stato il mio incontro con il Patriarca Bartolomeo I presso il Fanar. Nella Repubblica laica di Turchia, accanto alla popolazione musulmana predominante, le comunità cristiane sono orgogliose di svolgere il proprio ruolo, consapevoli della loro antica eredità e del contributo significativo che hanno reso alla civiltà, non solo del suo Paese, ma anche di tutta l'Europa. Durante le recenti celebrazioni del bimillenario della nascita di Paolo di Tarso, tale eredità cristiana è divenuta un punto focale di particolare attenzione nel mondo, e desidero esprimere l'apprezzamento dei cristiani ovunque per i progressi compiuti per facilitare pellegrinaggi e celebrazioni liturgiche nei siti associati al grande Apostolo.

La mia visita in Turchia mi ha anche offerto la gradita opportunità di salutare i membri della comunità musulmana. Infatti, è stata la mia prima visita come Pontefice in un Paese a predominanza islamica.

Sono stato lieto di poter esprimere stima ai musulmani e di poter reiterare l'impegno della Chiesa cattolica per far progredire il dialogo interreligioso in uno spirito di rispetto e di amicizia reciproci, recando testimonianza congiunta della salda fede in Dio che caratterizza cristiani e musulmani, lottando per conoscerci meglio reciprocamente al fine di rafforzare i vincoli di affetto fra noi (cfr. Discorso, Incontro con il Presidente del Dipartimento per gli Affari Religiosi, Ankara, 28 novembre 2006). Prego con fervore affinché questo processo conduca a una maggiore fiducia fra individui, comunità e popolazioni, in particolare nelle aree turbolente del Medio Oriente.

In Turchia i cattolici apprezzano la libertà di culto che è garantita dalla Costituzione e sono lieti di poter contribuire al benessere dei loro concittadini, in particolare attraverso l'impegno nell'attività caritativa e nella sanità. Sono giustamente orgogliosi dell'assistenza offerta ai poveri dagli ospedali La Paix e Saint Georges a Istanbul. Affinché questi degni sforzi possano prosperare, sono certo che il Governo continuerà a fare il possibile perché essi ricevano tutto il sostegno necessario.

Inoltre, la Chiesa cattolica in Turchia attende il riconoscimento giuridico civile. Ciò le permetterebbe di godere della piena libertà religiosa e di apportare un contributo maggiore alla società.

In quanto Stato democratico laico, tagliato in due dal confine fra Europa e Asia, la Turchia è nella posizione giusta per fungere da ponte fra l'islam e l'Occidente e per rendere un contributo importante allo sforzo di portare pace e stabilità in Medio Oriente. La Santa Sede apprezza le numerose iniziative che la Turchia ha già intrapreso a questo proposito ed è orgogliosa di sostenere sforzi ulteriori per porre fine a conflitti annosi nella regione. Come la storia ha spesso dimostrato, le dispute territoriali e le rivalità etniche si possono risolvere in maniera soddisfacente soltanto quando le aspirazioni legittime di ciascuna parte sono doverosamente prese in considerazione, le ingiustizie passate riconosciute e, se possibile, riparate. L'assicuro, Eccellenza, dell'alta priorità che la Santa Sede assegna alla ricerca di soluzioni giuste e durature a tutti i conflitti della regione e della sua disponibilità a porre le risorse diplomatiche al servizio della pace e della riconciliazione.

Nel porgerle i miei migliori auspici per il successo della sua missione, desidero assicurarla del fatto che i vari dicasteri della Curia Romana saranno sempre lieti di offrirle aiuto e sostegno nello svolgimento dei suoi compiti. Su di lei, Eccellenza, sulla sua famiglia e su tutto il popolo della Repubblica di Turchia invoco di cuore le benedizioni abbondanti dell'Onnipotente.




AI CARABINIERI DELLA COMPAGNIA ROMA SAN PIETRO Sala Clementina Giovedì, 7 gennaio 2010

7210

Venerato Fratello,
Signor Comandante Generale,
Signori Generali,
Signor Comandante e cari Carabinieri
della Compagnia Roma San Pietro!

Sono lieto di accogliervi e di rivolgere a ciascuno il mio cordiale benvenuto. Saluto l’Arcivescovo Mons. Vincenzo Pelvi, Ordinario Militare per l’Italia, e il Comandate Generale dell’Arma dei Carabinieri, Signor Generale Leonardo Gallitelli, ringraziandolo per le cortesi espressioni che mi ha indirizzato a nome dei presenti. Con loro saluto gli altri Signori Generali e Ufficiali, il Comandante Provinciale dell’Arma, Signor Generale Vittorio Tomasone, e il Comandante della Compagnia San Pietro, Capitano Gabriele De Pascalis. A tutti il mio grazie, in particolare a voi, cari Carabinieri, per la diligente opera che svolgete con la presenza vigile e discreta attorno al Vaticano.

Il vostro impegno contribuisce a dare sicurezza e serenità ai pellegrini e ai visitatori che giungono presso il centro della fede cattolica e permette loro il necessario raccoglimento spirituale nella visita alla Tomba dell’apostolo Pietro e alla Basilica che la racchiude. Crea, inoltre, il clima favorevole per l’incontro con il Successore di Pietro, cui Cristo ha affidato il compito di confermare i fratelli nella fede (cfr
Lc 22,31). Come suggerisce il maestoso colonnato del Bernini, la casa di Pietro è sempre aperta per accogliere, in un ideale abbraccio, i credenti e tutti gli uomini di buona volontà, che dal Magistero dei Pontefici romani ricevono luce e incoraggiamento per crescere nella fede e diventare costruttori di pace e di serena e civile convivenza. Di questo pacifico e intenso convenire di persone diverse per età, origine e cultura, voi siete testimoni, tutori e garanti, silenziosi e diligenti, ma pur tanto necessari e preziosi.

Anche le Feste Natalizie, da poco trascorse, hanno permesso a tanti di apprezzare il vostro lavoro umile, ma indispensabile, perché il pellegrinaggio a Roma costituisca per ciascun visitatore un’occasione unica per sperimentare la gioia della fede e i valori della fratellanza, dell’accoglienza e del rispetto reciproco, sull’esempio di Colui che essendo Dio è diventato Bambino per amore nostro.

Grazie ancora, cari amici, per la vostra collaborazione! Il Signore vi ricompensi. Auspico che la vostra fede, la tradizione di fedeltà e di generosità di cui siete eredi, gli ideali della vostra Arma, vi aiutino a trovare in questo delicato servizio motivi sempre nuovi di soddisfazione ed a vivere esperienze positive per la vostra vita professionale e personale.

Maria, la “Virgo fidelis”, vostra Patrona, accompagni voi e l’intera Arma, in particolare quanti, in diversi Paesi del mondo, sono impegnati in delicate missioni di pace, ed accolga i vostri propositi di bene presentandoli al suo divin Figlio.

Mi è caro concludere questo gradito incontro formulando a voi ed alle vostre famiglie fervidi auguri di ogni desiderata grazia e prosperità nel Signore per il nuovo anno. Con tali voti, a tutti di vero cuore imparto la Benedizione Apostolica.




AI DIRIGENTI E AGENTI DELL’ISPETTORATO DI PUBBLICA SICUREZZA PRESSO IL VATICANO Sala Clementina Venerdì, 8 gennaio 2010

8010
Cari amici dell’Ispettorato di Pubblica Sicurezza
presso il Vaticano!

A conclusione delle Feste natalizie, durante le quali abbiamo contemplato con lo stupore della fede il mistero della nascita di Gesù, eccoci riuniti per questo appuntamento, divenuto ormai familiare. Benvenuti nella casa di Pietro!

Rivolgo il mio cordiale pensiero al Prefetto Antonio Manganelli, Capo della Polizia, come pure ai Vice-Capo, Prefetti Francesco Cirillo e Paola Basilone, al Prefetto Salvatore Festa e al Questore Giuseppe Caruso. Con loro saluto i Dirigenti e Funzionari che, a livelli diversi, condividono le responsabilità della Polizia di Stato, gli Agenti, i Collaboratori, i Cappellani ed i presenti tutti. Ringrazio in particolare il Dr. Giulio Callini, Dirigente dell’Ispettorato di Pubblica Sicurezza “Vaticano”, che ha voluto rivolgermi espressioni di cordiale stima e di augurio a nome degli intervenuti.

L’impegno svolto quotidianamente per tutelare l’ordine pubblico in Piazza San Pietro e nelle adiacenze del Vaticano è particolarmente importante per lo svolgimento della missione del Romano Pontefice. Infatti, esso consente il clima di tranquilla serenità che permette a quanti vengono a visitare il centro della Cristianità la possibilità di un’autentica esperienza religiosa, a contatto con testimonianze fondamentali della fede cristiana, quali la tomba dell’apostolo Pietro, le reliquie di tanti Santi e le tombe di numerosi Pontefici, amati e venerati dal popolo cristiano.

Grazie per questo prezioso servizio che rendete al Papa e alla Chiesa! Il Signore vi ricompensi per i sacrifici spesso nascosti in favore di tanti credenti e visitatori ed a tutela della missione del Papa.

A ciascuno di voi viene chiesto impegno e grande responsabilità nel compimento del proprio dovere, ma agli occhi della fede esso deve costituire un modo particolare per servire il Signore e quasi “preparargli la strada”, perché l’esperienza vissuta presso il centro della Cristianità rappresenti per ciascun pellegrino o visitatore una particolare occasione per l’incontro col Signore, che cambia la vita.

In molte occasioni ho potuto notare la premura e la sensibilità d’animo che ispirano il vostro servizio, come pure la fedeltà e la dedizione, non disgiunte da notevoli sacrifici che esso comporta. Sono certo che essi sono frutto anche della vostra fede e del vostro amore per la Chiesa.

Quanto siete chiamati a svolgere valga a rendervi sempre più forti e coerenti nella fede e a non aver timore o rispetto umano nel manifestarla nell’ambito delle vostre rispettive famiglie, del vostro lavoro e dovunque veniate a trovarvi.

Affido voi ed il vostro lavoro alla materna protezione di Maria Santissima, Madre di Gesù e Regina di ogni famiglia: Ella accolga le vostre intenzioni e le avvalori presentandole al suo Figlio.

Nel ricambiare gli auguri di serena prosperità per il nuovo anno a voi, ai colleghi e alle persone care, imparto di cuore la Benedizione Apostolica.






AI SUPERIORI, ALUNNI ED EX-ALUNNI DEL PONTIFICIO COLLEGIO AMERICANO DEL NORD, NEL 150° ANNIVERSARIO DI FONDAZIONE Aula della Benedizione Sabato, 9 gennaio 2010

9010
Eminenze,
Cari fratelli Vescovi e sacerdoti,

sono lieto di porgere il benvenuto agli ex allievi del Pontificio Collegio Americano del Nord, insieme con il Rettore, la facoltà e gli studenti del seminario sul colle del Gianicolo, e ai sacerdoti studenti della Casa Santa Maria dell'Umiltà. Il nostro incontro si svolge alla conclusione delle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell'istituzione del Collegio da parte del mio predecessore, il beato Pio IX. In questa lieta occasione, mi unisco volentieri a voi nel rendere grazie al Signore per i numerosi modi nei quali il Collegio è rimasto fedele alla sua visione originaria, formando generazioni di validi predicatori del Vangelo e ministri dei sacramenti, devoti al Successore di Pietro e impegnati nell'edificazione della Chiesa negli Stati Uniti d'America.

È appropriato, in questo Anno sacerdotale, che siate tornati nel Collegio e in questa Città Eterna per rendere grazie per la formazione accademica e spirituale che ha alimentato il vostro ministero sacerdotale nel corso degli anni. L'attuale riunione è un'opportunità non solo per ricordare con gratitudine il tempo dei vostri studi, ma anche per riaffermare il vostro affetto filiale per la Chiesa di Roma, rammentare le opere apostoliche di innumerevoli ex allievi vostri predecessori e impegnarvi nuovamente per gli alti ideali di santità, fedeltà e zelo pastorale che avete scelto il giorno della vostra ordinazione. Parimenti, questa è un'occasione per rinnovare l'amore per il Collegio e l'apprezzamento per la sua missione particolare per la Chiesa nel vostro Paese.

Durante la mia Visita pastorale negli Stati Uniti, ho espresso la convinzione che la Chiesa in America è chiamata a coltivare "una 'cultura' intellettuale che sia genuinamente cattolica, fiduciosa nell'armonia profonda tra fede e ragione e preparata a portare la ricchezza della visione della fede a contatto con le questioni urgenti che riguardano il futuro della società americana" (Omelia al Nationals Stadium, Washington, 17 aprile 2008). Come il beato Pio IX aveva giustamente previsto, il Pontificio Collegio Americano del Nord a Roma è preparato in maniera unica ad aiutare a soddisfare questa sfida perenne. Nel secolo e mezzo trascorso dalla sua fondazione, il Collegio ha offerto ai propri studenti un'esperienza eccezionale dell'universalità della Chiesa, dell'ampiezza della sua tradizione intellettuale e spirituale e dell'urgenza del suo mandato di portare la verità salvifica di Cristo agli uomini e alle donne di ogni tempo e luogo. Confido nel fatto che, evidenziando questi tratti distintivi di un'educazione romana in ogni aspetto del suo programma di fondazione, il Collegio continuerà a formare pastori saggi e generosi in grado di trasmettere la fede cattolica nella sua integrità, portando la misericordia infinita di Cristo ai deboli e agli smarriti e permettendo ai cattolici d'America di essere un lievito del Vangelo nella vita sociale, politica e culturale della loro nazione.

Cari Fratelli, prego affinché in questi giorni siate rinnovati nel dono dello Spirito Santo che avete ricevuto il giorno della vostra ordinazione. Nella cappella del Collegio, dedicata alla Beata Vergine Maria con il titolo di Immacolata Concezione, Nostra Signora è ritratta in compagnia di quattro eccezionali modelli e patroni di vita e ministero sacerdotali: san Gregorio Magno, san Pio X, san Giovanni Maria Vianney e san Vincenzo de' Paoli. Durante questo Anno sacerdotale, questi grandi santi continuino a vegliare sugli studenti che pregano quotidianamente fra loro. Guidino e sostengano il vostro ministero e intercedano per i sacerdoti degli Stati Uniti. Con cordiali buoni auspici per la fecondità spirituale dei prossimi giorni e con grande affetto nel Signore, vi imparto la mia Benedizione Apostolica, che estendo volentieri a tutti gli ex allievi e gli amici del Pontificio Collegio Americano del Nord.






AGLI ECCELLENTISSIMI MEMBRI DEL CORPO DIPLOMATICO ACCREDITATO PRESSO LA SANTA SEDE PER LA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI PER IL NUOVO ANNO Sala Regia Lunedì, 11 gennaio 2010

11010

Eccellenze,
Signore e Signori,

E’ per me motivo di grande gioia questo incontro tradizionale d’inizio d’anno, due settimane dopo la celebrazione della nascita del Verbo incarnato. Come abbiamo proclamato nella liturgia: “Nel mistero adorabile del Natale, Egli, Verbo invisibile, apparve visibilmente nella nostra carne, e generato prima dei secoli, cominciò ad esistere nel tempo, per assumere in sé tutto il creato e sollevarlo dalla sua caduta” (Prefazio II del Natale). A Natale, quindi, abbiamo contemplato il mistero di Dio e quello della creazione; mediante l’annuncio degli angeli ai pastori ci è giunta la buona novella della salvezza dell’uomo e del rinnovamento dell’intero universo. Per questa ragione, nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno, ho invitato tutti gli uomini di buona volontà, ai quali gli angeli hanno promesso giustamente la pace, a custodire il creato. Ed è in questo stesso spirito che sono lieto di salutare ciascuno di Voi, in particolare coloro che sono presenti per la prima volta a questa cerimonia. Vi ringrazio sentitamente per i voti augurali, di cui si è fatto interprete il vostro Decano, il Signor Ambasciatore Alejandro Valladares Lanza, e Vi rinnovo il mio vivo apprezzamento per la missione che svolgete presso la Santa Sede. Attraverso di Voi, desidero far giungere il mio cordiale saluto e augurio di pace e prosperità alle Autorità e a tutti gli abitanti dei Paesi che Voi degnamente rappresentate. Il mio pensiero si estende, anche, a tutte le altre Nazioni della terra: il Successore di Pietro mantiene le sue porte aperte a tutti e con tutti desidera avere relazioni che contribuiscano al progresso della famiglia umana. Da qualche settimana, sono state stabilite piene relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Federazione Russa: è questo un motivo di profonda soddisfazione. Allo stesso modo, è stata molto significativa la visita che mi ha reso recentemente il Presidente della Repubblica Socialista del Vietnam, Paese che è caro al mio cuore e nel quale la Chiesa sta celebrando la sua plurisecolare presenza con un Anno giubilare. Con tale spirito di apertura, nel corso del 2009, ho ricevuto numerose personalità politiche, provenienti da diversi Paesi; ho anche visitato alcuni di essi e mi propongo in futuro, nella misura del possibile, di continuare a farlo.

La Chiesa è aperta a tutti, perché – in Dio - esiste per gli altri! Pertanto essa partecipa intensamente alle sorti dell’umanità, che in questo anno appena iniziato, appare ancora segnata dalla drammatica crisi che ha colpito l’economia mondiale e ha provocato una grave e diffusa instabilità sociale. Con l’Enciclica Caritas in veritate ho invitato ad individuare le radici profonde di tale situazione: in ultima analisi, esse risiedono nella mentalità corrente egoistica e materialistica, dimentica dei limiti propri a ciascuna creatura. Oggi mi preme sottolineare che questa stessa mentalità minaccia anche il creato. Ciascuno di noi, probabilmente, potrebbe citare qualche esempio dei danni che essa arreca all’ambiente, in ogni parte del mondo. Ne cito uno, tra i tanti, dalla storia recente dell’Europa: vent’anni fa, quando cadde il Muro di Berlino e quando crollarono i regimi materialisti ed atei che avevano dominato lungo diversi decenni una parte di questo Continente, non si è potuto avere la misura delle profonde ferite che un sistema economico privo di riferimenti fondati sulla verità dell’uomo aveva inferto, non solo alla dignità e alla libertà delle persone e dei popoli, ma anche alla natura, con l’inquinamento del suolo, delle acque e dell’aria? La negazione di Dio sfigura la libertà della persona umana, ma devasta anche la creazione! Ne consegue che la salvaguardia del creato non risponde in primo luogo ad un’esigenza estetica, ma anzitutto a un’esigenza morale, perché la natura esprime un disegno di amore e di verità che ci precede e che viene da Dio.

Pertanto, condivido la maggiore preoccupazione che causano le resistenze di ordine economico e politico alla lotta contro il degrado dell’ambiente. Si tratta di difficoltà che si sono potute constatare ancora di recente durante la XV Sessione della Conferenza degli Stati parte alla Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, svoltasi dal 7 al 18 dicembre scorso a Copenaghen. Auspico che, nell’anno corrente, prima a Bonn e poi a Città del Messico, sia possibile giungere ad un accordo per affrontare tale questione in modo efficace. La posta in gioco è tanto più importante perché ne va del destino stesso di alcune Nazioni, in particolare, alcuni Stati insulari.

Occorre, tuttavia, che tale attenzione e tale impegno per l’ambiente siano bene inquadrati nell’insieme delle grandi sfide che si pongono all’umanità. Se, infatti, si vuole edificare una vera pace, come sarebbe possibile separare, o addirittura contrapporre la salvaguardia dell’ambiente a quella della vita umana, compresa la vita prima della nascita? E’ nel rispetto che la persona umana nutre per se stessa che si manifesta il suo senso di responsabilità verso il creato. Perché, come insegna S. Tommaso d’Aquino, l’uomo rappresenta quanto c’è di più nobile nell’universo (cfr. Summa Theologiae, I, q.29, a.3). Inoltre, come ho ricordato al recente Vertice Mondiale della FAO sulla Sicurezza alimentare, “la terra può sufficientemente nutrire tutti i suoi abitanti” (Discorso del 16 novembre 2009, 2), purché l’egoismo non porti alcuni ad accaparrarsi i beni destinati a tutti!

Vorrei sottolineare ancora che la salvaguardia della creazione implica una corretta gestione delle risorse naturali dei paesi, in primo luogo, di quelli economicamente svantaggiati. Il mio pensiero va al Continente africano, che ho avuto la gioia di visitare nel marzo scorso, recandomi in Camerun ed Angola, ed al quale sono stati dedicati i lavori della recente Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi. I Padri sinodali hanno segnalato con preoccupazione l’erosione e la desertificazione di larghe zone di terra coltivabile, a causa dello sfruttamento sconsiderato e dell’inquinamento dell’ambiente (cfr. Propositio n. 22). In Africa, come altrove, è necessario adottare scelte politiche ed economiche che assicurino “forme di produzione agricola e industriale rispettose dell’ordine della creazione e soddisfacenti per i bisogni primari di tutti” (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2010, 10).

Come dimenticare, poi, che la lotta per l’accesso alle risorse naturali è una delle cause di vari conflitti, tra gli altri in Africa, così come la sorgente di un rischio permanente in altre situazioni? Anche per questa ragione ripeto con forza che, per coltivare la pace, bisogna custodire il creato! D’altra parte ci sono ancora vaste estensioni di terra, per esempio in Afghanistan ed in alcuni paesi dell’America Latina, dove purtroppo l’agricoltura è ancora legata alla produzione di droga e costituisce una fonte non trascurabile di occupazione e di sostentamento. Se si vuole la pace, occorre custodire il creato con la riconversione di tali attività. Chiedo perciò alla comunità internazionale, ancora una volta, che non si rassegni al traffico della droga ed ai gravi problemi morali e sociali che essa genera.

Sì, Signore e Signori, la custodia del creato è un importante fattore di pace e di giustizia! Fra le tante sfide che essa lancia, una delle più gravi è quella dell’aumento delle spese militari, nonché quella del mantenimento o dello sviluppo degli arsenali nucleari. Ciò assorbe ingenti risorse, che potrebbero, invece, essere destinate allo sviluppo dei Popoli, soprattutto di quelli più poveri. Confido, fermamente, che nella Conferenza di esame del Trattato di Non-Proliferazione nucleare, in programma per il maggio prossimo a New York, vengano prese decisioni efficaci in vista di un progressivo disarmo, che porti a liberare il pianeta dalle armi nucleari. Più in generale, deploro che la produzione e l’esportazione di armi contribuiscano a perpetuare conflitti e violenze, come quelli nel Darfur, in Somalia e nella Repubblica Democratica del Congo. All’incapacità delle parti direttamente coinvolte di sottrarsi alla spirale di violenza e di dolore generata da questi conflitti, si aggiunge l’apparente impotenza degli altri Paesi e delle Organizzazioni internazionali a riportare la pace, senza contare l’indifferenza quasi rassegnata dell’opinione pubblica mondiale. Non occorre poi sottolineare come tali conflitti danneggino e degradino l’ambiente. Come, infine, non menzionare il terrorismo che mette in pericolo un così gran numero di vite innocenti e provoca un diffuso senso di angoscia? In questa solenne circostanza, desidero rinnovare l’appello che ho lanciato il 1° gennaio durante la preghiera dell’Angelus a quanti fanno parte di gruppi armati di qualsiasi tipo affinché abbandonino la strada della violenza e aprano il loro cuore alla gioia della pace.

Le gravi violenze che ho appena evocato, unite ai flagelli della povertà e della fame, come pure alle catastrofi naturali ed al degrado ambientale, contribuiscono ad ingrossare le fila di quanti abbandonano la propria terra. Di fronte a tale esodo, invito le Autorità civili, che vi sono coinvolte a diverso titolo, ad agire con giustizia, solidarietà e lungimiranza. In particolare, vorrei menzionare i Cristiani in Medio Oriente: colpiti in varie maniere, fin nell’esercizio della loro libertà religiosa, essi lasciano la terra dei loro padri in cui si è sviluppata la Chiesa dei primi secoli. E’ per offrire loro un sostegno e per far loro sentire la vicinanza dei fratelli nella fede, che ho convocato, per l’autunno prossimo, l’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi sul Medio Oriente.

Signore e Signori Ambasciatori, quelle che ho tracciato finora sono soltanto alcune delle dimensioni connesse con la problematica ambientale. Tuttavia, le radici della situazione che è sotto gli occhi di tutti, sono di ordine morale e la questione deve essere affrontata nel quadro di un grande sforzo educativo, per promuovere un effettivo cambiamento di mentalità ed instaurare nuovi stili di vita. Di ciò può e vuole essere partecipe la comunità dei credenti, ma perché ciò sia possibile, bisogna che se ne riconosca il ruolo pubblico. Purtroppo, in alcuni Paesi, soprattutto occidentali, si diffondono, negli ambienti politici e culturali, come pure nei mezzi di comunicazione, un sentimento di scarsa considerazione, e, talvolta, di ostilità, per non dire di disprezzo verso la religione, in particolare quella cristiana. E’ chiaro che, se il relativismo è concepito come un elemento costitutivo essenziale della democrazia, si rischia di concepire la laicità unicamente in termini di esclusione o, meglio, di rifiuto dell’importanza sociale del fatto religioso. Un tale approccio crea tuttavia scontro e divisione, ferisce la pace, inquina l’“ecologia umana” e, rifiutando, per principio, le attitudini diverse dalla propria, si trasforma in una strada senza uscita. Urge, pertanto, definire una laicità positiva, aperta, che, fondata su una giusta autonomia tra l’ordine temporale e quello spirituale, favorisca una sana collaborazione e un senso di responsabilità condivisa. In questa prospettiva, io penso all’Europa, che con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha iniziato una nuova fase del suo processo di integrazione, che la Santa Sede continuerà a seguire con rispetto e con benevola attenzione. Nel rilevare con soddisfazione che il Trattato prevede che l’Unione Europea mantenga con le Chiese un dialogo “aperto, trasparente e regolare” (art. 17), auspico che, nella costruzione del proprio avvenire, l’Europa sappia sempre attingere alle fonti della propria identità cristiana. Come ho rimarcato durante il mio viaggio apostolico del settembre scorso nella Repubblica Ceca, essa ha un ruolo insostituibile “per la formazione della coscienza di ogni generazione e per la promozione di un consenso etico di fondo, al servizio di ogni persona che chiama questo continente «casa»!” (Discorso alle autorità civili e al corpo diplomatico, 26 settembre 2009).

Proseguendo nella nostra riflessione, è necessario rilevare che la problematica dell’ambiente è complessa. Si potrebbe dire che è un prisma dalle molte sfaccettature. Le creature sono differenti le une dalle altre e possono essere protette, o, al contrario, messe in pericolo, in modi diversi, come ci mostra l’esperienza quotidiana. Uno di tali attacchi proviene da leggi o progetti, che, in nome della lotta contro la discriminazione, colpiscono il fondamento biologico della differenza fra i sessi. Mi riferisco, per esempio, ad alcuni Paesi europei o del Continente americano. “Se togli la libertà, togli la dignità”, come disse S. Colombano (Epist. n.4 ad Attela, in S. Columbani opera, Dublin 1957, p. 34.) Tuttavia, la libertà non può essere assoluta, perché l’Uomo non è Dio, ma immagine di Dio, sua creatura. Per l’uomo, il cammino da seguire non può quindi essere l’arbitrio, o il desiderio, ma deve consistere, piuttosto, nel corrispondere alla struttura voluta dal Creatore.

La salvaguardia della creazione comporta anche altre sfide, alle quali non si può rispondere che attraverso la solidarietà internazionale. Penso alle catastrofi naturali, che durante l’anno scorso hanno seminato morti, sofferenze e distruzioni nelle Filippine, in Vietnam, nel Laos, in Cambogia e nell’isola di Taiwan. Come non ricordare poi l’Indonesia, e, più vicino a noi, la regione dell’Abruzzo, scosse da devastanti terremoti? Di fronte a simili eventi non deve venire meno l’aiuto generoso, perché la vita stessa delle creature di Dio è in gioco. Ma la salvaguardia della creazione, oltre che della solidarietà, ha bisogno anche della concordia e della stabilità degli Stati. Quando insorgono divergenze ed ostilità fra questi ultimi, per difendere la pace debbono perseguire con tenacia la via di un dialogo costruttivo. E’ quanto avvenne venticinque anni or sono con il Trattato di Pace ed Amicizia fra Argentina e Cile, che fu raggiunto grazie alla mediazione della Sede Apostolica. Esso ha portato abbondanti frutti di collaborazione e prosperità, di cui ha beneficiato, in qualche modo, l’intera America Latina. In questa stessa parte del mondo, sono lieto del riavvicinamento intrapreso da Colombia ed Ecuador, dopo parecchi mesi di tensione. Più vicino a noi, mi compiaccio dell’intesa conclusa tra Croazia e Slovenia a proposito dell’arbitrato relativo alle loro frontiere marittime e terrestri. Mi rallegro, altresì, dell’accordo tra Armenia e Turchia, in vista della ripresa delle loro relazioni diplomatiche, ed auspico che attraverso il dialogo, i rapporti fra tutti i Paesi del Caucaso meridionale migliorino. Durante il mio pellegrinaggio in Terra Santa, ho richiamato in modo pressante Israeliani e Palestinesi a dialogare e a rispettare i diritti dell’altro. Ancora una volta levo la mia voce, affinché sia universalmente riconosciuto il diritto dello Stato di Israele ad esistere e a godere di pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti. E che, ugualmente, sia riconosciuto il diritto del Popolo palestinese ad una patria sovrana e indipendente, a vivere con dignità e a potersi spostare liberamente. Mi preme, inoltre, sollecitare il sostegno di tutti perché siano protetti l’identità e il carattere sacro di Gerusalemme, la sua eredità culturale e religiosa, il cui valore è universale. Solo così questa città unica, santa e tormentata, potrà essere segno e anticipazione della pace che Dio desidera per l’intera famiglia umana! Per amore del dialogo e della pace, che salvaguardano la creazione, esorto i governanti e i cittadini dell’Iraq ad oltrepassare le divisione, la tentazione della violenza e l’intolleranza, per costruire insieme l’avvenire del loro Paese. Anche le comunità cristiane vogliono dare il loro contributo, ma perché ciò sia possibile, bisogna che sia loro assicurato rispetto, sicurezza e libertà. Anche il Pakistan è stato duramente colpito dalla violenza in questi ultimi mesi e alcuni episodi hanno preso di mira direttamente la minoranza cristiana. Domando che si compia ogni sforzo affinché tali aggressioni non si ripetano e i cristiani possano sentirsi pienamente integrati nella vita del loro Paese. Trattando delle violenze contro i cristiani, non posso non menzionare, peraltro, i deplorevoli attentati di cui sono state vittime le Comunità copte egiziane in questi ultimi giorni, proprio quando stavano celebrando il Natale. Per quanto riguarda l’Iran, auspico che attraverso il dialogo e la collaborazione, si raggiungano soluzioni condivise, sia a livello nazionale che sul piano internazionale. Al Libano, che ha superato una lunga crisi politica, auguro di proseguire sempre sulla via della concordia. Confido che l’Honduras, dopo un periodo di incertezza e trepidazione, si incammini verso una ritrovata normalità politica e sociale. E lo stesso mi auguro che si realizzi in Guinea ed in Madagascar, con l’aiuto effettivo e disinteressato della comunità internazionale.

Signore e Signori Ambasciatori, al termine di questo rapido giro d’orizzonte, che, a motivo della brevità non può soffermarsi su tutte le situazioni pur meritevoli di menzione, mi tornano alla mente le parole dell’Apostolo Paolo, secondo cui “la creazione geme e soffre” e “anche noi… gemiamo interiormente” (
Rm 8,22-23). Sì, c’è tanta sofferenza nell’umanità e l’egoismo umano ferisce la creazione in molteplici modi. Per questo l’attesa di salvezza, che tocca tutta quanta la creazione, è ancor più intensa ed è presente nel cuore di tutti, credenti e non credenti. La Chiesa indica che la risposta a tale anelito è il Cristo, il “primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra” (Col 1,15-16). Fissando lo sguardo su di Lui, esorto ogni persona di buona volontà ad operare con fiducia e generosità per la dignità e la libertà dell’uomo. Che la luce e la forza di Gesù ci aiutino a rispettare l’“ecologia umana”, consapevoli che anche l’ecologia ambientale ne trarrà beneficio, poiché il libro della natura è uno ed indivisibile. E’ così che potremo consolidare la pace, oggi e per le generazioni che verranno. Buon Anno a tutti!






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