Discorsi 2005-13 18010

ALLA DELEGAZIONE ECUMENICA DELLA CHIESA LUTERANA IN OCCASIONE DELLA FESTA DI SANT'ENRICO Lunedì, 18 gennaio 2010

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Distinti amici,


saluto con affetto tutti i membri della vostra delegazione ecumenica, giunti a Roma per la celebrazione della festa di sant'Enrico. Questa occasione coincide con il venticinquesimo anniversario delle vostre visite annuali a Roma. È quindi con gratitudine che ricordo il modo in cui questi incontri hanno contribuito in maniera significativa al consolidamento delle relazioni fra i cristiani nel vostro Paese.

Il Concilio Vaticano II impegnò la Chiesa cattolica "in modo irreversibile a percorrere la via della ricerca ecumenica, ponendosi così all'ascolto dello Spirito del Signore, che insegna come leggere attentamente i "segni dei tempi"" (Ut unum sint
UUS 3) Questa è la via che la Chiesa cattolica ha scelto senza riserve da allora. Le Chiese dell'Est e dell'Ovest, le cui tradizioni sono entrambe presenti nel vostro Paese, condividono una comunione autentica, sebbene ancora imperfetta.

Questo è un motivo per rammaricarsi dei problemi del passato, ma è sicuramente anche un motivo che ci spinge a sforzi maggiori di comprensione e di riconciliazione cosicché la nostra amicizia e il nostro dialogo fraterni possano ancora sbocciare in un'unità visibile e perfetta in Cristo Gesù.

Nel suo discorso ha menzionato la Dichiarazione Congiunta sulla Dottrina della Giustificazione, che ha compiuto dieci anni, che è un segno concreto della riscoperta fraternità fra luterani e cattolici. In questo contesto, sono lieto di osservare l'opera recente del dialogo nordico luterano-cattolico in Finlandia e in Svezia su questioni derivanti dalla Dichiarazione Congiunta. Si auspica che il testo risultante dal dialogo contribuirà positivamente al cammino che conduce al ripristino della nostra unità perduta.

Ancora una volta, sono lieto di esprimere la mia gratitudine per la vostra perseveranza in questi venticinque anni di pellegrinaggio comune. Essi dimostrano il vostro rispetto per il Successore di Pietro nonché la vostra buona fede e il desiderio di unità attraverso il dialogo fraterno. È mia fervente preghiera che le varie chiese cristiane e comunità ecclesiali che rappresentate possano basarsi su questo senso di fraternità mentre perseveriamo nel nostro pellegrinaggio comune. Su di voi e su quanti sono affidati alla vostra sollecitudine pastorale sono lieto di invocare le benedizioni abbondanti di Dio Onnipotente.




AI PARTECIPANTI ALLA XIV SEDUTA PUBBLICA DELLE PONTIFICIE ACCADEMIE Sala Clementina Giovedì, 28 gennaio 2010

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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
illustri Presidenti e Accademici,
Signore e Signori!

Sono lieto di accogliervi e di incontrarvi, in occasione della Seduta Pubblica delle Pontificie Accademie, momento culminante delle molteplici attività dell’anno. Saluto Mons. Gianfranco Ravasi, Presidente del Consiglio di Coordinamento fra Accademie Pontificie, e lo ringrazio per le cortesi parole che mi ha rivolto. Estendo il mio saluto ai Presidenti delle Pontificie Accademie, agli Accademici e ai Sodali presenti. L’odierna Seduta Pubblica, nel corso della quale è stato consegnato, a mio nome, il Premio delle Pontificie Accademie, tocca un tema che, nell’ambito dell’Anno Sacerdotale, riveste particolare importanza: “La formazione teologica del presbitero”.

Oggi, memoria di San Tommaso d’Aquino, grande Dottore della Chiesa, desidero proporvi alcune riflessioni sulle finalità e sulla missione specifica delle benemerite Istituzioni culturali della Santa Sede di cui fate parte e che vantano una variegata e ricca tradizione di ricerca e di impegno in diversi settori. Gli anni 2009-2010, infatti, per alcune di esse, sono segnati da una specifica ricorrenza, che costituisce ulteriore motivo per rendere grazie al Signore. In particolare, la Pontificia Accademia Romana di Archeologia ricorda la Fondazione avvenuta due secoli fa, nel 1810, e la trasformazione in Accademia Pontificia, nel 1829. La Pontificia Accademia di San Tommaso d’Aquino e la Pontificia Accademia Cultorum Martyrum hanno ricordato il loro 130° anno di vita, essendo state fondate entrambe nel 1879. La Pontificia Accademia Mariana Internazionale ha celebrato, poi, il 50° della propria trasformazione in Accademia Pontificia. Le Pontificie Accademie di San Tommaso d’Aquino e di Teologia hanno ricordato, infine, il decennale del loro rinnovamento istituzionale, avvenuto nel 1999 con il Motu proprio Inter munera Academiarum, che reca proprio la data del 28 gennaio.

Tante occasioni, dunque, per rivisitare il passato, attraverso la lettura attenta dei pensieri e delle azioni dei Fondatori e di quanti si sono prodigati per il progresso di queste Istituzioni. Ma lo sguardo retrospettivo e la memoria del glorioso passato non possono costituire l’unico approccio a tali eventi, che richiamano soprattutto il compito e la responsabilità delle Accademie Pontificie di servire fedelmente la Chiesa e la Santa Sede, rinnovando nel presente il ricco e diversificato impegno, che già ha prodotto preziosi frutti anche nel recente passato. La cultura contemporanea, e ancor più gli stessi credenti, infatti, sollecitano continuamente la riflessione e l’azione della Chiesa nei vari ambiti in cui emergono nuove problematiche e che costituiscono anche settori in cui operate, come la ricerca filosofica e teologica; la riflessione sulla figura della Vergine Maria; lo studio della storia, dei monumenti, delle testimonianze ricevute in eredità dai fedeli delle prime generazioni cristiane, a cominciare dai Martiri; il delicato ed importante dialogo tra la fede cristiana e la creatività artistica, a cui ho voluto dedicare l’Incontro con personalità del mondo dell’arte e della cultura, svoltosi nella Cappella Sistina lo scorso 21 novembre. In questi delicati spazi di ricerca e di impegno, siete chiamati a offrire un contributo qualificato, competente e appassionato, affinché tutta la Chiesa, e in particolare la Santa Sede, possa disporre di occasioni, di linguaggi e di mezzi adeguati per dialogare con le culture contemporanee e rispondere efficacemente alle domande e alle sfide che l’interpellano nei vari ambiti del sapere e dell’esperienza umana.

Come ho più volte affermato, l’odierna cultura risente fortemente sia di una visione dominata dal relativismo e dal soggettivismo, sia di metodi e atteggiamenti talora superficiali e perfino banali, che danneggiano la serietà della ricerca e della riflessione e, di conseguenza, anche del dialogo, del confronto e della comunicazione interpersonale. Appare, pertanto, urgente e necessario ricreare le condizioni essenziali di una reale capacità di approfondimento nello studio e nella ricerca, perché ragionevolmente si dialoghi ed efficacemente ci si confronti sulle diverse problematiche, nella prospettiva di una crescita comune e di una formazione che promuova l’uomo nella sua integralità e completezza. Alla carenza di punti di riferimento ideali e morali, che penalizza particolarmente la convivenza civile e soprattutto la formazione delle giovani generazioni, deve corrispondere un’offerta ideale e pratica di valori e di verità, di ragioni forti di vita e di speranza, che possa e debba interessare tutti, soprattutto i giovani. Tale impegno deve essere particolarmente cogente nell’ambito della formazione dei candidati al ministero ordinato, come esige l’Anno Sacerdotale e come conferma la felice scelta di dedicargli la vostra annuale Seduta Pubblica.

Una delle Pontificie Accademie è intitolata a San Tommaso d’Aquino, il Doctor Angelicus et communis, un modello sempre attuale a cui ispirare l’azione e il dialogo delle Accademie Pontificie con le diverse culture. Egli, infatti, riuscì ad instaurare un confronto fruttuoso sia con il pensiero arabo, sia con quello ebraico del suo tempo, e, facendo tesoro della tradizione filosofica greca, produsse una straordinaria sintesi teologica, armonizzando pienamente la ragione e la fede. Egli lasciò già nei suoi contemporanei un ricordo profondo e indelebile, proprio per la straordinaria finezza e acutezza della sua intelligenza e la grandezza e originalità del suo genio, oltre che per la luminosa santità della vita. Il suo primo biografo, Guglielmo da Tocco, sottolinea la straordinaria e pervasiva originalità pedagogica di San Tommaso, con espressioni che possono ispirare anche le vostre azioni: Frà Tommaso – egli scrive - “nelle sue lezioni introduceva nuovi articoli, risolveva le questioni in un modo nuovo e più chiaro con nuovi argomenti. Di conseguenza, coloro che lo ascoltavano insegnare tesi nuove e trattarle con metodo nuovo, non potevano dubitare che Dio l’avesse illuminato con una luce nuova: infatti, si possono mai insegnare o scrivere opinioni nuove, se non si è ricevuta da Dio una ispirazione nuova?” (Vita Sancti Thomae Aquinatis, in Fontes Vitae S. Thomae Aquinatis notis historicis et criticis illustrati, ed. D. Prümmer M.-H. Laurent, Tolosa, s.d., fasc.
2P 81).

Il pensiero e la testimonianza di San Tommaso d’Aquino ci suggeriscono di studiare con grande attenzione i problemi emergenti per offrire risposte adeguate e creative. Fiduciosi nella possibilità della “ragione umana”, nella piena fedeltà all’immutabile depositum fidei, occorre – come fece il “Doctor Communis” – attingere sempre alle ricchezze della Tradizione, nella costante ricerca della “verità delle cose”. Per questo, è necessario che le Pontificie Accademie siano oggi più che mai Istituzioni vitali e vivaci, capaci di percepire acutamente sia le domande della società e delle culture, sia i bisogni e le attese della Chiesa, per offrire un adeguato e valido contributo e così promuovere, con tutte le energie ed i mezzi a disposizione, un autentico umanesimo cristiano.

Ringraziando, dunque, le Pontificie Accademie per la generosa dedizione e per l’impegno profuso, auguro a ciascuna di arricchire le singole storie e tradizioni di nuovi, significativi progetti attraverso cui proseguire, con rinnovato slancio, la propria missione. Vi assicuro un ricordo nella preghiera e, nell’invocare su di voi e sulle Istituzioni a cui appartenete l’intercessione della Madre di Dio, Sedes Sapientiae, e di San Tommaso d’Aquino, di cuore imparto la Benedizione Apostolica.






IN OCCASIONE DELL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO DEL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA Sala Clementina Giovedì, 29 gennaio 2010

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Cari Componenti del Tribunale della Rota Romana!

Sono lieto di incontrarvi ancora una volta per l’inaugurazione dell’Anno Giudiziario. Saluto cordialmente il Collegio dei Prelati Uditori, ad iniziare dal Decano, Mons. Antoni Stankiewicz, che ringrazio per le parole che mi ha rivolto a nome dei presenti. Estendo il mio saluto ai Promotori di Giustizia, ai Difensori del Vincolo, agli altri Officiali, agli Avvocati e a tutti i Collaboratori di codesto Tribunale Apostolico, come pure ai Membri dello Studio Rotale. Colgo volentieri l’occasione per rinnovarvi l’espressione della mia profonda stima e della mia sincera gratitudine per il vostro ministero ecclesiale, ribadendo, allo stesso tempo, la necessità della vostra attività giudiziaria. Il prezioso lavoro che i Prelati Uditori sono chiamati a svolgere con diligenza, a nome e per mandato di questa Sede Apostolica, è sostenuto dalle autorevoli e consolidate tradizioni di codesto Tribunale, al cui rispetto ciascuno di voi deve sentirsi personalmente impegnato.

Oggi desidero soffermarmi sul nucleo essenziale del vostro ministero, cercando di approfondirne i rapporti con la giustizia, la carità e la verità. Farò riferimento soprattutto ad alcune considerazioni esposte nell’Enciclica Caritas in veritate, le quali, pur essendo considerate nel contesto della dottrina sociale della Chiesa, possono illuminare anche altri ambiti ecclesiali. Occorre prendere atto della diffusa e radicata tendenza, anche se non sempre manifesta, che porta a contrapporre la giustizia alla carità, quasi che una escluda l’altra. In questa linea, riferendosi più specificamente alla vita della Chiesa, alcuni ritengono che la carità pastorale potrebbe giustificare ogni passo verso la dichiarazione della nullità del vincolo matrimoniale per venire incontro alle persone che si trovano in situazione matrimoniale irregolare. La stessa verità, pur invocata a parole, tenderebbe così ad essere vista in un'ottica strumentale, che l’adatterebbe di volta in volta alle diverse esigenze che si presentano.

Partendo dall’espressione “amministrazione della giustizia”, vorrei ricordare innanzitutto che il vostro ministero è essenzialmente opera di giustizia: una virtù - “che consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto” (
CEC 1807) - della quale è quanto mai importante riscoprire il valore umano e cristiano, anche all'interno della Chiesa. Il Diritto Canonico, a volte, è sottovalutato, come se esso fosse un mero strumento tecnico al servizio di qualsiasi interesse soggettivo, anche non fondato sulla verità. Occorre invece che tale Diritto venga sempre considerato nel suo rapporto essenziale con la giustizia, nella consapevolezza che nella Chiesa l’attività giuridica ha come fine la salvezza delle anime e “costituisce una peculiare partecipazione alla missione di Cristo Pastore… nell’attualizzare l’ordine voluto dallo stesso Cristo” (Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 18 gennaio 1990, in AAS 82 [1990], p. 874, n.4). In questa prospettiva è da tenere presente, qualunque sia la situazione, che il processo e la sentenza sono legati in modo fondamentale alla giustizia e si pongono al suo servizio. Il processo e la sentenza hanno una grande rilevanza sia per le parti, sia per l’intera compagine ecclesiale e ciò acquista un valore del tutto singolare quando si tratta di pronunciarsi sulla nullità di un matrimonio, il quale riguarda direttamente il bene umano e soprannaturale dei coniugi, nonché il bene pubblico della Chiesa. Oltre a questa dimensione che potremmo definire “oggettiva” della giustizia, ne esiste un’altra, inseparabile da essa, che riguarda gli “operatori del diritto”, coloro, cioè, che la rendono possibile. Vorrei sottolineare come essi devono essere caratterizzati da un alto esercizio delle virtù umane e cristiane, in particolare della prudenza e della giustizia, ma anche della fortezza. Quest’ultima diventa più rilevante quando l'ingiustizia appare la via più facile da seguire, in quanto implica accondiscendenza ai desideri e alle aspettative delle parti, oppure ai condizionamenti dell'ambiente sociale. In tale contesto, il giudice che desidera essere giusto e vuole adeguarsi al paradigma classico della "giustizia vivente" (cfr Aristotele, Etica nicomachea, V, 1132a), sperimenta la grave responsabilità davanti a Dio e agli uomini della sua funzione, che include altresì la dovuta tempestività in ogni fase del processo: «quam primum, salva iustitia» (Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, Instr. Dignitas connubii, art. 72). Tutti coloro che operano nel campo del Diritto, ognuno secondo la propria funzione, devono essere guidati dalla giustizia. Penso in particolare agli avvocati, i quali devono non soltanto porre ogni attenzione al rispetto della verità delle prove, ma anche evitare con cura di assumere, come legali di fiducia, il patrocinio di cause che, secondo la loro coscienza, non siano oggettivamente sostenibili.

L’azione, poi, di chi amministra la giustizia non può prescindere dalla carità. L'amore verso Dio e verso il prossimo deve informare ogni attività, anche quella apparentemente più tecnica e burocratica. Lo sguardo e la misura della carità aiuterà a non dimenticare che si è sempre davanti a persone segnate da problemi e da sofferenze. Anche nell’ambito specifico del servizio di operatori della giustizia vale il principio secondo cui “la carità eccede la giustizia” (Enc. Caritas in veritate ). Di conseguenza, l'approccio alle persone, pur avendo una sua specifica modalità legata al processo, deve calarsi nel caso concreto per facilitare alle parti, mediante la delicatezza e la sollecitudine, il contatto con il competente tribunale. In pari tempo, è importante adoperarsi fattivamente ogni qualvolta si intraveda una speranza di buon esito, per indurre i coniugi a convalidare eventualmente il matrimonio e a ristabilire la convivenza coniugale (cfr CIC, can. CIC 1676). Non va, inoltre, tralasciato lo sforzo di instaurare tra le parti un clima di disponibilità umana e cristiana, fondata sulla ricerca della verità (cfr Instr. Dignitas connubii,art. 65 §§ 2-3).

Tuttavia occorre ribadire che ogni opera di autentica carità comprende il riferimento indispensabile alla giustizia, tanto più nel nostro caso. “L'amore – «caritas» – è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace” (Enc. Caritas in veritate ). “Chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro. Non solo la giustizia non è estranea alla carità, non solo non è una via alternativa o parallela alla carità: la giustizia è «inseparabile dalla carità», intrinseca ad essa” (Ibid., n. 6). La carità senza giustizia non è tale, ma soltanto una contraffazione, perché la stessa carità richiede quella oggettività tipica della giustizia, che non va confusa con disumana freddezza. A tale riguardo, come ebbe ad affermare il mio Predecessore, il venerabile Giovanni Paolo II, nell’allocuzione dedicata ai rapporti tra pastorale e diritto: “Il giudice […] deve sempre guardarsi dal rischio di una malintesa compassione che scadrebbe in sentimentalismo, solo apparentemente pastorale” (18 gennaio 1990, in AAS, 82 [1990], p. 875, n. 5).

Occorre rifuggire da richiami pseudopastorali che situano le questioni su un piano meramente orizzontale, in cui ciò che conta è soddisfare le richieste soggettive per giungere ad ogni costo alla dichiarazione di nullità, al fine di poter superare, tra l’altro, gli ostacoli alla ricezione dei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Il bene altissimo della riammissione alla Comunione eucaristica dopo la riconciliazione sacramentale, esige invece di considerare l'autentico bene delle persone, inscindibile dalla verità della loro situazione canonica. Sarebbe un bene fittizio, e una grave mancanza di giustizia e di amore, spianare loro comunque la strada verso la ricezione dei sacramenti, con il pericolo di farli vivere in contrasto oggettivo con la verità della propria condizione personale.

Circa la verità, nelle allocuzioni rivolte a codesto Tribunale Apostolico, nel 2006 e nel 2007, ho ribadito la possibilità di raggiungere la verità sull'essenza del matrimonio e sulla realtà di ogni situazione personale che viene sottoposta al giudizio del tribunale (28 gennaio 2006, in AAS 98 [2006], PP 135-138 pp. 135-138; e 27 gennaio 2007, in AAS 99 [2007], PP 86-91 sulla verità nei processi matrimoniali cfr Instr. Dignitas connubii, artt. 65 §§ 1-2, 95 § 1, 167, 177, 178). Vorrei oggi sottolineare come sia la giustizia, sia la carità, postulino l'amore alla verità e comportino essenzialmente la ricerca del vero. In particolare, la carità rende il riferimento alla verità ancora più esigente. “Difendere la verità, proporla con umiltà e convinzione e testimoniarla nella vita sono pertanto forme esigenti e insostituibili di carità. Questa, infatti, «si compiace della verità» (1Co 13,6)” (Enc. Caritas in veritate ). “Solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta […]. Senza verità la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario” (Ibid., n. 3).

Bisogna tener presente che un simile svuotamento può verificarsi non solo nell'attività pratica del giudicare, ma anche nelle impostazioni teoriche, che tanto influiscono poi sui giudizi concreti. Il problema si pone quando viene più o meno oscurata la stessa essenza del matrimonio, radicata nella natura dell'uomo e della donna, che consente di esprimere giudizi oggettivi sul singolo matrimonio. In questo senso, la considerazione esistenziale, personalistica e relazionale dell'unione coniugale non può mai essere fatta a scapito dell’indissolubilità, essenziale proprietà che nel matrimonio cristiano consegue, con l’unità, una peculiare stabilità in ragione del sacramento (cfr CIC, can. CIC 1056). Non va, altresì, dimenticato che il matrimonio gode del favore del diritto. Pertanto, in caso di dubbio, esso si deve intendere valido fino a che non sia stato provato il contrario (cfr CIC, can. CIC 1060). Altrimenti, si corre il grave rischio di rimanere senza un punto di riferimento oggettivo per le pronunce circa la nullità, trasformando ogni difficoltà coniugale in un sintomo di mancata attuazione di un'unione il cui nucleo essenziale di giustizia – il vincolo indissolubile – viene di fatto negato.

Illustri Prelati Uditori, Officiali ed Avvocati, vi affido queste riflessioni, ben conoscendo lo spirito di fedeltà che vi anima e l’impegno che profondete nel dare attuazione piena alle norme della Chiesa, nella ricerca del vero bene del Popolo di Dio. A conforto della vostra preziosa attività, su ciascuno di voi e sul vostro quotidiano lavoro invoco la materna protezione di Maria Santissima Speculum iustitiae e imparto con affetto la Benedizione Apostolica.




AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI INGHILTERRA E GALLES IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Sala del Concistoro Lunedì, 1° febbraio 2010

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Cari Fratelli Vescovi,

porgo il benvenuto a voi tutti in occasione della vostra visita ad Limina a Roma, dove siete giunti per venerare le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo. Vi ringrazio per le cortesi parole che l'arcivescovo Vincent Nichols mi ha rivolto a vostro nome, e vi offro i miei più affettuosi buoni auspici e le mie preghiere per voi e per tutti i fedeli dell'Inghilterra e del Galles affidati alla vostra sollecitudine pastorale. La vostra visita a Roma rafforza i vincoli di comunione fra la comunità cattolica nel vostro Paese e la Sede Apostolica, una comunione che ha sostenuto la fede del vostro popolo per secoli, e oggi offre nuove energie per il rinnovamento e l'evangelizzazione. Anche nelle pressioni di un'epoca secolare, ci sono molti segni di fede e di devozione vive fra i cattolici di Inghilterra e del Galles. Penso, per esempio, all'entusiasmo generato dalla visita delle reliquie di santa Teresa, all'interesse suscitato dalla prospettiva della beatificazione del cardinale Newman e al vivo desiderio dei giovani di partecipare ai pellegrinaggi e alle Giornate mondiali della gioventù. In occasione della mia prossima visita apostolica in Gran Bretagna, potrò io stesso essere testimone di quella fede e, come Successore di Pietro, potrò rafforzarla e confermarla. Durante i prossimi mesi di preparazione, preoccupatevi di incoraggiare i cattolici in Inghilterra e nel Galles nella loro devozione, assicurategli che il Papa li ricorda sempre nelle sue preghiere e li tiene nel suo cuore.

Il vostro Paese è bene noto per il suo saldo impegno nell'assicurare pari opportunità per tutti i membri della società. Tuttavia, come avete giustamente evidenziato, l'effetto di una certa legislazione per raggiungere questo obiettivo è stato l'imposizione di limitazioni ingiuste alla libertà di agire secondo il proprio credo a comunità religiose. Per alcuni aspetti essa viola veramente la legge naturale su cui si fonda l'uguaglianza di tutti gli esseri umani e per mezzo della quale essa è garantita. Vi esorto, in quanto Pastori, ad assicurare che l'insegnamento morale della Chiesa sia sempre presentato nella sua interezza e difeso in modo convincente. La fedeltà al Vangelo non limita in alcun modo la libertà di altri. Al contrario, è al servizio di quest'ultima perché offre loro la verità. Continuate a insistere sul vostro diritto di partecipare al dibattito nazionale attraverso un dialogo rispettoso con altri elementi nella società. Così facendo, non solo conservate antiche tradizioni britanniche di libertà di espressione e di onesto scambio di opinioni, ma date realmente voce alle convinzioni di molte persone che non hanno i mezzi per esprimerle: quando una parte così considerevole della popolazione afferma di essere cristiana, come si può mettere in discussione il diritto del Vangelo di essere ascoltato?

Se il pieno messaggio salvifico di Cristo deve essere presentato in maniera efficace e convincente al mondo, la comunità cattolica nel vostro Paese deve parlare con voce unita. Ciò richiede non solo a voi, vescovi, ma anche ai sacerdoti, agli insegnanti, ai catechisti, agli scrittori, in breve a tutti coloro che sono impegnati nel compito di comunicare il Vangelo, di essere attenti ai suggerimenti dello Spirito, che guida tutta la Chiesa nella verità, la riunisce nell'unità e le instilla zelo missionario.

Sia vostra preoccupazione, dunque, avvalervi dei doni considerevoli dei fedeli laici in Inghilterra e nel Galles e fare in modo che siano in grado di trasmettere la fede alle nuove generazioni in maniera completa e accurata e con la forte consapevolezza che così facendo svolgono il proprio ruolo nella missione della Chiesa. In un ambiente sociale che incoraggia l'espressione di una varietà di opinioni su ogni questione che emerge, è importante riconoscere il dissenso per quello che è e non confonderlo con un contributo maturo a un dibattito equilibrato e di ampio respiro. È la verità rivelata dalle Scritture e dalla tradizione e formulata dal magistero della Chiesa a renderci liberi. ll cardinale Newman lo ha compreso e ci ha lasciato un esempio eccezionale di fedeltà alla verità rivelata, seguendo quella kindly light ovunque essa lo conducesse, anche a un considerevole costo personale. Grandi scrittori e comunicatori della sua statura e della sua integrità sono necessari nella Chiesa oggi e spero che la devozione a lui ispirerà molti a seguirne le orme.

Giustamente è stata prestata molta attenzione all'attività accademica e ai molti scritti di Newman, ma è importante ricordare che egli si considerava soprattutto un sacerdote. In questo Annus sacerdotalis, vi esorto a far presente ai vostri sacerdoti il suo esempio di impegno nella preghiera, di sensibilità pastorale per le necessità del suo gregge, di passione per la predicazione del Vangelo. Voi stessi dovreste offrire un esempio simile. Siate vicini ai vostri sacerdoti e riaccendete il loro senso di enorme privilegio e di gioia nello stare in mezzo al popolo di Dio come alter Christus. Nei discorsi di Newman è scritto: "I sacerdoti di Cristo non hanno sacerdozio se non il Suo... ciò che fanno, lo fa Lui; quando battezzano, è Lui che battezza; quando benedicono, è Lui che benedice" (Parochial and Plain Sermons, vi 242). Infatti, poiché il sacerdote svolge un ruolo insostituibile nella vita della Chiesa, non lesinate sforzi nell'incoraggiare le vocazioni sacerdotali e nel ribadire ai fedeli il significato autentico e la necessità del sacerdozio. Incoraggiate i fedeli laici a esprimere il proprio apprezzamento per i sacerdoti che li servono e a riconoscere le difficoltà che a volte affrontano a causa del calo nel loro numero e delle pressioni crescenti. Il sostegno e la comprensione dei fedeli sono particolarmente necessari quando le parrocchie devono essere fuse insieme o i tempi per la messa adattati. Aiutateli a evitare qualsiasi tentazione di considerare i membri del clero come meri funzionari, ma, piuttosto, aiutateli a gioire del dono del ministero sacerdotale, un dono che non può mai essere dato per scontato.

Il dialogo ecumenico e interreligioso assume grande importanza in Inghilterra e nel Galles, dato il multiforme profilo demografico della popolazione. Incoraggiandovi a svolgere la vostra importante opera in queste aree, vi chiedo di essere generosi nel realizzare le direttive della Costituzione apostolica Anglicanorum coetibus per assistere quei gruppi di anglicani che desiderano entrare in piena comunione con la Chiesa cattolica. Sono convinto che, con un'accoglienza affettuosa e cordiale, questi gruppi saranno una benedizione per tutta la Chiesa.

Con queste riflessioni, affido il vostro ministero apostolico all'intercessione di san Davide, di san Giorgio e di tutti i santi e i martiri di Inghilterra e del Galles. Che Nostra Signora di Walsingham vi guidi e vi protegga sempre. A voi tutti e ai sacerdoti, ai religiosi e ai laici del vostro Paese, imparto di cuore la mia benedizione apostolica quale pegno di pace e di gioia nel Signore Gesù Cristo.




AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI SCOZIA IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Venerdì, 5 febbraio 2010

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Cari Fratelli Vescovi,

porgo un cordiale benvenuto a tutti voi in occasione della vostra visita ad limina a Roma. Vi ringrazio per le cortesi parole che il cardinale Keith Patrick O'Brien mi ha rivolto a vostro nome e vi assicuro delle mie preghiere costanti per voi e per i fedeli affidati alla vostra sollecitudine. La vostra presenza qui esprime una realtà che sta al centro di ogni diocesi cattolica, ovvero il suo rapporto di communio con la Sede di Pietro e quindi con la Chiesa universale. Le iniziative pastorali che tengono nel dovuto conto questa dimensione essenziale portano a un rinnovamento autentico: quando i vincoli di comunione con la Chiesa universale e in particolare con Roma sono accettati gioiosamente e vissuti pienamente, la fede delle persone può crescere liberamente e ottenere un raccolto di buone opere.

È una lieta coincidenza che l'Anno Sacerdotale, che tutta la Chiesa sta celebrando attualmente, corrisponda anche al quattrocentesimo anniversario dell'ordinazione sacerdotale del grande martire scozzese san John Ogilvie. Giustamente venerato come servitore fedele del Vangelo, è stato veramente eccezionale nella sua dedizione a un ministero pastorale difficile e pericoloso, al punto di sacrificare la propria vita. Prendetelo ad esempio per i vostri sacerdoti oggi. Sono lieto di apprendere che ponete grande enfasi sulla formazione permanente del vostro clero, in particolare attraverso l'iniziativa "Sacerdoti per la Scozia". La testimonianza di sacerdoti che sono autenticamente impegnati nella preghiera e gioiosi nel loro ministero reca frutti non solo nelle vite spirituali dei fedeli, ma anche nelle nuove vocazioni. Tuttavia, ricordate che le vostre lodevoli iniziative per promuovere le vocazioni devono essere accompagnate da una catechesi permanente fra i fedeli sul significato autentico del sacerdozio. Enfatizzate il ruolo indispensabile del sacerdote nella vita della Chiesa, soprattutto nell'offrire l'Eucaristia con la quale la Chiesa stessa riceve la vita. Incoraggiate quanti hanno per compito la formazione dei seminaristi a fare tutto il possibile per preparare una nuova generazione di sacerdoti impegnati e zelanti, ben dotati umanamente, accademicamente e spiritualmente per il compito del ministero nel ventunesimo secolo.

Di pari passo con un corretto apprezzamento del ruolo del sacerdote va una corretta comprensione della vocazione specifica del laicato. A volte, la tendenza a confondere l'apostolato laicale con il ministero laicale ha portato a una concezione del suo ruolo ecclesiale che guarda all'interno. Tuttavia, secondo la visione del concilio Vaticano II, ovunque i fedeli laici vivano la propria vocazione battesimale, nella famiglia, a casa, sul luogo di lavoro, partecipano attivamente alla missione della Chiesa di santificare il mondo. Una rinnovata attenzione all'apostolato laicale aiuterà a chiarire i ruoli del clero e del laicato e a dare così un forte impulso al compito di evangelizzare la società.

Questo compito richiede una disponibilità a cimentarsi fermamente con le sfide presentate dall'ondata crescente di secolarismo nel vostro Paese. Il sostegno all'eutanasia colpisce il cuore stesso della concezione cristiana di dignità della vita umana. Gli sviluppi recenti nell'etica medica e alcune pratiche propugnate nel campo dell'embriologia sono motivo di preoccupazione. Se l'insegnamento della Chiesa è compromesso, anche solo leggermente, in una di queste aree, allora diventa difficile difendere la pienezza della dottrina cattolica in modo integrale. I Pastori della Chiesa, quindi, devono continuamente esortare i credenti alla totale fedeltà al Magistero della Chiesa, sostenendo e difendendo, nello stesso tempo, il diritto della Chiesa a vivere liberamente nella società secondo le sue convinzioni.

La Chiesa offre al mondo una visione positiva e ispiratrice della vita umana, la bellezza del matrimonio e la gioia della genitorialità. È radicata nell'amore di Dio infinito, trasformante e nobilitante per tutti noi, che apre i nostri occhi per riconoscere e amare la sua immagine nel nostro prossimo (cfr. Deus caritas est et passim). Siate certi di presentare questo insegnamento in modo tale che sia riconosciuto per il messaggio di speranza che è. Troppo spesso la dottrina della Chiesa è percepita come una serie di proibizioni e posizioni retrograde, mentre la realtà, come sappiamo, è che essa è creativa e donatrice di vita ed è volta alla realizzazione più piena possibile del grande potenziale di bene e di felicità che Dio ha posto dentro ognuno di noi.

La Chiesa nel vostro Paese, come in molti Paesi dell'Europa del Nord, ha vissuto la tragedia della divisione. È triste ricordare la grande frattura con il passato cattolico della Scozia, avvenuta quattrocentocinquanta anni fa. Rendo grazie a Dio per i progressi compiuti per guarire le ferite che erano eredità di quel periodo, in particolare il settarismo che ha continuato ad alzare la testa anche in tempi recenti. Con la vostra partecipazione ad Action of Churches Together in Scotland, vedete come l'opera di riedificazione dell'unità fra i seguaci di Cristo sia perseguita con costanza e impegno. Pur resistendo a qualsiasi pressione per diluire il messaggio cristiano, prefiggetevi l'obiettivo di un'unità piena e visibile perché niente meno di questo può corrispondere alla volontà di Cristo.

Potete essere orgogliosi del contributo reso dalle scuole cattoliche della Scozia nel superare il settarismo e nell'instaurare buone relazioni fra comunità. Le scuole confessionali sono una forza potente di coesione sociale, e quando si verifica l'occasione, fate bene a sottolinearlo. Mentre incoraggiate gli insegnanti cattolici nel loro lavoro, ponete un'enfasi particolare sulla qualità e sulla profondità dell'educazione religiosa per preparare un laicato cattolico articolato e ben informato, capace e desideroso di portare avanti la propria missione "trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio" (Christifideles laici
CL 15). Una forte presenza cattolica nei mezzi di comunicazione sociale, nella politica locale e nazionale, nel sistema giudiziario, nelle professioni e nelle università può servire solo ad arricchire la vita nazionale della Scozia perché le persone di fede rendono testimonianza della verità, in particolare quando la verità viene messa in dubbio.

Prossimamente, quest'anno, avrò la gioia di essere con voi e con i cattolici della Scozia sul vostro suolo natale. Mentre vi preparate alla Visita Apostolica, incoraggiate il vostro popolo a pregare affinché essa sia un tempo di grazia per tutta la comunità cattolica. Cogliete l'opportunità di rendere più profonda la loro fede e di riaccendere il loro impegno a rendere testimonianza al Vangelo. Come i monaci di Iona che diffondono il messaggio cristiano in lungo e in largo in Scozia, permettete loro di essere fari di fede e santità per il popolo scozzese oggi.

Con queste riflessioni, affido le vostre opere apostoliche all'intercessione di Nostra Signora, di sant'Andrea, di santa Margherita e di tutti i santi di Scozia. A tutti voi e al vostro clero, ai religiosi e ai fedeli laici imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica quale pegno di pace e di gioia nel Signore Gesù Cristo.







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