Discorsi 2005-13 50310

AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI UGANDA IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Venerdì, 5 marzo 2010

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Eminenza,
Cari Fratelli Vescovi,

sono lieto di salutarvi, Vescovi dell'Uganda, in occasione della vostra visita ad limina sulle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo. Ringrazio il Vescovo Ssekamanya per i sentimenti affettuosi di comunione con il Successore di Pietro che ha espresso a vostro nome. Li ricambio volentieri e vi assicuro delle mie preghiere e del mio affetto per voi e per il Popolo di Dio affidato alla vostra sollecitudine. In particolar modo, rivolgo i miei pensieri a quanti sono stati colpiti dalle recenti frane nella regione Bududa del vostro Paese. Prego Dio Onnipotente, Padre di ogni misericordia, affinché possa concedere l'eterno riposo alle anime dei defunti e forza e speranza a tutti coloro che soffrono per le conseguenze di questo evento tragico.

La seconda Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi, di recente celebrazione, è stata memorabile per la sua esortazione a compiere rinnovati sforzi al servizio di una più profonda evangelizzazione nel vostro continente (cfr. Messaggio al Popolo di Dio, n. 15). La forza della parola di Dio e la conoscenza e l'amore di Gesù non possono che trasformare la vita delle persone, migliorando il loro modo di pensare e di agire. Alla luce del messaggio evangelico, siete consapevoli della necessità di incoraggiare i cattolici dell'Uganda ad apprezzare pienamente il sacramento del matrimonio nella sua unità e indissolubilità e il diritto sacro alla vita.

Vi raccomando di aiutare sacerdoti e laici a resistere alla seduzione della cultura materialistica dell'individualismo che ha messo radici in così tanti Paesi. Continuate a esortare a una pace duratura, basata sulla giustizia e sulla generosità verso i bisognosi, in uno spirito di dialogo e riconciliazione. Promuovendo un ecumenismo autentico, siate vicini in particolare a quanti sono più vulnerabili alla diffusione delle sette.

Spingeteli a rifiutare sentimenti superficiali e una predicazione che renderebbe vana la croce di Cristo (cfr.
1Co 1,17). In questo modo, continuerete, come Pastori responsabili, a mantenere loro e i loro figli fedeli alla Chiesa di Cristo. A questo proposito, sono lieto di apprendere che il vostro popolo trova conforto spirituale in forme popolari di evangelizzazione come i pellegrinaggi organizzati al Santuario dei Martiri ugandesi a Namugongo, dove l'attiva presenza pastorale dei Vescovi e di numerosi sacerdoti guida la pietà dei pellegrini verso un rinnovamento come individui e comunità. Continuate a sostenere tutti coloro che, con cuore generoso, si prendono cura dei profughi e degli orfani delle zone lacerate dalla guerra. Incoraggiate quanti assistono le persone afflitte dalla povertà, dall'Aids e da altre malattie, insegnando loro a vedere in chi servono il volto sofferente di Gesù (cfr. Mt Mt 25,40).

Un'evangelizzazione rinnovata crea a sua volta una cultura cattolica più profonda che si radica nella famiglia. Grazie ai vostri resoconti quinquennali so che i programmi educativi nelle parrocchie, nelle scuole e nelle associazioni e i vostri interventi su materie di interesse comune, di fatto, stanno diffondendo una cultura cattolica più forte. Un grande bene può derivare da laici ben preparati e attivi nei mezzi di comunicazione sociale, nella politica e nella cultura. Dovrebbero essere offerti corsi per una formazione adeguata, in particolare nella dottrina sociale cattolica, avvalendosi delle risorse dell'Università dei Martiri ugandesi o di altre istituzioni. Incoraggiateli a essere attivi ed espliciti al servizio di ciò che è nobile e giusto. In questo modo, tutta la società beneficerà di cristiani ferventi e ben preparati, che assumeranno ruoli guida al servizio del bene comune. Anche i movimenti ecclesiali meritano il vostro sostegno per il loro contributo positivo alla vita della Chiesa in molti settori.

I Vescovi, quali primi agenti di evangelizzazione, sono chiamati a rendere testimonianza della solidarietà concreta scaturita dalla nostra comunione con Cristo. In spirito di carità cristiana, le Diocesi che hanno maggiori risorse, sia materialmente sia spiritualmente, dovrebbero assistere quanti hanno di meno. Nello stesso tempo, tutte le comunità hanno il dovere di adoperarsi per l'autosufficienza. È importante che il vostro popolo sviluppi un senso di responsabilità verso di sé, verso la sua comunità e la sua Chiesa, e approfondisca ulteriormente uno spirito cattolico di sensibilità verso le necessità della Chiesa universale.

I vostri sacerdoti, come devoti ministri di evangelizzazione, già beneficiano grandemente della vostra sollecitudine e della vostra guida fraterne. In questo Anno Sacerdotale offrite loro il vostro aiuto, il vostro esempio e il vostro chiaro insegnamento. Esortateli alla preghiera e alla vigilanza, in particolare a proposito di ambizioni egoistiche, materiali o politiche, o di un attaccamento eccessivo alla famiglia o al gruppo etnico. Continuate a promuovere le vocazioni, provvedendo al necessario discernimento dei candidati e delle loro motivazioni, e alla loro formazione, in particolare alla formazione spirituale. I sacerdoti devono essere uomini di Dio, in grado di guidare gli altri lungo le vie del Signore attraverso l'esempio e sagge raccomandazioni.

In Uganda, i religiosi, uomini e donne, sono chiamati a essere esempio e fonte di incoraggiamento per tutta la Chiesa. Con i vostri consigli e le vostre preghiere assisteteli mentre si adoperano per raggiungere lo scopo della perfetta carità e per rendere testimonianza del Regno.

Sacerdoti e religiosi richiedono un sostegno costante nella loro vita di celibato e di verginità consacrata. Con il vostro esempio insegnate loro la bellezza di questo stile di vita, della paternità e della maternità spirituali con cui possono arricchire e rendere più profondo l'amore dei fedeli per il Creatore e datore di ogni bene. Anche i vostri catechisti sono una grande risorsa. Continuate a prestare attenzione alle loro necessità e alla loro formazione, e, per incoraggiarli, portate loro l'esempio di martiri quali il beato Daudi Okello e il beato Jildo Irwa.

Cari fratelli Vescovi, con l'Apostolo Paolo, vi esorto: "Tu però vigila attentamente, sopporta le sofferenze, compi la tua opera di annunciatore del Vangelo, adempi il tuo ministero" (2Tm 4,5). I Martiri ugandesi sono per voi e per il vostro popolo modelli di grande coraggio e sopportazione nella sofferenza. Contate sulle loro preghiere e lottate sempre per essere degni della loro eredità. Affidando voi e quanti sono a loro volta affidati alla vostra sollecitudine pastorale alla protezione amorevole di Maria, Madre della Chiesa, vi imparto la mia Benedizione Apostolica.






AI DIRIGENTI, PERSONALE E VOLONTARI DELLA PROTEZIONE CIVILE NAZIONALE ITALIANA Aula Paolo VI Sabato, 6 marzo 2010

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Cari amici,

sono molto lieto di accogliervi e di rivolgere il mio cordiale benvenuto a ciascuno di voi. Saluto i Confratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio e tutte le Autorità. Saluto il Dott. Guido Bertolaso, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e Capo del Dipartimento della Protezione Civile, e lo ringrazio per le cortesi parole che mi ha rivolto a nome di tutti e per tutto quello che fa per la società civile e per tutti noi. Saluto il Dott. Gianni Letta, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, presente a questo incontro. Rivolgo il mio affettuoso saluto ai numerosi volontari e volontarie e ai rappresentanti di alcune componenti del Servizio Nazionale della Protezione Civile.

Questo incontro è stato preceduto da un gioioso momento di festa, allietato anche dalle esecuzioni musicali dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese. A tutti il mio grato pensiero. Avete voluto ripercorrere l’attività svolta dalla Protezione Civile negli ultimi dieci anni, sia in occasione di emergenze nazionali e internazionali, sia nell’attività di supporto a grandi e particolari avvenimenti. Come non ricordare, a tale proposito, gli interventi a favore dei terremotati di San Giuliano di Puglia e, soprattutto, dell’Abruzzo? Io stesso, visitando, nell’aprile scorso, Onna e l’Aquila, ho potuto constatare di persona con quanto impegno vi siete prodigati per assistere coloro che avevano perduto i propri cari e le abitazioni. Mi sembrano appropriate le parole che vi rivolsi in quella occasione: “Grazie di ciò che avete fatto e soprattutto dell’amore con cui l’avete fatto. Grazie dell’esempio che avete dato” (Discorso nell’incontro con i fedeli e il personale impiegato nei soccorsi, 28 aprile 2009). E come non pensare con ammirazione ai tanti volontari e volontarie che hanno garantito assistenza e sicurezza alla folla sterminata di giovani, e non solo, presente all’indimenticabile Giornata Mondiale della Gioventù del 2000, o venuta a Roma per l’ultimo saluto al Papa Giovanni Paolo II?

Cari volontari e volontarie della Protezione Civile: so che avete molto desiderato questo incontro; posso assicurarvi che questo era anche il mio vivo desiderio. Voi costituite una delle espressioni più recenti e mature della lunga tradizione di solidarietà che affonda le radici nell’altruismo e nella generosità del popolo italiano. Il volontariato di Protezione Civile è divenuto un fenomeno nazionale, che ha assunto caratteri di partecipazione e di organizzazione particolarmente significativi e oggi comprende circa un milione e trecentomila membri, suddivisi in oltre tremila organizzazioni. Le finalità e i propositi della vostra associazione hanno trovato riconoscimento in appropriate norme legislative, che hanno contribuito al formarsi di un’identità nazionale del volontariato di Protezione Civile, attenta ai bisogni primari della persona e del bene comune.

I termini ‘protezione’ e ‘civile’ rappresentano delle precise coordinate ed esprimono in maniera profonda la vostra missione, direi la vostra ‘vocazione’: proteggere le persone e la loro dignità – beni centrali della società civile - nei casi tragici di calamità e di emergenza che minacciano la vita e la sicurezza di famiglie o di intere comunità. Tale missione non consiste solo nella gestione dell’emergenza, ma in un contributo puntuale e meritorio alla realizzazione del bene comune, il quale rappresenta sempre l’orizzonte della convivenza umana anche, e soprattutto, nei momenti delle grandi prove. Queste sono un’occasione di discernimento e non di disperazione. Offrono l’opportunità di formulare una nuova progettualità sociale, orientata maggiormente alla virtù e al bene di tutti.

La duplice dimensione della protezione, che si esprime sia durante l’emergenza che dopo, è bene espressa dalla figura del buon Samaritano, tratteggiata dal Vangelo di Luca (cfr
Lc 10,30-35). Questo personaggio ha dimostrato certamente carità, umiltà e coraggio assistendo il malcapitato nel momento del massimo bisogno. E questo quando tutti - alcuni per indifferenza, altri per durezza di cuore - girano lo sguardo dall’altra parte. Il buon Samaritano insegna, però, ad andare oltre l’emergenza e a predisporre, potremmo dire, il rientro nella normalità. Egli, infatti, fascia le ferite dell’uomo riverso a terra, ma poi si preoccupa di affidarlo all’albergatore affinché, superata l’emergenza, possa ristabilirsi.

Come ci insegna la pagina evangelica, l’amore del prossimo non può essere delegato: lo Stato e la politica, pur con le necessarie premure per il welfare, non possono sostituirlo. Come ho scritto nell’Enciclica Deus caritas est: “L’amore sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo. Ci sarà sempre sofferenza che necessita di consolazione, di aiuto. Sempre ci sarà solitudine. Sempre ci saranno anche situazioni di necessità materiale nelle quali è indispensabile un aiuto nella linea di un concreto amore del prossimo” (n. 28). Esso richiede e richiederà sempre l’impegno personale e volontario. Proprio per questo, i volontari non sono dei “tappabuchi” nella rete sociale, ma persone che veramente contribuiscono a delineare il volto umano e cristiano della società. Senza volontariato, il bene comune e la società non possono durare a lungo, poiché il loro progresso e la loro dignità dipendono in larga misura proprio da quelle persone che fanno più del loro stretto dovere.

Cari amici! Il vostro impegno è un servizio reso alla dignità dell’uomo fondata sul suo essere creato a immagine e somiglianza di Dio (cfr Gn 1,26). Come ci ha mostrato l’episodio del buon Samaritano, ci sono sguardi che possono andare nel vuoto o addirittura nel disprezzo, ma vi sono anche sguardi che possono esprimere amore. Oltre che custodi del territorio, siate sempre più icone viventi del buon Samaritano, conferendo attenzione al prossimo, ricordando la dignità dell’uomo e suscitando speranza. Quando una persona non si limita solo a compiere il proprio dovere nella professione e nella famiglia, ma s’impegna per gli altri, il suo cuore si dilata. Chi ama e serve gratuitamente l’altro come prossimo, vive ed agisce secondo il Vangelo e prende parte alla missione della Chiesa, che sempre guarda l’uomo intero e vuol fargli sentire l’amore di Dio.

Cari volontari e volontarie, la Chiesa e il Papa sostengono il vostro prezioso servizio. La Vergine Maria, che va “in fretta” dalla cugina Elisabetta per aiutarla (cfr Lc 1,39), sia il vostro modello. Mentre vi affido all’intercessione del vostro patrono, san Pio da Pietrelcina, assicuro il mio ricordo nella preghiera e con affetto imparto a voi e ai vostri cari la Benedizione Apostolica.




VISITA ALLA PARROCCHIA ROMANA DI SAN GIOVANNI DELLA CROCE Domenica, 7 marzo 2010

7030

SALUTO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI AL CONSIGLIO PASTORALE



Cari fratelli e sorelle, di tutto cuore dico grazie per questa bella esperienza pre-pasquale, che mi avete donato con questa domenica mattina. Ho letto un po’ sulla storia della vostra parrocchia, che è cominciata proprio da zero; avete costruito, nel frattempo, un bel centro pastorale, avete costruito gli edifici, le strutture, ma soprattutto avete costruito la Chiesa viva, di pietre vive. Adesso è bello vedere qui come la Chiesa è vivente, vive dalla Parola di Dio, dalla partecipazione alla santa Eucaristia, con tanti componenti della vita spirituale, i movimenti, tutti uniti in un unico progetto pastorale nella comune Chiesa di Cristo.

Per questo sono gratissimo e vi prego di continuare in questo senso: sempre costruire la Chiesa di pietre vive, ed essere, così, anche un centro di irradiazione della Parola di Dio nel nostro mondo, che ha talmente bisogno di questa Parola di Dio, della vita che viene da Dio.

Oggi, nella prima lettura, abbiamo sentito proprio questa autopresentazione di Dio, che entra nella storia, si fa uno di noi. E abbiamo sentito che Dio è un Dio che ci ascolta, che non è lontano, che si interessa di noi, che è per noi e con noi. E questo esige la nostra risposta, esige che anche noi ascoltiamo Dio, che anche noi siamo aperti alla sua presenza e così cielo e terra si comunicano e diventano più uniti e il mondo diventa più luminoso, più bello.

Grazie per tutto il vostro lavoro! Vi auguro una buona Pasqua e ulteriori progressi spirituali nella comunione con Cristo e nella comunità dei sacerdoti, soprattutto del vostro caro parroco. Ho sentito come ha cominciato andando al supermercato per vedere chi c’era, e così è cresciuta la parrocchia. Grazie monsignor parroco, grazie a tutti voi. Buona Pasqua!



AI PARTECIPANTI AL CORSO SUL FORO INTERNO PROMOSSO DALLA PENITENZIERIA APOSTOLICA Sala Clementina Giovedì, 11 marzo 2010

11030

Cari amici,

sono lieto di incontrarvi e di rivolgere a ciascuno di voi il mio benvenuto, in occasione dell’annuale Corso sul Foro Interno, organizzato dalla Penitenzieria Apostolica. Saluto cordialmente Mons. Fortunato Baldelli, che, per la prima volta, come Penitenziere Maggiore, ha guidato le vostre sessioni di studio e lo ringrazio per le parole che mi ha indirizzato. Con lui saluto Mons. Gianfranco Girotti, Reggente, il personale della Penitenzieria e tutti voi che, con la partecipazione a questa iniziativa, manifestate la forte esigenza di approfondire una tematica essenziale per il ministero e la vita dei presbiteri.

Il vostro Corso si colloca, provvidenzialmente, nell’Anno Sacerdotale, che ho indetto per il 150° anniversario della nascita al Cielo di san Giovanni Maria Vianney, il quale ha esercitato in modo eroico e fecondo il ministero della Riconciliazione. Come ho affermato nella Lettera d’indizione: “Tutti noi sacerdoti dovremmo sentire che ci riguardano personalmente quelle parole che egli, [il Curato d’Ars], metteva in bocca a Cristo: «Incaricherò i miei ministri di annunciare ai peccatori che sono sempre pronto a riceverli, che la mia Misericordia è infinita». Dal Santo Curato d’Ars, noi sacerdoti possiamo imparare non solo una inesauribile fiducia nel Sacramento della Penitenza, che ci spinga a rimetterlo al centro delle nostre preoccupazioni pastorali, ma anche il metodo del «dialogo di salvezza» che in esso si deve svolgere”. Dove affondano le radici dell’eroicità e della fecondità, con cui San Giovanni Maria Vianney ha vissuto il proprio ministero di confessore? Anzitutto in un’intensa dimensione penitenziale personale. La coscienza del proprio limite ed il bisogno di ricorrere alla Misericordia Divina per chiedere perdono, per convertire il cuore e per essere sostenuti nel cammino di santità, sono fondamentali nella vita del sacerdote: solo chi per primo ne ha sperimentato la grandezza può essere convinto annunciatore e amministratore della Misericordia di Dio. Ogni sacerdote diviene ministro della Penitenza per la configurazione ontologica a Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, che riconcilia l’umanità con il Padre; tuttavia, la fedeltà nell’amministrare il Sacramento della Riconciliazione è affidata alla responsabilità del presbitero.

Viviamo in un contesto culturale segnato dalla mentalità edonistica e relativistica, che tende a cancellare Dio dall’orizzonte della vita, non favorisce l’acquisizione di un quadro chiaro di valori di riferimento e non aiuta a discernere il bene dal male e a maturare un giusto senso del peccato. Questa situazione rende ancora più urgente il servizio di amministratori della Misericordia Divina. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che c’è una sorta di circolo vizioso tra l’offuscamento dell’esperienza di Dio e la perdita del senso del peccato. Tuttavia, se guardiamo al contesto culturale in cui visse san Giovanni Maria Vianney, vediamo che, per vari aspetti, non era così dissimile dal nostro. Anche al suo tempo, infatti, esisteva una mentalità ostile alla fede, espressa da forze che cercavano addirittura di impedire l’esercizio del ministero. In tali circostanze, il Santo Curato d’Ars fece “della chiesa la sua casa”, per condurre gli uomini a Dio. Egli visse con radicalità lo spirito di orazione, il rapporto personale ed intimo con Cristo, la celebrazione della S. Messa, l’Adorazione eucaristica e la povertà evangelica, apparendo ai suoi contemporanei un segno così evidente della presenza di Dio, da spingere tanti penitenti ad accostarsi al suo confessionale. Nelle condizioni di libertà in cui oggi è possibile esercitare il ministero sacerdotale, è necessario che i presbiteri vivano in “modo alto” la propria risposta alla vocazione, perché soltanto chi diventa ogni giorno presenza viva e chiara del Signore può suscitare nei fedeli il senso del peccato, dare coraggio e far nascere il desiderio del perdono di Dio.

Cari confratelli, è necessario tornare al confessionale, come luogo nel quale celebrare il Sacramento della Riconciliazione, ma anche come luogo in cui “abitare” più spesso, perché il fedele possa trovare misericordia, consiglio e conforto, sentirsi amato e compreso da Dio e sperimentare la presenza della Misericordia Divina, accanto alla Presenza reale nell’Eucaristia. La “crisi” del Sacramento della Penitenza, di cui spesso si parla, interpella anzitutto i sacerdoti e la loro grande responsabilità di educare il Popolo di Dio alle radicali esigenze del Vangelo. In particolare, chiede loro di dedicarsi generosamente all’ascolto delle confessioni sacramentali; di guidare con coraggio il gregge, perché non si conformi alla mentalità di questo mondo (cfr.
Rm 12,2), ma sappia compiere scelte anche controcorrente, evitando accomodamenti o compromessi. Per questo è importante che il sacerdote abbia una permanente tensione ascetica, nutrita dalla comunione con Dio, e si dedichi ad un costante aggiornamento nello studio della teologia morale e delle scienze umane.

San Giovanni Maria Vianney sapeva instaurare con i penitenti un vero e proprio “dialogo di salvezza”, mostrando la bellezza e la grandezza della bontà del Signore e suscitando quel desiderio di Dio e del Cielo, di cui i santi sono i primi portatori. Egli affermava: “Il Buon Dio sa tutto. Prima ancora che voi vi confessiate, sa già che peccherete ancora e tuttavia vi perdona. Come è grande l’Amore del nostro Dio, che si spinge fino a dimenticare volontariamente l’avvenire, pur di perdonarci” (Monnin A., Il Curato d’Ars. Vita di Gian-Battista-Maria Vianney, vol. I, Torino 1870, p. 130). E’ compito del sacerdote favorire quell’esperienza di “dialogo di salvezza”, che, nascendo dalla certezza di essere amati da Dio, aiuta l’uomo a riconoscere il proprio peccato e a introdursi, progressivamente, in quella stabile dinamica di conversione del cuore, che porta alla radicale rinuncia al male e ad una vita secondo Dio (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica CEC 1431).

Cari sacerdoti, quale straordinario ministero il Signore ci ha affidato! Come nella Celebrazione Eucaristica Egli si pone nelle mani del sacerdote per continuare ad essere presente in mezzo al suo Popolo, analogamente, nel Sacramento della Riconciliazione Egli si affida al sacerdote perché gli uomini facciano l’esperienza dell’abbraccio con cui il padre riaccoglie il figlio prodigo, riconsegnandogli la dignità filiale e ricostituendolo pienamente erede (cfr Lc 15,11-32). La Vergine Maria e il Santo Curato d’Ars ci aiutino a sperimentare nella nostra vita l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’Amore di Dio (cfr Ef Ep 3,18-19), per esserne fedeli e generosi amministratori. Vi ringrazio tutti di cuore e volentieri vi imparto la mia Benedizione.




AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO TEOLOGICO PROMOSSO DALLA CONGREGAZIONE PER IL CLERO Aula della Benedizione Venerdì, 12 marzo 2010

12030



Signori Cardinali,
Cari confratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Gentili convenuti,

sono lieto di incontrarvi in questa particolare occasione e vi saluto tutti con affetto. Rivolgo un particolare pensiero al Cardinale Cláudio Hummes, Prefetto della Congregazione per il Clero, e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto. La mia gratitudine va all’intero Dicastero, per l’impegno con cui coordina le molteplici iniziative dell’Anno Sacerdotale, tra le quali questo Convegno Teologico, dal tema: “Fedeltà di Cristo, Fedeltà del Sacerdote”. Mi rallegro per questa iniziativa che vede la presenza di più di 50 Vescovi e di oltre 500 sacerdoti, molti dei quali responsabili nazionali o diocesani del Clero e della formazione permanente. La vostra attenzione ai temi riguardanti il Sacerdozio ministeriale è uno dei frutti di questo speciale Anno, che ho voluto indire proprio per “promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi” (Lettera per l’indizione dell’Anno Sacerdotale).

Il tema dell’identità sacerdotale, oggetto della vostra prima giornata di studio è determinante per l’esercizio del sacerdozio ministeriale nel presente e nel futuro. In un’epoca come la nostra, così “policentrica” ed incline a sfumare ogni tipo di concezione identitaria, da molti ritenuta contraria alla libertà e alla democrazia, è importante avere ben chiara la peculiarità teologica del Ministero ordinato per non cedere alla tentazione di ridurlo alle categorie culturali dominanti. In un contesto di diffusa secolarizzazione, che esclude progressivamente Dio dalla sfera pubblica, e, tendenzialmente, anche dalla coscienza sociale condivisa, spesso il sacerdote appare “estraneo” al sentire comune, proprio per gli aspetti più fondamentali del suo ministero, come quelli di essere uomo del sacro, sottratto al mondo per intercedere a favore del mondo, costituito, in tale missione, da Dio e non dagli uomini (cfr
He 5,1). Per tale motivo è importante superare pericolosi riduzionismi, che, nei decenni passati, utilizzando categorie più funzionalistiche che ontologiche, hanno presentato il sacerdote quasi come un “operatore sociale”, rischiando di tradire lo stesso Sacerdozio di Cristo. Come si rivela sempre più urgente l’ermeneutica della continuità per comprendere in modo adeguato i testi del Concilio Ecumenico Vaticano II, analogamente appare necessaria un’ermeneutica che potremmo definire “della continuità sacerdotale”, la quale, partendo da Gesù di Nazaret, Signore e Cristo, e passando attraverso i duemila anni della storia di grandezza e di santità, di cultura e di pietà, che il Sacerdozio ha scritto nel mondo, giunga fino ai nostri giorni.

Cari fratelli sacerdoti, nel tempo in cui viviamo è particolarmente importante che la chiamata a partecipare all’unico Sacerdozio di Cristo nel Ministero ordinato fiorisca nel “carisma della profezia”: c’è grande bisogno di sacerdoti che parlino di Dio al mondo e che presentino a Dio il mondo; uomini non soggetti ad effimere mode culturali, ma capaci di vivere autenticamente quella libertà che solo la certezza dell’appartenenza a Dio è in grado di donare. Come il vostro Convegno ha ben sottolineato, oggi la profezia più necessaria è quella della fedeltà, che partendo dalla Fedeltà di Cristo all’umanità, attraverso la Chiesa ed il Sacerdozio ministeriale, conduca a vivere il proprio sacerdozio nella totale adesione a Cristo e alla Chiesa. Infatti, il sacerdote non appartiene più a se stesso, ma, per il sigillo sacramentale ricevuto (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica CEC 1563 CEC 1582), è “proprietà” di Dio. Questo suo “essere di un Altro” deve diventare riconoscibile da tutti, attraverso una limpida testimonianza.

Nel modo di pensare, di parlare, di giudicare i fatti del mondo, di servire e amare, di relazionarsi con le persone, anche nell’abito, il sacerdote deve trarre forza profetica dalla sua appartenenza sacramentale, dal suo essere profondo. Di conseguenza, deve porre ogni cura nel sottrarsi alla mentalità dominante, che tende ad associare il valore del ministro non al suo essere, ma alla sua funzione, misconoscendo, così, l’opera di Dio, che incide nell’identità profonda della persona del sacerdote, configurandolo a Sé in modo definitivo (cfr ibid., n.1583).

L’orizzonte dell’appartenenza ontologica a Dio costituisce, inoltre, la giusta cornice per comprendere e riaffermare, anche ai nostri giorni, il valore del sacro celibato, che nella Chiesa latina è un carisma richiesto per l’Ordine sacro (cfr Presbyterorum Ordinis PO 16) ed è tenuto in grandissima considerazione nelle Chiese Orientali (cfr CCEO, can. 373). Esso è autentica profezia del Regno, segno della consacrazione con cuore indiviso al Signore e alle “cose del Signore” (1Co 7,32), espressione del dono di sé a Dio e agli altri (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica CEC 1579).

Quella del sacerdote è, pertanto, un’altissima vocazione, che rimane un grande Mistero anche per quanti l’abbiamo ricevuta in dono. I nostri limiti e le nostre debolezze devono indurci a vivere e a custodire con profonda fede tale dono prezioso, con il quale Cristo ci ha configurati a Sé, rendendoci partecipi della Sua Missione salvifica. Infatti, la comprensione del Sacerdozio ministeriale è legata alla fede e domanda, in modo sempre più forte, una radicale continuità tra la formazione seminaristica e quella permanente. La vita profetica, senza compromessi, con la quale serviremo Dio e il mondo, annunciando il Vangelo e celebrando i Sacramenti, favorirà l’avvento del Regno già presente e la crescita del Popolo di Dio nella fede.

Carissimi sacerdoti, gli uomini e le donne del nostro tempo ci chiedono soltanto di essere fino in fondo sacerdoti e nient’altro. I fedeli laici troveranno in tante altre persone ciò di cui umanamente hanno bisogno, ma solo nel sacerdote potranno trovare quella Parola di Dio che deve essere sempre sulle sue labbra (cfr Presbyterorum Ordinis PO 4); la Misericordia del Padre, abbondantemente e gratuitamente elargita nel Sacramento della Riconciliazione; il Pane di Vita nuova, “vero cibo dato agli uomini” (cfr Inno dell’Ufficio nella Solennità del Corpus Domini del Rito romano). Chiediamo a Dio, per intercessione della Beata Vergine Maria e di San Giovanni Maria Vianney, di poterLo ringraziare ogni giorno per il grande dono della vocazione e di vivere con piena e gioiosa fedeltà il nostro Sacerdozio. Grazie a tutti per questo incontro! Ben volentieri imparto a ciascuno la Benedizione Apostolica.




AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL SUDAN IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Sabato, 13 marzo 2010

13030



Eminenza,
Cari Fratelli Vescovi,

con grande gioia vi do il benvenuto, Vescovi del Sudan, in occasione della vostra visita quinquennale sulle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo. Sono grato al Vescovo Deng Majak per le cortesi parole che mi ha rivolto a vostro nome. In spirito di comunione nel Signore che ci unisce come successori degli apostoli, mi unisco a voi nel rendere grazie per il "dono più sublime" (cfr
1Co 12,31) di carità cristiana che è evidente nella vostra vita e nel servizio generoso dei sacerdoti, dei religiosi, uomini e donne, e dei laici del Sudan. La vostra fedeltà al Signore e i frutti delle vostre fatiche fra le difficoltà e le sofferenze rendono una testimonianza eloquente del potere della Croce che risplende attraverso le nostre debolezze e i nostri limiti umani (cfr 1Co 11,23-24).

So quanto voi e i fedeli del vostro Paese desideriate la pace, e quanto pazientemente vi adoperate per il suo ripristino. Ancorati alla vostra fede e alla vostra speranza in Cristo, il principe della pace, possiate sempre trovare nel Vangelo i principi necessari a plasmare la vostra predicazione e il vostro insegnamento, i vostri giudizi e le vostre azioni. Ispirati da questi principi e facendo eco alle giuste aspirazioni di tutta la comunità cattolica avete parlato con una sola voce nel rifiutare "qualsiasi ritorno alla guerra" e nel richiedere l'instaurazione della pace a ogni livello della vita nazionale (cfr Dichiarazione dei Vescovi del Sudan, Per una pace giusta e duratura, n. 4).

Se la pace significa mettere radici profonde, bisogna compiere sforzi comuni per diminuire i fattori che contribuiscono ai conflitti, in particolare la corruzione, le tensioni etniche, l'indifferenza e l'egoismo. Iniziative in tal senso si dimostreranno sicuramente feconde se saranno basate sull'integrità, su un senso di fraternità universale e sulle virtù della giustizia, della responsabilità e della carità. Trattati e altri accordi, elementi indispensabili del processo di pace, recheranno frutti solo se saranno ispirati e accompagnati dall'esercizio di una guida matura e moralmente retta.

Vi esorto a trarre forza dalla vostra esperienza recente nell'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi mentre continuate a predicare la riconciliazione e il perdono. Gli effetti della violenza potrebbero impiegare anni per attenuarsi, ma il mutamento del cuore che è la condizione indispensabile per una pace giusta e duratura deve essere implorato fin da ora quale dono della grazia di Dio. Come araldi del Vangelo, avete cercato di instillare nel vostro popolo e nella società un senso di responsabilità verso le generazioni attuali e future, incoraggiando il perdono, l'accettazione reciproca e il rispetto per gli impegni presi. Nello stesso modo avete operato per promuovere i diritti umani fondamentali attraverso lo stato di diritto e avete esortato all'applicazione di un modello integrale di sviluppo umano ed economico. Apprezzo tutto quello che la Chiesa nel vostro Paese sta facendo per aiutare i poveri a vivere con dignità e rispetto di sé, a trovare un lavoro a lungo termine e a essere in grado di dare il proprio contributo alla società.

Quale segno e strumento di una umanità ristabilita e riconciliata, la Chiesa, anche adesso, sperimenta la pace del Regno attraverso la sua comunione con il Signore. Che la vostra predicazione e la vostra attività pastorale continuino a essere ispirate da una spiritualità di comunione che unisce le menti e i cuori in obbedienza al Vangelo, dalla partecipazione alla vita sacramentale della Chiesa e dalla fedeltà alla vostra autorità episcopale. L'esercizio di questa autorità non dovrebbe mai essere considerato "come qualcosa di impersonale o burocratico, proprio perché è un'autorità che nasce dalla testimonianza" (cfr Pastores gregis ). Per questo motivo, voi stessi dovete essere i primi insegnanti e testimoni della nostra comunione di fede e dell'amore di Cristo, condividendo iniziative comuni, ascoltando i vostri collaboratori, aiutando sacerdoti, religiosi e fedeli ad accettarsi e sostenersi reciprocamente senza distinzione di razza o gruppo etnico, in uno scambio generoso di doni.

Quale parte significativa di questa testimonianza, vi incoraggio a dedicare la vostra energia a rafforzare l'educazione cattolica, e quindi a preparare i laici in particolare a recare una testimonianza convincente di Cristo in ogni aspetto della famiglia, della vita politica e sociale. Questo è un compito al quale l'Università di Santa Maria di Juba e i movimenti ecclesiali possono apportare un contributo significativo. Dopo i genitori, i catechisti sono il primo anello nella catena di trasmissione del prezioso tesoro della fede. Vi esorto a vigilare sulla loro formazione e sulle loro necessità.

Infine, desidero esprimere il mio apprezzamento per i vostri sforzi volti a mantenere buoni rapporti con i seguaci dell'Islam. Mentre vi adoperate a promuovere la cooperazione nelle iniziative pratiche, vi incoraggio a sottolineare i valori che i cristiani condividono con i musulmani, come base per quel "dialogo di vita" che è un primo passo essenziale verso un rispetto e una comprensione interreligiosi autentici. La stessa apertura e lo stesso amore dovrebbero essere dimostrati verso chi appartiene alle religioni tradizionali.

Cari Fratelli Vescovi, attraverso di voi invio affettuosi saluti ai sacerdoti e ai religiosi del vostro Paese, alle famiglie, e, in particolare, ai bambini. Con grande affetto, vi affido alle preghiere di santa Bakhita e di san Daniele Comboni nonché alla protezione di Maria, Madre della Chiesa. A tutti imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica quale pegno di saggezza, gioia e forza nel Signore.




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