Discorsi 2005-13 25030

AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEI PAESI SCANDINAVI IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Giovedì, 25 marzo 2010

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Cari Fratelli Vescovi,

vi do il benvenuto a Roma in occasione della vostra visita ad limina Apostolorum e ringrazio il Vescovo Arborelius per le parole che mi ha rivolto a vostro nome. Esercitate il governo pastorale sui fedeli cattolici nell'estremo Nord dell'Europa e avete viaggiato fin qui per esprimere e rinnovare i vincoli di comunione fra il popolo di Dio in quei Paesi e il Successore di Pietro, nel cuore della Chiesa universale. Il vostro gregge è numericamente piccolo e sparso su un'area molto vasta. Molti devono percorrere grandi distanze per trovare una comunità cattolica in cui praticare il culto. È molto importante per loro comprendere che ogni volta che si riuniscono intorno all'altare per il sacrificio eucaristico, partecipano a un atto della Chiesa universale, in comunione con tutti i loro fratelli cattolici del resto del mondo. È questa comunione a essere sia esercitata sia approfondita attraverso le visite quinquennali dei Vescovi alla Sede Apostolica.

Sono lieto di apprendere che un Congresso sulla Famiglia si svolgerà a Jönköping nel maggio di quest'anno. Uno dei messaggi più importanti che le persone delle terre nordiche devono ascoltare da voi è un monito a proposito della centralità della famiglia per la vita di una società sana. Purtroppo, gli ultimi anni hanno assistito a un indebolimento dell'impegno per l'istituto del matrimonio e dell'idea cristiana di sessualità umana, che per tanto tempo è stata il fondamento di relazioni personali e sociali nella società europea.

I bambini hanno il diritto di essere concepiti e portati in grembo, messi al mondo e cresciuti nell'ambito del matrimonio: è attraverso il rapporto certo e riconosciuto dei loro genitori che possono scoprire la propria identità e raggiungere il proprio adeguato sviluppo umano (cfr. Donum vitae, 22 febbraio 1987).

In società con una nobile tradizione di difesa dei diritti di tutti i loro membri, ci si aspetterebbe che questo diritto fondamentale dei figli avesse la priorità su qualsiasi altro presunto diritto degli adulti a imporre loro modelli alternativi di vita familiare e, di certo, su qualsiasi presunto diritto all'aborto. Poiché la famiglia è "la prima e insostituibile educatrice alla pace" (Messaggio in occasione della Giornata mondiale della Pace 2008), la promotrice più affidabile di coesione sociale e la migliore scuola delle virtù di buona cittadinanza, è nell'interesse di tutti, e in particolare dei governi, difendere e promuovere una vita familiare stabile.

Sebbene la popolazione cattolica nei vostri territori costituisca solo una piccola percentuale di quella totale, essa sta crescendo e, nello stesso tempo, un buon numero di altre persone ascolta con rispetto e attenzione quel che la Chiesa ha da dire. Nelle terre nordiche, la religione ha un ruolo importante nel plasmare l'opinione pubblica e nell'influenzare le decisioni su questioni relative al bene comune. Vi esorto, quindi, a continuare a trasmettere alle persone dei vostri rispettivi Paesi l'insegnamento della Chiesa su questioni etiche e sociali, come fate attraverso iniziative quali la lettera pastorale "L'amore per la vita" e il prossimo Congresso sulla Famiglia. L'apertura dell'Istituto Newman a Uppsala è un progresso molto positivo a questo proposito, che garantisce che l'insegnamento cattolico abbia il proprio giusto posto nel mondo accademico scandinavo, aiutando anche le nuove generazioni ad acquisire una comprensione matura e informata della loro fede.

Nel vostro gregge, la sollecitudine pastorale per le famiglie e per i giovani deve essere perseguita con vigore, e con particolare cura per i molti che hanno vissuto difficoltà a causa della recente crisi finanziaria. Bisognerebbe mostrare la dovuta sensibilità alle numerose coppie sposate nelle quali uno solo dei coniugi è cattolico. La parte della popolazione cattolica delle terre nordiche costituita da immigrati ha necessità proprie ed è importante che il vostro approccio pastorale alle famiglie includa queste persone e le aiuti a integrarsi nella società. I vostri Paesi sono stati particolarmente generosi con i rifugiati del Medio Oriente, molti dei quali sono cristiani di Chiese orientali. Da parte vostra, mentre accogliete "il forestiero dimorante fra voi" (
Lv 19,34), siate certi di aiutare questi nuovi membri della vostra comunità per approfondire la loro conoscenza e la loro comprensione della fede attraverso programmi appositi di catechesi. Nel processo di integrazione nel loro Paese ospite, dovrebbero essere incoraggiati a non allontanarsi dagli elementi più preziosi della propria cultura, in particolare della loro fede.

In questo Anno Sacerdotale, vi chiedo di dare particolare priorità all'incoraggiamento e al sostegno dei vostri sacerdoti, che spesso devono operare lontani gli uni dagli altri e in circostanze difficili per portare i sacramenti al popolo di Dio. Come sapete, ho proposto la figura di san Giovanni Maria Vianney a tutti i sacerdoti del mondo quale fonte di ispirazione e di intercessione in questo anno dedicato a esplorare in modo più profondo il significato e il ruolo indispensabile del sacerdozio nella vita della Chiesa. Si è prodigato instancabilmente a essere un canale della grazia santificante e taumaturgica di Dio per il popolo che serviva, e tutti i sacerdoti sono chiamati a fare lo stesso: è vostro dovere, in quanto loro Ordinari, fare in modo che siano bene preparati per questo sacro compito. Assicuratevi anche che i fedeli laici apprezzino quello che i sacerdoti fanno per loro e offrano loro l'incoraggiamento e il sostegno spirituale, morale e materiale di cui hanno bisogno.

Desidero rendere onore all'enorme contributo che religiosi, uomini e donne, hanno apportato alla vita della Chiesa nei vostri Paesi per molti anni. Le terre nordiche sono anche benedette dalla presenza di un numero di nuovi movimenti ecclesiali, che portano rinnovato dinamismo alla missione della Chiesa. Di fronte a questa varietà di carismi, ci sono molti modi in cui i giovani possono essere esortati a dedicare la propria vita al servizio della Chiesa attraverso una vocazione sacerdotale o religiosa. Poiché avete la responsabilità di promuovere queste vocazioni (cfr. Christus Dominus CD 15), siate certi di rivolgervi sia alle popolazioni native sia a quelle immigrate. Dal centro di qualsiasi comunità cattolica sana, il Signore chiama sempre uomini e donne a servirlo in questo modo. Il fatto che sempre più di voi, Vescovi delle terre nordiche, provenite dai Paesi stessi in cui servite, è un chiaro segno del fatto che lo Spirito Santo è all'opera nelle vostre comunità cattoliche. Prego affinché la sua ispirazione continui a recare frutti fra voi e coloro ai quali avete dedicato la vostra vita.

Con grande fiducia nella forza donatrice di vita del Vangelo, adoperate le vostre energie per promuovere una nuova evangelizzazione fra le persone dei vostri territori. Parte integrante di questo compito è l'attenzione costante all'attività ecumenica e sono lieto di osservare le numerose incombenze in cui i cristiani delle terre nordiche si riuniscono per recare una testimonianza unita al mondo.

Con questi sentimenti, affido tutti voi e il vostro popolo all'intercessione dei santi nordici, in particolare santa Brigida, compatrona d'Europa e imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica quale pegno di forza e di pace nel Signore.





INCONTRO CON I GIOVANI DI ROMA E DEL LAZIO IN PREPARAZIONE ALLA GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ Giovedì, 25 marzo 2010

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D: Padre Santo il giovane del Vangelo ha chiesto a Gesù: maestro buono cosa devo fare per avere la vita eterna? Io non so neanche cosa è la vita eterna. Non riesco ad immaginarmela, ma una cosa la so: non voglio buttare la mia vita, voglio viverla fino in fondo e non da sola. Ho paura che questo non avvenga, ho paura di pensare solo a me stessa, di sbagliare tutto e di ritrovarmi senza una meta da raggiungere, vivendo alla giornata. E’ possibile fare della mia vita qualcosa di bello e di grande?

Cari giovani,

prima di rispondere alla domanda vorrei dire grazie di cuore per tutta la vostra presenza, per questa meravigliosa testimonianza della fede, del voler vivere in comunione con Gesù, per il vostro entusiasmo nel seguire Gesù e vivere bene. Grazie!

Ed ora la domanda. Lei ci ha detto che non sa cosa sia la vita eterna e non sa immaginarsela. Nessuno di noi è in grado di immaginare la vita eterna, perché è fuori della nostra esperienza. Tuttavia, possiamo cominciare a comprendere che cosa sia la vita eterna, e penso che lei, con la sua domanda, ci abbia dato una descrizione dell’essenziale della vita eterna, cioè della vera vita: non buttare via la vita, viverla in profondità, non vivere per se stessi, non vivere alla giornata, ma vivere realmente la vita nella sua ricchezza e nella sua totalità. E come fare? Questa è la grande questione, con la quale anche il ricco del Vangelo è venuto al Signore (cfr
Mc 10,17). A prima vista, la risposta del Signore appare molto secca. Tutto sommato, dice: osserva i comandamenti (cfr Mc 10,19). Ma dietro, se riflettiamo bene, se ascoltiamo bene il Signore, nella totalità del Vangelo, troviamo la grande saggezza della Parola di Dio, di Gesù. I comandamenti, secondo un’altra Parola di Gesù, sono riassunti in quest’unico: amare Dio con tutto il cuore, con tutta la ragione, con tutta l’esistenza e amare il prossimo come se stesso. Amare Dio, suppone conoscere Dio, riconoscere Dio. E questo è il primo passo che dobbiamo fare: cercare di conoscere Dio. E così sappiamo che la nostra vita non esiste per caso, non è un caso. La mia vita è voluta da Dio dall’eternità. Io sono amato, sono necessario. Dio ha un progetto con me nella totalità della storia; ha un progetto proprio per me. La mia vita è importante e anche necessaria. L’amore eterno mi ha creato in profondità e mi aspetta. Quindi, questo è il primo punto: conoscere, cercare di conoscere Dio e così capire che la vita è un dono, che è bene vivere. Poi l’essenziale è l’amore. Amare questo Dio che mi ha creato, che ha creato questo mondo, che governa tra tutte le difficoltà dell’uomo e della storia, e che mi accompagna. E amare il prossimo.

I dieci comandamenti ai quali Gesù nella sua risposta accenna, sono solo un’esplicitazione del comandamento dell’amore. Sono, per così dire, regole dell’amore, indicano la strada dell’amore con questi punti essenziali: la famiglia, come fondamento della società; la vita, da rispettare come dono di Dio; l’ordine della sessualità, della relazione tra uomo e donna; l’ordine sociale e, finalmente, la verità. Questi elementi essenziali esplicitano la strada dell’amore, esplicitano come realmente amare e come trovare la via retta. Quindi c’è una volontà fondamentale di Dio per noi tutti, che è identica per tutti noi. Ma la sua applicazione è diversa in ogni vita, perché Dio ha un progetto preciso con ogni uomo. San Francesco di Sales una volta ha detto: la perfezione, cioè l’essere buono, il vivere la fede e l’amore, è sostanzialmente una, ma in forme molto diverse. Molto diversa è la santità di un certosino e di un uomo politico, di uno scienziato o di un contadino, e via dicendo. E così per ogni uomo Dio ha il suo progetto e io devo trovare, nelle mie circostanze, il mio modo di vivere questa unica e comune volontà di Dio le cui grandi regole sono indicate in queste esplicazioni dell’amore. E cercare quindi anche di compiere ciò che è l’essenza dell’amore, cioè non prendere la vita per me, ma dare la vita; non “avere” la vita, ma fare della vita un dono, non cercare me stesso, ma dare agli altri. Questo è l’essenziale, e implica rinunce, cioè uscire da me stesso e non cercare me stesso. E proprio non cercando me stesso, ma dandomi per le grandi e vere cose, trovo la vera vita. Così ognuno troverà, nella sua vita, le diverse possibilità: impegnarsi nel volontariato, in una comunità di preghiera, in un movimento, nell’azione della sua parrocchia, nella propria professione. Trovare la mia vocazione e viverla in ogni posto è importante e fondamentale, sia io un grande scienziato, o un contadino. Tutto è importante agli occhi di Dio: è bello se è vissuto sino in fondo con quell’amore che realmente redime il mondo.

Alla fine vorrei raccontare una piccola storia di santa Giuseppina Bakhita, questa piccola santa africana che in Italia ha trovato Dio e Cristo, e che mi fa sempre una grande impressione. Era suora in un convento italiano; un giorno, il Vescovo del luogo fa visita a quel monastero, vede questa piccola suora nera, della quale sembra non avesse saputo nulla e dice: “Suora cosa fa lei qui?” E Bakhita risponde: “La stessa cosa che fa lei, eccellenza”. Il vescovo visibilmente irritato dice: “Ma come, suora, fa la stessa cosa come me?”, “Sì, – dice la suora – ambedue vogliamo fare la volontà di Dio, non è vero?”. Infine questo è il punto essenziale: conoscere, con l’aiuto della Chiesa, della Parola di Dio e degli amici, la volontà di Dio, sia nelle sue grandi linee, comuni per tutti, sia nella concretezza della mia vita personale. Così la vita diventa forse non troppo facile, ma bella e felice. Preghiamo il Signore che ci aiuti sempre a trovare la sua volontà e a seguirla con gioia.

D: Il Vangelo ci ha detto che Gesù fissò quel giovane e lo amò. Padre Santo che vuol dire essere guardati con amore da Gesù; come possiamo fare anche noi oggi questa esperienza? Ma è davvero possibile vivere questa esperienza anche in questa vita di oggi?

Naturalmente direi di sì, perché il Signore è sempre presente e guarda ognuno di noi con amore. Solo che noi dobbiamo trovare questo sguardo e incontrarci con lui. Come fare? Direi che il primo punto per incontrarci con Gesù, per fare esperienza del suo amore è conoscerlo. Conoscere Gesù implica diverse vie. Una prima condizione è conoscere la figura di Gesù come ci appare nei Vangeli, che ci danno un ritratto molto ricco della figura di Gesù, nelle grandi parabole, pensiamo al figliol prodigo, al samaritano, a Lazzaro eccetera. In tutte le parabole, in tutte le sue parole, nel sermone della montagna, troviamo realmente il volto di Gesù, il volto di Dio fino alla croce dove, per amore di noi, si dà totalmente fino alla morte e può, alla fine, dire Nelle tue mani Padre, do la mia vita, la mia anima (cfr Lc 23,46).

Quindi: conoscere, meditare Gesù insieme con gli amici, con la Chiesa e conoscere Gesù non solo in modo accademico, teorico, ma con il cuore, cioè parlare con Gesù nella preghiera. Una persona non la si può conoscere nello stesso modo in cui posso studiare la matematica. Per la matematica è necessaria e sufficiente la ragione, ma per conoscere una persona, anzitutto la grande persona di Gesù, Dio e uomo, ci vuole anche la ragione, ma, nello stesso tempo, anche il cuore. Solo con l’apertura del cuore a lui, solo con la conoscenza dell’insieme di quanto ha detto e di quanto ha fatto, con il nostro amore, con il nostro andare verso di lui, possiamo man mano conoscerlo sempre di più e così anche fare l’esperienza di essere amati. Quindi: ascoltare la Parola di Gesù, ascoltarla nella comunione della Chiesa, nella sua grande esperienza e rispondere con la nostra preghiera, con il nostro colloquio personale con Gesù, dove gli diciamo quanto non possiamo capire, i nostri bisogni, le nostre domande. In un vero colloquio, possiamo trovare sempre di più questa strada della conoscenza, che diventa amore. Naturalmente non solo pensare, non solo pregare, ma anche fare è una parte del cammino verso Gesù: fare le cose buone, impegnarsi per il prossimo. Ci sono diverse strade; ognuno conosce le proprie possibilità, nella parrocchia e nella comunità in cui vive, per impegnarsi anche con Cristo e per gli altri, per la vitalità della Chiesa, perché la fede sia veramente forza formativa del nostro ambiente, e così del nostro tempo. Quindi, direi questi elementi: ascoltare, rispondere, entrare nella comunità credente, comunione con Cristo nei sacramenti, dove si da a noi, sia nell’Eucaristia, sia nella Confessione eccetera, e, finalmente, fare, realizzare le parole della fede così che diventino forza della mia vita e appare veramente anche a me lo sguardo di Gesù e il suo amore mi aiuta, mi trasforma.

D: Gesù invitò il giovane ricco a lasciare tutto, e a seguirlo, ma lui se ne andò via triste. Anche io come lui faccio fatica a seguirlo, perché ho paura di lasciare le mie cose e talvolta la Chiesa mi chiede delle rinunce difficili. Padre Santo come posso trovare la forza per scelte coraggiose, e chi mi può aiutare?

Ecco, cominciamo con questa parola dura per noi: rinunce. Le rinunce sono possibili e, alla fine, diventano anche belle se hanno un perché e se questo perché giustifica poi anche la difficoltà della rinuncia. San Paolo ha usato, in questo contesto, l’immagine delle olimpiadi e degli atleti impegnati per le olimpiadi (cfr 1Co 9,24-25). Dice: Loro, per arrivare finalmente alla medaglia - in quel tempo alla corona - devono vivere una disciplina molto dura, devono rinunciare a tante cose, devono esercitarsi nello sport che praticano e fanno grandi sacrifici e rinunce perché hanno una motivazione, ne vale la pena. Anche se alla fine, forse, non sono tra i vincitori, tuttavia è una bella cosa aver disciplinato se stesso ed essere stato capace di fare queste cose con una certa perfezione. La stessa cosa che vale, con questa immagine di san Paolo, per le olimpiadi, per tutto lo sport, vale anche per tutte le altre cose della vita. Una vita professionale buona non si può raggiungere senza rinunce, senza una preparazione adeguata, che sempre esige una disciplina, esige che si debba rinunciare a qualche cosa, e così via, anche nell’arte e in tutti gli elementi della vita. Noi tutti comprendiamo che per raggiungere uno scopo, sia professionale, sia sportivo, sia artistico, sia culturale, dobbiamo rinunciare, imparare per andare avanti. Proprio anche l’arte di vivere, di essere se stesso, l’arte di essere uomo esige rinunce, e le rinunce vere, che ci aiutano a trovare la strada della vita, l’arte della vita, ci sono indicate nella Parola di Dio e ci aiutano a non cadere – diciamo - nell’abisso della droga, dell’alcool, della schiavitù della sessualità, della schiavitù del denaro, della pigrizia. Tutte queste cose, in un primo momento, appaiono come azioni di libertà. In realtà, non sono azioni di libertà, ma inizio di una schiavitù che diventa sempre più insuperabile. Riuscire a rinunciare alla tentazione del momento, andare avanti verso il bene crea la vera libertà e fa preziosa la vita. In questo senso, mi sembra, dobbiamo vedere che senza un “no” a certe cose non cresce il grande “sì” alla vera vita, come la vediamo nelle figure dei santi. Pensiamo a san Francesco, pensiamo ai santi del nostro tempo, Madre Teresa, don Gnocchi e tanti altri, che hanno rinunciato e che hanno vinto e sono divenuti non solo liberi loro stessi ma anche una ricchezza per il mondo e ci mostrano come si può vivere. Così alla domanda “chi mi aiuta”, direi che ci aiutano le grandi figure della storia della Chiesa, ci aiuta la Parola di Dio, ci aiuta la comunità parrocchiale, il movimento, il volontariato, eccetera. E ci aiutano le amicizie di uomini che “vanno avanti”, che hanno già fatto progressi nella strada della vita e che possono convincermi che camminare così è la strada giusta. Preghiamo il Signore che ci doni sempre degli amici, delle comunità che ci aiutano a vedere la strada del bene e a trovare così la vita bella e gioiosa.





VIA CRUCIS AL COLOSSEO Palatino Venerdì Santo, 2 aprile 2010

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Cari Fratelli e Sorelle,

in preghiera, con animo raccolto e commosso, abbiamo percorso questa sera il cammino della Croce. Con Gesù siamo saliti al Calvario e abbiamo meditato sulla sua sofferenza, riscoprendo quanto profondo sia l’amore che Egli ha avuto e ha per noi. Ma in questo momento non vogliamo limitarci ad una compassione dettata solo dal nostro debole sentimento; vogliamo piuttosto sentirci partecipi della sofferenza di Gesù, vogliamo accompagnare il nostro Maestro condividendo la sua Passione nella nostra vita, nella vita della Chiesa, per la vita del mondo, poiché sappiamo che proprio nella Croce del Signore, nell’amore senza limiti, che dona tutto se stesso, sta la sorgente della grazia, della liberazione, della pace, della salvezza.

I testi, le meditazioni e le preghiere della Via Crucis ci hanno aiutato a guardare a questo mistero della Passione per apprendere l’immensa lezione di amore che Dio ci ha dato sulla Croce, perché nasca in noi un rinnovato desiderio di convertire il nostro cuore, vivendo ogni giorno lo stesso amore, l’unica forza capace di cambiare il mondo.

Questa sera abbiamo contemplato Gesù nel suo volto pieno di dolore, deriso, oltraggiato, sfigurato dal peccato dell’uomo; domani notte lo contempleremo nel suo volto pieno di gioia, raggiante e luminoso. Da quando Gesù è sceso nel sepolcro, la tomba e la morte non sono più luogo senza speranza, dove la storia si chiude nel fallimento più totale, dove l’uomo tocca il limite estremo della sua impotenza. Il Venerdì Santo è il giorno della speranza più grande, quella maturata sulla Croce, mentre Gesù muore, mentre esala l’ultimo respiro, gridando a gran voce: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (
Lc 23,46). Consegnando la sua esistenza “donata” nelle mani del Padre, Egli sa che la sua morte diventa sorgente di vita, come il seme nel terreno deve rompersi perché la pianta possa nascere: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Jn 12,24). Gesù è il chicco di grano che cade nella terra, si spezza, si rompe, muore e per questo può portare frutto. Dal giorno in cui Cristo vi è stato innalzato, la Croce, che appare come il segno dell’abbandono, della solitudine, del fallimento è diventata un nuovo inizio: dalla profondità della morte si innalza la promessa della vita eterna. Sulla Croce brilla già lo splendore vittorioso dell’alba del giorno di Pasqua.

Nel silenzio di questa notte, nel silenzio che avvolge il Sabato Santo, toccati dall’amore sconfinato di Dio, viviamo nell’attesa dell’alba del terzo giorno, l’alba della vittoria dell’Amore di Dio, l’alba della luce che permette agli occhi del cuore di vedere in modo nuovo la vita, le difficoltà, la sofferenza. I nostri insuccessi, le nostre delusioni, le nostre amarezze, che sembrano segnare il crollo di tutto, sono illuminati dalla speranza. L’atto di amore della Croce viene confermato dal Padre e la luce sfolgorante della Risurrezione tutto avvolge e trasforma: dal tradimento può nascere l’amicizia; dal rinnegamento, il perdono; dall’odio, l’amore.

Donaci, Signore, di portare con amore la nostra croce, le nostre croci quotidiane, nella certezza che esse sono illuminate dal fulgore della tua Pasqua. Amen.




PROIEZIONE DEL FILM SU PIO XII "SOTTO IL CIELO DI ROMA" Sala degli Svizzeri del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo Venerdì, 9 aprile 2010

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Cari amici,

sono molto lieto di aver assistito alla prima proiezione del film Sotto il cielo di Roma, una co-produzione internazionale che presenta il ruolo fondamentale del Venerabile Pio XII nella salvezza di Roma e di tanti perseguitati, tra il 1943 e il 1944. Pur nel genere divulgativo, si tratta di un lavoro che, anche alla luce degli studi più recenti, vuole ricostruire quelle drammatiche vicende e la figura del “Pastor Angelicus”. Ringrazio il Signor Paolo Garimberti, Presidente della RAI, per le cortesi parole che mi ha rivolto. Un pensiero riconoscente anche al Signor Ettore Bernabei, agli altri Produttori e a quanti hanno collaborato per realizzare il significativo lavoro che abbiamo appena visto. Saluto con affetto i Signori Cardinali, i Presuli e tutti i presenti.

Queste opere – pensate per il grande pubblico, con i mezzi più moderni, e al tempo stesso mirate ad illustrare personaggi o vicende del secolo scorso – rivestono particolare valore soprattutto per le nuove generazioni. Per chi, a scuola, ha studiato certi avvenimenti, e forse ne ha anche sentito parlare, film come questo possono essere utili e stimolanti e possono aiutare a conoscere un periodo che non è affatto lontano, ma che le vicende incalzanti della storia recente ed una cultura frammentata possono far obliare.

Pio XII è stato il Pontefice della nostra giovinezza. Con il suo ricco insegnamento ha saputo parlare agli uomini del suo tempo indicando la strada della Verità e con la sua grande saggezza ha saputo orientare la Chiesa verso l’orizzonte del Terzo Millennio. Mi preme, però, sottolineare particolarmente come Pio XII sia stato il Papa, che, come padre di tutti, ha presieduto alla carità a Roma e nel mondo, soprattutto nel difficile tempo del Secondo Conflitto Mondiale. In un discorso del 23 luglio del 1944, subito dopo la liberazione della Città di Roma, ringraziava i Membri del Circolo di San Pietro per la collaborazione prestata, dicendo “(Voi) Ci aiutate a soddisfare più largamente il Nostro desiderio di asciugare tante lagrime, di lenire tanti dolori”, e indicava come centrale per ogni cristiano l’esortazione di san Paolo ai Colossesi (3,14-15): “soprattutto abbiate la carità, la quale è il vincolo della perfezione: e trionfi nei vostri cuori la pace di Cristo, a cui siete stati chiamati per far un solo corpo” (Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, VI, p. 87-88).

Il primato della carità, dell’amore – che è il comandamento del Signore Gesù: questo è il principio e la chiave di lettura di tutta l’opera della Chiesa, in primis del suo Pastore universale. La carità è la ragione di ogni azione, di ogni intervento. E’ la ragione globale che muove il pensiero e i gesti concreti, e sono lieto che anche da questo film emerga tale principio unificante. Mi permetto di suggerire questa chiave di lettura, alla luce dell’autentica testimonianza di quel grande maestro di fede, di speranza e di carità che è stato il Papa Pio XII.

Rinnovando a tutti l’espressione della mia riconoscenza, colgo l’occasione per rivolgere i migliori auguri pasquali, mentre di cuore benedico voi qui presenti, insieme con i collaboratori e i vostri cari.






AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL BRASILE (REGIONE NORTE 2) IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Giovedì, 15 aprile 2010

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Amati Fratelli nell'Episcopato,

La vostra visita ad limina ha luogo nel clima di lode e giubilo pasquale che avvolge la Chiesa intera, adornata dalla luce sfolgorante di Cristo Risorto. In lui, l'umanità ha superato la morte e ha completato l'ultima tappa della sua crescita entrando nei Cieli (cfr
Ep 2,6). Ora Gesù può liberamente ritornare sui suoi passi e incontrare, come, quando e dove vuole, i suoi fratelli. In suo nome, sono lieto di accogliervi, devoti pastori della Chiesa di Dio che peregrina nella Regione Norte 2 del Brasile, con il saluto fatto dal Signore quando si presentò risorto agli Apostoli e compagni: "Pace a voi" (Lc 24,36).

La vostra presenza qui ha un sapore familiare, poiché sembra riprodurre il finale della storia dei Discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,33-35): siete venuti per narrare quello che è accaduto lungo il cammino fatto con Gesù dalle vostre diocesi disseminate nell'immensità della regione amazzonica, con le loro parrocchie e le altre realtà che le compongono, come i movimenti, le nuove comunità e le comunità ecclesiali di base in comunione con il loro vescovo (cfr Documento di Aparecida, n. 179). Nulla potrebbe rallegrarmi maggiormente del sapervi in Cristo e con Cristo, come testimoniano i resoconti diocesani che avete inviato e per i quali vi ringrazio. Sono riconoscente in modo particolare a monsignor Jesus Maria Cizaurre per le parole che mi ha appena rivolto a nome vostro e del popolo di Dio a voi affidato, sottolineando la sua fedeltà e la sua adesione a Pietro. Al vostro ritorno, assicuratelo della mia gratitudine per questi sentimenti e della mia benedizione, aggiungendo: "davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!" (Lc 24,34).

In quell'apparizione, le parole - se ci sono state - sono sfumate nella sorpresa di vedere il Maestro redivivo, la cui presenza dice tutto: ero morto, ma ora sono vivo e voi vivrete attraverso di me (cfr Ap 1,18). E, essendo vivo e risorto, Cristo può divenire "pane vivo" (Jn 6,51) per l'umanità. Per questo sento che il centro e la fonte permanente del ministero petrino sono nell'Eucaristia, cuore della vita cristiana, fonte e culmine della missione evangelizzatrice della Chiesa. Potete così comprendere la preoccupazione del Successore di Pietro per tutto ciò che può offuscare il punto più originale della fede cattolica: oggi Gesù Cristo continua a essere vivo e realmente presente nell'ostia e nel calice consacrati.

La minore attenzione che a volte si presta al culto del Santissimo Sacramento è indice e causa dell'oscuramento del significato cristiano del mistero, come avviene quando nella Santa Messa non appare più preminente e operante Gesù, ma una comunità indaffarata in molte cose, invece di essere raccolta e di lasciarsi attrarre verso l'Unico necessario: il suo Signore. Ora l'atteggiamento principale e fondamentale del fedele cristiano che partecipa alla celebrazione liturgica non è fare, ma ascoltare, aprirsi, ricevere... È ovvio che, in questo caso, ricevere non significa restare passivi o disinteressarsi di quello che lì avviene, ma cooperare - poiché di nuovo capaci di farlo per la grazia di Dio - secondo "la genuina natura della vera Chiesa. Questa ha infatti la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, fervente nell'azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina; tutto questo, in modo tale, però, che ciò che in essa è umano sia ordinato e subordinato al divino, il visibile all'invisibile, l'azione alla contemplazione, la realtà presente alla città futura, verso la quale siamo incamminati" (Sacrosanctum Concilium SC 2). Se nella liturgia non emergesse la figura di Cristo, che è il suo principio ed è realmente presente per renderla valida, non avremmo più la liturgia cristiana, completamente dipendente dal Signore e sostenuta dalla sua presenza creatrice.

Quanto sono distanti da tutto ciò coloro che, a nome dell'inculturazione, incorrono nel sincretismo introducendo nella celebrazione della Santa Messa riti presi da altre religioni o particolarismi culturali (cfr Redemptionis Sacramentum, n. 79)! Il mistero eucaristico è un "dono troppo grande - scriveva il mio venerabile predecessore Papa Giovani Paolo II - per sopportare ambiguità e diminuzioni", in particolare quando, "spogliato del suo valore sacrificale, viene vissuto come se non oltrepassasse il senso e il valore di un incontro conviviale fraterno" (Ecclesia de Eucharistia EE 10). Alla base delle varie motivazioni addotte, vi è una mentalità incapace di accettare la possibilità di un reale intervento divino in questo mondo in soccorso dell'uomo. Questi, tuttavia, "si trova incapace di superare efficacemente da sé medesimo gli assalti del male, così che ognuno si senta come incatenato" (Costituzione Gaudium et spes GS 13). La confessione di un intervento redentore di Dio per cambiare questa situazione di alienazione e di peccato è vista da quanti condividono la visione deista come integralista, e lo stesso giudizio è dato a proposito di un segnale sacramentale che rende presente il sacrificio redentore. Più accettabile, ai loro occhi, sarebbe la celebrazione di un segnale che corrispondesse a un vago sentimento di comunità.

Il culto però non può nascere dalla nostra fantasia; sarebbe un grido nell'oscurità o una semplice autoaffermazione. La vera liturgia presuppone che Dio risponda e ci mostri come possiamo adorarlo. "La Chiesa può celebrare e adorare il mistero di Cristo presente nell'Eucaristia proprio perché Cristo stesso si è donato per primo ad essa nel sacrificio della Croce" (Esortazione apostolica Sacramentum caritatis, n. 14). La Chiesa vive di questa presenza e ha come ragion d'essere e di esistere quella di diffondere tale presenza nel mondo intero.

"Resta con noi, Signore!" (cfr Lc Lc 24,29): così pregano i figli e le figlie del Brasile in vista del XVI Congresso eucaristico nazionale, che si terrà fra un mese a Brasilia e che in tal modo vedrà il giubileo aureo della sua fondazione arricchito con l'"oro" dell'eternità presente nel tempo: Gesù Eucaristia. Che egli sia veramente il cuore del Brasile, da dove proviene la forza per tutti gli uomini e le donne brasiliani di riconoscersi e di aiutarsi come fratelli, come membri del Cristo totale. Chi vuole vivere, ha dove vivere, ha di che vivere. Si avvicini, creda, entri a far parte del Corpo di Cristo e sarà vivificato! Oggi, e qui, tutto questo auguro a quella porzione speranzosa di questo Corpo che è la Regione Norte 2, nell'impartire a ognuno di voi, a quanti collaborano con voi e a tutti i fedeli cristiani, la Benedizione Apostolica.





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