Discorsi 2005-13 14060

ALLA COMUNITÀ DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA ECCLESIASTICA Sala del Concistoro Lunedì, 14 giugno 2010

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Venerato Fratello nell’Episcopato,
Cari Sacerdoti,

Vi accolgo sempre con gioia per il nostro consueto incontro, che mi offre l’occasione di salutarvi e di incoraggiarvi e di proporvi qualche riflessione sul senso del lavoro nelle Rappresentanze Pontificie. Saluto il Presidente, Mons. Beniamino Stella, che con dedizione e senso ecclesiale segue la vostra formazione, e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti. Un grato pensiero ai suoi Collaboratori e alle Suore Francescane Missionarie di Gesù Bambino.

Vorrei soffermarmi brevemente sul concetto di rappresentanza. Non di rado esso è considerato in modo parziale nella comprensione contemporanea: si tende, infatti, ad associarlo a qualcosa di meramente esteriore, formale, poco personale.

Il servizio di rappresentanza a cui voi vi state preparando è invece qualcosa di molto più profondo perché è partecipazione alla sollicitudo omnium ecclesiarum, che caratterizza il Ministero del Romano Pontefice. E’ perciò realtà eminentemente personale, destinata ad incidere profondamente in colui che è chiamato a svolgere tale particolare compito. Proprio in questa prospettiva ecclesiale, l’esercizio della rappresentanza implica l’esigenza di accogliere e di alimentare con speciale attenzione nella propria vita sacerdotale alcune dimensioni, che vorrei indicare, seppure sommariamente, affinché siano motivo di riflessione nel vostro cammino formativo.

Anzitutto, coltivare una piena adesione interiore alla persona del Papa, al suo Magistero e al Ministero universale; adesione piena, cioè, a chi ha ricevuto il compito di confermare i fratelli nella fede (cfr
Lc 22,32) ed “è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli” (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Lumen gentium LG 23). In secondo luogo, assumere, come stile di vita e come priorità quotidiana, un’attenta cura – una vera “passione” – per la comunione ecclesiale. Ancora, rappresentare il Romano Pontefice significa avere la capacità di essere un solido “ponte”, un sicuro canale di comunicazione tra le Chiese particolari e la Sede Apostolica: da un lato, ponendo a disposizione del Papa e dei suoi collaboratori una visione obiettiva, corretta e approfondita della realtà ecclesiale e sociale in cui si vive, dall’altro, impegnandosi a trasmettere le norme, le indicazioni, gli orientamenti che emanano dalla Santa Sede, non in maniera burocratica, ma con profondo amore alla Chiesa e con l’aiuto della fiducia personale pazientemente costruita, rispettando e valorizzando, allo stesso tempo, gli sforzi dei Vescovi e il cammino delle Chiese particolari presso le quali si è inviati.

Come si può intuire, il servizio che vi preparate a svolgere esige una dedizione piena e una disponibilità generosa a sacrificare, se necessario, intuizioni personali, progetti propri e altre possibilità di esercizio del ministero sacerdotale. In un’ottica di fede e di risposta concreta alla chiamata di Dio - da nutrire sempre in un intenso rapporto con il Signore - ciò non svilisce l’originalità di ciascuno, ma, al contrario, risulta estremamente arricchente: lo sforzo di mettersi in sintonia con la prospettiva universale e con il servizio all’unità del gregge di Dio, peculiari del Ministero petrino, è infatti in grado di valorizzare, in maniera singolare, doti e talenti di ciascuno, secondo quella logica che san Paolo ha bene espresso ai cristiani di Corinto (cfr 1Co 12,1-31). In tal modo il Rappresentante Pontificio – unitamente a chi collabora con lui - diventa veramente segno della presenza e della carità del Papa. E se ciò è un beneficio per la vita di tutte le Chiese particolari, lo è specialmente in quelle situazioni particolarmente delicate o difficili in cui, per svariate ragioni, la comunità cristiana si trova a vivere. Si tratta, a ben vedere, di un autentico servizio sacerdotale, caratterizzato da un’analogia non remota con la rappresentanza di Cristo, tipica del sacerdote che, come tale, ha un’intrinseca dimensione sacrificale.

Proprio da qui deriva lo stile peculiare anche del servizio di rappresentanza che sarete chiamati ad esercitare presso le Autorità statali o presso le Organizzazioni internazionali. Anche in questi ambiti, infatti, la figura e il modo di presenza del Nunzio, del Delegato Apostolico, dell’Osservatore Permanente, viene determinata non solo dall’ambiente in cui si opera, ma, prima ancora e principalmente, da colui che si è chiamati a rappresentare. Ciò pone il Rappresentante Pontificio in una posizione particolare rispetto ad altri Ambasciatori o Inviati. Egli, infatti, sarà sempre profondamente identificato, in un senso soprannaturale, con colui che rappresenta. Il farsi portavoce del Vicario di Cristo potrà essere impegnativo, talora estremamente esigente, ma non sarà mai mortificante o spersonalizzante. Diventa, invece, un modo originale di realizzare la propria vocazione sacerdotale.

Cari Alunni, augurandovi che la vostra Casa possa essere, come amava dire il mio Predecessore Paolo VI, una “superiore scuola di carità”, vi accompagni la mia preghiera, mentre vi affido all’intercessione della beata Vergine Maria, Mater Ecclesiae, e di Sant’Antonio Abate, Patrono dell’Accademia. A tutti voi e ai vostri cari, ben volentieri imparto la mia Benedizione.





APERTURA DEL CONVEGNO ECCLESIALE DELLA DIOCESI DI ROMA (15-17 GIUGNO 2010) Basilica di San Giovanni in Laterano Martedì, 15 giugno 2010

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SUL TEMA: «"SI APRIRONO LORO GLI OCCHI, LO RICONOBBERO E LO ANNUNZIARONO". L’EUCARESTIA DOMENICALE E LA TESTIMONIANZA DELLA CARITÀ»


Cari fratelli e sorelle!

Dice il Salmo: “Ecco, com’è bello e com’è dolce / che i fratelli vivano insieme!” (
Ps 133,1). È proprio così: è per me motivo di profonda gioia ritrovarmi con voi e condividere il tanto bene che le parrocchie e le altre realtà ecclesiali di Roma hanno realizzato in questo anno pastorale. Saluto con fraterno affetto il Cardinale Vicario e lo ringrazio per le cortesi parole che mi ha indirizzato e per l’impegno che quotidianamente pone nel governo della Diocesi, nel sostegno ai sacerdoti e alle comunità parrocchiali. Saluto i Vescovi Ausiliari, l’intero Presbiterio e ciascuno di voi. Rivolgo un pensiero cordiale a quanti sono ammalati e in particolari difficoltà, assicurando loro la mia preghiera.

Come ha ricordato il Cardinale Vallini, ci stiamo impegnando, dallo scorso anno, nella verifica della pastorale ordinaria. Questa sera riflettiamo su due punti di primaria importanza: “Eucaristia domenicale e testimonianza della carità”. Sono a conoscenza del grande lavoro che le parrocchie, le associazioni e i movimenti hanno realizzato, attraverso incontri di formazione e di confronto, per approfondire e vivere meglio queste due componenti fondamentali della vita e della missione della Chiesa e di ogni singolo credente. Ciò ha anche favorito quella corresponsabilità pastorale che, nella diversità dei ministeri e dei carismi, deve sempre più diffondersi se desideriamo realmente che il Vangelo raggiunga il cuore di ogni abitante di Roma. Tanto è stato fatto, e ne rendiamo grazie al Signore; ma ancora molto, sempre con il suo aiuto, rimane da fare.

La fede non può mai essere presupposta, perché ogni generazione ha bisogno di ricevere questo dono mediante l’annuncio del Vangelo e di conoscere la verità che Cristo ci ha rivelato. La Chiesa, pertanto, è sempre impegnata a proporre a tutti il deposito della fede; in esso è contenuta anche la dottrina sull’Eucaristia – mistero centrale in cui “è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua” (Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Presbyterorum ordinis PO 5) –; dottrina che oggi, purtroppo, non è sufficientemente compresa nel suo valore profondo e nella sua rilevanza per l’esistenza dei credenti. Per questo è importante che una conoscenza più approfondita del mistero del Corpo e del Sangue del Signore sia avvertita come un’esigenza dalle diverse comunità della nostra diocesi di Roma. Al tempo stesso, nello spirito missionario che vogliamo alimentare, è necessario che si diffonda l’impegno di annunciare tale fede eucaristica, perché ogni uomo incontri Gesù Cristo che ci ha rivelato il Dio “vicino”, amico dell’umanità, e di testimoniarla con una eloquente vita di carità.

In tutta la sua vita pubblica Gesù, mediante la predicazione del Vangelo e i segni miracolosi, ha annunciato la bontà e la misericordia del Padre verso l’uomo. Questa missione ha raggiunto il culmine sul Golgota, dove Cristo crocifisso ha rivelato il volto di Dio, perché l’uomo, contemplando la Croce, possa riconoscere la pienezza dell’amore (cfr BENEDETTO XVI, Enc. Deus caritas est ). Il Sacrificio del Calvario viene mistericamente anticipato nell’Ultima Cena, quando Gesù, condividendo con i Dodici il pane e il vino, li trasforma nel suo corpo e nel suo sangue, che poco dopo avrebbe offerto come Agnello immolato. L’Eucaristia è il memoriale della morte e risurrezione di Gesù Cristo, del suo amore fino alla fine per ciascuno di noi, memoriale che Egli ha voluto affidare alla Chiesa perché fosse celebrato nei secoli. Secondo il significato del verbo ebraico zakar, il “memoriale” non è semplice ricordo di qualcosa che è avvenuto nel passato, ma celebrazione che attualizza quell’evento, in modo da riprodurne la forza e l’efficacia salvifica. Così “si rende presente e attuale il sacrificio che Cristo ha offerto al Padre, una volta per tutte, sulla Croce in favore dell’umanità” (Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica CEC 280). Cari fratelli e sorelle, nel nostro tempo la parola sacrificio non è amata, anzi essa sembra appartenere ad altre epoche e a un altro modo di intendere la vita. Essa, però, ben compresa, è e rimane fondamentale, perché ci rivela di quale amore Dio, in Cristo, ci ama.

Nell’offerta che Gesù fa di se stesso troviamo tutta la novità del culto cristiano. Nell’antichità gli uomini offrivano in sacrificio alle divinità gli animali o le primizie della terra. Gesù, invece, offre se stesso, il suo corpo e l’intera sua esistenza: Egli stesso in persona diventa quel sacrificio che la liturgia offre nella Santa Messa. Infatti, con la consacrazione il pane e il vino diventano il suo vero corpo e sangue. Sant’Agostino invitava i suoi fedeli a non soffermarsi su ciò che appariva alla loro vista, ma ad andare oltre: “Riconoscete nel pane – diceva – quello stesso corpo che pendette sulla croce, e nel calice quello stesso sangue che sgorgò dal suo fianco” (Disc. 228 B, 2). Per spiegare questa trasformazione, la teologia ha coniato la parola “transustanziazione”, parola che risuonò per la prima volta in questa Basilica durante il IV Concilio Lateranense, di cui fra cinque anni ricorrerà l’VIII centenario. In quell’occasione furono inserite nella professione di fede le seguenti espressioni: “il suo corpo e il suo sangue sono contenuti veramente nel sacramento dell’altare, sotto le specie del pane e del vino, poiché il pane è transustanziato nel corpo, e il vino nel sangue per divino potere” (DS 802). È dunque fondamentale che negli itinerari di educazione alla fede dei bambini, degli adolescenti e dei giovani, come pure nei “centri di ascolto” della Parola di Dio, si sottolinei che nel sacramento dell’Eucaristia Cristo è veramente, realmente e sostanzialmente presente.

La Santa Messa, celebrata nel rispetto delle norme liturgiche e con un’adeguata valorizzazione della ricchezza dei segni e dei gesti, favorisce e promuove la crescita della fede eucaristica. Nella celebrazione eucaristica noi non inventiamo qualcosa, ma entriamo in una realtà che ci precede, anzi che abbraccia cielo e terra e quindi anche passato, futuro e presente. Questa apertura universale, questo incontro con tutti i figli e le figlie di Dio è la grandezza dell’Eucaristia: andiamo incontro alla realtà di Dio presente nel corpo e sangue del Risorto tra di noi. Quindi, le prescrizioni liturgiche dettate dalla Chiesa non sono cose esteriori, ma esprimono concretamente questa realtà della rivelazione del corpo e sangue di Cristo e così la preghiera rivela la fede secondo l’antico principio lex orandi - lex credendi.E per questo possiamo dire che “la migliore catechesi sull’Eucaristia è la stessa Eucaristia ben celebrata” (BENEDETTO XVI, Esort. ap. post-sinod. Sacramentum caritatis, 64). È necessario che nella liturgia emerga con chiarezza la dimensione trascendente, quella del Mistero, dell’incontro con il Divino, che illumina ed eleva anche quella “orizzontale”, ossia il legame di comunione e di solidarietà che esiste fra quanti appartengono alla Chiesa. Infatti, quando prevale quest’ultima non si comprende pienamente la bellezza, la profondità e l’importanza del mistero celebrato. Cari fratelli nel sacerdozio, a voi il Vescovo ha affidato, nel giorno dell’Ordinazione sacerdotale, il compito di presiedere l’Eucaristia. Abbiate sempre a cuore l’esercizio di questa missione: celebrate i divini misteri con intensa partecipazione interiore, perché gli uomini e le donne della nostra Città possano essere santificati, messi in contatto con Dio, verità assoluta e amore eterno.

E teniamo anche presente che l’Eucaristia, legata alla croce alla risurrezione del Signore, ha dettato una nuova struttura al nostro tempo. Il Risorto si era manifestato il giorno dopo il sabato, il primo giorno della settimana, giorno del sole e della creazione. Dall’inizio i cristiani hanno celebrato il loro incontro con il Risorto, l’Eucaristia, in questo primo giorno, in questo nuovo giorno del vero sole della storia, il Cristo Risorto. E così il tempo inizia sempre di nuovo con l’incontro con il Risorto e questo incontro dà contenuto e forza alla vita di ogni giorno. Perciò è molto importante per noi cristiani, seguire questo ritmo nuovo del tempo, incontrarci col Risorto nella domenica e così “prendere” con noi questa sua presenza, che ci trasformi e trasformi il nostro tempo. Inoltre, invito tutti a riscoprire la fecondità dell’adorazione eucaristica: davanti al Santissimo Sacramento sperimentiamo in modo del tutto particolare quel “rimanere” di Gesù, che Egli stesso, nel Vangelo di Giovanni, pone come condizione necessaria per portare molto frutto (cfr Jn 15,5) ed evitare che la nostra azione apostolica si riduca a uno sterile attivismo, ma sia invece testimonianza dell’amore di Dio.

La comunione con Cristo è sempre anche comunione con il suo corpo che è la Chiesa, come ricorda l’apostolo Paolo dicendo: “Il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane” (1Co 10,16-17). È, infatti, l’Eucaristia che trasforma un semplice gruppo di persone in comunità ecclesiale: l’Eucaristia fa Chiesa. È dunque fondamentale che la celebrazione della Santa Messa sia effettivamente il culmine, la “struttura portante” della vita di ogni comunità parrocchiale. Esorto tutti a curare al meglio, anche attraverso appositi gruppi liturgici, la preparazione e la celebrazione dell’Eucaristia, perché quanti vi partecipano possano incontrare il Signore. È Cristo risorto, che si rende presente nel nostro oggi e ci raduna intorno a sé. Nutrendoci di Lui siamo liberati dai vincoli dell’individualismo e, per mezzo della comunione con Lui, diventiamo noi stessi, insieme, una cosa sola, il suo Corpo mistico. Vengono così superate le differenze dovute alla professione, al ceto, alla nazionalità, perché ci scopriamo membri di un’unica grande famiglia, quella dei figli di Dio, nella quale a ciascuno è donata una grazia particolare per l’utilità comune. Il mondo e gli uomini non hanno bisogno di un’ulteriore aggregazione sociale, ma hanno bisogno della Chiesa, che è in Cristo come un sacramento, “cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Lumen gentium LG 1), chiamata a far risplendere su tutte le genti la luce del Signore risorto.

Gesù è venuto per rivelarci l’amore del Padre, perché “l’uomo senza amore non può vivere” (GIOVANNI PAOLO II, Enc. Redemptor hominis, RH 10). L’amore è, infatti, l’esperienza fondamentale di ogni essere umano, ciò che dà significato al vivere quotidiano. Nutriti dall’Eucaristia anche noi, sull’esempio di Cristo, viviamo per Lui, per essere testimoni dell’amore. Ricevendo il Sacramento, noi entriamo in comunione di sangue con Gesù Cristo. Nella concezione ebraica, il sangue indica la vita; così possiamo dire che nutrendoci del Corpo di Cristo noi accogliamo la vita di Dio e impariamo a guardare la realtà con i suoi occhi, abbandonando la logica del mondo per seguire quella divina del dono e della gratuità. Sant’Agostino ricorda che durante una visione gli parve di udire la voce del Signore, il quale gli diceva: “Io sono il nutrimento degli adulti. Cresci, e mi mangerai, senza per questo trasformarmi in te, come il nutrimento della tua carne; ma tu ti trasformerai in me” (cfr Confessioni VII,10,16). Quando riceviamo Cristo, l’amore di Dio si espande nel nostro intimo, modifica radicalmente il nostro cuore e ci rende capaci di gesti che, per la forza diffusiva del bene, possono trasformare la vita di coloro che ci sono accanto. La carità è in grado di generare un cambiamento autentico e permanente della società, agendo nei cuori e nelle menti degli uomini, e quando è vissuta nella verità “è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera” (BENEDETTO XVI, Enc. Caritas in veritate ). La testimonianza della carità per il discepolo di Gesù non è un sentimento passeggero, ma al contrario è ciò che plasma la vita in ogni circostanza. Incoraggio tutti, in particolare la Caritas e i Diaconi, a impegnarsi nel delicato e fondamentale campo dell’educazione alla carità, come dimensione permanente della vita personale e comunitaria.

Questa nostra Città chiede ai discepoli di Cristo, con un rinnovato annuncio del Vangelo, una più chiara e limpida testimonianza della carità. È con il linguaggio dell’amore, desideroso del bene integrale dell’uomo, che la Chiesa parla agli abitanti di Roma. In questi anni del mio ministero quale vostro Vescovo, ho avuto modo di visitare vari luoghi dove la carità è vissuta in modo intenso. Sono grato a quanti si impegnano nelle diverse strutture caritative, per la dedizione e la generosità con le quali servono i poveri e gli emarginati. I bisogni e la povertà di tanti uomini e donne ci interpellano profondamente: è Cristo stesso che ogni giorno, nei poveri, ci chiede di essere sfamato e dissetato, visitato negli ospedali e nelle carceri, accolto e vestito. L’Eucaristia celebrata ci impone e al tempo stesso ci rende capaci di diventare, a nostra volta, pane spezzato per i fratelli, venendo incontro alle loro esigenze e donando noi stessi. Per questo una celebrazione eucaristica che non conduce ad incontrare gli uomini lì dove essi vivono, lavorano e soffrono, per portare loro l’amore di Dio, non manifesta la verità che racchiude. Per essere fedeli al mistero che si celebra sugli altari dobbiamo, come ci esorta l’apostolo Paolo, offrire i nostri corpi, noi stessi, in sacrificio spirituale gradito a Dio (cfr Rm 12,1) in quelle circostanze che richiedono di far morire il nostro io e costituiscono il nostro “altare” quotidiano. I gesti di condivisione creano comunione, rinnovano il tessuto delle relazioni interpersonali, improntandole alla gratuità e al dono, e permettono la costruzione della civiltà dell’amore. In un tempo come il presente di crisi economica e sociale, siamo solidali con coloro che vivono nell’indigenza per offrire a tutti la speranza di un domani migliore e degno dell’uomo. Se realmente vivremo come discepoli del Dio-Carità, aiuteremo gli abitanti di Roma a scoprirsi fratelli e figli dell’unico Padre.

La natura stessa dell’amore richiede scelte di vita definitive e irrevocabili. Mi rivolgo in particolare a voi, carissimi giovani: non abbiate paura di scegliere l’amore come la regola suprema della vita. Non abbiate paura di amare Cristo nel sacerdozio e, se nel cuore avvertite la chiamata del Signore, seguitelo in questa straordinaria avventura di amore, abbandonandovi con fiducia a Lui! Non abbiate paura di formare famiglie cristiane che vivono l’amore fedele, indissolubile e aperto alla vita! Testimoniate che l’amore, così come lo ha vissuto Cristo e lo insegna il Magistero della Chiesa, non toglie nulla alla nostra felicità, ma al contrario dona quella gioia profonda che Cristo ha promesso ai suoi discepoli.

La Vergine Maria accompagni con la sua materna intercessione il cammino della nostra Chiesa di Roma. Maria, che in modo del tutto singolare visse la comunione con Dio e il sacrificio del proprio Figlio sul Calvario, ci ottenga di vivere sempre più intensamente, piamente e consapevolmente il mistero dell’Eucaristia, per annunciare con la parola e la vita l’amore che Dio nutre per ogni uomo. Cari amici, vi assicuro la mia preghiera e imparto di cuore a tutti voi la Benedizione Apostolica. Grazie.






AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL BRASILE (REGIONE LESTE II) IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Sabato, 19 giugno 2010

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Cari fratelli nell'Episcopato

"chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo" (
1Co 1,2-3). Con queste parole accolgo tutti voi, amati, pastori della regione Leste 2 in visita ad limina e vi saluto con grande affetto nella coscienza del legame collegiale che unisce il Papa ai Vescovi nel vincolo dell'unità, della carità e della pace. Ringrazio Dom Walmor per le amabili parole con le quali ha interpretato i vostri sentimenti di omaggio alla Sede di Pietro e ha illustrato le sfide e i problemi oggetto del vostro impegno per il bene della chiesa che Dio vi ha affidato negli Stati dello Espíritu Santo e Minas Gerais.

Vedo che amate profondamente le vostre diocesi e anch'io partecipo intimamente a questo vostro amore, accompagnandovi con la preghiera e la cura apostolica. La nostra è una bella storia con un inizio tangibile nelle Bolle emanate dal Successore di Pietro per l'ordinamento episcopale e in quel "eccomi qui" proferito da ciascuno all'inizio della cerimonia della sua consacrazione e conseguente ingresso nel Collegio dei Vescovi. Di esso cominciate a far parte "in virtù della consacrazione episcopale e della comunione gerarchica con la Testa e le Membra" (Nota Esplicativa Previa, allegata alla Const. Dogm. Lumen gentium ), diventando successori degli Apostoli con la triplice funzione di insegnare, santificare e governare il popolo di Dio.

In quanto maestri e dottori di fede, avete la missione di insegnare con audacia la verità che si deve credere e vivere, presentandola in modo autentico. Come vi ho detto ad Aparecida, "la Chiesa ha il grande compito di conservare e nutrire la fede del popolo di Dio, e anche ricordare ai fedeli (...) che, in virtù del loro battesimo, sono chiamati ad essere discepoli e missionari di Gesù Cristo" (Discorso inaugurale della V Conferenza Generale dell'Episcopato Latino-Americano e dei Caraibi, 13/5/2007, 3). Aiutate, dunque, i fedeli affidati alle vostre cure pastorali a scoprire la gioia della fede, la gioia di essere personalmente amati da Dio, che ha offerto il Figlio Suo per la nostra salvezza. Come sapete, credere consiste soprattutto nell'abbandonarsi a questo Dio che ci conosce ed ama personalmente, accettando la Verità che Egli ha rivelato in Gesù Cristo con l'atteggiamento che ci porta ad avere fiducia nella grazia e sappiate infondere questa fiducia nel vostro popolo, affinché la fede sempre sia custodita, difesa e trasmessa nella sua purezza e integrità.

Come amministratori del supremo sacerdozio, dovrete far sì che la liturgia sia veramente una epifania del mistero, ossia, espressione della natura genuina della Chiesa che attivamente offre il culto a Dio per Cristo nello Spirito Santo. Di tutti i doveri del vostro ministero, "il più imperativo e importante è responsabilità della celebrazione dell'Eucaristia", e spetta a voi "provvedere affinché i fedeli possano accedere alla mensa del Signore, soprattutto la domenica che è il giorno in cui la Chiesa - comunità e famiglia dei figli di Dio - scopre la sua peculiare identità cristiana intorno ai presbiteri" (Giovanni Paolo II, Esort. ap. Pastores gregis, 39). Il compito di santificare che avete ricevuto vi impone, inoltre, di essere promotori e animatori della preghiera nella città umana, spesso agitata, rumorosa e dimentica di Dio: dovete creare luoghi e occasioni, dove nel silenzio, nell'ascolto di Dio, nella preghiera personale e comunitaria, l'uomo possa trovare e fare l'esperienza viva di Gesù Cristo che rivela il viso autentico del Padre. È necessario che le parrocchie e i santuari, gli ambienti di educazione e sofferenza, le famiglie diventino luoghi di comunione con il Signore.

Infine, come guide del popolo cristiano, dovete promuovere la partecipazione di tutti i fedeli nell'edificazione della Chiesa, governando con cuore di servo umile e pastore affettuoso, mirando alla gloria di Dio e alla salvezza delle anime. In virtù del compito di governare il Vescovo è chiamato anche a giudicare e disciplinare la vita del popolo di Dio affidato alle sue cure pastorali, attraverso leggi, direttive e suggerimenti, come previsto nella disciplina universale della Chiesa. Questo diritto e dovere è molto importante affinché la comunità diocesana rimanga unita al suo interno e cammini in sincera comunione di fede, di amore e di disciplina con il Vescovo di Roma e con tutta la Chiesa. Perciò non stancatevi di alimentare nei fedeli il senso di appartenenza alla Chiesa e la gioia della comunione fraterna.

Tuttavia il governo del Vescovo sarà fruttuoso pastoralmente solo se "godrà del sostegno di una buona credibilità morale, che deriva dalla santità della sua vita. Questa credibilità predisporrà le menti ad accogliere il Vangelo annunciato da lui nella sua Chiesa e anche le norme che egli stabilirà per il bene del popolo di Dio" (Ibid., 43). Perciò, plasmato interiormente dallo Spirito Santo, ciascuno di voi diventi "tutto per tutti" (cfr. 1Co 9,22), proponendo la verità della fede, celebrando i sacramenti della nostra santificazione e testimoniando la carità del Signore. Accogliete con il cuore aperto quanti bussano alla vostra porta: consigliateli, confortateli e sosteneteli nel cammino di Dio, cercando di guidarli tutti verso quell'unità nella fede e nell'amore del quale, per volontà del Signore, dovete essere principio e base visibile nelle vostre diocesi (cfr. Const. dogm. Lumen gentium LG 23).

Cari Fratelli nell'Episcopato! Nel concludere questo nostro incontro, desidero rinnovare a ciascuno di voi i miei sentimenti di gratitudine per il servizio che offrite alla Chiesa con viva dedizione e amore. Per intercessione della Vergine Maria, "esempio di quell'affetto materno di cui devono essere animati tutti coloro che cooperano nella missione apostolica che ha la Chiesa di rigenerare gli uomini" (Ibid., 65), invoco Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, che conceda al vostro ministero abbondanza di doni e consolazioni celesti, e vi concedo, estensiva ai sacerdoti e diaconi, ai consacrati e consacrate, ai seminaristi e ai fedeli laici delle vostre comunità, una speciale Benedizione Apostolica.





BENEDIZIONE DELLA STATUA RESTAURATA DELLA "MADONNINA" DI MONTE MARIO IN ROMA E VISITA AL MONASTERO DOMENICANO SANTA MARIA DEL ROSARIO Giovedì, 24 giugno 2010

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BENEDIZIONE E INAUGURAZIONE DELLA STATUA DELLA "MADONNA DI MONTE MARIO", AL TERMINE DEI LAVORI DI RESTAURO




Cari fratelli e sorelle,

vorrei in primo luogo salutare cordialmente tutti voi, qui convenuti per l’odierno significativo evento. Su questa collina è tornata a vegliare sulla nostra Città la maestosa statua della Madonna, abbattuta alcuni mesi or sono dalla furia del vento. Saluto innanzitutto il Cardinale Vicario Agostino Vallini e i Vescovi presenti. Un pensiero speciale rivolgo a don Flavio Peloso, rieletto alla guida dell’Opera don Orione, e lo ringrazio per le gentili parole che ha voluto indirizzarmi. Estendo questo saluto ai religiosi partecipanti al 13° Capitolo Generale, a quelli che lavorano in questa Istituzione al servizio dei giovani e dei sofferenti e all’intera famiglia spirituale orionina. Rivolgo il mio deferente pensiero al Signor Sindaco di Roma, l’on. Gianni Alemanno - oggi è il suo onomastico - : desidero manifestarLe anticipatamente il mio apprezzamento per il Concerto che il Campidoglio mi offrirà la sera del 29 giugno; è un gesto che testimonia l’affetto per il Papa dell’intera città di Roma. Saluto anche le altre autorità civili e militari. Non posso infine non ringraziare di cuore quanti in vario modo hanno contribuito a restituire alla statua della Madonna il suo originale splendore.

Ho accolto volentieri l’invito ad unirmi a voi nel rendere omaggio a Maria “Salus populi romani”, raffigurata in questa meravigliosa statua tanto cara al popolo romano. Statua che è memoria di eventi drammatici e provvidenziali, scritti nella storia e nella coscienza della Città. Infatti, essa fu collocata sul colle di Monte Mario nel 1953, ad adempimento di un voto popolare pronunciato durante la seconda guerra mondiale, quando le ostilità e le armi facevano temere per le sorti di Roma. Dalle opere romane di Don Orione partì allora l’iniziativa di una raccolta di firme per un voto alla Madonna cui aderirono oltre un milione di cittadini. Il Venerabile Pio XII raccolse la devota iniziativa del popolo che si affidava a Maria e il voto fu pronunciato il 4 giugno del 1944, davanti all’immagine della Madonna del Divino Amore. Proprio in quel giorno, si ebbe la pacifica liberazione di Roma. Come non rinnovare anche oggi con voi, cari amici di Roma, quel gesto di devozione a Maria “Salus populi romani” benedicendo questa bella statua?

Gli Orionini la vollero grande e collocata in alto, sovrastante la città, per rendere omaggio alla santità eccelsa della Madre di Dio, la quale, umile in terra, «è stata esaltata al di sopra dei cori angelici nei regni celesti», come disse il Papa Gregorio VII, (Ad Adelaide di Ungheria), e per averne, insieme, un segno di familiare presenza nella vita quotidiana. Maria, Madre di Dio e nostra, sia sempre in cima ai vostri pensieri e ai vostri affetti, amabile conforto delle anime vostre, guida sicura delle vostre volontà e sostegno dei vostri passi, ispiratrice suadente dell'imitazione di Gesù Cristo. La “Madonnina” - come amano chiamarla i romani - nel gesto di guardare dall’alto i luoghi della vita familiare, civile e religiosa di Roma, protegga le famiglie, susciti propositi di bene, suggerisca a tutti desideri di cielo. “Guardare al cielo, pregare, e poi avanti con coraggio e lavorare. Ave Maria e avanti!” - esortava san Luigi Orione.

Nel loro voto alla Madonna i romani oltre a promettere preghiera e devozione, si impegnarono anche in opere di carità. Per parte loro, gli Orionini realizzarono in questo Centro di Monte Mario, ancor prima della statua, l’accoglienza di mutilatini e di orfani. Il programma di san Luigi Orione - “Solo la carità salverà il mondo” - ebbe qui una significativa concretizzazione e divenne un segno di speranza per Roma, unitamente alla Madonnina posta sul colle. Cari fratelli e sorelle, spirituali eredi del Santo della Carità, Luigi Orione! Il Capitolo Generale che si è appena concluso ha avuto come proprio tema questa espressione cara al vostro Fondatore, “Solo la carità salverà il mondo”. Benedico il proposito e le decisioni che sono stati adottati per rilanciare quel dinamismo spirituale e apostolico che sempre deve contraddistinguervi.

Don Orione visse in modo lucido e appassionato il compito della Chiesa di vivere l’amore per far entrare nel mondo la luce di Dio (cfr. Deus Caritas est ). Ha lasciato tale missione ai suoi discepoli come via spirituale e apostolica, convinto che “la carità apre gli occhi alla fede e riscalda i cuori d'amore verso Dio”. Continuate, cari Figli della Divina Provvidenza, su questa scia carismatica da lui iniziata, perché, come egli diceva, “la carità è la migliore apologia della fede cattolica”, “la carità trascina, la carità muove, porta alla fede e alla speranza” (Verbali, 26.11.1930, p.95). Le opere di carità, sia come atti personali e sia come servizi alle persone deboli offerti in grandi istituzioni, non possono mai ridursi a gesto filantropico, ma devono restare sempre tangibile espressione dell’amore provvidente di Dio. Per fare questo - ricorda don Orione - occorre essere “impastati della carità soavissima di Nostro Signore” (Scritti 70, 231) mediante una vita spirituale autentica e santa. Solo così è possibile passare dalle opere della carità alla carità delle opere, perché - aggiunge il vostro Fondatore - “anche le opere senza la carità di Dio, che le valorizzi davanti a lui, a nulla valgono” (Alle PSMC, 19.6.1920, p.141).

Cari fratelli e sorelle, grazie ancora per il vostro invito e per la vostra accoglienza. Vi accompagni ogni giorno la materna protezione di Maria, che insieme invochiamo per quanti operano in questo Centro e per l’intera popolazione romana e, mentre a ciascuno assicuro il mio orante ricordo, con affetto tutti vi benedico.





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