Discorsi 2005-13 50710

INAUGURAZIONE DELLA NUOVA FONTANA NEI GIARDINI VATICANI INTITOLATA A SAN GIUSEPPE Piazzale del Governatorato Lunedì, 5 luglio 2010

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Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
Illustri Signori e Signore!

E’ per me motivo di gioia inaugurare questa fontana nei Giardini Vaticani, in un contesto naturale di singolare bellezza. E’ un’opera che va ad incrementare il patrimonio artistico di questo incantevole spazio verde della Città del Vaticano, ricco di testimonianze storico-artistiche di varie epoche. Infatti, non solo i prati, i fiori, le piante, gli alberi, ma anche le torri, le casine, i tempietti, le fontane, le statue e le altre costruzioni fanno di questi Giardini un unicum affascinante. Essi sono stati per i miei Predecessori, e sono anche per me uno spazio vitale, un luogo che volentieri frequento per trascorrere un po’ di tempo in preghiera e in serena distensione.

Nel rivolgere a ciascuno di voi il mio cordiale saluto, desidero manifestare viva riconoscenza per questo dono, che mi avete offerto, dedicandolo a san Giuseppe. Grazie per questo delicato e cortese pensiero! E’ stata un'impresa impegnativa, che ha visto la collaborazione di molti. Ringrazio anzitutto il Signor Cardinale Giovanni Lajolo anche per le parole che mi ha rivolto e per l'interessante presentazione dei lavori svolti. Con lui ringrazio l’Arcivescovo Mons. Carlo Maria Viganò e il Vescovo Mons. Giorgio Corbellini, rispettivamente Segretario Generale e Vice-Segretario Generale del Governatorato. Esprimo vivo apprezzamento alla Direzione dei Servizi Tecnici, al progettista e allo scultore, ai consulenti e alle maestranze, con un pensiero speciale per i Coniugi Hintze e per il Signor Castrignano, di Londra, che hanno generosamente finanziato l'opera, come pure per le Suore del Monastero di San Giuseppe in Kyoto. Una parola di gratitudine alla Provincia di Trento, ai Comuni e alle Ditte trentine, per il loro contributo.

Questa fontana è intitolata a san Giuseppe, figura cara e vicina al cuore del Popolo di Dio e al mio cuore. I sei pannelli di bronzo che la impreziosiscono, evocano altrettanti momenti della sua vita. Desidero brevemente soffermarmi su questi. Il primo pannello rappresenta lo sposalizio tra Giuseppe e Maria; è un episodio che riveste grande importanza. Giuseppe era della stirpe reale di Davide e, in virtù del suo matrimonio con Maria, conferirà al Figlio della Vergine – al Figlio di Dio – il titolo legale di “figlio di Davide”, adempiendo così le profezie. Lo sposalizio di Giuseppe e Maria è, perciò, un evento umano, ma determinante nella storia di salvezza dell’umanità, nella realizzazione delle promesse di Dio; ha perciò anche una connotazione soprannaturale, che i due protagonisti accettano con umiltà e fiducia.

Ben presto per Giuseppe arriva il momento della prova, una prova impegnativa per la sua fede. Promesso sposo di Maria, prima di andare a vivere con lei, ne scopre la misteriosa maternità e rimane turbato. L’evangelista Matteo sottolinea che, essendo giusto, non voleva ripudiarla, pertanto decise di licenziarla in segreto (cfr
Mt 1,19). Ma in sogno – come è raffigurato nel secondo pannello - l’angelo gli fece comprendere che ciò che avveniva in Maria era opera dello Spirito Santo; e Giuseppe, fidandosi di Dio, acconsente e coopera al piano della salvezza. Certo, l’intervento divino nella sua vita non poteva non turbare il suo cuore. Affidarsi a Dio non significa vedere tutto chiaro secondo i nostri criteri, non significa realizzare ciò che noi abbiamo progettato; affidarsi a Dio vuol dire svuotarsi di sé, rinunciare a se stessi, perché solo chi accetta di perdersi per Dio può essere “giusto” come san Giuseppe, può conformare, cioè, la propria volontà a quella di Dio e così realizzarsi.

Il Vangelo, come sappiamo, non ha conservato alcuna parola di Giuseppe, il quale svolge la sua attività nel silenzio. E’ lo stile che lo caratterizza in tutta l’esistenza, sia prima di trovarsi di fronte al mistero dell’azione di Dio nella sua sposa, sia quando - consapevole di questo mistero – è accanto a Maria nella Natività - rappresentata nella terza formella. In quella santa notte, a Betlemme, con Maria e il Bambino, c’è Giuseppe, al quale il Padre Celeste ha affidato la cura quotidiana del suo Figlio sulla terra, una cura svolta nell’umiltà e nel silenzio.

Il quarto pannello riproduce la scena drammatica della Fuga in Egitto per sottrarsi alla violenza omicida di Erode. Giuseppe è costretto a lasciare la sua terra con la sua famiglia, in fretta: è un altro momento misterioso nella sua vita; un’altra prova in cui gli è richiesta piena fedeltà al disegno di Dio.

Poi, nei Vangeli, Giuseppe appare solo in un altro episodio, quando si reca a Gerusalemme e vive l’angoscia di smarrire il figlio Gesù. San Luca descrive l’affannosa ricerca e la meraviglia di ritrovarlo nel Tempio – come appare nella quinta formella -, ma ancor più lo stupore di sentire le misteriose parole: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" (Lc 2,49). E’ questa duplice domanda del Figlio di Dio che ci aiuta a capire il mistero della paternità di Giuseppe. Ricordando ai propri genitori il primato di Colui che chiama "Padre mio", Gesù afferma il primato della volontà di Dio su ogni altra volontà, e rivela a Giuseppe la verità profonda del suo ruolo: anch’egli è chiamato ad essere discepolo di Gesù, dedicando l'esistenza al servizio del Figlio di Dio e della Vergine Madre, in obbedienza al Padre Celeste.

Il sesto pannello rappresenta il lavoro di Giuseppe nell’officina di Nazaret. Accanto a lui ha lavorato Gesù. Il Figlio di Dio è nascosto agli uomini e solo Maria e Giuseppe custodiscono il suo mistero e lo vivono ogni giorno: il Verbo incarnato cresce come uomo all’ombra dei suoi genitori, ma, nello stesso tempo, questi rimangono, a loro volta, nascosti in Cristo, nel suo mistero, vivendo la loro vocazione.

Cari fratelli e sorelle, questa bella fontana dedicata a san Giuseppe costituisce un simbolico richiamo ai valori della semplicità e dell’umiltà nel compiere quotidianamente la volontà di Dio, valori che hanno contraddistinto la vita silenziosa, ma preziosa del Custode del Redentore. Alla sua intercessione affido le attese della Chiesa e del mondo. Insieme alla Vergine Maria, sua sposa, egli guidi sempre il mio e il vostro cammino, affinché possiamo essere strumenti gioiosi di pace e di salvezza.



PROIEZIONE DEL FILM "CINQUE ANNI PAPA BENEDETTO XVI", DELLA BAYERISCHER RUNDFUNK Castel Gandolfo Giovedì, 29 luglio 2010

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Sala degli Svizzeri del Palazzo Apostolico



Eminenza, Eccellenze,
caro professor Fuchs, caro Mandlik, cari amici, signore e signori,

in questo momento posso soltanto dire grazie alla Radio Bavarese per questo viaggio spirituale straordinario, che ci ha permesso di rivivere e rivedere momenti determinanti e culminanti di questi cinque anni del mio servizio petrino e della vita della Chiesa stessa.

È stato per me personalmente molto commovente vedere alcuni momenti, soprattutto quello nel quale il Signore impose sulle mie spalle il servizio petrino. Un peso che nessuno potrebbe portare da sé con le sue sole forze, ma lo può portare soltanto perché il Signore ci porta e mi porta. Abbiamo visto in questo filmato, mi sembra, la ricchezza della vita della Chiesa, la molteplicità delle culture, dei carismi, dei doni diversi che vivono nella Chiesa e come in questa molteplicità e grande diversità vive sempre la stessa, unica, Chiesa. E il primato petrino ha questo mandato di rendere visibile e concreta l'unità, nella molteplicità storica, concreta, nell'unità di presente, passato, futuro e dell'eterno.

Abbiamo visto che la Chiesa anche oggi benché soffra tanto, come sappiamo, tuttavia è una Chiesa gioiosa, non è una Chiesa invecchiata, ma abbiamo visto che la Chiesa è giovane e che la fede crea gioia. Perciò ho trovato molto interessante, un'idea bella, quella di inserire tutto nella cornice della nona sinfonia di Beethoven, dell'«Inno alla gioia», che esprime come dietro tutta la storia ci sia la gioia della nostra redenzione. Ho trovato anche bello che il film finisca con la visita presso la Madre di Dio, che ci insegna l'umiltà, l'obbedienza e la gioia che Dio è con noi.


[Un cordiale «Dio ve ne renda merito» a voi, caro signor professor Fuchs, caro signor Mandlik e a tutti i vostri collaboratori, per questo magnifico momento che ci avete donato].




PAROLE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI ALL’INIZIO DELLA SANTA MESSA A CONCLUSIONE DELL’INCONTRO CON IL "RATZINGER SCHÜLERKREIS" Castel Gandolfo Domenica, 29 agosto 2010

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Cari amici, alla fine del Vangelo di oggi, il Signore ci fa notare come in realtà continuiamo a vivere alla maniera dei pagani; come invitiamo, per reciprocità, soltanto chi ricambierà l’invito; come doniamo solo a chi ci restituirà. Ma lo stile di Dio è diverso: lo sperimentiamo nella Santa Eucaristia. Egli invita alla sua mensa noi, che davanti a lui siamo zoppi, ciechi e sordi; egli invita noi, che non abbiamo nulla da dargli. Durante questo evento dell’Eucaristia, lasciamoci toccare soprattutto dalla gratitudine per il fatto che Dio esiste, che Egli è così com’è, che Egli è così com’è Gesù Cristo, che Egli – nonostante non abbiamo nulla da dargli e siamo pieni di colpe – ci invita alla sua mensa e vuole stare a tavola con noi. Ma vogliamo anche essere toccati dal sentire la colpa di staccarci così poco dallo stile pagano, di vivere così poco la novità, lo stile di Dio. E per questo iniziamo la Santa Messa chiedendo perdono: un perdono che ci cambi, che ci faccia diventare veramente simili a Dio, a sua immagine e somiglianza.



CONCERTO OFFERTO DALLA PONTIFICIA ACCADEMIA DELLE SCIENZE Cortile interno del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo Martedì, 7 settembre 2010

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Cari amici,

ringrazio vivamente l’Orchestra di Padova e del Veneto e il Coro "Accademia della voce" di Torino, diretti dal maestro Claudio Desderi, e i quattro solisti, per averci offerto questo momento di gioia interiore e di riflessione spirituale con un’intensa esecuzione del Requiem di Wolfgang Amadeus Mozart. Con loro ringrazio Mons. Marcelo Sánchez Sorondo, Segretario della Pontificia Accademia delle Scienze, per le parole che mi ha rivolto, come pure i vari Enti che hanno contribuito all’organizzazione di questo evento. Sappiamo bene che il giovanissimo Mozart, nei suoi viaggi in Italia con il padre, soggiornò in varie Regioni, tra le quali anche il Piemonte e il Veneto, ma soprattutto sappiamo che fece tesoro della vivace attività musicale italiana, caratterizzata da compositori quali Hasse, Sammartini, Padre Martini, Piccinni, Jommelli, Paisiello, Cimarosa, per citarne alcuni.

Permettetemi, però, di dire ancora una volta che c’è un affetto particolare che mi lega, potrei dire da sempre, a questo sommo musicista. Ogni volta che ascolto la sua musica non posso non riandare con la memoria alla mia chiesa parrocchiale, quando, da ragazzo, nei giorni di festa, risuonava una sua "Messa": nel cuore percepivo che un raggio della bellezza del Cielo mi aveva raggiunto, e questa sensazione la provo ogni volta, anche oggi, ascoltando questa grande meditazione, drammatica e serena, sulla morte. In Mozart ogni cosa è in perfetta armonia, ogni nota, ogni frase musicale è così e non potrebbe essere altrimenti; anche gli opposti sono riconciliati e la mozart’sche Heiterkeit, la "serenità mozartiana" avvolge tutto, in ogni momento. E’ un dono questo della Grazia di Dio, ma è anche il frutto della viva fede di Mozart, che – specie nella sua musica sacra – riesce a far trasparire la luminosa risposta dell’Amore divino, che dona speranza, anche quando la vita umana è lacerata dalla sofferenza e dalla morte.

Nell’ultima lettera scritta al padre morente, datata 4 aprile 1787, così egli scrive parlando proprio della tappa finale della vita sulla terra: "… da qualche anno sono entrato in tanta familiarità con quest’amica sincera e carissima dell’uomo, [la morte], che la sua immagine non solo non ha per me più nulla di terrificante, ma mi appare addirittura molto tranquillizzante e consolante! E ringrazio il mio Dio di avermi concesso la fortuna di avere l’opportunità di riconoscere in essa la chiave della nostra felicità. Non vado mai a letto senza pensare che l’indomani forse non ci sarò più. Eppure nessuno fra tutti coloro che mi conoscono potrà dire che in compagnia io sia triste o di cattivo umore. E di questa fortuna ringrazio ogni giorno il mio Creatore e l’auguro di tutto cuore ad ognuno dei miei simili". È uno scritto che manifesta una fede profonda e semplice, che emerge anche nella grande preghiera del Requiem, e ci conduce, allo stesso tempo, ad amare intensamente le vicende della vita terrena come doni di Dio e ad elevarci al di sopra di esse, guardando serenamente alla morte come alla "chiave" per varcare la porta verso la felicità eterna.

Il Requiem di Mozart è un’alta espressione di fede, che ben conosce la tragicità dell’esistenza umana e che non tace sui suoi aspetti drammatici, e perciò è un’espressione di fede propriamente cristiana, consapevole che tutta la vita dell’uomo è illuminata dall’amore di Dio. Grazie ancora a tutti.




AI RAPPRESENTANTI DELL'UFFICIO DELL'ASSEMBLEA PARLAMENTARE DEL CONSIGLIO D'EUROPA Auletta dell'Aula Paolo VI Mercoledì, 8 settembre 2010

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Signor Presidente,
Cari membri del Bureau dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa

Sono molto grato all'onorevole signore Çavusoglu per le gentili parole che mi ha rivolto a nome del Bureau e porgo a tutti voi un cordiale benvenuto. Sono lieto di ricevervi nel sessantesimo anniversario della Convenzione Europea sui Diritti dell'Uomo che, come è noto, impegna gli Stati membri del Consiglio d'Europa a promuovere e a difendere la dignità inviolabile della persona umana.

So che l'Assemblea Parlamentare ha nella sua agenda importanti temi che riguardano soprattutto le persone che vivono in situazioni particolarmente difficili o che sono sottoposte a gravi violazioni della loro dignità. Penso alle persone affette da handicap, a bambini che subiscono violenza, agli immigranti, ai profughi, a coloro che pagano il prezzo più alto per l'attuale crisi economica e finanziaria, a quanti sono vittime dell'estremismo o delle nuove forme di schiavitù come il traffico di vite umane, il commercio illegale di stupefacenti e la prostituzione. Il vostro lavoro riguarda anche le vittime delle guerre e le persone che vivono in democrazie fragili. Sono a conoscenza anche dei vostri sforzi per difendere la libertà religiosa e contrastare la violenza e l'intolleranza nei confronti dei credenti in Europa e nel mondo.

Tenendo presente il contesto della società attuale, nella quale si incontrano popoli e culture differenti, è imperativo sviluppare sia la validità universale di questi diritti, sia la loro inviolabilità, inalienabilità e indivisibilità.

In diverse occasioni ho evidenziato i rischi associati al relativismo nel campo dei valori, dei diritti e dei doveri. Se questi fossero privi di un fondamento razionale oggettivo, comune a tutti i popoli, e si basassero esclusivamente su culture, decisioni legislative o sentenze di tribunali particolari, come potrebbero offrire un terreno solido e duraturo per le istituzioni sovranazionali come il Consiglio d'Europa e per il vostro compito all'interno di tale prestigiosa istituzione? Come potrebbe esserci un dialogo fecondo tra le culture senza valori comuni, diritti e principi stabili, universali, intesi allo stesso modo da tutti gli Stati membri del Consiglio d'Europa? Questi valori, diritti e doveri sono radicati nella dignità naturale di ogni persona, qualcosa che è accessibile alla ragione umana. La fede cristiana non ostacola, bensì favorisce questa ricerca, ed è un invito a cercare una base soprannaturale per questa dignità.

Sono convinto che questi principi, osservati fedelmente, soprattutto quando si parla della vita umana, dal concepimento alla morte naturale, del matrimonio - radicato nel dono esclusivo e indissolubile di sé tra un uomo e una donna - e della libertà di religione e di educazione, siano condizioni necessarie se dobbiamo rispondere in modo adeguato alle sfide decisive e urgenti che la storia pone ad ognuno di voi.

Cari amici, so anche che desiderate andare incontro a quanti soffrono. Ciò mi rallegra e vi incoraggio a svolgere la vostra delicata e importante missione con moderazione, saggezza e coraggio, al servizio del bene comune dell'Europa. Vi ringrazio di essere venuti e vi assicuro delle mie preghiere. Dio vi benedica!



AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL BRASILE (NORDESTE III) IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM» Venerdì, 10 settembre 20\i10

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Signor Cardinale,
Amati Arcivescovi e Vescovi del Brasile,

Saluto calorosamente tutti voi, in occasione della vostra visita ad Limina a Roma, dove siete venuti per rafforzare i vincoli di comunione fraterna con il Successore di Pietro e da lui siete stati incoraggiati nella guida del gregge di Cristo. Ringrazio monsignor Ceslau Stanula, Vescovo di Itabuna, per le cordiali parole che mi ha rivolto a nome vostro, e vi assicuro delle mie preghiere per voi e per l'amato popolo nordestino, del vostro Regionale Nordeste 3.

Più di cinque secoli fa, proprio nella vostra regione, si celebrava la prima Messa in Brasile, rendendo realmente presente il Corpo e il Sangue di Cristo per la santificazione degli uomini e delle donne di questa nazione benedetta, nata sotto l'egida della Santa Croce. Era la prima volta che il Vangelo di Cristo veniva proclamato a questo popolo, illuminando la sua vita quotidiana. Questa azione evangelizzatrice della Chiesa cattolica fu e continua a essere fondamentale nella costituzione dell'identità del popolo brasiliano caratterizzata dalla convivenza armoniosa fra persone venute da diverse regioni e culture. Tuttavia, sebbene i valori della fede cattolica abbiano modellato il cuore e lo spirito brasiliani, oggi si osserva una crescente influenza di nuovi elementi nella società, che alcuni decenni fa le erano praticamente estranei. Ciò sta provocando un consistente abbandono della vita ecclesiale o persino della Chiesa da parte di molti cattolici, mentre nel panorama religioso del Brasile, si assiste alla rapida espansione di comunità evangeliche e neopentecostali.

In un certo senso, le ragioni che sono alla base del successo di questi gruppi sono un segnale della diffusa sete di Dio fra il vostro popolo. Sono anche un indizio di un'evangelizzazione, a livello personale, a volte superficiale; di fatto, i battezzati non sufficientemente evangelizzati sono facilmente influenzabili, poiché possiedono una fede fragile e molto spesso basata su un devozionismo ingenuo, sebbene, come ho detto, conservino una religiosità innata. Di fronte a questa situazione emerge, da un lato, la chiara necessità che la Chiesa cattolica in Brasile s'impegni in una nuova evangelizzazione che non lesini sforzi nella ricerca dei cattolici che si sono allontanati e anche di quelle persone che poco o nulla conoscono del messaggio evangelico, portandoli a un incontro personale con Gesù Cristo, vivo e operante nella sua Chiesa. D'altro lato, con la crescita di nuovi gruppi che si dicono seguaci di Cristo, anche se suddivisi in diverse comunità e confessioni, diviene più imperativo, da parte dei pastori cattolici, l'impegno di creare ponti per stabilire contatti attraverso un sano dialogo ecumenico nella verità.

Tale sforzo è necessario prima di ogni altra cosa, perché la divisione fra i cristiani è in contrasto con la volontà del Signore che "tutti siano una sola cosa" (
Jn 17,21). Oltre a ciò, la mancanza di unità è causa di scandalo e finisce per minare la credibilità del messaggio cristiano proclamato nella società. E la sua proclamazione è forse oggi ancor più necessaria che nei decenni passati perché, come ben dimostrano i vostri resoconti, persino nelle piccole città dell'interno del Brasile, si osserva una crescente influenza negativa del relativismo intellettuale e morale nella vita delle persone.
Non sono pochi gli ostacoli che la ricerca dell'unità dei cristiani ha dinanzi. In primo luogo si deve rifiutare una visione erronea dell'ecumenismo, che comporta un certo indifferentismo dottrinale che cerca di livellare, in un irenismo acritico, tutte le "opinioni" in una sorta di relativismo ecclesiologico. Parallelamente c'è la sfida dell'incessante moltiplicazione di nuovi gruppi cristiani, alcuni dei quali fanno uso di un proselitismo aggressivo, il che mostra come il paesaggio dell'ecumenismo sia ancora molto variegato e confuso. In questo contesto - come ho detto nel 2007, nella Catedral da Sé di San Paolo, nell'indimenticabile incontro con voi vescovi brasiliani: "è indispensabile una buona formazione storica e dottrinale, che abiliti al necessario discernimento ed aiuti a capire l'identità specifica di ognuna delle comunità, gli elementi che dividono e quelli che aiutano nel cammino verso la costruzione dell'unità. Il grande campo comune di collaborazione dovrebbe essere la difesa dei valori morali fondamentali, trasmessi dalla tradizione biblica, contro la loro distruzione in una cultura relativistica e consumistica; e ancora, la fede in Dio Creatore e in Gesù Cristo, suo Figlio, incarnato" (6). Per questo motivo, vi incoraggio a proseguire compiendo passi positivi in questa direzione, come è il caso del dialogo con le chiese e le comunità ecclesiali appartenenti al Consiglio Nazionale delle Chiese Cristiane, che con iniziative come la Campagna della Fraternità ecumenica, contribuiscono a promuovere i valori del Vangelo nella società brasiliana.

Stimati fratelli, il dialogo fra i cristiani è un imperativo del tempo presente e un'opzione irreversibile della Chiesa. Nel frattempo, come ricorda il Concilio Vaticano II, al centro di tutti gli sforzi a favore dell'unità ci devono essere la preghiera, la conversione e la santificazione della vita (cfr. Unitatis redintegratio UR 8). È il Signore a dare l'unità, che non è una creazione degli uomini; ai pastori corrisponde l'obbedienza alla volontà del Signore, promuovendo iniziative concrete, libere da qualsiasi riduzionismo conformista, ma realizzate con sincerità e realismo, con pazienza e perseveranza, che nascono dalla fede nell'azione provvidenziale dello Spirito Santo.

Cari e venerati fratelli, in questo nostro incontro ho cercato di evidenziare brevemente alcuni aspetti della grande sfida dell'ecumenismo affidata alla vostra sollecitudine apostolica. Nell'accomiatarmi da voi, ribadisco ancora una volta la mia stima e la certezza delle mie preghiere per tutti voi e per le vostre diocesi. In modo particolare, desidero rinnovare qui la mia solidarietà paterna ai fedeli della diocesi di Barreiras, recentemente privati della guida del loro primo e zelante pastore, monsignor Ricardo José Weberberger, che ora si trova nella casa del Padre, meta dei passi di tutti noi. Riposi in pace! Invocando l'intercessione di Nossa Senhora Aparecida, imparto a ognuno di voi, ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose, ai seminaristi, ai catechisti e a tutto il popolo a voi affidato, un'affettuosa Benedizione Apostolica.




AI VESCOVI DI RECENTE NOMINA (CONGREGAZIONE PER L’EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI) Sala degli Svizzeri del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo Sabato, 11 settembre 2010

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Cari Fratelli nell’Episcopato,

Sono lieto di accogliervi e vi saluto con grande affetto, in occasione del corso di aggiornamento che la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli ha promosso per voi, Vescovi di recente nomina. Queste giornate di riflessione a Roma, per approfondire i compiti del vostro ministero e per rinnovare la professione della vostra fede sulla tomba di san Pietro, sono anche una singolare esperienza della collegialità, fondata sull’ordinazione episcopale e sulla comunione gerarchica. Questa esperienza di fraternità, di preghiera e di studio presso la Sede Apostolica accresca in ciascuno di voi la comunione con il Successore di Pietro e con i vostri Confratelli, con i quali condividete la sollecitudine per tutta la Chiesa. Ringrazio il Cardinale Ivan Dias per le sue cordiali parole, come pure Mons. Segretario e Mons. Segretario Aggiunto che, unitamente ai collaboratori del Dicastero, hanno organizzato questo simposio.

Su di voi, cari Fratelli, chiamati da poco al ministero episcopale, la Chiesa pone non poche speranze, e vi segue con la preghiera e con l’affetto. Anch’io voglio assicurarvi la mia spirituale vicinanza nel vostro quotidiano servizio al Vangelo. Conosco le sfide che dovete affrontare, specialmente nelle comunità cristiane che vivono la propria fede in contesti non facili, dove, oltre a varie forme di povertà, si verificano talvolta forme di persecuzione a causa della propria fede cristiana. A voi spetta il compito di alimentare la loro speranza, di condividere le loro difficoltà, ispirandovi alla carità di Cristo che consiste nell’attenzione, tenerezza, compassione, accoglienza, disponibilità e interesse ai problemi della gente, per la quale si è disposti a spendere la vita (cfr Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2008, n. 2).

In ogni vostro compito siete sostenuti dallo Spirito Santo, che nell’Ordinazione vi ha configurati a Cristo, sommo ed eterno Sacerdote. Infatti, il ministero episcopale lo si comprende solo a partire da Cristo, la sorgente dell'unico e supremo Sacerdozio, del quale il Vescovo è reso partecipe. Egli, pertanto, "si impegnerà ad assumere uno stile di vita che imiti la kénosis di Cristo servo, povero e umile, in modo che l'esercizio del ministero pastorale sia in lui un riflesso coerente di Gesù, Servo di Dio, e lo induca ad essere come Lui vicino a tutti, dal più grande al più piccolo" (Giovanni Paolo II, Esort. ap. Pastores gregis, 11). Ma, per imitare il Cristo, occorre dedicare un adeguato tempo a "stare con lui" e contemplarlo nell’intimità orante del colloquio cuore a cuore. Stare frequentemente alla presenza di Dio, essere uomo di preghiera e di adorazione: a questo anzitutto è chiamato il Pastore. Attraverso la preghiera egli, come dice la Lettera agli Ebrei, (cfr 9,11-14), diventa vittima ed altare, per la salvezza del mondo. La vita del Vescovo dev’essere un'oblazione continua a Dio per la salvezza della sua Chiesa, e specialmente per la salvezza delle anime che gli sono state affidate.

Questa oblatività pastorale costituisce anche la vera dignità del Vescovo: essa gli deriva dal farsi servo di tutti, fino a dare la propria vita. L'episcopato, infatti, - come il presbiterato - non va mai frainteso secondo categorie mondane. Esso è servizio d’amore. Il Vescovo è chiamato a servire la Chiesa con lo stile del Dio fatto uomo, diventando sempre più pienamente servo del Signore e servo dell’umanità. Egli è soprattutto servitore e ministro della Parola di Dio, la quale è anche la sua vera forza. Il dovere primario dell’annuncio, accompagnato dalla celebrazione dei sacramenti, specialmente dell’Eucaristia, scaturisce dalla missione ricevuta, come sottolinea l’Esortazione apostolica Pastores gregis: "Se il dovere di annunciare il Vangelo è proprio di tutta la Chiesa e di ogni suo figlio, lo è a titolo speciale dei Vescovi i quali, nel giorno della sacra Ordinazione che li immette nella successione apostolica, assumono come impegno precipuo quello di predicare il Vangelo e di predicarlo invitando gli uomini alla fede nella fortezza dello Spirito e rafforzandoli nella vivezza della fede" (n. 26). Di questa Parola di salvezza, il Vescovo deve nutrirsi abbondantemente, ponendosi in continuo ascolto di essa, come dice sant’Agostino: "Anche se siamo pastori, il pastore ascolta con tremore non soltanto quanto viene rivolto ai pastori, ma ciò che viene indirizzato al gregge" (Discorso 47, 2). Allo stesso tempo, l’accoglienza e il frutto della proclamazione della Buona Novella sono strettamente legati alla qualità della fede e della preghiera. Quanti sono chiamati al ministero della predicazione devono credere nella forza di Dio che scaturisce dai Sacramenti e che li accompagna nel compito di santificare, governare e annunciare; devono credere e vivere quanto annunciano e celebrano. A tale proposito, risultano attuali le parole del Servo di Dio Paolo VI: "La testimonianza della vita è divenuta più che mai una condizione essenziale per l’efficacia profonda della predicazione" (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 76).

So che le Comunità a voi affidate si trovano, per così dire, alle "frontiere" religiose, antropologiche e sociali, e, in molti casi, sono presenza minoritaria. In questi contesti la missione di un Vescovo è particolarmente impegnativa. Ma è proprio in tali circostanze che, attraverso il vostro ministero, il Vangelo può mostrare tutta la sua potenza salvifica. Non dovete cedere al pessimismo e allo scoraggiamento, perché è lo Spirito Santo che guida la Chiesa e le dà, con il suo soffio possente, il coraggio di perseverare e anche di cercare nuovi metodi di evangelizzazione, per raggiungere ambiti finora inesplorati. La verità cristiana è attraente e persuasiva proprio perché risponde al bisogno profondo dell’esistenza umana, annunciando in maniera convincente che Cristo è l’unico Salvatore di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Questo annuncio resta valido oggi come lo fu all’inizio del cristianesimo, quando si operò la prima grande espansione missionaria del Vangelo.

Cari Fratelli nell’Episcopato! È nella potenza dello Spirito Santo che voi avete la sapienza e la forza di rendere le vostre Chiese testimoni di salvezza e di pace. Egli vi guiderà sui sentieri del vostro ministero episcopale, che affido alla materna intercessione di Maria Santissima, Regina degli Apostoli. Da parte mia, vi accompagno con la preghiera e con un’affettuosa Benedizione Apostolica, che imparto ad ognuno di voi e a tutti i fedeli delle vostre Comunità.






A S.E. IL SIG. WALTER JÜRGEN SCHMID, NUOVO AMBASCIATORE DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA PRESSO LA SANTA SEDE Lunedì, 13 settembre 2010

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Signor Ambasciatore,

colgo molto volentieri l’occasione della solenne consegna delle Lettere Credenziali che L’accreditano come Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica Federale di Germania presso la Santa Sede, per darLe il benvenuto e per esprimere i miei migliori auguri per la Sua alta missione. La ringrazio di cuore per le gentili parole che mi ha rivolto, anche a nome del Signor Presidente Federale Christian Wulff e del Governo Federale. Porgo volentieri il mio benedicente saluto al Capo dello Stato, ai membri del Governo e a tutti i cittadini della Germania, con la speranza che i buoni rapporti tra la Santa Sede e la Repubblica Federale di Germania perdurino in futuro e possano ulteriormente svilupparsi.

Molti cristiani in Germania si volgono, pieni di attenzione, alle imminenti celebrazioni delle beatificazioni di diversi Sacerdoti martiri del tempo del regime nazista. Questa domenica, 19 settembre, verrà beatificato Gerhard Hirschfelder a Münster. Nel corso del prossimo anno seguiranno le cerimonie per Georg Häfner a Würzburg nonché per Johannes Prassek, Hermann Lange e Eduard Müller a Lübeck. Con i Cappellani di Lübeck si commemorerà anche il Pastore evangelico Karl Friedrich Stellbrink. L’attestata amicizia dei quattro ecclesiastici è una testimonianza impressionante dell’ecumenismo della preghiera e della sofferenza, fiorito in vari luoghi durante l’oscuro periodo del terrore nazista. Per il nostro comune cammino ecumenico possiamo vedere questi testimoni come luminose indicazioni.

Contemplando queste figure di martiri appare sempre più chiaro ed esemplare, come certi uomini, a partire dalla loro convinzione cristiana, siano disposti a dare la propria vita per la fede, per il diritto ad esercitare liberamente il proprio credo e per la libertà di parola, per la pace e la dignità umana. Oggi, per fortuna, viviamo in una società libera e democratica. Allo stesso tempo notiamo però, come presso molti nostri contemporanei, non vi sia un forte attaccamento alla religione, come nel caso di questi testimoni di fede. Ci si potrebbe domandare se vi siano ancora oggi dei cristiani che, senza compromessi, si fanno garanti della propria fede. Al contrario, molti uomini mostrano per lo più un’inclinazione verso concezioni religiose più permissive anche per se stessi. Al posto del Dio personale del cristianesimo, che si rivela nella Bibbia, subentra un essere supremo, misterioso e indeterminato, che ha solo una vaga relazione con la vita personale dell’essere umano.

Tali concezioni animano sempre di più la discussione all’interno della società, soprattutto circa l’ambito della giustizia e della legislazione. Se però uno abbandona la fede verso un Dio personale, sorge l’alternativa di un “dio” che non conosce, non sente e non parla. E, più che mai, non ha un volere. Se Dio non ha una propria volontà, il bene e il male alla fine non sono più distinguibili; il bene e il male non sono più in contraddizione fra di loro, ma sono in opposizione in cui l’uno sarebbe complementare all’altro. L’uomo perde così la sua forza morale e spirituale, necessaria per uno sviluppo complessivo della persona. L’agire sociale viene dominato sempre di più dall’interesse privato o dal calcolo del potere, a danno della società. Se invece Dio è una Persona – e l’ordine creaturale, come pure la presenza di tanti cristiani convinti nella società ne è un indizio – ne consegue che un ordine di valori è legittimato. Vi sono segnali, rintracciabili anche in tempi recenti, che attestano lo sviluppo di nuovi rapporti tra Stato e religione, anche al di là delle grandi Chiese cristiane finora determinanti. In tale situazione i cristiani hanno perciò il compito di seguire questo sviluppo in modo positivo e critico nonché di affinare i sensi per la fondamentale e permanente importanza del cristianesimo nel gettare le basi e formare le strutture della nostra cultura.

La Chiesa vede però, con preoccupazione, il crescente tentativo di eliminare il concetto cristiano di matrimonio e famiglia dalla coscienza della società. Il matrimonio si manifesta come unione duratura d’amore tra un uomo e una donna, che è sempre tesa anche alla trasmissione della vita umana. Una sua condizione è la disposizione dei partner a rapportarsi l’uno con l’altro per sempre. Per questo è necessaria una certa maturità della persona e un fondamentale atteggiamento esistenziale e sociale: una “cultura della persona” come ha detto una volta il mio predecessore Giovanni Paolo II. L’esistenza di questa cultura della persona dipende anche da sviluppi sociali. Può verificarsi che in una società la cultura della persona si abbassi; non di rado questo deriva paradossalmente dalla crescita dello standard di vita. Nella preparazione e nell’accompagnamento dei coniugi occorre creare le condizioni di base per sollevare e sviluppare tale cultura. Contemporaneamente dobbiamo essere consapevoli che il buon esito dei matrimoni dipende da tutti noi e dalla cultura personale di ogni singolo cittadino. In questo senso, la Chiesa non può approvare delle iniziative legislative che implichino una rivalutazione di modelli alternativi della vita di coppia e della famiglia. Esse contribuiscono all’indebolimento dei principi del diritto naturale e così alla relativizzazione di tutta la legislazione e anche alla confusione circa i valori nella società.

È un principio della fede cristiana, ancorato al diritto naturale, che la persona umana vada protetta proprio nella situazione di debolezza. L’essere umano ha sempre la priorità rispetto ad altri scopi. Le nuove possibilità della biotecnologia e della medicina ci mettono spesso in situazioni difficili che rassomigliano a un camminare sulla punta della cresta. Noi abbiamo il dovere di studiare diligentemente fin dove questi metodi possono fungere d’aiuto per l’uomo e dove invece si tratta di manipolazione dell’uomo, di violazione della sua integrità e dignità. Non possiamo rifiutare questi sviluppi, ma dobbiamo essere molto vigilanti. Quando una volta si incomincia a distinguere – e spesso ciò accade già nel seno materno – tra vita degna e indegna di vivere, non sarà risparmiata nessun altra fase della vita, ancor meno l’anzianità e l’infermità.

La costruzione di una società umana richiede la fedeltà alla verità. In questo contesto, ultimamente, fanno riflettere certi fenomeni operanti nell’ambito dei media pubblici: essendo in concorrenza sempre più forte, i mezzi di comunicazione si credono spinti a suscitare la massima attenzione possibile. Inoltre, è il contrasto che fa notizia in genere, anche se va a scapito della veracità del racconto. La cosa diventa particolarmente problematica quando personaggi autorevoli prendono pubblicamente posizione al riguardo, senza essere in grado di verificare tutti gli aspetti in modo adeguato. Si accoglie con favore l’intento del Governo Federale di impegnarsi in tali casi, per quanto possibile, in modo compensatore e rappacificante.

Signor Ambasciatore, L’accompagnano i miei migliori auguri per il Suo lavoro e per i contatti che manterrà con i rappresentanti della Curia Romana, con il Corpo Diplomatico e anche con i sacerdoti, i religiosi e i fedeli laici impegnati nelle attività ecclesiali che vivono qui a Roma. Di cuore imploro per Lei, per la Sua gentile consorte, per i collaboratori e collaboratrici nell’Ambasciata l’abbondante benedizione divina.



Discorsi 2005-13 50710