Caterina, Dialogo 111

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CAPITOLO CXI.

O carissima figliuola, apre bene l'occhio de l'intelletto a raguardare l'abisso della mia carità, ché non è alcuna creatura che abbi in sé ragione che non si dovesse dissolvere il cuore suo per affetto d'amore a raguardare tra gli altri benefizi che avete ricevuti da me, vedere il benefizio di questo sacramento che ricevete.

E con che occhio, carissima figliuola, debbi tu e gli altri vederlo e raguardare questo misterio e toccarlo? Non solamente con toccamento e vedere di corpo, però che tutti i sentimenti del corpo ci vengono meno.

Tu vedi che l'occhio non vede altro che quella bianchezza di quello pane, la mano altro non tocca, il gusto altro non gusta che 'l sapore del pane, sì che i grossi sentimenti del corpo sono ingannati; ma il sentimento de l'anima non può essere ingannato, se ella vorrà, cioè che ella non si voglia tollere il lume della santissima fede con la infedelità.

Chi gusta e vede e tocca questo sacramento? Il sentimento de l'anima. Con che occhio el vede? Con l'occhio de l'intelletto, se dentro ne l'occhio è la pupilla della santissima fede. Questo occhio vede in quella bianchezza tutto me Dio e tutto uomo: la natura divina unita con la natura umana; il corpo, l'anima e 'l sangue di Cristo, l'anima unita nel corpo e il corpo e l'anima uniti con la natura mia divina, none staccandosi da me; sì come bene ti ricorda che, quasi nel principio della vita tua, Io ti manifestai. E non tanto con l'occhio de l'intelletto ma con l'occhio del corpo, bene che per lo lume grande l'occhio del corpo tuo tosto perdé il vedere e rimase solo il vedere a l'occhio de l'intelletto.

Mostra'telo a tua dichiarazione (103v) contra la battaglia che 'l dimonio in esso sacramento t'aveva data, e per farti crescere in amore e nel lume della santissima fede. Unde tu sai che, andando tu la mattina a l'aurora alla chiesa per udire la messa, essendo stata dinanzi passionata dal dimonio, tu ti ponesti ritta a l'altare del Crocifisso; il sacerdote era venuto a l'altare di Maria. E stando ine a considerare il difetto tuo, temendo di non avere offeso me per la molestia che 'l dimonio t'aveva data, e a considerare l'affetto della mia carità che t'aveva fatta degna d'udire la messa - con ciò sia cosa che tu ti reputavi indegna d'entrare nel santo tempio mio - venendo il ministro a consecrare, alla consecrazione tu alzasti gli occhi sopra del ministro. E nel dire le parole della consecrazione Io manifestai me a te, vedendo tu escire del petto mio uno lume, come il raggio che esce della ruota del sole non partendosi da essa ruota. Nel quale lume veniva una colomba, uniti insieme l'uno con l'altro, e percoteva sopra de l'ostia in virtù delle parole della consecrazione che 'l ministro diceva. Per che l'occhio tuo corporale non fu sufficiente a sostenere il lume, ma rimaseti il vedere solo ne l'occhio intellettuale e ine vedesti e gustasti l'abisso della Trinità, tutto me Dio e uomo, nascoso e velato sotto quella bianchezza. Né il lume né la presenzia del Verbo, che tu in essa bianchezza vedesti intellettualmente, non tolleva però la bianchezza del pane, e l'uno non impediva l'altro: né il vedere me Dio e uomo in quello pane, né quello pane era impedito da me, ciò è che non gli era tolto né la bianchezza, né il toccare né 'l sapore.

Questo fu mostrato a te da la mia bontà, come detto t'ò. A cui rimase il vedere? A l'occhio de l'intelletto con la pupilla della santissima fede. Sì che l'occhio de l'intelletto debba essere il principale vedere, però che egli non può essere ingannato. Adunque con esso dovete raguardare questo sacramento.

Chi el tocca? La mano de l'amore. Con questa mano si tocca quello che l'occhio à veduto e cognosciuto in questo sacramento. Per fede il tocca con la mano de l'amore, quasi certificandosi di quello che per fede vide e cognobbe (104r) intellettualmente.

Chi el gusta? Il gusto del santo desiderio. Il gusto del corpo gusta il sapore del pane, e il gusto de l'anima gusta me Dio e uomo. Sì che vedi ch'e sentimenti del corpo sono ingannati, ma non il sentimento de l'anima: anco n'è certificata e chiarificata in se medesima, perché l'occhio de l'intelletto l'à veduto con la pupilla del lume della santissima fede. Perché 'l vide e cognobbe, però il tocca con la mano de l'amore, però che quello che vidde il tocca per amore con fede. E col gusto de l'anima con l'affocato desiderio il gusta, cioè l'affocata mia carità, amore ineffabile, col quale amore l'ò fatta degna di ricevere tanto misterio di questo sacramento, e la grazia che in esso sacramento si vede ricevere.

Sì che vedi che non solamente col sentimento corporale dovete ricevere e vedere questo sacramento, ma col sentimento spirituale, disponendo il sentimento de l'anima, con affetto d'amore, a vedere, ricevere e gustare questo sacramento, come detto t'ò.



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CAPITOLO CXII.

Raguarda, carissima figliuola, in quanta eccellenzia sta l'anima ricevendo come debba ricevere questo pane della vita, cibo degli angeli. Ricevendo questo sacramento sta in me e Io in lei sì come il pescie sta nel mare e 'l mare nel pescie, così Io sto ne l'anima e l'anima in me, mare pacifico. In essa anima rimane la grazia, perché avendo ricevuto questo pane della vita in grazia, rimane la grazia; consumato quello accidente del pane, Io vi lasso la impronta della grazia mia, sì come il suggello che si pone sopra la cera calda: partendosi e levando il suggello vi rimane la impronta d'esso suggello. Così la virtù di questo sacramento vi rimane ne l'anima, ciò è che vi rimane il caldo della divina mia carità, clemenzia di Spirito santo. Rimanvi il lume della sapienzia de l'unigenito mio Figliuolo, illuminato l'occhio de l'intelletto in essa sapienzia. Rimane forte, participando della fortezza mia e potenzia, facendola forte e potente contra la propria passione sua sensitiva, contra le dimonia e contra 'l mondo.

Sì che vedi che le rimane la impronta, levato che il suggello s'è; ciò è che, (104v) consumata quella materia, cioè gli accidenti del pane, questo vero Sole si ritorna alla ruota sua - non che fusse staccato, come detto t'ò, ma unito insieme con meco - ma l'abisso della mia carità, per vostra salute e per darvi cibo in questa vita dove sete peregrini e viandanti, acciò che aviate refrigerio e non perdiate la memoria del benefizio del sangue, (1Co 11,24-25; § 27 ,113ss.; § 30 ,362ss.) ve l'à dato in cibo per mia dispensazione e providenzia divina, sovenendo a' vostri bisogni, dandovelo in cibo questa mia dolce Verità, come detto t'ò.

Sì che mira quanto sete tenuti e obligati a me a rendarmi amore, poi che Io tanto v'amo, e perché Io so' somma ed etterna bontà, degno d'essere amato da voi.



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CAPITOLO CXIII.

O carissima figliuola, tutto questo t'ò detto acciò che tu meglio cognosca la dignità dove Io ò posti i miei ministri, acciò che più ti doglia delle miserie loro. Se essi medesimi raguardassero la loro dignità, non giacerebbero nella tenebre del peccato mortale né lordarebbero la faccia de l'anima loro. E non tanto che essi offendessero me e la loro dignità, ma se dessero il corpo loro ad ardere, non lo' parrebbe potere satisfare a tanta grazia e a tanto benefizio quanto ànno ricevuto, però che a maggiore dignità in questa vita non possono venire.

Essi sono i miei unti e chiamoli i miei cristi, perché l'ò dato a ministrare me a voi, e messili come fiori odoriferi nel corpo mistico della santa Chiesa. Questa dignità non à l'angelo, ed òlla data a l'uomo, a quelli che Io ò eletti per miei ministri, e quelli ò posti come angeli, e debbono essere angeli terrestri in questa vita, però che debbono essere come angeli.

In ogni anima richieggio purità e carità, amando me e 'l prossimo suo e sovenendo il prossimo di quello che può, ministrandoli l'orazione e stando nella dilezione della carità, sì come in un altro luogo sopra questa materia Io ti narrai. § 66 ,689ss.) Ma molto maggiormente Io richieggio purità ne' miei ministri e amore verso di me e del prossimo loro, ministrando il corpo e 'l sangue de l'unigenito mio Figliuolo con fuoco di carità e fame della salute de (105r) l'anime, per gloria e loda del nome mio.

Sì come essi ministri vogliono la nettezza del calice dove si fa questo sacrifizio, così richieggio Io la nettezza e purità del cuore, de l'anima e della mente loro. E il corpo, sì come strumento de l'anima, voglio che si conservi in perfetta purità; e non voglio che si notrichino né involgano nel loto della immondizia né siano enfiati per superbia cercando le grandi prelazioni, né crudeli verso di loro e del prossimo, però che la crudeltà loro non possono usarla senza il prossimo loro. Perché se essi sono crudeli a loro di colpa, sono crudeli a l'anime de' prossimi loro, perché non lo' dànno esemplo di vita, né si curano di trare l'anime delle mani del dimonio, né di ministrarlo' el corpo e'l sangue de l'unigenito mio Figliuolo, e me vera luce, come detto t'ò, né gli altri sacramenti della santa Chiesa. Sì che essendo crudeli a loro, sono crudeli in altrui.



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CAPITOLO CXIV.

Voglio che siano larghi e non avari, ciò è che per cupidità e avarizia vendano la grazia mia dello Spirito santo. (Ac 8,18-20) Non debbono fare, né Io voglio che faccino così; anco, come di dono e larghezza di carità ànno ricevuto dalla bontà mia, così in dono e in cuore largo, per affetto d'amore verso l'onore mio e salute de l'anime, debbono donare caritativamente a ogni creatura che à in sé ragione, che umilmente l'adimandi. E non debbono tollere alcuna cosa per prezzo, però che non l'ànno comprata, ma ricevuta per grazia da me perché ministrino a voi; ma bene possono e debbono tollere per limosina. E così debba fare il suddito che riceve, che debba dalla parte sua, quando egli può, dare per elimosina. Però che essi debbono essere pasciuti da voi delle cose temporali, sovenendo alla necessità loro, e voi dovete essere pasciuti e notricati da loro della grazia e doni spirituali, ciò è de' santi sacramenti, che Io ò posti nella santa Chiesa perché ve li ministrino in vostra salute. (1Co 9,11-14) E fovi sapere che, senza veruna comparazione, donano più a voi che voi a loro; però che comparazione non si può ponere da le cose finite e transitorie, delle quali sovenite loro, a me Dio che so' infinito, il quale per mia providenzia e divina carità ò posti loro che ministrino a voi. E non tanto di questo misterio, ma di qualunque (105v) cosa si sia e da qualunque creatura vi fossero ministrate grazie spirituali, o per orazione o per alcuna altra cosa, con tutte le vostre sustanzie temporali non agiongono né potrebbero aggiognere né rispondere a quello che ricevete spiritualmente, senza veruna comparazione.

Ora ti dico che la sustanzia che essi ricevono da voi, essi sono tenuti di distribuirla in tre modi, cioè farne tre parti: l'una per la vita loro, l'altra a' poveri, e l'altra mettere nella chiesa, nelle cose che sono necessarie, e per altro modo no. Facendone altrementi offenderebbero me.



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CAPITOLO CXV.

Questo facevano i dolci e gloriosi ministri, de' quali Io ti dissi che volevo che vedessi l'eccellenzia loro, oltre a la dignità ch'Io l'avevo data avendoli fatti miei cristi, sì com'lo ti dissi. Esercitando in virtù questa dignità, sono vestiti di questo dolce e glorioso Sole il quale Io lo' diei amministrare.

Raguarda Gregorio dolce, Salvestro e gli altri antecessori e successori che sono seguitati doppo il principale pontefice Pietro, a cui furono date le chiavi del regno del cielo da la mia Verità dicendo: «Pietro, Io ti do le chiavi del regno del cielo; e cui tu scioglierai in terra sarà sciolto in cielo, e cui tu legarai in terra sarà legato in cielo». (Mt 16,19) Attende carissima figliuola che, manifestandoti l'eccellenzia delle virtù di costoro, Io più pienamente ti mostrarò la dignità nella quale Io ò posti questi miei ministri. Questa è la chiave del sangue de l'unigenito mio Figliuolo, la quale chiave diserrò vita etterna, che grande tempo era stata serrata per lo peccato di Adam. Ma poi ch'Io vi donai la Verità mia, cioè il Verbo de l'unigenito mio Figliuolo, sostenendo morte e passione, con la morte sua distrusse la morte vostra facendovi bagno del sangue suo. Sì che'l sangue e morte sua, e in virtù della natura mia divina unita con la natura umana, diserrò vita etterna.

A cui ne lassò le chiavi di questo sangue? Al glorioso apostolo Pietro e a tutti gli altri che sono venuti o verranno: di qui a l'ultimo dì del giudicio ànno e avaranno quella medesima autorità che ebbe Pietro. E per neuno loro difetto non diminuisce questa autorità, né tolle la perfezione al sangue né ad alcuno (106r) sacramento. Perché già ti dissi che questo sole per neuna immondizia si lordava, e non perde la luce sua per tenebre di peccato mortale che fusse in colui che'l ministra o in colui che'l riceve, però che la colpa sua neuna lesione a' sacramenti della santa Chiesa può fare, né diminuire la virtù in loro. Ma bene diminuisce la grazia, e cresce la colpa in colui che'l ministra e in colui che'l riceve indegnamente. Sì che Cristo in terra tiene le chiavi del sangue sì come, se bene ti ricorda, Io te 'l manifestai in questa figura: volendoti mostrare quanta reverenzia i secolari debbono avere a questi ministri, o buoni o gattivi che sieno, e quanto mi dispiaceva la inreverenzia, sai ch'Io ti posi el corpo mistico della santa Chiesa quasi in forma d'uno cellaio, nel quale cellaio era il sangue de l'unigenito mio Figliuolo, nel quale sangue vagliono tutti i sacramenti, e ànno vita in virtù di questo sangue.

A la porta di questo cellaio era Cristo in terra, a cui era commesso a ministrare il sangue, e a lui stava di mettere i ministratori che l'aitassero a ministrare per tutto l'universale corpo della religione cristiana. Chi era accettato e unto da lui n'era fatto ministro e altri no. Da costui escie tutto l'ordine chericato, e messili ciascuno ne l'officio suo a ministrare questo glorioso sangue.

E come egli gli à messi per suoi aitatori, così a lui tocca il correggerli de' difetti loro, e così voglio che sia; ché, per l'eccellenzia ed autorità che Io l'ò data, Io gli ò tratti della servitudine, cioè subiezione della signoria de' signori temporali. La legge civile non à a fare cavelle con la legge loro in punizione, ma solo in colui che è posto a signoreggiare e a ministrare nella legge divina.

Questi sono i miei unti, e però dissi per la Scrittura: «Non vogliate toccare i cristi miei». (Ps 104,15) Unde a maggiore ruina non può venire l'uomo che se ne fa punitore.



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CAPITOLO CXVI.

E se tu mi dimandassi per che cagione Io ti mostrai che più era grave la colpa di coloro che perseguitavano la santa Chiesa che tutte l'altre colpe commesse, e che per li difetti loro Io non volevo che la reverenzia verso di loro diminuisse, (106v) Io ti rispondarei e rispondo: perché ogni reverenzia che si fa a loro, non si fa a loro ma a me, per la virtù del sangue ch'Io l'ò dato a ministrare. Unde, se non fusse questo, tanta reverenzia avareste a loro, quanta agli altri uomini del mondo e non più. E per questo ministerio sete costretti a farlo' reverenzia, e alle loro mani vi conviene venire; non a loro per loro, ma per la virtù che Io ò data a loro, se volete ricevere i santi sacramenti della Chiesa. Però che, potendoli avere e non volendoli, sareste e morreste in stato di dannazione.

Sì che la reverenzia è mia e di questo glorioso sangue, che siamo una medesima cosa per l'unione della natura divina colla natura umana, come detto è, e non loro. E sì come la reverenzia è mia, così la inreverenzia; ché già t'ò detto che la reverenzia non dovete fare a loro per loro, ma per l'autorità che Io ò data a loro. E così non debbono essere offesi, però che, offendendo loro, offendono me e non loro, e già l'ò vetato e detto ch'e miei cristi non voglio che sieno toccati per le loro mani.

E per questo neuno si può escusare di dire: io non fo ingiuria né so' ribello alla santa Chiesa, ma follo a' difetti de' gattivi pastori. Questi mente sopra il capo suo e, come acciecato dal proprio amore, non vede.

Ma egli vede bene, ma fa vista di non vedere per ricoprire lo stimolo della coscienzia sua. Vedrebbe e vede che egli perseguita il sangue e non loro. Mia è la ingiuria, sì come mia era la reverenzia, e così è mio ogni danno: scherni, villania, obrobrio e vitoperio che fanno a loro. Ciò è che reputo fatto a me quello che fanno a loro, perché Io lo' dissi e dico, ch'e miei cristi non voglio che sieno toccati da loro. Io gli ò a punire e non eglino.

Ma e' dimostrano, gl'iniqui, la inreverenzia che essi ànno al sangue, e che poco tengono caro il tesoro che Io l'ò dato in salute e in vita de l'anima loro. Più non potevate ricevere che darmivi, tutto me Dio e uomo, in cibo, sì com'Io t'ò detto.

Ma perché la reverenzia non era fatta a me per mezzo di loro, però l'ànno diminuta perseguitandoli (107r), vedendo in loro molti peccati e difetti; sì come, in uno altro luogo, de' difetti loro Io ti narrarò. Se in verità avessero avuta questa reverenzia in loro per me, non sarebbe levata per neuno difetto loro, perché non diminuisce, come detto è, la virtù di questo sacramento per neuno difetto, e però non debba diminuire la reverenzia. E quando diminuisce n'offendono me.

E però m'è più grave questa colpa che tutte l'altre per molte ragioni, ma tre principali te ne dirò.

L'una si è perché quello che fanno a loro fanno a me. (Lc 10,16) L'altra si è perché trapassano il comandamento, perché già l'ò vietato che non gli tocchino, unde spregiano la virtù del sangue che trassero del santo battesmo, perché essi disobbediscono facendo quello che l'è vietato. E' sono ribelli a questo sangue, perché ànno levata la reverenzia e levatisi con grande persecuzione, e sono come membri putridi, tagliati dal corpo mistico della santa Chiesa (Let 28) unde, mentre che stessero ostinati in questa rebellione e inreverenzia, morendo con essa giongono a l'etterna dannazione. è vero che giognendo a l'estremità, umiliandosi e cognoscendo la colpa loro, volendosi riconciliare con loro capo e non potendo attualmente, riceve misericordia; poniamo che non debba però aspettare il tempo, perché non è sicuro d'averlo.

L'altra si è perché la loro colpa è più aggravata che tutte l'altre, perché egli è peccato fatto per propria malizia e con deliberazione: e cognoscono che con buona coscienzia essi no'l possono fare, e facendolo offendono. Ed è offesa con una perversa superbia senza diletto corporale, anco si consumano l'anima e'l corpo: l'anima si consuma, privata della grazia, e spesse volte lo' rode il vermine della coscienzia; la sustanzia temporale se ne consuma in servigio del dimonio; e corpi ne sono morti come animali.

Sì che questo peccato è fatto propriamente a me, ed è fatto senza colore di propria utilità o diletto alcuno, se non con malizia e fummo di superbia; la quale superbia nacque dal proprio amore sensitivo, e da quello timore perverso che ebbe Pilato, che (107v) per timore di non perdere la signoria uccise Cristo, unigenito mio Figliuolo. (Jn 19,12-16; Let 123) Così ànno fatto e fanno costoro.

Tutti gli altri peccati sono fatti o per simplicità o per ignoranzia di non cognoscere, o per malizia, cioè che cognosce il male che egli fa, ma per lo disordinato diletto e piacere che à in esso peccato o per alcuna utilità che vi trovasse offende, e offendendo fa danno e offende l'anima sua, e offende me e'l prossimo suo. § 34 ,175) Me, perché non rende gloria e loda al nome mio; il prossimo perché non gli rende la dilezione della carità. Ma egli non mi percuote attualmente che la faccia, propriamente a me, ma offende sé, la quale offesa mi dispiace per lo danno suo.

Ma questa è offesa fatta a me proprio senza mezzo. Gli altri peccati ànno alcuno colore, e sono fatti con alcuno colore e sono fatti con mezzo, per che Io ti dissi che ogni peccato si faceva col mezzo del prossimo e ogni virtù. Il peccato si fa per la privazione della carità di Dio e del prossimo, e la virtù con la dilezione della carità: offendendo il prossimo offendono me col mezzo di loro.

Ma perché tra le mie creature che ànno in loro ragione Io ò eletti questi miei ministri, i quali sono miei unti sì com'Io ti dissi, ministratori del corpo e del sangue de l'unigenito mio Figliuolo, carne vostra umana unita con la natura mia divina, unde consecrando stanno in persona di Cristo mio Figliuolo - sì che vedi che questa offesa è fatta a questo Verbo, ed essendo fatta a lui è fatta a me, perché siamo una medesima cosa - questi miserabili perseguitano il sangue, e privansi del tesoro e del frutto del sangue. Unde ella m'è più grave questa offesa, fatta a me e non ai ministri, perché loro non reputo ne debba essere, né l'onore né la persecuzione, anco a me, cioè a questo glorioso sangue del mio Figliuolo, che siamo una medesima cosa, come detto t'ò. Unde Io ti dico che se tutti gli altri peccati che essi ànno commessi fussero da l'uno lato e questo solo da l'altro, mi pesa più questo uno che gli altri, per lo modo che detto t'ò, sì com'Io te'l manifestai (108r) acciò che tu avessi più materia di dolerti de l'offesa mia e della dannazione di questi miserabili, acciò che col dolore e con l'amaritudine tua e degli altri servi miei, per la mia bontà e misericordia, si dissolvesse tanta tenebre quanta è venuta in questi membri putridi, tagliati dal corpo mistico della santa Chiesa.

Ma Io non truovo quasi chi si doglia della persecuzione che è fatta a questo glorioso e prezioso sangue, ma truovo bene chi mi percuote continuamente con le saette del disordinato amore e timore servile, e con la propria reputazione, come aciecati recandosi a onore quello che l'è vitoperio e a vitoperio quello che l'è onore, cioè d'aumiliarsi al capo loro.



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CAPITOLO CXVII.

Per questi difetti si sono levati e levano a perseguitare il sangue, per che ti dissi che mi percotevano, e così è la verità: in quanto la intenzione loro mi percuotono con quello che possono. Non che Io in me possa ricevere alcuna lesione né essere percosso da loro, ma Io fo come la pietra che, gittandole il colpo none il riceve, ma torna verso colui che 'l gitta. (Pr 26,27) Così le percosse de l'offese loro, le quali gittano puzza, a me non possono nuocere, ma ritorna a loro la saetta avenenata della colpa. La quale colpa in questa vita gli priva della grazia, perdendo il frutto del sangue, e ne l'ultimo, se essi non si correggono con la santa confessione e contrizione del cuore, giongono a l'etterna dannazione, tagliati da me e legati col dimonio. E' ànno fatta lega insieme, perché subito che l'anima è privata della grazia è legata nel peccato, il quale è legame d'odio della virtù e amore del vizio. Il quale legame ànno posto col libero arbitrio nelle mani delle dimonia, e con esso gli lega, però che in altro modo non potrebbero essere legati.

Con questo legame si sono legati i persecutori del sangue l'uno con l'altro e, come membri legati col dimonio, ànno preso l'officio delle dimonia. Le dimonia s'ingegnano di pervertere le mie creature e trarle della grazia e riducerle alla colpa del peccato mortale (108v) acciò che di quello male che essi ànno in loro medesimi, di quello abbino le creature.

Così fanno questi cotali, né più né meno, però che sì come membri del dimonio vanno sovvertendo i figliuoli della sposa di Cristo, unigenito mio Figliuolo, e sciogliendoli dal legame della carità e legandoli nel miserabile legame, privati del frutto del sangue con loro insieme - legame annodato col legame della superbia e con la propria reputazione, col nodo del timore servile, ché per timore di non perdere le signorie temporali perdono la grazia - e caggiono nella maggiore confusione che venire possino, essendo privati della dignità del sangue. § 110 ,47ss.) Questo legame è suggellato col suggello della tenebre, però che essi non cognoscono in quanti inconvenienti e miserie essi sono caduti e fanno cadere altrui; e però non si correggono, perché non si cognoscono, ma come aciecati si gloriano della loro destruzione de l'anima e del corpo.

O carissima figliuola, duolti inestimabilemente di vedere tanta ciechità e miseria in coloro che sono lavati nel sangue come tu, e notricatisi e allevatisi d'esso sangue al petto della santa Chiesa, e ora, come ribelli, per timore e sotto colore di correggere i difetti de' ministri miei - de' quali Io ò vetato ch'Io non voglio che sieno toccati da loro - sì si sono partiti da questo petto. Unde terrore ti debba venire, a te e agli altri servi miei, quando odi ricordare questo così fatto miserabile legame: la lingua tua non sarebbe sufficiente a potere narrare quanto m'è abominevole. E peggio è che col mantello de' difetti de' ministri miei si vogliono ammantellare, e ricoprire i difetti loro; e non pensano che neuno mantello sì può riparare a l'occhio mio ch'Io no'l vegga. Potrebbersi bene nascondere a l'occhio della creatura, ma non a me, ché non tanto che sieno nascoste a me le cose presenti, ma neuna cosa è a me nascosta. Io v'amai e vi cognobbi prima che voi fuste. (Jr 31,3 1Jn 3,20) E questa è una delle cagioni che i miserabili uomini del mondo non si correggono, perché in verità col lume della fede viva non credono che Io li (109r) vegga. Però che se essi credessero in verità ch'Io veggo i difetti loro, e che ogni difetto è punito come ogni bene è remunerato, sì come in un altro luogo ti dissi, non farebbero tanto male, ma correggerebbersi di quello che ànno fatto e dimandarebbero umilemente la misericordia mia. E Io, col mezzo del sangue del mio Figliuolo, lo' farei misericordia. Ma essi sono come ostinati, e riprovati sì per li difetti loro da la mia bontà, e caduti ne l'ultima ruina, per li loro difetti, d'essere privati del lume, e come ciechi sono fatti persecutori del sangue. La quale persecuzione non debba essere fatta per alcuno difetto che si vedesse ne' ministri del sangue.



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CAPITOLO CXVIII.

Òtti narrato, carissima figliuola, alcuna cosa della reverenzia che si debba fare a' miei unti non ostante i difetti loro; perché la reverenzia non è fatta né debba essere fatta a loro per loro, ma per l'autorità che Io ò data a loro. E perché per li difetti loro il misterio del sacramento non può diminuire né essere diviso, non debba venire meno la reverenzia verso di loro: non per loro, come detto è, ma per lo tesoro del sangue.

Facendo il contrario, òtti mostrata alcuna piccola cosa, per rispetto ch'ella è, quanto egli è grave, e spiacevole a me e danno a loro, la inreverenzia e persecuzione del sangue, e il legame fatto contra me, che essi ànno fatto e fanno insieme, legati in servizio del dimonio, acciò che tu più ti doglia.

Questo è uno difetto il quale particularmente Io t'ò narrato per la persecuzione della santa Chiesa. E così ti dico generalmente della religione cristiana, che stando in peccato mortale spregiano il sangue, privandosi della vita della grazia. Questo mi dispiace, ed è grave colpa la loro, di quelli che narrato t'ò particularmente, sì come detto è.



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CAPITOLO CXIX.

Hora, per dare refrigerio a l'anima tua mitigando il dolore della tenebre di questi miserabili sudditi con la vita santa de' miei ministri - de' quali Io ti dissi che avevano la condizione del sole, sì che con l'odore delle loro virtù (109v) mitiga la puzza, e con la luce loro la tenebre; e anco con questa luce meglio vorrò che tu cognosca la tenebre e 'l difetto dei ministri miei, de' quali Io ti dissi - apre l'occhio de l'intelletto tuo e raguarda in me, sole di giustizia, e vedrai i gloriosi ministri i quali, avendo ministrato il sole, ànno presa la condizione del sole. (Ml 3,20 Mt 13,43) Sì come ti contai Pietro, il principe degli apostoli, il quale ricevette le chiavi del reame del cielo, così ti dico degli altri che in questo giardino della santa Chiesa ànno ministrato il lume, cioè il corpo e 'l sangue de l'unigenito mio Figliuolo, sole unito e non diviso, come detto è, e tutti i sacramenti della santa Chiesa - i quali tutti vagliono e dànno vita in virtù del sangue - ogni uno posto in diversi gradi secondo lo stato suo, a ministrare la grazia dello Spirito santo. Con che l'ànno ministrata? Con lume della grazia che ànno tratta da questo vero lume.

Questo lume è egli solo? No, però che egli non può essere solo il lume della grazia, né può essere diviso; anco si conviene o che egli l'abbi tutto o non né mica. Chi sta in peccato mortale esso fatto è privato del lume della grazia, e chi à la grazia à illuminato l'occhio de l'intelletto suo in cognoscere me, che gli ò data la grazia e la virtù che conserva la grazia, e cognosce in esso lume la miseria del peccato e la cagione del peccato, cioè il proprio amore sensitivo, e però l'odia. E odiandolo riceve il caldo della divina carità ne l'affetto suo, perché l'affetto va dietro a l'intelletto. § 85 ,2065) Riceve il colore di questo glorioso lume seguitando la dottrina della dolce mia Verità, unde la memoria sua s'è impita nel ricordamento del benefizio del sangue.

Sì che vedi che non può ricevere il lume che non riceva il caldo e 'l colore, perché sono uniti insieme una medesima cosa. E così non può, sì com'Io ti dissi, § 51 ,80ss.) avere una potenzia de l'anima ordinata a ricevere me vero sole, che tutte non siano ordinate e congregate nel nome mio. Però che subito che l'occhio de l'intelletto col lume della fede si leva sopra il vedere sensitivo speculandosi in me, e l'affetto gli va dietro (110r) amando quello che l'occhio de l'intelletto vide e cognobbe, e la memoria s'empie di quello che l'affetto ama. E subito che elle sono disposte, participa me, sole, illuminandolo nella potenzia mia e nella sapienzia de l'unigenito mio Figliuolo e nella clemenzia del fuoco dello Spirito santo.

Sì che vedi che essi ànno presa la condizione del sole, cioè che, essendo vestiti, e piene le potenzie de l'anima loro di me vero Sole, come detto t'ò, fanno come il sole. Il sole scalda e illumina e col caldo suo fa germinare la terra; così questi miei dolci ministri, eletti e unti e messi nel corpo mistico della santa Chiesa a ministrare me, Sole, cioè il corpo e 'l sangue de l'unigenito mio Figliuolo, con gli altri sacramenti i quali ànno vita da questo sangue, essi el ministrano attualmente e ministranlo mentalmente, cioè rendendo lume nel corpo mistico della santa Chiesa: lume di scienzia sopranaturale col colore d'onesta e santa vita, cioè seguitando la dottrina della mia Verità, e ministrano il caldo de l'ardentissima carità. Unde col caldo loro facevano germinare l'anime sterili, illuminandole col lume della scienzia. Con la vita loro santa e ordinata cacciavano la tenebre de' peccati mortali e di molta infedelità, e ordinavano la vita di coloro che disordinatamente vivevano in tenebre di peccato e in freddezza per la privazione della carità. Sì che tu vedi che essi sono sole, perché ànno presa la condizione del sole da me, vero Sole, perché per affetto d'amore sono fatti una cosa con meco e Io con loro, sì come Io in un altro luogo ti narrai. § 78 ,1594ss.; § 110 ,57ss.)

Ogni uno à dato, secondo lo stato suo che Io l'ò eletto, lume nella santa Chiesa: Pietro con la predicazione e dottrina e ne l'ultimo col sangue; Grengorio con la scienzia e santa scrittura e con specchio di vita; Salvestro contro a gl'infedeli e massimamente con la disputazione e provazione che fece della santissima fede in parole e in fatti, ricevendo la virtù da me. Se tu ti volli ad Agustino ed al glorioso Tomaso, Ieronimo e gli altri, vedrai quanto (110v) lume ànno gittato in questa sposa, § 85 ,1964ss.; § 158 ,538ss.) stirpando gli errori, sì come lucerne poste in sul candelabro, con vera e perfetta umilità.

E, come affamati de l'onore mio e salute de l'anime, questo cibo mangiavano con diletto in su la mensa della santissima croce; i martiri col sangue, il quale sangue gittava odore nel cospetto mio. E con l'odore del sangue e delle virtù e col lume della scienzia facevano frutto in questa sposa: dilatavano la fede, i tenebrosi venivano al lume e riluceva in loro il lume della fede, i prelati, posti nello stato della prelazione da Cristo in terra, mi facevano sacrificio di giustizia con santa e onesta vita. La margarita della giustizia, con vera umilità e ardentissima carità, col lume della discrezione, riluceva in loro e ne' loro sudditi, in loro principalmente. Giustamente rendevano a me il debito mio, cioè rendendo gloria e loda al nome mio; a sé rendevano odio e dispiacimento della propria sensualità, spregiando i vizi e abbracciando le virtù con la carità mia e del prossimo loro. Con umilità conculcavano la superbia e andavano come angeli a la mensa de l'altare; con purità di cuore e di corpo e con sincerità di mente celebravano, arsi nella fornace della carità. E perché prima avevano fatta giustizia di loro, però facevano giustizia de' sudditi, volendoli vedere vivere virtuosamente, e correggevanli senza veruno timore servile, perché non attendevano a loro medesimi ma solo a l'onore mio e alla salute de l'anime, sì come pastori buoni, seguitatori del buono Pastore mia Verità, il quale Io vi diei a governare voi pecorelle, e volsi che ponesse la vita per voi. (Jn 10,11 Jn 10,15)

Costoro ànno seguitato le vestigie sue, e però corressero e non lassarono imputridire i membri per non correggere, ma caritativamente con l'unguento della benignità e con l'asprezza del fuoco incendendo (Let 268) la piaga del difetto con la reprensione e penitenzia, poco e assai secondo la gravezza del peccato. E per lo correggere (111r) e dire la verità non curavano la morte.

Questi erano veri ortolani che con sollicitudine e santo timore divellevano le spine de' peccati mortali e piantavano piante odorifere di virtù. § 23 ,451ss.) Unde i sudditi vivevano in santo e vero timore, e allevavansi come fiori odoriferi nel corpo mistico della santa Chiesa, perché correggevano senza timore servile, perché n'erano privati. E perché in loro non era veleno di colpa di peccato, però tenevano la santa giustizia, riprendendo virilmente e senza veruno timore. Questa era ed è quella margarita, in cui ella riluce, che dava pace e lume nelle menti delle creature e facevali stare in santo timore, e' cuori erano uniti.

Unde Io voglio che tu sappi che per veruna cosa è venuta tanta tenebre e divisione nel mondo tra secolari e religiosi, cherici e pastori della santa Chiesa, se non solo perché il lume della giustizia è mancato ed è venuta la tenebre della ingiustizia.

Neuno stato si può conservare nella legge civile e nella legge divina in stato di grazia senza la santa giustizia, (Pr 16,12; Let 123) però che colui che non è corretto e non corregge fa come il membro che è cominciato a infracidare, che se'l gattivo medico vi pone subbitamente l'unguento solamente e non incuocie la piaga, tutto il corpo imputridiscie e corrompe.

Così il prelato, o altri signori che ànno sudditi, se essi, vedendo il membro del suddito loro essere infracidato per la puzza del peccato mortale vi pongono subito l'unguento della lusinga senza la reprensione, non guarisce mai, ma guastarà l'altre membra che gli sono da torno legate in uno medesimo corpo, cioè a uno medesimo pastore. Ma se egli sarà vero e buono medico di quelle anime, sì come erano questi gloriosi pastori, egli non darà unguento senza fuoco della reprensione. E se'l membro fusse pure ostinato nel suo male fare, el tagliarà dalla congregazione, acciò che non gl' imputridisca con la colpa del peccato mortale.

Ma essi non fanno oggi così, anco fanno vista di non vedere. E sai tu (111v) perché? Perché la radice de l'amore proprio vive in loro, unde essi traggono il perverso timore servile; però che, per timore di non perdere lo stato e le cose temporali o prelazioni, non correggono. Ma e' fanno come aciecati, e però non cognoscono in che modo si conserva lo stato; che se essi vedessero come egli si conserva per la santa giustizia, la manterrebbero. Ma perché essi sono privati del lume non il cognoscono; ma credendolo conservare con la ingiustizia, non riprendono i difetti de' sudditi loro. Ma ingannati sono dalla propria passione sensitiva e da l'appetito della signoria o della prelazione.

E anco non correggono perché essi sono in quegli medesimi difetti o maggiori: sentendosi compresi nella colpa, e' però perdono l'ardire e la sicurtà, e legati dal timore servile fanno vista di non vedere. E se pure veggono non correggono, anco si lassano legare con le parole lusinghevoli e con molti presenti, ed essi medesimi truovano le scuse per non punirli. In costoro si compie la parola che disse la mia Verità nel santo Evangelio dicendo: «Costoro sono ciechi e guide de' ciechi; e se l'uno cieco guida l'altro, ambedue caggiono nella fossa». (Mt 15,14 Lc 6,39) Non ànno fatto né fanno così quegli che sono stati - o se alcuno ne fusse - miei dolci ministri, de' quali Io ti dissi che avevano la proprietà e condizione del sole. E veramente sono sole, sì come detto t'ò, però che in loro non è tenebre di peccato né ignoranzia, perché seguitano la dottrina della mia Verità. Né sono tiepidi, però che essi ardono nella fornace della mia carità. E' sono spregiatori delle grandezze e stati e delizie del mondo, e però non temono di correggere, ché chi non appetisce la signoria o la prelazione non teme di perderla; ma riprendono virilmente, ché chi non si sente ripresa la coscienzia da la colpa non teme.

E però non era tenebrosa questa margarita negli unti e cristi miei de' quali Io t'ò narrato, anco era lucida; ed erano abbraccicatori della povertà volontaria, e cercavano la viltà con umilità profonda, e però non curavano né scherni né villania, né detrazione de (112r) gli uomini, né ingiuria né obrobri né pena né tormento. Essi erano bastemmiati, e eglino benedicevano, e con vera pazienzia portavano, (1Co 4,12) sì come angeli terrestri e più che angeli: non per natura, ma per lo misterio § 110 ,57ss.) e grazia data a loro, sopranaturale, di ministrare il corpo e'l sangue de l'unigenito mio Figliuolo.

E veramente sono angeli, però che come l'angelo che Io do a vostra guardia vi ministra le sante e buone spirazioni, (He 1,14) così questi ministri erano angeli - e cosí dovarebbero essere - dati a voi da la mia bontà a vostra guardia. E però essi continuamente tenevano l'occhio sopra i sudditi loro, sì come veri guardiani, spirando ne' cuori loro sante e buone spirazioni; cioè che per loro offerivano dolci e amorosi desideri dinanzi a me con continua orazione, con la dottrina della parola e con l'esemplo della vita. Sì che vedi che essi sono angeli, posti da l'affocata mia carità come lucerne nel corpo mistico della santa Chiesa § 29 ,296) per vostra guardia, acciò che voi, ciechi, abbiate guida che vi dirizzi nella via della verità, dandovi le buone spirazioni, con orazioni ed esemplo di vita e dottrina, come detto è.

Con quanta umilità governavano e conversavano co' sudditi loro! Con quanta speranza e fede viva! Ché non curavano né temevano che a loro, né a' sudditi loro, venisse meno la sustanzia temporale, e però con larghezza distribuivano a' poveri la sustanzia della santa Chiesa. (Ac 2,44-45) Unde essi osservavano a pieno quello che erano tenuti e obligati di fare, cioè di distribuire la sustanzia temporale: alla loro necessità, a' poveri e nella santa Chiesa. Essi non facevano diposito, e dopo la morte loro non rimaneva la grande pecunia, anco erano alcuni che per li poveri lassavano la chiesa in debito. Questo era per la larghezza della loro carità e della speranza che avevano posta nella provvidenzia mia. (Lc 12,4-7 Lc 12,22-32) Erano privati del timore servile, e però non temevano che alcuna cosa lo' venisse meno, né spirituale né temporale.

Questo è il segno che la creatura spera (112v) in me e non in sé, cioè quando egli non teme di timore servile. Ma coloro che sperano in loro medesimi sono quegli che temono e ànno paura de l'ombra loro, e dubitano che non lo' venga meno il cielo e la terra. Con questo timore e perversa speranza che pongono nel loro poco sapere, pigliano tanta miserabile sollicitudine in acquistare e in conservare le cose temporali, che pare che le spirituali si pongano doppo le spalle, e non si truova chi se ne curi.

Ma e' non pensano, i miserabili infedeli e superbi, che Io so' colui che provego in tutte quante le cose che sono di necessità a l'anima e al corpo, ben che con quella misura che voi sperate in me, con quella vi sarà misurata la providenzia mia. (Mt 7,2 Mc 4,24 Lc 6,38) I miserabili presuntuosi non raguardano che Io so' Colui che so', ed essi sono quelli che non sono: l'essere loro ànno ricevuto da la mia bontà e ogni grazia che è posta sopra l'essere. E però «invano si può colui reputare afadigarsi che guarda la città, se ella non è guardata da me»: (Ps 126,1) vana sarà ogni sua fadiga se egli per sua fadiga la crede guardare o per sua sollecitudine, però che solo Io la guardo.

è vero che l'essere e le grazie ch'Io ò poste sopra l'essere vostro voglio che nel tempo l'esercitiate in virtù usando il libero arbitrio che Io v'ò dato col lume della ragione, (Mt 25,15ss.) però che Io vi creai senza voi, ma senza voi non vi salvarò. Io v'amai prima che voi fuste.

E questo videro e cognobbero questi miei diletti, e però m'amavano ineffabilemente, e per l'amore che essi avevano speravano con tanta larghezza in me, e in neuna cosa temevano. Non temeva Salvestro quando stava dinanzi a lo imperadore Gostantino, disputando con quegli dodici giudei dinanzi a tutta la turba, ma con fede viva credeva che, essendo Io per lui, neuno sarebbe contra lui. (Rm 8,31) E così tutti gli altri perdevano ogni timore, perché non erano soli ma acompagnati; però che stando nella dilezione della carità stavano in me, (1Jn 4,16) e da me acquistavano il lume della sapienzia de l'unigenito mio Figliuolo (113r), da me ricevevano la potenzia, essendo forti e potenti contra i principi e tiranni del mondo, e da me avevano il fuoco dello Spirito santo, participando la clemenzia e l'affocato amore d'esso Spirito santo.

Questo amore era ed è acompagniato, a chi el vuole participare, col lume della fede, con la speranza, con la fortezza, con pazienzia vera e con longa perseveranzia infino a l'ultimo della morte. Sì che vedi che non erano soli, ma erano acompagnati e però non temevano.

Solamente colui che si sente solo, che spera in sé, privato della dilezione della carità, teme; e ogni piccola cosa gli fa paura perché è solo, privato di me che do somma sicurtà a l'anima che mi possiede per affetto d'amore. § 54 ,189ss.) Bene il provavano, questi gloriosi diletti miei, che neuna cosa a l'anime loro poteva nuocere; anco essi nocevano agli uomini e alle dimonia, e spesse volte ne rimanevano legati per la virtù e potenzia che Io l'avevo data sopra di loro. Questo era perché Io rispondevo a l'amore fede e speranza che avevano posta in me.

La lingua tua non sarebbe sufficiente a narrare le virtù di costoro, né l'occhio de l'intelletto tuo a vedere il frutto che essi ricevono nella vita durabile, e riceverà chiunque seguitarà le vestigie loro. Essi sono come pietre preziose e così stanno nel cospetto mio, perch'Io ò ricevute le fadighe loro e il lume che essi gittarono e missero con l'odore della virtù nel corpo mistico della santa Chiesa. E però gli ò conlocati nella vita durabile in grandissima dignità, e ricevono beatitudine e gloria nella mia visione, perché diero esemplo d'onesta e santa vita e col lume ministraro il lume del corpo e del sangue de l'unigenito mio Figliuolo, e tutti gli altri sacramenti. E però sono molto singularmente amati da me, sì per la dignità nella quale Io gli ò posti, che sono miei unti e ministri, e sì perché 'l tesoro che Io lo' missi nelle mani non l'ànno sotterrato per negligenzia e ignoranzia, anco l'ànno ricognosciuto da me, ed esercitatolo con sollicitudine e profonda umilità, con vere e reali virtù. (Mt 25,14-30 Lc 19,12-27) E perché Io in salute de l'anime gli avevo posti in tanta eccellenzia, non si ristavano (113v) mai, sì come pastori buoni, di rimettere le pecorelle ne l'ovile della santa Chiesa. Unde essi per affetto d'amore e fame de l'anime si mettevano a la morte per trarle delle mani delle dimonia. Eglino infermavano, cioè facendosi infermi con quegli che erano infermi ciò è che spesse volte, per non confondere loro di disperazione, e per darlo' più larghezza di manifestare la loro infermità, davano vista dicendo: «Io so' infermo con teco insieme». (1Co 9,22) Essi piangevano co' piangenti e godevano coi godenti (Rm 12,15) e così dolcemente sapevano dare a ciascuno il cibo suo: i buoni conservavano godendo delle loro virtù, perché non si rodevano per invidia ma erano dilatati nella larghezza della carità del prossimo e de' sudditi loro; e quegli che erano difettuosi traevano del difetto facendosi difettuosi e infermi con loro insieme, come detto è, con vera e santa compassione e con la correzione e penitenzia dei difetti loro commessi, facendo eglino per carità la penitenzia con loro insieme, ciò è che per l'amore che essi avevano, portavano maggiore pena essi che la davano, che coloro che la ricevevano. E alcuna volta erano di quegli che attualmente la facevano, e spezialmente quando avessero veduto che al suddito fusse paruto molto malagevole. Unde per quello atto la malagevolezza lo' tornava a dolcezza.

O diletti miei! Essi si facevano sudditi essendo prelati; essi si facevano servi essendo signori; e si facevano infermi essendo sani e privati della infermità e lebbra del peccato mortale. Essendo forti si facevano debili; co' matti e semplici si mostravano semplici, e co' piccoli, piccoli. E così con ogni maniera di gente per umilità e carità sapevano essere, e a ciascuno davano il cibo suo.

Questo chi el faceva? La fame e 'l desiderio, che avevano conceputo in me, de l'onore mio e salute de l'anime. Essi corrivano a mangiarlo in su la mensa della santissima croce, non rifiutando labore né fuggivano alcuna fadiga; ma come zelanti de l'anime e bene della santa Chiesa e dilatazione della santa fede, si mettevano tra le spine delle molte tribolazioni, e mettevansi a ogni pericolo con vera pazienzia, gittandomi incensi odoriferi d'ansietati desideri e (114r) di umile e continua orazione. Con le lagrime e sudori ugnievano le piaghe della colpa de' peccati mortali, unde ricevevano perfetta sanità se essi umilmente ricevevano così fatto unguento. (Let 185)


Caterina, Dialogo 111