Caterina, Dialogo 126

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CAPITOLO CXXVI.

Detto t'ò carissima figliuola, alcuna sprizzarella della vita di coloro che vivono nella santa religione, con quanta miseria egli stanno ne l'ordine col vestimento della pecora, ed essi sono lupi. (Mt 7,15) Ora ti ritorno a' cherici e ministri della santa Chiesa, lamentandomi con teco dei loro difetti, oltre a quegli ch' Io t'ò narrati, sopra tre colonne di vizi, de' quali Io un'altra volta ti mostrai, lagnandomi con teco di loro, § 14 ,8ss.) cioè della immondizia e infiata superbia e della cupidità, che per cupidità vendevano la grazia dello Spirito santo, sì come Io t'ò detto.

Di questi tre vizi l'uno dipende da l'altro, e il loro fondamento di queste tre colonne è l'amore proprio di loro medesimi. Queste tre colonne, mentre che elle stanno ritte, che per forza de l'amore delle virtù elle non diano a terra, sono sufficienti a tenere l'anima ferma e ostinata in ogni altro vizio. Però che tutti i vizi, come detto t'ò, nascono da l'amore proprio, perché da l'amore proprio nascie il principale vizio della superbia, e l'uomo superbo è privato della dilezione della carità; e dalla superbia viene alla immondizia e a l'avarizia. E cosí s'incatenano essi stessi con la catena del diavolo.

Ora ti dico, carissima figliuola, guarda con quanta miseria d'immondizia essi lordano il corpo e la mente loro sì come detto Io te n'ò alcuna cosa. Ma un'altra te ne voglio dire, perché tu cognosca meglio la fontana della mia misericordia e abbi maggiore compassione a' miserabili a cui tocca. E' sono alcuni che tanto sono dimoni che non che essi abbino in reverenzia il sacramento e tengano cara l'eccellenzia loro nella quale Io gli ò posti per la mia bontà, ma essi, come al tutto fuore della memoria per l'amore che avaranno posto ad alcune creature, e non potendo avere di loro quello che desiderano, faranno con incantagioni di dimonia . E col sacramento che v'è dato in cibo di vita faranno malìe per volere compire i loro miserabili e disonesti pensieri, e volontà loro mandarle in effetto. E quelle pecorelle, delle quali (122v) essi debbono avere cura e pascere l'anime e' corpi loro; essi le tormentano in questi cotali modi e in molti altri, i quali Io trapasserò per non darti più pena. Sì come tu ài veduto, le fanno andare sciarrate fuore della memoria, venendolo' in volontà, per quello che quel dimonio incarnato l'à fatto, di fare quello che elle non vogliono; e per la resistenzia che elle fanno a loro medesime, i corpi loro ne ricevono gravissime pene. Questo chi l'à fatto? e molti altri miserabili mali i quali tu sai, e non bisogna ch'Io te li narri? La disonesta e miserabile vita sua.

O carissima figliuola, la carne che è levata sopra tutti i cori degli angeli per l'unione della natura mia divina unita con la natura vostra umana, questi la dànno a tanta miseria. O abominevole e miserabile uomo, none uomo ma animale, che la carne tua, unta e consecrata a me, tu la dài alle meretrici e anco peggio! A la carne tua e di tutta l'umana generazione fu tolta la piaga che Adam l'aveva fatto per lo peccato suo, in sul legno della santissima croce col corpo piagato de l'unigenito mio Figliuolo. O misero! egli à fatto a te onore, e tu gli fai vergogna! egli t'à sanate le piaghe col sangue suo, e più, ché ne sei fatto ministro, e tu el percuoti con lascivi e disonesti peccati! Il pastore buono à lavate le pecorelle nel sangue suo, (Ap 1,5) e tu gli lordi quelle che sono pure: tu ne fai la tua possibilità di metterle nel letame. Tu debbi essere specchio di onestà, e tu se' specchio di disonestà.

Tutte le membra del corpo tuo ài dirizzate in adoperarle miserabilmente, e fai il contrario di quello che per te à fatto la mia Verità. Io sostenni che gli fussero fasciati gli occhi per te illuminare, e tu con gli occhi tuoi lascivi gitti saette avelenate ne l'anima tua, e nel cuore di coloro in cui con tanta miseria raguardi. Io sostenni che egli fusse abeverato di fiele e d'acieto, e tu, come animale disordinato, ti diletti in cibi dilicati, facendoti del ventre tuo dio. (Ph 3,18-19) Nella lingua tua stanno disoneste (123r) e vane parole; con la quale lingua tu se' tenuto d'amonire il prossimo tuo e d'annunziare la parola mia e dire l'offizio col cuore e con la lingua tua, e Io non ne sento altro che puzza, giurando e spergiurando come se tu fussi uno barattiere, e spesse volte bastemmiandomi. Io sostenni che gli fussero legate le mani per sciogliere te e tutta l'umana generazione dal legame della colpa, e le mani tue sono unte e consecrate ministrando il santissimo Sacramento, e tu laidamente eserciti le mani tue in miserabili toccamenti. Tutte le tue operazioni, le quali s'intendono per le mani, sono corrotte e dirizzate nel servizio del dimonio. O misero! e Io t'ò posto in tanta dignità perché tu serva solamente a me, te ed ogni creatura che à in sé ragione! Io volsi che gli fussero confitti i piei, facendoti scala del corpo suo, e il costato aperto, acciò che tu vedessi il secreto del cuore. Io ve l'ò posto per una bottiga aperta dove voi potiate vedere e gustare l'amore ineffabile che Io v'ò, trovando e vedendo la natura mia divina unita nella natura vostra umana: ine vedi che'l sangue, il quale tu mi ministri, Io te n'ò fatto bagno per lavare le vostre iniquità. E tu del tuo cuore ài fatto tempio del dimonio. E l'affetto tuo, il quale è significato per li piei, non tiene né offera a me altro che puzza e vitoperio: i piei de l'affetto tuo non portano l'anima altro che ne' luoghi del dimonio. Sì che con tutto il corpo tuo tu percuoti il corpo del Figliuolo mio, facendo tu il contrario di quello che à fatto egli e di quello che tu e ogni creatura sete tenuti e obligati di fare.

Questi stormenti del corpo tuo ànno ricevuto il suono in male, perché le tre potenzie de l'anima sono congregate nel nome del dimonio, colà dove tu le debbi congregare nel nome mio. § 51 ,101ss.) La memoria tua debba essere piena de' benefizi miei, i quali tu ài ricevuti da me, ed ella è piena di disonestà e di molti altri mali. L'occhio de l'intelletto el debbi ponere (123v) col lume della fede ne l'obietto di Cristo crocifisso unigenito mio Figliuolo, di cui tu se' fatto ministro; e tu gli ài posti dinnanzi delizie e stati e ricchezza del mondo, con misera vanità. L'affetto tuo debba solamente amare me senza alcuno mezzo, e tu l'ài posto miseramente in amare le creature, e nel corpo tuo; e i tuoi animali amarai più che me. E chi me'l dimostra? La tua impazienzia che tu ài verso di me quando Io ti tollesse la cosa che tu molto ami, e il dispiacimento che tu ài al prossimo tuo quando ti paresse ricevere alcuno danno temporale da lui, e odiandolo e bastemmiandolo ti parti dalla carità mia e sua. O disaventurato te! se' fatto ministro del fuoco della divina mia carità, e tu, per li tuoi propri e disordinati diletti, e per piccolo danno che ricevi dal prossimo tuo, la perdi.

O figliuola carissima, questa è una di quelle tre miserabili colonne che Io ti narrai.



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CAPITOLO CXXVII.

Ora ti dirò della seconda, cioè de l'avarizia; ché quello che'l mio Figliuolo à dato in tanta larghezza tu ne se' tanto misero. Unde tu el vedi tutto aperto il corpo suo in sul legno della croce che da ogni parte versa, e non l'à ricomprato d'oro né d'argento, anco di sangue (1P 1,18-19) per larghezza d'amore. Non ci capie una metà del mondo, ma tutta l'umana generazione: e passati e presenti e futuri. Non v'è ministrato sangue che non v'abbi ministrato e dato fuoco, perché per fuoco d'amore egli ve l'à dato; né fuoco né sangue senza la natura mia divina, perché perfettamente si unì la natura divina nella natura umana. E di questo sangue unito per larghezza d'amore, te misero Io n'ò fatto ministro: e tu con tanta avarizia e cupidità, quello che'l mio Figliuolo à acquistato in su la croce - ciò sono l'anime ricomprate con tanto amore - e quello che egli t'à dato essendo fatto ministro del sangue, e tu ne sei fatto, misero, in tanta strettezza che per avarizia ti poni a vendere la grazia dello Spirito santo volendo ch'e tuoi sudditi si ricomprino da te, quando ti chieggono quello che tu ài ricevuto in dono. (Ac 8,18-20 Mt 10,8) La tua gola non ài disposta a mangiare anime per onore (124r) di me, ma a devorare pecunia. E tanto sei fatto stretto in carità di quello che tu ài ricevuto in tanta larghezza, che non cappio in te per grazia, né il prossimo tuo per amore. La sustanzia che tu ricevi temporale in virtù di questo sangue la ricevi largamente, e tu, misero avaro, non se' buono altro che per te, e come ladro e furo, degno della morte etternale, imboli quello dei poveri e della santa Chiesa, e spendilo lussuriosamente con femmine e uomini disonesti e co' parenti tuoi, e spendilo in delizie e règgine i tuoi figliuoli.

O miserabile, dove sono i figliuoli delle reali e dolci virtù, le quali tu debbi avere? dove è l'affocata carità con che tu debbi ministrare? dove è l'ansietato desiderio de l'onore di me e salute de l'anime? dove è il crociato dolore che tu debbi portare di vedere il lupo infernale che ne porta le tue pecorelle? Non ci è, perché nel tuo cuore stretto non v'è né amore di me né di loro. Tu ami solamente te medesimo d'amore proprio sensitivo, col quale amore aveleni te e altrui. Tu se' quello dimonio infernale che le inghiottisci con disordinato amore. Altro non appetisce la gola tua, e però non ti curi che'l dimonio invisibile ne le porti. Tu, esso dimonio visibile, ne se' fatto strumento a mandarle a lo 'nferno.

Cui ne vesti e ne ingrassi di quello della Chiesa? Te e gli altri dimoni con teco insieme e gli animali, cioè i grossi cavagli che tu tieni per tuo diletto disordinato e non per necessità; e tu li debbi tenere per necessità e non per diletto. Questi diletti sono degli uomini del mondo, e i tuoi diletti debbono essere i poveri e il visitare gl'infermi, sovvenendoli nei loro bisogni spiritualmente e temporalmente, però che per altro non t'ò Io fatto ministro né datati tanta dignità. Ma perché tu se' fatto animale brutto, però ti diletti in essi animali. Tu non vedi; che se tu vedessi i supplici che ti sono apparecchiati se tu non ti correggi, tu non faresti così, anco ti dorresti di quello che tu ài fatto nel tempo passato e correggeresti (124v) el presente.

Vedi, carissima figliuola, quanto Io ò ragione di lagnarmi di questi miseri? e quanta larghezza Io ò usata in loro, ed essi verso me tanta strettezza? Che più? Come Io ti dissi, saranno alcuni che presteranno ad usura: non che tengano la tenda come i publichi usurai, ma con molto sottili modi vendaranno il tempo al prossimo loro per la loro cupidità, la qual cosa non è licita per veruno modo del mondo.

Se egli fusse uno presente d'una piccola cosa e con la sua intenzione egli el ricevesse per prezzo sopra il servizio che egli à fatto a colui prestandoli il suo, quello è usura, e ogni altra cosa che ricevesse per quel tempo come detto è. E Io ò posto il misero che le vieti a' secolari, ed egli fa quel medesimo e più; ché, andandoli uno a chiedere consiglio sopra questa materia, perché egli è in quel simile difetto, e perché egli à perduto il lume della ragione, il consiglio che egli gli dà è tenebroso e passionato, per quella passione che è dentro ne l'anima sua.

Questo e molti altri difetti nascono dal cuore suo stretto, cupido e avaro. E si può dire quella parola che disse la mia Verità quando entrò nel tempio, che egli vi trovò coloro che vendevano e compravano, cacciandoli fuore con la ferza della fune, dicendo: «Della casa del Padre mio, che è casa d'orazione, n'avete fatta spilonca di ladroni». (Mt 21,13 Mc 11,17 Lc 19,46) Tu vedi bene, dolcissima figliuola, che egli è così, che della Chiesa mia, che è luogo d'orazione, n'è fatto spilonca di ladroni: essi vendono e comprano e ànno fatta mercanzia della grazia dello Spirito santo.

Unde tu vedi che chi vuole le prelazioni e i benefizi della santa Chiesa, gli comprano con molti presenti, presentando quegli che sono da torno di denari e di derrate; e i miseri non raguardano che egli sia buono più che gattivo, ma per compiacerli e per amore del dono che ànno ricevuto, s'ingegnano di mettere questa pianta putrida nel giardino della santa Chiesa, e faranno per questo, i miseri, buona relazione di lui a Cristo in terra. E così l'uno e l'altro usano la (125r) falsità e lo inganno verso Cristo in terra, colà dove essi debbono andare schietti e con ogni verità.

Ma se'l vicario del mio Figliuolo s'avede dei difetti dell'uno e dell'altro, gli debba punire, e a colui tollere l'offizio suo se non si corregge e non amenda la sua mala vita; e a colui che compra gli starebbe bene che egli gli desse, in quello scambio, la pregione, sì che egli sia corretto del suo difetto, e gli altri ne prendano esemplo e temano, acciò che neuno si levi più a farlo. Se Cristo in terra el fa, fa il debito suo, e se no'l fa non sarà impunito questo peccato, quando gli converrà rendere ragione dinanzi a me delle sue pecorelle.

Credemi figliuola mia, che oggi egli non si fa, e però è venuta la Chiesa mia in tanti difetti e abominazioni. E' non cercano né vanno investigando della vita loro, quando dànno le prelazioni, se essi sono buoni o gattivi; e se alcuna cosa ne cercano, ne dimandano e cercano da coloro che sono gattivi con loro insieme, i quali non renderebbero altro che buona testimonianza, perché quegli difetti sono in loro medesimi. E non raguardano ad altro se non a grandezza di stato e gentilezza e a ricchezza, che sappiano parlare molto polito e peggio: ché allegarà il concestorio che egli abbi bella persona. Odi cose di dimoni! che dove essi debbono cercare l'adornamento e bellezza delle virtù, ed essi raguardano alla bellezza del corpo! debbono cercare gli umili povaregli che per umilità fuggono le prelazioni, ed essi tolgono coloro che vanamente e con infiata superbia le cercano. (Let 209) Mirano a la scienzia. La scienzia in sé è buona e perfetta, quando lo scienziato à insiememente la scienzia e la buona e onesta vita, e con vera umilità; ma se la scienzia è nel superbo, disonesto e scellerato nella vita sua, ella è veleno, e della Scrittura non intende se non secondo la lettera. In tenebre la intende perché à perduto il lume della ragione ed à offuscato l'occhio de l'intelletto suo. Nel quale lume, col lume sopranaturale, fu (125v) dichiarata e intesa la santa Scrittura, sì come in un altro luogo più chiaramente ti dissi. § 85 Sì che vedi che la scienzia è buona in sé, ma non in colui che non l'usa come egli la debba usare: anco gli sarà fuoco pennace se egli non correggerà la vita sua. E però debbono più tosto guardare alla santa e buona vita che a lo scienziato che gattivamente guidi la vita sua, ed eglino ne fanno il contrario; anco i buoni e virtuosi che siano grossi in scienzia reputano matti, e sono spregiati da loro; i povarelli schifano perché non ànno che donare.

Sì che vedi che nella casa mia, che dovarebbe essere casa d'orazione, (Is 56,7 Jr 7,11) e dove debba rilucere la margarita della giustizia, e il lume della scienzia con onesta e santa vita, e debbavi essere l'odore della verità, ed egli v'abonda la menzogna. Debbono possedere povertà volontaria, e con vera sollicitudine conservare l'anime e trarle delle mani delle dimonia, ed essi appetiscono ricchezze. E tanto ànno presa la cura delle cose temporali che al tutto ànno abandonata la cura delle spirituali, e non attendono ad altro che a giuoco e a riso, e a crescere e moltiplicare le sustanzie temporali. I miseri non s'aveggono che questo è il modo da perderle, però che, se eglino abbondassero in virtù e pigliassero la cura delle spirituali, sì come debbono, abbondarebbero nelle temporali. E molte rebellioni à avute la sposa mia, di quelle che ella non avarebbe avute. Eglino debbono lassare i morti sepellire a' morti, (Mt 8,22) ed eglino debbono seguitare la dottrina della mia Verità e compire in loro la volontà mia, cioè fare quello per che Io gli ò posti. Ed essi fanno tutto il contrario, ché le cose morte e transitorie si pongono a sepellire con disordinato affetto e sollicitudine, e traggono l'offizio di mano agli uomini del mondo. Questo è spiacevole a me e danno alla santa Chiesa. Debbonle lassare a loro, e l'uno morto sepellisca l'altro, ciò è che coloro che sono posti a governare le cose del mondo temporali, le governino.

E perché ti dissi «l'uno morto (126r) sepellisca l'altro», dico che «morto» s'intende in due modi: l'uno è quando ministra e governa le cose corporali con colpa di peccato mortale per disordinato affetto e sollicitudine; l'altro modo è perch'egli è offizio del corpo, ché sono cose manuali, e il corpo è cosa morta che non à vita in sé, se non quanto l'à tratta da l'anima, e participa della vita mentre che l'anima sta nel corpo e più no.

Debbono dunque questi miei unti, che debbono vivere come angeli, lassare le cose morte a' morti ed essi governare l'anime, che sono cosa viva e non muoiono mai quanto che a essere, governandole e ministrandolo' i sacramenti e i doni e le grazie dello Spirito santo, e pascierle del cibo spirituale con buona e santa vita. A questo modo sarebbe la casa mia casa d'orazione, abondando delle grazie e virtù loro. E perché no'l fanno, ma fanno il contrario, posso dire che ella sia fatta spilonca di ladroni, perché sono fatti mercatanti per avarizia, vendendo e comprando come detto è. Ed è fatta recettacolo d'animali perché vivono come animali brutti disonestamente; unde per questo n'ànno fatto stalla, perché ine giacciono nel loto della disonestà, e così tengono le dimonie loro nella Chiesa, come lo sposo tiene la sposa nella casa sua. Sì che vedi quanto male - e molto più è, quasi senza comparazione, che quello ch'Io t'ò narrato - il quale nasce da queste due colonne fetide e puzzolenti, cioè la immondizia e la cupidità e avarizia.



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CAPITOLO CXXVIII.

Ora ti voglio dire della terza, cioè della superbia che, perch' Io te l'abbi posta per l'ultima, ella è ultima e prima, perché tutti i vizi sono conditi dalla superbia, sì come le virtù sono condite e ricevono vita da la carità.

E la superbia nasce ed è nutricata da l'amore proprio sensitivo, del quale Io ti dissi che era fondamento di queste tre colonne e di tutti quanti i mali che commettono le creature, però che chi ama sé di disordinato amore è privato de l'amore di me, perché non m'ama (126v), e non amandomi m'offende perché non osserva il comandamento della legge, cioè d'amare me sopra ogni cosa e'l prossimo come se medesimo. (Mt 22,37-40) Questa è la ragione che, amandosi d'amore sensitivo, essi non servono né amano me, ma servono e amano il mondo: perché l'amore sensitivo né il mondo non ànno conformità con meco. Non avendo conformità insieme, di bisogno è che chi ama il mondo d'amore sensitivo e servelo sensitivamente odii me; e chi ama me in verità, odii il mondo. E però disse la mia Verità che neuno può servire a due signori contrari, però che se egli serve a l'uno sarà in contempto (Mt 6,24 Lc 16,13) a l'altro. Sì che vedi che l'amore proprio priva l'anima della mia carità e vestela del vizio della superbia, unde nascie ogni difetto per lo principio dell'amore proprio.

D'ogni creatura che à in sé ragione che è in questo difetto mi doglio e mi lamento, ma singularmente degli unti miei, i quali debbono essere umili, sì perché ogni uno debba avere la virtù de l'umilità, la quale nutrica la carità, e sì perché sono fatti ministri de l'umile e immaculato Agnello unigenito mio Figliuolo.

E non si vergognano, eglino e tutta l'umana generazione, d'insuperbire, vedendo me, Dio, umiliato a l'uomo, dandovi il Verbo del mio Figliuolo nella carne vostra? e questo Verbo veggono, per l'obbedienzia ch'Io gli posi, corrire e umiliarsi a l'obbrobriosa morte della croce. (Ph 2,8) Egli à il capo chinato per te salutare, la corona in capo per te ornare, le braccia stese per te abracciare, i piei confitti per teco stare. E tu, misero uomo, che se' fatto ministro di questa larghezza e di tanta umilità, debbi abbracciare la croce, e tu la fuggi ed abracciti con le inique e immonde creature. Tu debbi stare fermo e stabile, seguitando la dottrina della mia Verità, conficcando il cuore e la mente tua in lui, e tu ti volli come la foglia al vento, e per ogni cosa vai a vela. Se ella è prosperità ti muovi con disordinata allegrezza, e se ella è avversità ti muovi per impazienzia, e così trai fuore il mirollo della superbia, cioè la impazienzia; però che come la carità (127r) à per suo merollo la pazienzia, cosí la impazienzia è il mirollo della superbia. Unde d'ogni cosa si turbano e si scandelizzano coloro che sono superbi e iracundi.

E tanto m'è spiacevole la superbia, che ella cadde di cielo quando l'angelo volse insuperbire. (Lc 10,18) La superbia non saglie in cielo, ma vanne nel profondo de l'inferno; e però disse la mia Verità: «Chi si esaltarà - ciò è per superbia - sarà umiliato; e chi se umilia, sarà esaltato». (Mt 23,12 Lc 14,11 Lc 18,14) In ogni generazione di gente mi dispiace la superbia, ma molto più in questi ministri, sì come Io t'ò detto, perché Io gli ò posti nello stato umile a ministrare el umile Agnello; ma essi fanno tutto il contrario. E come non si vergogna il misero sacerdote d'insuperbire vedendo me umiliato a voi, dandovi il Verbo de l'unigenito mio Figliuolo? E loro n'ò fatti ministri; e il Verbo per l'obbedienzia mia s'è umiliato a l'obbrobriosa morte della croce! Egli à il capo spinato, e questo misero leva il capo contra me e contra il prossimo suo; e d'agnello umile che egli debba essere è fatto montone con le corna della superbia, e chiunque se gli acosta percuote.

O disaventurato uomo! Tu non pensi che tu non puoi escire di me. è questo l'offizio che Io t'ò dato, che tu percuota me con le corna della superbia tua, facendo ingiuria a me e al prossimo tuo? e con ingiuria e con ignoranzia conversi con lui? è questa la mansuetudine con che tu debbi andare a celebrare il corpo e'l sangue di Cristo mio Figliuolo? Tu sei fatto come uno animale feroce, senza alcuno timore di me. Tu divori il prossimo tuo e stai in divisione, e fatto sei accettatore delle creature, accettando quegli che ti servono e che ti fanno utilità, o altri che ti piaccino che siano di quella medesima vita che tu, i quali tu debbi correggere e dispregiare i difetti loro. E tu fai il contrario, dandolo' esemplo che faccino quello e peggio. Ma se tu fussi buono el faresti, ma perché tu se' gattivo non sai riprendere né ti dispiace il difetto altrui. Tu dispregi gli umili e virtuosi povarelli, tu gli fuggi. (127v) Ma tu ài ragione di fuggirli, poniamo che tu no'l debbi fare: tu el fuggi perché la puzza del vizio tuo non può sostenere l'odore della virtù. Tu ti rechi a vile di vederti a l'uscio i miei poverelli. Tu schifi ne' loro bisogni d'andare a visitarli, vedili morire di fame e non gli sovieni. E tutto questo fanno le corna della superbia, che non si vogliono inchinare a usare un poco d'atto d'umilità. Perché non s'inchina? Perché l'amore proprio che notrica la superbia non l'à punto tolto da sé, e però non vuole consciendare né ministrare a' povarelli né sustanzia temporale né la spirituale senza rivendaria.

O maledetta superbia fondata ne l'amore proprio, come ài aciecato l'occhio de l'intelletto loro per sì fatto modo che, parendolo' amare e essere teneri di loro medesimi, ed essi ne sono fatti crudeli; e parendolo' guadagnare, perdono; parendolo' stare in delizie e in ricchezze e in grande altezza, essi stanno in grande povertà e in miseria, perché sono privati della ricchezza della virtù: sono discesi da l'altezza della grazia alla bassezza del peccato mortale. Par lo' vedere ed ei sono ciechi, per che non cognoscono loro né me.

Non cognoscono lo stato loro né la dignità dove Io gli ò posti, né cognoscono la fragilità del mondo né la sua poca fermezza; però che, se'l cognoscessero, non se ne farebbero dio. Chi l'à tolto il cognoscimento? La superbia. E a questo modo sono diventati dimoni, avendoli Io eletti per angeli e perché sieno angeli terrestri in questa vita; ed essi caggiono da l'altezza del cielo al basso della tenebre. E tanta è moltiplicata la tenebre e la loro iniquità, che alcuna volta caggiono nel difetto che Io ti dirò.

Sono alcuni che sono tanto dimoni incarnati, che spesse volte faranno vista di consecrare e non consecraranno per timore del mio giudicio e per tollarsi ogni freno e timore del loro mal fare. Sarannosi levati la mattina dalla immondizia e la sera dal disordinato mangiare e bere. Saràlli bisogno di satisfare al popolo, ed egli, considerando le sue iniquità, vede che con buona conscienzia egli non debba (128r) né può celebrare. Unde gli viene un poco di timore del mio giudicio, non per odio del vizio, ma per amore proprio che egli à a se medesimo.

Vedi, carissima figliuola, quanto egli è cieco? Non ricorre egli a la contrizione del cuore e al dispiacimento del difetto suo con proponimento di correggersi, anco piglia questo remedio che non consecrarà. E, come cieco, non vede che l'errore e'l difetto di poi è maggiore che quello di prima, perché fa il popolo idolatro, facendoli adorare quella ostia non consecrata per lo corpo e sangue di Cristo mio unigenito Figliuolo, tutto Dio e tutto uomo, sì come egli è quando è consecrato: ed egli è solamente pane.

Or vedi quanta è questa abominazione e quanta è la pazienzia mia che gli sostengo. Ma se essi non si correggeranno, ogni grazia lo' tornerà a giudicio.

Ma che dovarebbe fare il popolo acciò che non venisse in quello inconveniente? Debba orare con condizione: se questo ministro à detto quel che debba dire, credo veramente che tu sia Cristo, Figliuolo di Dio vero e vivo, dato a me in cibo dal fuoco della inestimabile carità, e in memoria della tua dolcissima passione e del grande benefizio del sangue, il quale spandesti con tanto fuoco d'amore per lavare le nostre iniquità. Facendo così, la ciechità di colui non lo' darà tenebre, adorando una cosa per un'altra: benché à colpa di peccato, è solo del miserabile ministro, ma eglino pure ne l'atto farebbero quello che non si debba fare.

O dolcissima figliuola, chi tiene la terra che non gl'inghiottisce? chi tiene la mia potenzia che non gli fa essere immobili e statue ferme innanzi a tutto il popolo per loro confusione? (Gn 19,26) La misericordia mia. E tengo me medesimo, ciò è che con la misericordia tengo la divina mia giustizia, per vincerli per forza di misericordia. Ma essi, come ostinati dimoni, non cognoscono né veggono la misericordia mia, ma quasi come se credessero avere per debito ciò che essi ànno da me, perché la superbia gli à aciecati, e' non veggono che l'ànno solo per grazia e non per debito.



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CAPITOLO CXXIX.

Tutto questo (128v) t'ò detto per darti piú materia di pianto e d'amaritudine della ciechità loro, cioè di vederli stare in stato di dannazione, e perché tu cognosca meglio la misericordia mia, acciò che tu in questa misericordia pigli fiducia e grandissima sicurtà, offerendo loro ministri della santa Chiesa e tutto quanto il mondo dinanzi a me, chiedendo a me per loro misericordia. E quanto più per loro m'offerirai dolorosi e amorosi desideri, tanto più mi mostrarrai l'amore che tu ài a me, però che quella utilità che tu a me non puoi fare, né tu né gli altri servi miei, dovete farla e mostrarla col mezzo di loro. E Io allora mi lassarò costrignere al desiderio, alle lagrime e all'orazioni dei servi miei, e farò misericordia alla sposa mia, riformandola di buoni e santi pastori.

Riformatala di buoni pastori, per forza si correggeranno i sudditi, però che, quasi, dei mali che si fanno per li sudditi sono colpa i gattivi pastori; però che se essi correggessero, e rilucesse in loro la margarita della giustizia con onesta e santa vita, non farebbero così. E sai che n'adiviene di questi cotali perversi modi? Che l'uno seguita le vestigie de l'altro; però che i sudditi non sono obbedienti perché quando il prelato era suddito non fu obbediente al prelato suo. Unde riceve da' sudditi suoi quel che dié egli; e perché fu gattivo suddito è gattivo pastore.

Di tutto questo e d'ogni altro difetto è cagione la superbia fondata in amore proprio. Ignorante e superbo era suddito, e molto più è ignorante e superbo ora che è prelato. E tanta è la sua ignoranzia che come cieco darà l'offizio del sacerdote a uomo idioto, che a pena saprà pure leggere e non saprà l'offizio suo - e spesse volte, per la sua ignoranzia non sapendo bene le parole sacramentali, non consacrarà unde per questo commette quello medesimo difetto di non consecrare che quegli ànno fatto per malizia, non consecrando ma facendo vista di consecrare - colà dove egli debba scegliere uomini esperti e fondati in virtù, che sappino e intendano (129r) quello che dicono. Ed essi fanno tutto il contrario, però che non mirano che egli sappi, e non mirano a tempo, ma a diletto pare che scielgano fanciulli e none uomini maturi. E non mirano che essi siano d'onesta e santa vita, né che cognoscano la dignità alla quale essi vengono, né il grande misterio che essi ànno a fare; ma mirano pure di moltiplicare gente, ma non virtù.

Essi sono ciechi e ragunatori di ciechi, (Mt 15,14 Lc 6,39) e non veggono che Io di questo e de l'altre cose lo' richiedarò ragione ne l'ultima estremità della morte. E poi che egli ànno fatti i sacerdoti così tenebrosi come detto è, ed essi lo' dànno ad avere cura d'anime; e veggono che di loro medesimi non sanno avere cura.

Or come potranno costoro, che non cognoscono il difetto loro, correggerlo e cognoscerlo in altrui? (Mt 7,3-5) Non può né vuole fare contra se medesimo. E le pecorelle che non ànno pastore che curi di loro, né che le sappi guidare, agevolmente si smarriscono e spesse volte sono divorate e sbradate da' lupi. (Jr 23,1 Jn 10,12) E perché è gattivo pastore non si cura di tenere il cane che abbai vedendo venire il lupo, ma tale il tiene quale è egli. (Is 56,10) E cosí questi ministri e pastori che non ànno sollicitudine, né ànno il cane della coscienzia né il bastone della santa giustizia, e con la verga correggere, e la coscienzia abbai riprendendo se medesimo; ché non riprendendo, vedendo le pecorelle smarrite non tenendo per la via della verità cioè non osservando i comandamenti miei, il lupo infernale che le divora, abbaiando questo cane, ponendo i difetti loro sopra di sé con la verga della santa giustizia, come detto è, camparebbe le pecorelle sue e tornarebbero a l'ovile.

Ma perch'egli è pastore senza verga e senza cane di conscienzia, periscono le sue pecorelle; e non se ne cura, perché 'l cane della coscienzia sua è indebilito, e però non abbaia, perché non gli à dato il cibo. Però ch'el cibo che si debba dare a questo cane è il sangue de l'Agnello mio Figliuolo; però che piena che la memoria è del sangue, sì come vasello de l'anima, la conscienzia se ne nutrica; (129v) ciò è che per la memoria del sangue l'anima s'accende ad odio del vizio e amore della virtù, il quale odio e amore purificano l'anima da la macchia del peccato mortale. E dà tanto vigore a la conscienzia che la guarda, che subito che veruno nemico de l'anima, cioè il peccato, volesse intrare dentro - non tanto l'affetto ma il pensiero - subbito la coscienzia come cane abbaia con stimolo, tanto che desta la ragione. E però non commette ingiustizia, però che colui che à conscienzia à giustizia. E però questi cotali iniqui, non degni d'essere chiamati, non tanto ministri, ma creature ragionevoli, perché sono fatti animali bruti per li loro difetti, non ànno cane, perché si può dire per la debilezza sua che essi non l'abbino, e però non ànno la verga della santa giustizia. E tanto gli ànno fatti timidi i difetti loro, che l'ombra lo' fa paura, non di timore santo, ma di timore servile. Eglino si debbono disponere alla morte per trare l'anime delle mani delle dimonia, ed essi ve le mettono, non dandolo' dottrina di buona e santa vita, né volendo sostenere una parola ingiuriosa per la salute loro.

E spesse volte sarà l'anima del suddito inviluppata in gravissimi peccati, e avarà a satisfare altrui, e per l'amore disordinato che egli avarà a la sua fameglia, per none spropriarli non renderà il debito suo. La vita sua sarà nota a grande quantità di gente e anco al misero sacerdote, e nondimeno anco gli sarà fatto sapere acciò che, come medico che egli debba essere, curi quella anima. El misero andarà per fare quello che debba fare; e una parola che gli sia detta ingiuriosa o una mala miratura, non se ne impacciarà più. E alcuna volta gli sarà donato; unde, fra il dono e 'l timore servile, lassa stare quella anima nelle mani delle dimonia; e daràgli il sacramento del corpo di Cristo, unigenito mio Figliuolo. E vede e sa che quella anima non è sviluppata dalla tenebre del peccato mortale, e nondimeno, per compiacere agli uomini (130r) del mondo e per lo disordinato timore e dono che à ricevuto da loro, gli à ministrato i sacramenti e sepellitolo a grande onore nella santa Chiesa, colà dove, come animale e membro tagliato dal corpo, el dovarebbe gittare fuore.

Chi n'è cagione di questo? L'amore proprio e le corna della superbia. Però che se egli avesse amato me sopra ogni cosa e l'anima di quello tapinello, e fusse stato umile e senza timore, avarebbe cercata la salute di quella anima.

Vedi dunque quanto male seguita di questi tre vizi, i quali Io ti posi per tre colonne unde procedono tutti gli altri peccati: la superbia avarizia e immondizia delle menti e de' corpi loro. L'orecchie tue non sarebbero sufficienti a udirli, quanti sono i mali che di costoro escono sì come membri del dimonio.

E per la superbia, disonestà e cupidità loro fanno che alcuna volta - e tu ài veduti coloro a cui egli toccò - saranno cotali semplicelle di buona fede che si sentiranno cotali difetti, di paura nelle menti loro.

Temendo di non avere il dimonio vannosene al misero sacerdote credendo che egli le possa liberare; e vanno perché l'uno diavolo cacci l'altro. Ed egli come cupido riceve il dono, e come disonesto lascivo brutto e miserabile dirà a quelle tapinelle: «Questo difetto che voi avete non si può levare se non per lo tale modo»; e cosí, miserabilemente, lo' farà fiaccare il collo con lui insieme.

O dimonio sopra dimonio! in tutto se' fatto peggio che'l dimonio. Molti dimoni sono che ànno a schifo questo peccato, e tu, che sei fatto peggio di lui, vi t'involli dentro come il porco nel loto. O immondo animale, è questo quello che Io ti richieggio, che tu con la virtù del sangue, del quale Io t'ò fatto ministro, cacci le dimonia da l'anime e da' corpi? E tu ve li metti dentro. Non vedi che la scure della divina giustizia è già posta alla radice de l'arbore (Mt 3,10 Lc 3,9) tuo? E dicoti che elle ti stanno a usura, e a luogo e al tempo suo: se tu non punisci le tue iniquità con la penitenzia e contrizione del cuore, tu non sarai riguardato perché (130v) tu sia sacerdote, anco sarai punito miserabilemente e portarai le pene per te e per loro, e piú crudelmente sarai tu cruciato che gli altri. Staratti a mente allora di cacciare il dimonio col dimonio della concupiscenzia! E l'altro misero che andarà la creatura che sarà legata nel peccato mortale a lui che la sciolga, ed egli la legarà in uno altro cotale e maggiore, e per nuove vie e modi cadrà in peccato con lei. E se ben ti ricorda, tu vedesti la creatura con gli occhi tuoi, a cui egli toccò. Bene è dunque pastore senza cane di coscienzia, anco affoga la coscienzia altrui non tanto che la sua.

Io gli ò posti perché cantino e salmeggino la notte dicendo l'officio divino, ed essi ànno studiato a fare malìe e incantare le dimonia, facendosi venire per inganno di dimonio, di mezza notte - alcuna volta parrà che venga ma non sarà - quelle creature che miseramente amano. Or òtti Io posto perché la vigilia della notte tu la spenda in questo? Certo no, ma perché tu la spenda in vigilia e in orazione, acciò che, la mattina, disposto tu vada a celebrare e dia odore di virtù al popolo e non puzza di vizio. Sei posto nello stato angelico acciò che possa conversare con gli angieli per santa meditazione in questa vita e po' ne l'ultimo gustare me con loro insieme nell'etterna mia visione, e tu ti diletti d'essere dimonio e di conversare con loro prima che venga il punto della morte.

Ma le corna della tua superbia t'ànno percosso dentro ne l'occhio de l'intelletto la pupilla della santissima fede e ài perduto il lume, e però non vedi in quanta miseria tu stai. E non credi in verità che ogni colpa è punita e ogni bene è remunerato, però che se in verità tu el credessi non faresti così e non cercaresti né vorresti sì fatta conversazione, anco ti verrebbe in terrore pure d'udire mentovare il nome suo. Ma perché tu seguiti la volontà sua, di lui e delle sue operazioni prendi diletto. Cieco sopra cieco, Io vorrei che dimandassi il dimonio che merito elli ti può rendere del servizio che tu lo' fai. Essi ti rispondarebbero (131r) dicendo che ti daranno quello frutto che essi ànno per loro, però che altro non ti possono dare se non quegli crociati tormenti e fuoco nel quale ardono continuamente, dove essi caddero per la loro superbia da l'altezza del cielo. E tu, angelo terrestro, cadi da l'altezza per la superbia tua: da la dignità del sacerdote e dal tesoro della virtù nella povertà di molte miserie e, se tu non ti correggerai, nel profondo de l'inferno.

Tu t'ài fatto dio e signore el mondo e te medesimo. Or di' al mondo con tutte le sue delizie che tu ài prese in questa vita, e a la propria tua sensualità con che tu ài usate le cose del mondo - colà dove Io ti posi nello stato del sacerdote perché tu le spregiasse, e te e'l mondo sensitivamente - di' che rendano ragione per te dinnanzi a me, sommo giudice. Rispondaratti che non ti possa aitare, e farassi beffe di te dicendo: «Per te conviene che riesca». E tu rimani confuso e vitoperato dinanzi a me e dinanzi al mondo.

Tutto questo danno tuo tu no'l vedi, però che, come detto è, le corna della superbia tua t'ànno aciecato; ma tu el vedrai ne l'ultima estremità della morte dove tu non potrai pigliare rimedio in alcuna tua virtù, però che non l'ài, se non solo nella misericordia mia, sperando in quello dolce sangue del quale fusti fatto ministro. Questo né a te né ad alcuno sarà mai tolto, mentre che vorrai sperare nel sangue e nella misericordia mia; bene che neuno debba essere sì matto, né tu sì cieco, che tu ti conduca all'estremità.

Pensa che in quella estremità l'uomo che iniquamente è vissuto le dimonia l'accusano, e 'l mondo e la propria fragilità; e non il lusenga né gli mostra il diletto colà dove era l'amaro, né la cosa perfetta colà dove era imperfezione né il lume per la tenebre, sì come fare soleva nella vita sua; anco mostrano la verità di quello che è. El cane della coscienzia, che era debile, comincia ad abbaiare tanto velocemente che quasi conduce l'anima alla disperazione, benché veruna ve ne debba giognere, ma debba pigliare (131v) con esperanza il sangue, non ostante i difetti che essi abbino commessi, però che senza alcuna comparazione è maggiore la misericordia mia, la quale ricevete nel sangue, che tutti i peccati che si commettono nel mondo. Ma neuno s'indugi, come detto è, ché forte cosa è a l'uomo trovarsi disarmato nel campo della battaglia tra molti nemici.




Caterina, Dialogo 126