Caterina, Dialogo



IL DIALOGO

DI

SANTA CATERINA DA SIENA


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CAPITOLO I.

(2r) AL NOME DI CRISTO CRUCIFISSO E DI MARIA DOLCE.

Levandosi una anima ansietata di grandissimo desiderio verso l'onore di Dio e salute dell'anime, esercitatasi per alcuno spazio di tempo nella virtù, abituata e abitata nella cella del cognoscimento di sé, per meglio cognoscere la bontà di Dio in sé, perché al cognoscimento seguita l'amore, amando cerca di seguitare e vestirsi della verità.

E perché in veruno modo gusta tanto ed è alluminata d'essa verità quanto col mezo dell'orazione umile e continua, fondata nel cognoscimento di sé e di Dio, però che l'orazione, esercitandola per lo modo detto, unisce l'anima in Dio seguitando le vestigie di Cristo crocifisso, e così per desiderio, affetto e unione d'amore ne fa un altro sé. Questo parbe che dicesse Cristo quando disse: «Chi m'amerà e serverà la parola mia, Io manifesterò me medesimo a lui, e sarà una cosa con meco ed Io con lui» (Jn 14,21-23 Jn 17,2); ed in più luoghi troviamo simili parole, per le quali potiamo vedere che egli è la verità che per affetto d'amore l'anima diventa un altro lui e per vederlo più chiaramente.

Ricordomi d'aver udito da alcuna serva di Dio che essendo in orazione levata con grande elevazione di mente, Dio non nascondeva all'occhio dello 'ntelletto suo l'amore che aveva a' servi suoi, anco el manifestava, e tra l'altre cose diceva: - Apre l'occhio dello 'ntelletto e mira in me, e vedrai la dignità e bellezza della mia creatura che à in sé ragione. E tra la bellezza che Io ò data all'anima creandola alla imagine e similitudine mia, raguarda costoro che son vestiti del vestimento nunziale della carità, adornato di molte vere virtù: uniti sono con meco per amore. E però ti dico che se tu dimandassi me chi son costoro, rispondarei - diceva el dolce e amoroso Verbo - sono un altro me; perché ànno perduta e annegata la volontà loro propria, e vestitisi e unitisi e conformatisi con la mia.

Bene è dunque vero che l'anima s'unisce in Dio per affetto d'amore. Sì che volendo più virilmente cognoscere e seguitare la verità, levando el desiderio suo prima per sè medesima, considerando che l'anima non può fare vera utilità di dottrina, d'esemplo e d'orazione al prossimo suo se prima non fa utilità a sé cioè d'avere e acquistare la virtù in sé, domandava al sommo ed eterno Padre quattro petizioni.

La prima era per se medesima (2v). La seconda per la reformazione della santa Chiesa. La terza generale per tutto quanto el mondo, e singularmente per la pace de' cristiani, e quali sono rebelli con molta irreverenzia e persecuzione alla santa Chiesa. Nella quarta dimandava la divina Providenzia che provedesse in comune, ed in particulare in alcuno caso che era adivenuto.



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CAPITOLO II.

Questo desiderio era grande ed era continuo, ma molto maggiormente crebbe, essendo mostrato dalla prima Verità la necessità del mondo, ed in quanta tempesta e offesa di Dio egli era. Ed intesa aveva ancora una lettera, la quale aveva ricevuta dal padre dell'anima sua, dove egli mostrava pena e dolore intollerabile dell'offesa di Dio, danno dell'anime e persecuzione della santa Chiesa. Tutto questo l'accendeva el fuoco del santo desiderio, con dolore dell'offese, e con allegrezza d'una speranza per la quale aspettava che Dio provedesse a tanti mali.

E perché nella comunione pare che l'anima più dolcemente si strenga fra sé e Dio, e meglio cognosca la sua verità - però che l'anima allora è in Dio e Dio è nell'anima sì come il pesce che sta nel mare, e 'l mare nel pesce - e per questo le venne desiderio di giognere nella mattina per avere la messa; el quale dì era el dì di Maria.

Venuta la mattina e l'ora della messa, si pose con ansietato desiderio e con grande cognoscimento di sé vergognandosi della sua imperfezione, parendole essere cagione de' mali che si facevano per tutto quanto il mondo, concependo uno odio e uno dispiacimento di sé con una giustizia santa; nel quale cognoscimento odio e giustizia purificava le macchie che le pareva che fossino, ed erano nell'anima sua, di colpa, dicendo: - O Padre eterno, io mi richiamo di me a te, che tu punisca l'offese mie in questo tempo finito. E perché delle pene che debba portare il prossimo mio, io per li miei peccati ne so' cagione, però ti prego benignamente che tu le punisca sopra di me. -

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CAPITOLO III.

Allora la Verità eterna, rapendo e tirando a sé più forte il desiderio suo, facendo come faceva nel Testamento vecchio, che quando facevano sacrificio a Dio veniva un fuoco e tirava a sé il sacrificio che era accetto a lui, così faceva la dolce Verità (3r) a quella anima, ché mandava il fuoco della clemenzia dello Spirito santo e rapiva il sacrificio del desiderio che ella faceva di sé a lui dicendo: - Non sai tu figliuola mia, che tutte le pene che sostiene, o può sostenere l'anima in questa vita, non sono sofficienti a punire una minima colpa? Però che l'offesa che è fatta a me, che so' Bene infinito, richiede satisfazione infinita. E però Io voglio che tu sappi, che non tutte le pene che si dànno in questa vita son date per punizione, ma per correzione, per gastigare il figliuolo quando egli offende. Ma è vero questo: che col desiderio dell'anima si satisfa, cioè con la vera contrizione e dispiacimento del peccato. La vera contrizione satisfa alla colpa e alla pena, non per pena finita che sostenga, ma per lo desiderio infinito; perché Dio, che è infinito, infinito amore e infinito dolore vuole.

Infinito dolore vuole in due modi. L'uno è della propria offesa, la quale à commessa contra al suo Creatore. L'altro è dell'offesa che vede fare al prossimo suo. Di questi cotali, perché ànno desiderio infinito, cioè che sono uniti per affetto d'amore in me - e però si dolgono quando offendono o veggono offendere - ogni loro pena che sostengono, spirituale o corporale, da qualunque lato ella viene, riceve infinito merito e satisfa alla colpa che meritava infinita pena; poniamo che sieno state operazioni finite, fatte in tempo finito. Ma perché fu adoperata la virtù e sostenuta la pena con desiderio e contrizione e dispiacimento infinito della colpa, però valse.

Questo dimostrò Pauolo quando disse: «Se io avesse lingua angelica, sapessi le cose future, dessi el mio a' poveri, e dessi el corpo mio ad ardere e non avessi carità, nulla mi varrebbe» (1Co 13,1-3). Mostra il glorioso apostolo che l'operazioni finite non sono sofficienti, né a punire né a remunerare, senza el condimento de l'affetto della carità.



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CAPITOLO IV.

Òtti mostrato, carissima figliuola, come la colpa non si punisce in questo tempo finito per veruna pena che si sostenga, puramente pur pena. E dico che si punisce con la pena che si sostiene col desiderio, amore e contrizione del cuore, non per virtù della pena, ma per la virtù del desiderio dell'anima, sì come il desiderio ed ogni virtù vale ed à in sé vita per Cristo crocifisso unigenito mio Figliuolo, in quanto l'anima à tratto l'amore da lui (Mt 1,21) e con virtù seguita le vestigie sue. Per questo modo (3v) vagliono e non per altro; e così le pene satisfanno alla colpa col dolce e unitivo amore, acquistato nel cognoscimento dolce della mia bontà, e amaritudine e contrizione di cuore, cognoscendo se medesimo e le proprie colpe sue. Il quale cognoscimento genera odio e dispiacimento del peccato e della propria sensualità, unde egli si reputa degno delle pene e indegno del frutto. Sì che - diceva la dolce Verità - vedi che per la contrizione del cuore, con l'amore della vera pazienzia e con vera umilità, reputandosi degni della pena e indegni del frutto per umilità, portano con pazienzia; sì che vedi che satisfa per lo modo detto.

Tu mi chiedi pene, acciò che si satisfacci alle offese che sono fatte a me dalle mie creature, e dimandi di volere cognoscere e amare me che so' somma Verità. Questa è la via a volere venire a perfetto cognoscimento e gustare me, Vita eterna: che tu non esca mai del cognoscimento di te, e abbassata che tu se' nella valle dell'umilità, e tu cognosce me in te, del quale cognoscimento trarai quello che ti bisogna ed è necessario.

Niuna virtù può avere in sé vita se non dalla carità; e l'umilità è baglia e nutrice della carità. Nel cognoscimento di te ti aumiliarai, vedendo te per te non essere, e l'essere tuo cognoscerai da me, che v'ò amati prima che voi fuste. E per l'amore ineffabile che Io v'ebbi, volendovi ricreare a grazia, v'ò lavati e ricreati nel sangue de l'unigenito mio Figliuolo, sparto con tanto fuoco d'amore.

Questo sangue fa cognoscere la verità a colui che s'à levata la nuvila de l'amore proprio per lo cognoscimento di sé, ché in altro modo non la cognoscerebbe. Allora l'anima s'accenderà in questo cognoscimento di me con uno amore ineffabile, per lo quale amore sta in continua pena, non pena affligitiva, che affligga né disecchi l'anima, anco la ingrassa; ma perché à cognosciuta la mia verità e la propria colpa sua e la ingratitudine e cechità del prossimo, à pena intollerabile; e però si duole perché m'ama, che se ella non m'amasse non si dorrebbe.

Subito che tu e gli altri servi miei avarete per lo modo detto cognosciuta la mia verità, vi converrà sostenere infino alla morte le molte tribolazioni, ingiurie e rimproverii in detto e in fatto, per gloria e loda del nome mio (Mt 24,9), sì che tu portarai e patirai pene.

Tu dunque, e gli altri miei servi, portate con vera (4r) pazienzia, con dolore della colpa e con amore della virtù per gloria e loda del nome mio. Facendo così, satisfarò le colpe tue e degli altri servi miei, sì che le pene che sosterrete saranno sofficienti per la virtù della carità a satisfare e remunerare in voi e in altrui. In voi ne riceverete frutto di vita, spente le macchie delle vostre ignoranzie, ed Io non mi ricordarò che voi m'offendeste mai (Is 43,25 Ez 18,21-22 He 10,17 Jr 31,34). In altrui satisfarò per la carità e affetto vostro, e donerò secondo la disposizione loro con la quale riceveranno.

In particulare, a coloro che si dispongono umilemente e con reverenzia a ricevere la dottrina de' servi miei, lo' perdonarò la colpa e la pena. Come? Che per questo verranno a questo vero cognoscimento e contrizione de' peccati loro, sì che con lo strumento dell'orazione e desiderio de' servi miei riceveranno frutto di grazia, ricevendoli umilemente come detto è; e meno e più secondo che vorranno esercitare con virtù la grazia. In generale dico che per li desideri vostri ricevaranno remissione e donazione. Guarda già che non sia tanta la loro ostinazione, che essi vogliano essere riprovati da me per disperazione, spregiando il sangue del quale con tanta dolcezza son ricomperati (1P 1,18-19).

Che frutto ricevono? Il frutto è che Io gli aspetto, costretto dall'orazione de' servi miei, e dollo' lume e follo' destare il cane della coscienzia; follo' sentire l'odore della virtù e dilettarsi della conversazione de' servi miei. Ed alcuna volta permetto che 'l mondo lo' mostri quello che egli è, sentendovi diverse e variate passioni, acciò che conoscano la poca fermezza del mondo e levino il desiderio a cercare la patria loro di vita eterna. E così per questi e molti altri modi, i quali l'occhio non è sofficiente a vedere, né la lingua a narrare, né il cuore a pensare (1Co 2,9 Is 64,4) quante sono le vie e modi che Io tengo, solo per amore e per riducergli a grazia, acciò che la mia verità sia compita in loro.

Costretto so' di farlo dalla inestimabile carità mia con la quale Io gli creai, e dall'orazione e desideri e dolore de' servi miei, perché non so' spregiatore della lagrima, sudori e umile orazione loro, anco gli accetto però che Io so' colui che gli fo amare e dolere del danno dell'anime, ma non lo' dà satisfazione di pena, a questi cotali generali, ma sì di colpa. Perché non sono disposti dalla parte loro a pigliare con perfetto amore l'amore mio e de' miei servi né non pigliano il loro dolore con amaritudine e perfetta contrizione della (4v) colpa commessa, ma con amore e contrizione imperfetta, però non ànno né ricevono satisfazione di pena come gli altri, ma sì di colpa, perché richiede disposizione da l'una parte e dall'altra cioè di chi dà e di chi riceve; e perché sono imperfetti, imperfettamente ricevono la perfezione de' desideri di coloro che con pena li offerano dinanzi da me per loro.

Perché ti dissi che ricevevano satisfazione e anco l'era donato? Cosí è la verità, che per lo modo che lo t'ò detto, per gli strumenti che di sopra contiammo del lume della coscienzia e dell'altre cose, l'è satisfatto la colpa, cioè cominciandosi a ricognoscere vomicano el fracidume de' peccati loro, e cosí ne ricevono dono di grazia.

Questi sono coloro che stanno nella carità comune. Se essi ànno ricevuto per correzione quello che ànno avuto, e non ànno fatta resistenzia alla clemenzia dello Spirito santo, ne ricevono vita di grazia escendo della colpa.

Ma se essi, come ignoranti, sono ingrati e scognoscenti verso di me e verso le fadighe de' miei servi, esso fatto lo' torna in ruina e a giudicio quello che era dato per misericordia; non per difetto della misericordia, né di colui che impetrava la misericordia per lo ingrato, ma solo per la miseria e durizia sua, il quale à posta con la mano del libero arbitrio in sul cuore la pietra del diamante che, se non si rompe col sangue, non si può rompere.

Anco ti dico che, non obstante la durizia sua, mentre che egli à il tempo e può usare il libero arbitrio, chiedendo il sangue del mio Figliuolo, e con essa medesima mano el ponga sopra la durizia del cuore suo, lo spezzerà e riceverà il frutto del sangue che è pagato per lui. Ma se egli s'indugia, passato il tempo non à remedio veruno, perché non à riportata la dota che gli fu data da me, dandogli la memoria perché ritenesse i benefizi miei, e lo 'ntelletto perché vedesse e cognoscesse la verità, e l'affetto perché egli amasse me, Verità eterna, la quale lo 'ntelletto cognobbe.

Questa è la dota che io vi diei, la quale debba ritornare a me Padre. Avendola venduta e sbarattata al dimonio, il dimonio con esso lui ne va e portane quello che in questa vita acquistò, empiendo la memoria delle delizie e ricordamento di disonestà, superbia, avarizia e amore proprio di sé, odio e dispiacimento del prossimo; ed è perseguitatore de' servi miei. In queste miserie, offuscato l'intelletto per la disordinata voluntà, così ricevono con le puzze loro pena (5r) eternale, infinita pena, perché non satisfecero la colpa con la contrizione e dispiacimento del peccato.

Sì che ài come la pena satisfa a la colpa per la perfetta contrizione del cuore, non per le pene finite, e non tanto la colpa, ma la pena che seguita dopo la colpa, a quegli che ànno questa perfezione; ed a' generali, come detto è, satisfa la colpa, ciò è che privati del peccato mortale ricevono la grazia, e non avendo sofficiente contrizione e amore a satisfare alla pena, vanno alle pene del purgatorio, passati dal secondo e ultimo mezzo.

Sì che vedi che satisfa per lo desiderio dell'anima unito in me che so' infinito bene, poco e assai, secondo la misura del perfetto amore di colui che dà l'orazione e'l desiderio, e di colui che riceve. Con quella medesima misura che egli dà a me, e colui riceve in sé, con quella l'è misurato dalla mia bontà (Mt 7,2 Mc 4,24 Lc 6,38). Sì che cresce il fuoco del desiderio tuo, e non lassare passare punto di tempo che tu non gridi con voce umile e continua orazione dinanzi a me per loro. Così dico a te e al padre dell'anima tua, el quale Io t'ò dato in terra, che virilmente portiate, e morto sia ad ogni propria sensualità.



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CAPITOLO V.

Molto è piacevole a me il desiderio di volere portare ogni pena e fadiga infino alla morte in salute dell'anime. Quanto l'uomo più sostiene, più dimostra che m'ami; amandomi più cognosce della mia verità e quanto più cognosce più sente pena e dolore intollerabile dell'offesa mia.

Tu dimandavi di sostenere e di punire i difetti altrui sopra di te, e tu non t'avedevi che tu dimandavi amore, lume e cognoscimento della verità, perché già ti dissi che quant'era magiore l'amore, tanto cresce il dolore e la pena: a cui cresce amore cresce dolore. Adunque Io vi dico che voi dimandiate e saràvi dato: Io non dinegarò a chi mi dimanderà in verità (Mt 7,7 Lc 11,9). Pensa che egli è tanto unito l'amore della divina carità che è nell'anima con la perfetta pazienzia, che non si può partire l'una che non si parta l'altra. E però debba l'anima, come elegge d'amare me, cosí eleggere di portare per me pene in qualunque modo e di qualunque cosa Io le concedo. La pazienzia non si pruova se non nelle pene, la quale pazienzia è unita con la carità, come detto è. Adunque portate virilmente, altrimenti non dimostraresti d'essere, né sareste, sposi fedeli (5v) e figliuoli della mia Verità, né che voi foste gustatori del mio onore e della salute dell'anime.



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CAPITOLO VI.

Ché Io ti fo sapere che ogni virtù si fa col mezzo del prossimo, e ogni difetto. Chi sta in odio di me fa danno al prossimo e a se medesimo, che è principale prossimo; fagli danno in generale e in particulare.

In generale è perché sete tenuti d'amare il prossimo come voi medesimi (Mt 22,39 Mc 12,31 Lc 10,27); amandolo el dovete sovenire spiritualmente con l'orazione, e consigliandolo con la parola, e aitandolo spiritualmente e temporalmente, secondo che fa bisogno alla sua necessità, almeno volontariamente, non avendo altro. Non amando me non ama lui; non amandolo, non el soviene. Offende inanzi se medesimo, ché si tolle la grazia, e offende il prossimo tollendogli, perché non gli dà l'orazione e i dolci desideri che è tenuto d'offerire dinnanzi a me per lui. Ogni sovenire che egli li fa, debba uscire della dilezione ch'egli gli à per amore di me. (Lc 10,27-37 Mt 22,37-40 Mc 12,29-31).

E così ogni male si fa per mezzo del prossimo, ciò è che non amando me, non è nella carità sua. E tutti i mali dipendono perché l'anima è privata della carità di me e del prossimo suo. Non facendo bene, seguita che fa male; facendo male, verso cui el fa e dimostra? Verso se medesimo in prima e verso il prossimo, non verso di me, ché a me non può fare danno, se non in quanto Io reputo fatto a me quello che fa a lui. (Mt 25,40-45) Fa danno a sé di colpa, la quale colpa el priva della grazia: peggio non si può fare. Al prossimo fa danno non dandogli il debito che debba dare della dilezione della carità e amore, col quale amore el debba sovenire con l'orazione e santo desiderio offerto dinnanzi a me per lui. Questo è un sovenimento generale che si debba fare ad ogni creatura che à in se ragione. (Let 337) Utilità particolari sono quelle che si fanno a coloro che vi sono più da presso dinnanzi agli occhi vostri, de' quali sete tenuti di sovenire l'uno all'altro, con la parola e dottrina ed esemplo di buone operazioni, e in tutte l'altre cose che si vede egli abbi bisogno, consigliandolo schiettamente come se medesimo e senza passione di proprio suo amore. Egli no'l fa, perché già è privato della dilezione verso di lui, sì che vedi che non facendolo gli fa danno particulare; e non tanto che gli facci danno non facendogli quello bene che egli può, ma egli gli fa male e danno assiduamente. Come? Per questo modo.

Il peccato si fa attuale e mentale; mentale è già fatto che à conceputo piacere del (6r) peccato e odio della virtù; ciò è del proprio amore sensitivo il quale l'à privato dell'affetto della carità, il quale debba avere a me e al prossimo suo, come detto t'ò. E poi che egli à conceputo, gli partorisce l'uno dopo l'altro sopra del prossimo, secondo che piace alla perversa volontà sensitiva, in diversi modi. Alcuna volta vediamo che partorisce una crudeltà, e in generale e in particulare. Generale è di vedere sé e le creature in dannazione e in caso di morte, per la privazione della grazia. Ed è tanto crudele, che non soviene sé né altrui dell'amore della virtù e odio del vizio, anco, come crudele, distende attualmente più la crudeltà sua, cioè che non tanto che egli dia esemplo di virtù, ma egli, come malvagio, piglia l'officio delle dimonia traendo, giusta 'l suo potere, le creature dalla virtù e conducendole nel vizio. (Oraz VIII 16-19; Oraz VIII 89-91) Questa è crudeltà verso l'anima, ché s'è fatto strumento a tollerle la vita e darle la morte.

Crudeltà corporale usa per cupidità, ché non tanto che egli sovenga il prossimo del suo, ma egli tolle l'altrui, rubando le povarelle; e alcuna volta per atto di signoria, e alcuna volta con inganno e frode, facendo ricomperare le cose del prossimo e spesse volte la propria persona.

O crudeltà miserabile, la quale sarai privata della misericordia mia, se esso non torna a pietà e benivolenzia verso lui. Alcuna volta partorisce parole ingiuriose, dopo le quali parole spesse volte seguita l'omicidio. E alcuna volta partorisce disonestà nella persona del prossimo, per la quale ne diventa animale bruto, pieno di puzza; e non n'attosca pure uno o due, ma chi se gli appressima con amore e conversazione ne rimane attoscato.

In cui partorisce la superbia? Solo nel prossimo per propria reputazione di sé; unde ne traie dispiacere del prossimo suo, reputandosi maggiore di lui, e per questo modo fargli ingiuria. Se egli à a tenere stato di signoria, parturisce ingiustizia e crudeltà, ed è rivenditore delle carni degli uomini.

O carissima figliuola, duolti dell'offesa mia, e piagne sopra questi morti, acciò che con l'orazione si distrugga la morte loro. Or vedi che da qualunque lato, e di qualunque maniera di gente, tu vedi tutti parturire i peccati sopra del prossimo (6v) e fargli col suo mezo. In altro modo non farebbe mai peccato veruno, né occulto, né palese. Occulto è, quando non gli dà quello che gli debba dare; palese è quando partorisce i vizi, sì come Io ti dissi.

Adunque bene è la verità che ogni offesa fatta a me si fa col mezzo del prossimo.



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CAPITOLO VII.

Detto t'ò, come tutti i peccati si fanno col mezzo del prossimo, per lo principio che ti posi, perché erano privati dell'affetto della carità, la quale carità dà vita ad ogni virtù. (Let 97) E così l'amore proprio, il quale tolle la carità e dilezione del prossimo, è principio e fondamento d'ogni male.

Tutti gli scandali, odio e crudeltà e ogni inconveniente procede da questa radice dell'amore proprio. Egli à avelenato tutto quanto il mondo e infermato il corpo mistico della santa Chiesa e l'universale corpo della cristiana religione, perché Io ti dissi che nel prossimo, cioè nella carità sua, si fondavano tutte le virtù, e così è la verità. Io sì ti dissi che la carità dava vita a tutte le virtù, e così è, ché niuna virtù si può avere senza la carità cioè che la virtù s'acquisti per puro amore di me. Ché, poi che l'anima à cognosciuta sé come di sopra dicemo, à trovato umilità e odio della propria passione sensitiva, cognoscendo la legge perversa che è legata nelle membra sue, che sempre impugna contra lo spirito. (Rm 7,23 Ga 5,17) E però s'è levata con odio e dispiacimento d'essa sensualità, conculcandola sotto alla ragione con grande sollicitudine, ed in sé à trovata la larghezza della mia bontà per molti benefici che à ricevuti da me, i quali tutti ritruova in se medesima.

Il cognoscimento che à trovato di sé el retribuisce a me per umilità, cognoscendo che per grazia Io l'abbi tratto della tenebre e recato a lume di vero cognoscimento. E poi che à cognosciuta la mia bontà, l'ama senza mezzo e amala con mezzo. Amala, dico, senza mezzo di sé o di sua propria utilità, e amala col mezzo della virtù, la quale virtù à conceputa per amore di me, però che vede che in altro modo non sarebbe grato né accetto a me se non concepesse l'odio del peccato e amore delle virtù. E poi che l'à conceputa per affetto d'amore, subito la parturisce al prossimo suo, ché in altro modo non sarebbe verità che egli l'avesse conceputa in sé. Ma come in verità m'ama, così fa utilità al prossimo suo; e non può essere altrimenti, perché l'amore di me e del prossimo è una medesima cosa, e tanto quanto (7r) l'anima ama me, tanto ama lui, perché l'amore verso di lui esce di me.

Questo è quello mezzo, che Io v'ò posto acciò che esercitiate e proviate la virtù in voi, ché non potendo fare utilità a me dovetela fare al prossimo.

Questo manifesta che voi aviate me per grazia nell'anima vostra, facendo frutto in lui di molte e sante orazioni, con dolce e amoroso desiderio, cercando l'onore di me e la salute dell'anime.

Non si ristà mai, l'anima inamorata della mia verità, di fare utilità a tutto il mondo, in comune e in particulare, poco e assai, secondo la disposizione di colui che riceve, e dell'ardente desiderio di colui che dà, sì come di sopra fu manifestato, quando ti dichiarai che pura la pena, senza il desiderio, non era sufficiente a punire la colpa. § 3 10ss.) Poi che egli à fatto utilità per l'amore unitivo che à fatto in me, per lo quale ama lui, disteso l'affetto alla salute di tutto quanto il mondo, sovenendo alla sua necessità, ingegnasi, poi che à fatto bene a sé per lo concipere la virtù unde à tratta la vita della grazia, di ponere l'occhio alla necessità del prossimo in particulare, poi che mostrato l'à generalmente ad ogni creatura che à in sé ragione, per affetto di carità come detto è. Unde egli soviene quelli da presso, secondo diverse grazie che Io gli ò date a ministrare: (1Co 12,4-6) chi di dottrina con la parola, consigliando schiettamente senza alcuno rispetto; chi con esemplo di vita, e questo debba fare ogni uno, di dare edificazione al prossimo di buona e santa e onesta vita.

Queste sono le virtù e molte altre le quali non potresti narrare, che si partoriscono nella dilezione del prossimo. Perché l'ò poste tanto differenti, che Io non l'ò date tutte a uno, anco a cui ne do una e a cui ne do un'altra particulare? poniamo che una non ne può avere che tutte non l'abbi, perché tutte le virtù sono legate insieme. Ma dolle molte quasi come per capo di tutte l' altre virtù, cioè che a cui darò principalmente la carità, a cui la giustizia, a cui l'umilità, a cui una fede viva, ad altri una prudenzia, una temperanzia, una pazienzia, e ad altri una fortezza.

Queste e molte altre darò nell'anima differentemente a molte creature; poniamo che l'una di queste sia posta per (7v) principale obietto di virtù nell'anima, disponendosi più a conversazione principale con essa che con l'altre. E per questo affetto di questa virtù trae a sé tutte l'altre virtù, ché, come detto è, elle sono tutte legate insieme nell'affetto della carità.

E così molti doni e grazie di virtù e d'altro, spiritualmente e corporalmente - corporalmente dico, per le cose necessarie per la vita de l'uomo - tutte l'ò date in tanta differenzia che non l'ò poste tutte in uno, acciò che abbiate materia, per forza, d'usare la carità l'uno con l'altro; ché bene potevo fare gli uomini dotati di ciò che bisognava, e per l'anima e per lo corpo, ma Io volsi che l'uno avesse bisogno dell'altro, e fossero miei ministri a ministrare le grazie e doni che ànno ricevuti da me. Ché, voglia l'uomo o no non può fare che per forza non usi l'atto della carità. vero che se ella non è fatta e donata per amore di me, quello atto non gli vale quanto a grazia.

Sì che vedi che, acciò che essi usassero la virtù della carità, Io gli ò fatti miei ministri e posti in diversi stati e variati gradi. Questo vi mostra che nella casa mia à molte mansioni (Jn 14,2) e che Io non voglio altro che amore. Però che nell'amore di me compie l'amore del prossimo. Compito l'amore del prossimo à osservata la legge: (Mt 22,37-40 Mc 12,28-31) ciò che può fare d'utilità secondo lo stato suo, colui ch'è legato in questa dilezione, sì el fa.



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CAPITOLO VIII.

Òtti detto come egli fa utilità al prossimo, nella quale utilità manifesta l'amore che à a me.

Ora ti dico che nel prossimo pruova in se medesimo la virtù della pazienza nel tempo della ingiuria che riceve da lui. E pruova l'umilità nel superbo, pruova la fede ne l'infedele, pruova la vera speranza in colui che non spera, e la giustizia nello ingiusto, e la pietà nel crudele, e la mansuetudine e benignità nell'iracundo.

Tutte le virtù si pruovano e parturiscono nel prossimo, come gl'iniqui parturiscono ogni vizio nel prossimo loro. Se tu vedi bene, l'umilità è provata nella superbia, ciò è che l'umile spegne la superbia però che'l superbo non può far danno a l'umile, né la infedelità dell'iniquo uomo, che non ama né spera in me, a colui (8r) che è fedele a me non diminuisce la fede, né la speranza in colui che l'à conceputa in sé per amore di me, anco la fortifica e la pruova nella dilezione dell'amore del prossimo. Ché, con ciò sia cosa che egli el vegga infedele e senza speranza in me e in lui - ché colui che non ama me non può aver fede né speranza in me, anco la pone nella propria sensualità la quale egli ama - il servo fedele mio non lassa però che fedelmente non l'ami, e che sempre con speranza non cerchi in me la salute sua. (Let 292) Sì che vedi che nella loro infedelità e mancamento di speranza pruova la virtù della fede. In questo, e ne l'altre cose nelle quali è bisogno di provarla, egli la pruova in sé e nel prossimo suo.

E cosí la giustizia non diminuisce per le sue ingiustizie, anco dimostra di provarla, cioè che dimostra che egli è giusto per la virtù della pazienzia; come la benignità e mansuetudine nel tempo dell'ira si manifestano con la dolce pazienzia; e nella invidia dispiacimento e odio si manifesta la dilezione della carità, con fame e desiderio della salute dell'anime. (2Co 12,9-10) Anco ti dico, che non tanto che si pruovi la virtù in coloro che rendono bene per male, ma Io ti dico che spesse volte gittarà carboni accesi di fuoco di carità, il quale dissolve l'odio e'l rancore del cuore e della mente de l'iracundo, e da odio torna spesse volte a benivolenzia; e questo è per la virtù della carità e perfetta pazienzia che è in colui che sostiene l'ira de l'iniquo, portando e sopportando i difetti suoi. (Rm 12,17 Rm 12,20-21) Se tu raguardi la virtù della fortezza e perseveranzia, ella è provata nel molto sostenere, nelle ingiurie e detrazioni degli uomini i quali spesse volte, quando con ingiuria e quando con lusinghe, el vogliono ritrare da seguitare la via e dottrina della verità; in tutto è forte e perseverante: se la virtù della fortezza è dentro conceputa, allora la pruova di fuore nel prossimo, come detto t'ò. E se ella, al tempo che è provata con molti contrari non facesse buona pruova, non sarebbe virtù in verità fondata.



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CAPITOLO IX.

Queste sono le sante e dolci operazioni che io richieggo (8v) da' servi miei, ciò sono queste virtù intrinsiche dell'anima, provate come detto ò. Non solamente quelle virtù che si fanno con lo strumento del corpo, cioè con atto di fuore o con diverse e varie penitenzie, le quali sono strumento di virtù, ma non virtù. Che se solo fosse questo, senza le virtù di sopra contiate, poco sarebbero piacevoli a me. Anco spesse volte, se l'anima non facesse la penitenzia sua discretamente, ciò è che l'affetto suo fosse posto principalmente nella penitenzia cominciata, impedirebbe la sua perfezione. Ma debbalo ponere ne l'affetto dell'amore con odio santo di sé e con vera umilità e perfetta pazienzia, e nell'altre virtù intrinsiche dell'anima, con fame e desiderio del mio onore e salute dell'anime. Le quali virtù dimostrano che la volontà sia morta, e continuamente si uccide sensualmente per affetto d'amore di virtù.

Con questa discrezione debba fare la penitenzia sua, cioè di ponere il principale affetto nelle virtù più che nella penitenzia. La penitenzia die fare come strumento per aumentare la virtù secondo che è bisogno, e che si vede di poter fare secondo la misura della sua possibilità.

In altro modo, cioè facendo il fondamento sopra la penitenzia, impedirebbe la sua perfezione, § 99 128ss.) perché non sarebbe fatta con lume di cognoscimento di sé e della mia bontà discretamente, e non pigliarebbe la verità mia, ma indiscretamente, non amando quello che Io piú amo, e non odiando quello che Io più odio. Ché discrezione non è altro che un vero cognoscimento che l'anima debba avere di sé e di me: in questo cognoscimento tiene le sue radici. Ella è un figliuolo che è innestato e unito con la carità.

è vero che à molti figliuoli, sì come uno arbore che à molti rami, ma quello che dà vita all'arbore e a' rami è la radice, se ella è piantata nella terra de l'umilità, la quale è baglia e nutrice della carità, dove egli sta innestato questo figliuolo e arbore della discrezione. Ché altrimenti non sarebbe virtù di discrezione e non producerebbe (9r) frutto di vita, se ella non fusse piantata nella virtù de l'umilità, perché l'umilità procede dal cognoscimento che l'anima à di sé, e già ti dissi che la radice della discrezione era un vero cognoscimento di sé e della mia bontà unde subito rende a ogni uno il debito suo. (Rm 13,7) E principalmente el rende a me, rendendo gloria e loda al nome mio, e retribuisce a me le grazie e doni che vede e cognosce avere ricevuti da me. (Ps 115,12) Ed a sé rende quello che si vede avere meritato, cognoscendo sé per sé non essere, e l'essere suo, il quale à, cognosce avere avuto per grazia da me, e ogni altra grazia che à ricevuta sopra l'essere retribuisce a me, e non a sé. Parle essere ingrata a tanti benefici e negligente in non avere esercitato il tempo e le grazie ricevute, e però le pare essere degna delle pene.

Allora si rende odio e dispiacimento nelle colpe sue, e questo fa la virtù della discrezione, fondata nel cognoscimento di sé con vera umilità.

Che se questa umilità non fosse nell'anima, come detto è, sarebbe indiscreta, la quale indiscrezione sarebbe posta nella superbia, come la discrezione è posta ne l'umilità. E però indiscretamente, sì come ladro, furarebbe l'onore a me e darebbelo a sé per propria reputazione; e quello che è suo porrebbe a me, lagnandosi e mormorando de' misteri miei, i quali Io adoperasse in lui o nell'altre mie creature. D'ogni cosa si scandalizarebbe in me e nel prossimo suo: il contrario che fanno coloro che ànno la virtù della discrezione, i quali, poi che ànno renduto il debito che detto è, a me e a loro, rendono poi al prossimo il principale debito (Rm 13,8) dell'affetto della carità e della umile e continua orazione, il quale debba rendere ciascuno l'uno all'altro. E rendegli il debito di dottrina, di santa e onesta vita per esemplo, consigliandolo e aitandolo secondo che gli è di bisogno alla salute sua, come di sopra ti dissi. § 7 In ogni stato che l'uomo è, o signore o prelato o suddito, se egli à questa virtù, ogni cosa che fa e rende al prossimo suo fa discretamente e con affetto di carità, perché elle sono legate ed innestate insieme, e piantate nella terra della vera umilità, la quale esce del conoscimento di sé. (9v)


Caterina, Dialogo