Caterina, Dialogo 42

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CAPITOLO XLII.

Òtti narrato della dignità de' giusti, acciò che meglio cognosca la miseria de' dannati. E questa è l'altra pena loro: vedere la beatitudine dei giusti. La quale visione è a loro accrescimento di pena, come a' giusti la dannazione de' dannati è accrescimento d'esultazione della mia bontà, perché meglio si cognosce la luce per la tenebre e la tenebre per la luce. Sì che lo' sarà pena la visione dei beati, e con pena aspettano l'ultimo dì del giudicio, perché se ne veggono seguitare accrescimento di pena.

E così sarà, però che in quella voce terribile, quando sarà detto a loro: "Surgite mortui, venite ad iudicium" (Mi 6,1), tornerà l'anima col corpo, e ne' giusti sarà glorificato e ne' dannati sarà crociato eternalmente, e grande vergogna e rimproverio riceveranno nell'aspetto della mia Verità e di tutti i beati.

Il vermine della coscienzia allora roderà il mirollo dell'arbore cioè l'anima, e la corteccia di fuore, cioè il corpo.

Rimproverato lo' sarà il sangue che per loro fu pagato e l'opere della misericordia le quali Io feci a loro col mezo del mio Figliuolo, spirituali e temporali, e quello che essi doveano fare nel prossimo loro, sì come si contiene nel santo Evangelio. (Mt 25,42-43) Ripresi saranno della crudeltà che essi ànno avuta verso il prossimo, vedendo la misericordia che da me ànno ricevuta; della superbia e de l'amore proprio, dell'immondizia e avarizia loro. Rinfrescarà duramente (35r) la loro reprensione.

Nel punto della morte la riceve solamente l'anima ma nel giudizio generale la riceverà insiememente l'anima e 'l corpo; perché il corpo è stato compagno e strumento dell'anima a fare il bene e 'l male, secondo ch'è piaciuto alla propria volontà. Ogni operazione buona e gattiva è fatta col mezzo del corpo, e però giustamente, figliuola mia, è renduto a' miei eletti gloria e bene infinito col corpo loro glorificato, remunerandoli delle loro fadighe che per me insiememente con l'anima portò.

E così agli iniqui sarà renduto pena eternale col mezzo del corpo, perché fu strumento del male.

Rinfrescarasselo' la pena e crescerà, riavendo il corpo loro, nell'aspetto del mio Figliuolo. La miserabile sensualità con la immondizia sua riceverà riprensione in vedere la natura loro, cioè l'umanità di Cristo, unita con la purità della deità mia, vedendo levata questa massa d'Adam, natura vostra, sopra tutti i cori degli angeli; ed essi per loro difetti si veggono profondati nel profondo de l'inferno.

E veggono la larghezza e misericordia rilucere nei beati ricevendo il frutto del sangue de l'Agnello, e veggono le pene che essi ànno portate, che tutte stanno per adornamento ne' corpi loro sì come la fregiatura sopra del panno, non per virtù del corpo ma solo per la plenitudine dell'anima, la quale rappresenta al corpo il frutto della fadiga, perché fu compagno con lei ad aoperare la virtù, sì che apparisce di fuore. Sì come lo specchio rappresenta la faccia de l'uomo, così nel corpo si rappresenta il frutto delle fadighe per lo modo che detto t'ò.

Vedendo i tenebrosi tanta dignità, della quale essi sono privati, lo' cresce la pena e la confusione, perché ne' corpi loro apparisce il segno delle iniquità le quali commisero, con pena e crociato tormento. Unde in quella parola che essi udiranno terribile: «Andate (35v) maladetti nel fuoco eternale», (Mt 25,41) egli andarà l'anima e 'l corpo a conversare con le dimonia senza alcuno rimedio di speranza. Avilupparannosi con tutta la puzza della terra, ogni uno per sé in diverso modo, sì come diverse sono state le loro male operazioni: l'avaro con la puzza dell'avarizia, aviluppandosi insieme la sustanzia del mondo e ardendo nel fuoco, la quale egli disordinatamente amò; il crudele con la crudeltà; l'immondo con la immondizia e miserabile concupiscenzia; lo ingiusto con le sue ingiustizie; lo invidioso con la invidia; e l'odio e 'l rancore del prossimo con l'odio. Il disordinato amore proprio di loro, unde nacquero tutti i loro mali, arderà e darà pena intollerabile, sì come capo e principio d'ogni male, accompagnato dalla superbia; sì che tutti in diversi modi saranno puniti, l'anima e 'l corpo insieme.

Or così miserabilemente giongono al fine loro questi che vanno per la via di sotto giù per lo fiume, non vollendosi a dietro a ricognoscere le colpe loro, né a dimandare la misericordia mia, sì come Io ti dissi di sopra. E giongono alla porta della bugia perché seguitaro la dottrina del dimonio il quale è padre delle bugie. (Jn 8,44) Ed esso dimonio è porta loro, e per questa porta giongono all'eterna dannazione, come detto è di sopra.

Sì come gli eletti e figliuoli miei, tenendo per la via di sopra, cioè del ponte, seguitano e tengono la via della verità, ed essa verità è porta, e però disse la mia Verità: «Niuno può andare al Padre se non per me». (Jn 14,6) Egli è la porta e la via unde passano ad intrare in me, mare pacifico.

E così, in contrario, costoro sono tenuti per la bugia la quale lo' dà acqua morta; ed a questo vi chiama il dimonio - ciechi e matti che non se n'aveggono, perché ànno perduto il lume della fede - quasi lo' dica il dimonio: «Chi à sete della (36r) acqua morta venga a me, ché io ne gli darò».



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CAPITOLO XLIII.

Egli è fatto giustiziere mio dalla mia giustizia per tormentare l'anime che miserabilemente ànno offeso me. E in questa vita gli ò posti a tentare, molestando le mie creature; non perché le mie creature sieno vinte, ma perché esse vincano e ricevano da me la gloria della vittoria, provando in loro le virtù. (Lc 22,31 1P 5,8) E niuno in questo debba temere per veruna battaglia né tentazione di dimonio che lo' venga, però che Io gli ò fatti forti e datolo' la fortezza della volontà, fortificata nel sangue del mio Figliuolo. La quale volontà né dimonio né creatura ve la può mutare, però che ella è vostra, data da me col libero arbitrio.

Voi dunque col libero arbitrio la potete tenere e lassare secondo che vi piace. Ella è l'arme la quale voi ponete nelle mani del dimonio e drittamente è uno coltello col quale elli vi percuote e con esso v'uccide.

Ma se l'uomo non dà questo coltello della volontà sua nelle mani del dimonio, ciò è che elli consenta alle tentazioni e molestie sue, giamai non sarà offeso di colpa di peccato per veruna tentazione. Anco el fortificarà, colà dove elli apra l'occhio dell'intelletto a vedere la carità mia, la quale carità permette che siate tentati solo per farvi venire a virtù e a provare la virtù.

A virtù non si viene se non per lo cognoscimento di se medesimo e per cognoscimento di me. Il quale cognoscimento più perfettamente s'acquista nel tempo della tentazione, perché allora cognosce sé non essere, non potendosi levare le pene e le molestie le quali vorrebbe fugire; e me cognosce nella volontà, la quale è fortificata per la bontà mia, che non consente ad esse cogitazioni, e perché (36v) à veduto che la mia carità le concede. Perché il demonio è infermo e per sé non può cavelle, se non quanto Io gli do; ed Io el permetto per amore e non per odio, perché vinciate e non siate vinti, e perché veniate a perfetto cognoscimento di me e di voi e acciò che la virtù sia provata, però che ella non si pruova se non per lo suo contrario. (Tb 12,13 2Co 12,9) Dunque vedi che sono miei ministri a crociare i dannati nell'inferno, e in questa vita ad esercitare e provare la virtù nell'anima. Non che la intenzione del dimonio sia per farvi provare in virtù, però che egli non à carità, ma per privarvi della virtù e questo non può fare se voi non volete.

Or vedi quanta è la stoltizia de l'uomo che si fa debile colà dove Io l'ò fatto forte, ed esso medesimo si mette ne le mani delle dimonia. Unde Io voglio che tu sappi che nel punto della morte, essendo entrati nella vita loro sotto la signoria del dimonio - none sforzati, però che non possono essere sforzati, come detto t'ò, ma volontariamente si sono messi nelle mani loro - giognendo poi all'estremità della morte con questa perversa signoria, essi non aspettano altro giudicio, ma essi medesimi ne sono giudici con la coscienzia loro, e come disperati giongono all'eterna dannazione. Con l'odio stringono lo'nferno in su la estremità della morte e, prima che essi l'abbino, essi medesimi co' loro signori dimoni pigliano per prezzo loro l'inferno.

Sì come i giusti vissuti in carità, morendo in dilezione, quando viene l'estremità della morte - se egli è vissuto perfettamente in virtù alluminato del lume della fede, con l'occhio della fede, con perfetta speranza del sangue dell'Agnello - veggono il bene il quale Io l'ò apparecchiato, e con le braccia de l'amore l'abbracciano, strignendo con strette d'amore me, sommo ed eterno bene, nell'ultima estremità della morte.

E così gusta vita (37r) eterna prima che abbi lassato el corpo mortale, cioè prima che sia separato dal corpo.

Altri che fussero passati nella vita loro e giognessero all'estremità con una carità comune, che non fussero in quella grande perfezione, costoro abbracciano la misericordia mia con quello lume medesimo della fede e della speranza che ebbero quelli perfetti, ma ànnola imperfetta. E perché costoro erano imperfetti strinsero la misericordia, ponendo maggiore la misericordia mia che le colpe loro.

Gl'iniqui peccatori fanno il contrario, vedendo con la disperazione il luogo loro, e con l'odio l'abbracciano come detto t'ò. Sì che non aspettano d'essere giudicati né l'uno né l'altro, ma partonsi di questa vita e riceve ogni uno il luogo suo, come detto t'ò. Gustanlo e posseggono prima che si partano dal corpo nella estremità della morte: i dannati con l'odio e disperazione; i perfetti con l'amore e col lume della fede e con la speranza del sangue; e gli imperfetti, con la misericordia e con quella medesima fede, giongono al luogo del purgatorio.



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CAPITOLO XLIV.

Òtti detto che 'l dimonio invita gli uomini all'acqua morta, cioè a quella che egli à per sé, accecandoli con le delizie e stati del mondo. Con l'amo del diletto gli piglia sotto colore di bene, però che in altro modo non gli potrebbe pigliare, perché non si si lassarebbero pigliare se alcuno bene proprio o diletto non vi trovassero, imperò che l'anima di sua natura sempre appetisce bene.

Ma è vero che l'anima accecata dall'amore proprio. non cognosce né discerne quale sia bene vero e che gli dia utilità all'anima e al corpo. E però il dimonio, come iniquo, vedendo che egli è accecato dal proprio amore sensitivo, gli pone i diversi e vari difetti, i quali sono colorati con colore d'alcuna utilità e d'alcuno bene. E a ogni (37v) uno dà secondo lo stato suo e secondo quelli vizi principali nei quali il vede piú disposto a ricevere: altro dà al secolare, altro dà al religioso, altro a' prelati, altro a' signori e a ciascuno secondo i diversi stati che essi ànno.

Questo t'ò detto, perché Io ora ti contio di costoro che s'anniegano giù per lo fiume, che niuno rispetto ànno altro che a loro, cioè d'amare loro medesimi con offesa di me, dei quali Io t'ò contiato il fine loro.

Ora ti voglio mostrare come essi s'ingannano, ché volendo fuggire le pene caggiono nelle pene. Perché lo' pare che a seguitare me, cioè tenere per la via del ponte del Verbo del mio Figliuolo sia grande fadiga, e però si ritraggono a dietro temendo la spina. Questo è perché sono accecati e non veggono né cognoscono la verità, sì come tu sai che Io ti mostrai nel principio della vita tua, pregandomi tu che Io facesse misericordia al mondo traendoli della tenebre del peccato mortale.

Sai che Io allora ti mostrai me in figura d'uno arbore del quale non vedevi né il principio né il fine, se non che vedevi che la radice era unita con la terra; e questa era la natura divina unita con la terra della vostra umanità. § 22 ,427) A' piei dell'arbore, se bene ti ricorda, era alcuna spina; dalla quale spina tutti coloro che amavano la propria sensualità si dilongavano e correvano a uno monte di lolla, nel quale ti figurai tutti i diletti del mondo. Quella lolla pareva grano e non era; e però, come vedevi, molte anime dentro vi si perivano di fame e molte, cognoscendo lo inganno del mondo, tornavano all'arbore e passavano la spina, cioè la deliberazione della volontà. La quale deliberazione, innanzi ch'ella sia fatta, è una spina la quale gli pare trovare in seguitare la via della verità. Sempre combatte (38r) dall'uno lato la coscienzia, da l'altro lato la sensualità. Ma subito che con odio e dispiacimento di sé virilmente delibera dicendo «io voglio seguitare Cristo crocifisso», rompe subito la spina e truova dolcezza inestimabile, sì come Io allora ti mostrai; chi più e chi meno secondo la disposizione e sollicitudine loro.

Sai che allora Io ti dissi: «Io so' lo Dio vostro immobile che non mi muovo; Io non mi sottragga da veruna creatura che a me voglia venire.» «Mostrato l'ò la verità facendomi visibile a loro essendo Io invisibile; mostrato l'ò che cosa è amare alcuna cosa senza me. Ma essi, come accecati dalla nuvila del disordinato amore, non cognoscono né me né loro.

Vedi come sono ingannati, che prima vogliono morire di fame che passare un poca di spina.» «Non possono fuggire che non sostengano pena, però che in questa vita niuno ci passa sanza croce, se non coloro che tengono per la via di sopra; non che essi passino senza pena, ma la pena a loro è refrigerio. E perché per lo peccato, sì come di sopra ti dissi, il mondo germinò spine e triboli § 21 ,375) e corse questo fiume, mare tempestoso, però vi diei il ponte, acciò che voi non annegaste».



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CAPITOLO XLV.

Òtti mostrato come essi si ingannano con uno disordinato timore e come Io so' lo Dio vostro che non mi muovo, e che Io non so' accettatore delle creature ma del santo desiderio. E questo t'ò mostrato nella figura dell'arbore la quale Io t'ò detta.

Ora ti voglio mostrare a cui le spine e triboli che germinò la terra per lo peccato fanno male, e a cui no. E perché infino a ora ti ò mostrata la loro dannazione insiememente con la mia bontà, e òtti detto come essi sono ingannati dalla propria sensualità, ora ti voglio dire come solo costoro sono quelli che sono offesi dalle spine.

Veruno che nasca in questa vita passa senza fadiga, o corporale o mentale. Corporale la portano i servi miei, ma la mente loro è libera, cioè che non sente fadiga della fadiga, perché à accordata la sua volontà con la (38v) mia. La quale volontà è quella cosa che dà pena all'uomo. Pena di mente e di corpo portano costoro i quali Io t'ò contiati, che in questa vita gustano l'arra dell'inferno, sì come i servi miei gustano l'arra di vita eterna.

Sai tu quale è il più singulare bene che ànno i beati? è d'avere la volontà loro piena di quello che desiderano. Desiderano me, e desiderando me essi m'ànno e mi gustano senza alcuna rebellione, però che ànno lassata la gravezza del corpo, il quale era una legge che impugnava contra lo spirito. Il corpo l'era un mezzo che non lassava cognoscere perfettamente la verità, né potevano vedermi a faccia a faccia perché il corpo non lassava.

Ma poi che l'anima à lassato il peso del corpo la volontà sua è piena, perché desiderando di vedere me ella mi vede, nella quale visione sta la vostra beatitudine. Vedendo cognosce e cognoscendo ama, e amando gusta me, sommo ed eterno Bene; gustando sazia e adempie la volontà sua, cioè il desiderio che egli à di vedere e cognoscere me. Desiderando à e avendo desidera e, come Io ti dissi, dilonga è la pena dal desiderio, e'l fastidio dalla sazietà. (Ap 7,16-17) Sì che vedi che i servi miei ricevono beatitudine principalmente in vedere e cognoscere me; la quale visione e cognoscimento lo' riempie la volontà d'avere ciò che essa volontà desidera, e così è saziata. E però ti dissi che, singularmente, gustare vita eterna era d'avere ciò che la volontà desidera. Ma sappi che ella si sazia nel vedere e cognoscere me, come detto t'ò. In questa vita gustano l'arra di vita eterna, gustando questo medesimo del quale Io t'ò detto ch'essi sono saziati.

Come ànno questa arra in questa vita? Dicotelo: in vedere la mia bontà in sé in cognoscere la mia verità; il quale cognoscimento à lo 'ntelletto illuminato in me, il quale è l'occhio dell'anima. Questo occhio (39r) à la pupilla della santissima fede, il quale lume della fede fa discernere e cognoscere e seguitare la via e la dottrina della mia Verità, Verbo incarnato. Senza questa pupilla della fede non vedrebbe se non come l'uomo che à la forma dell'occhio, ma il panno à ricuperta la pupilla che fa vedere all'occhio. E così l'occhio dell'intelletto: la pupilla sua è la fede la quale, essendovi posto dinanzi il panno della infedelità, tratto dall'amore proprio di se medesimo, non vede; à la forma dell'occhio ma non il lume, perché esso se l'à tolto. (Mt 6,22-23) Sì che vedi che nel vedere cognoscono, e cognoscendo amano, e amando anniegano e perdono la volontà loro propria.

Perduta la loro si vestono della mia, che non voglio altro che la vostra santificazione. E subito si dànno a vollere il capo a dietro dalla via di sotto, e cominciano a salire per lo ponte e passano sopra le spine, e perché sono calzati i piei dell'affetto loro con la mia volontà, non lo' fa male. (Ep 6,11ss.) E però ti dissi che sostenevano corporalmente e non mentalmente perché la volontà sensitiva è morta, la quale dà pena e affligge la mente della creatura. Tolta la volontà è tolta la pena, ed ogni cosa portano con reverenzia, reputandosi grazia d'essere tribolati per me, e non desiderano se non quello che Io voglio.

Se Io lo' do pena da parte delle dimonia, permettendolo' le molte tentazioni per provarli nelle virtù, sì come Io ti dissi di sopra, § 43 ,750ss.) essi resistono con la volontà, la quale ànno fortificata in me, umiliandosi e reputandosi indegni della pace e quiete della mente e reputandosi degni della pena; e così passano con allegrezza e cognoscimento di loro senza pena affliggitiva.

Se ella è tribolazione dagli uomini, o infermità, o povertà, o mutamento di stato nel mondo, o privazione di figliuoli o dell'altre creature le quali molto amasse, le quali tutte sono spine che germinò la terra dopo il (39v) peccato, tutte le porta col lume della ragione e della fede santa, raguardando me che so' somma bontà e non posso volere altro che bene; e per bene le concedo, per amore e non per odio.

E cognosciuto che ànno l'amore in me, ed essi raguardano loro, cognoscendo i loro difetti; e veggono col lume della fede che 'l bene debba essere remunerato e la colpa punita. Ogni piccola colpa veggono che meriterebbe pena infinita, perché è fatta contra me che so' infinito Bene, e recansi a grazia che Io in questa vita gli voglia punire, e in questo tempo finito. E così insiememente scontiano il peccato con la contrizione del cuore, e con la perfetta pazienza meritano, e le fadighe loro sono remunerate di bene infinito.

Poi cognoscono che ogni fadiga di questa vita è piccola per la piccolezza del tempo: il tempo è quanto una punta d'aco e non più, e passato il tempo è passata la fadiga, adunque vedi che è piccola. Essi portano con pazienzia, e passano le spine attuali e non lo' toccano il cuore, perché il cuore loro è tratto di loro per amore sensitivo, e posto e unito in me per affetto d'amore.

Bene è dunque la verità che costoro gustano vita eterna ricevendo l'arra in questa vita; e stando nell'acqua non si immollano, passando sopra le spine non si pungono, come detto t'ò, perché ànno cognosciuto me, sommo Bene, e cercatolo colà dove egli si truova, cioè nel Verbo de l'unigenito mio Figliuolo.



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CAPITOLO XLVI.

Questo t'ò detto acciò che tu cognosca meglio e in che modo costoro gustano l'arra dello 'nferno, de' quali Io ti dissi lo inganno loro.

Ora ti dico unde procede lo inganno e come ricevono l'arra dell'inferno: questo è perché ànno accecato l'occhio de l'intelletto con la infedelità tratta dall'amore proprio.

Come ogni verità s'acquista col lume della fede, (40r) così la bugia e l'inganno s'acquistano con la infedelità. Della infedelità dico di coloro che ànno ricevuto il santo battesmo, nel quale battesmo fu messa la pupilla della fede ne l'occhio de l'intelletto. Venuto il tempo della discrezione, se essi s'esercitano in virtù, costoro ànno conservato il lume della fede e partoriscono le virtù vive, facendo frutto al prossimo loro: come la donna che fa il figliuolo vivo, e vivo el dà allo sposo suo, così costoro dànno le virtù vive a me, che so' sposo dell'anima.

Il contrario fanno questi miserabili che, venuto il tempo della discrezione, dove essi debbono esercitare il lume della fede e parturire con vita di grazia le virtù, ed essi le parturiscono morte. Morte sono, perché tutte l'operazioni loro sono morte, essendo fatte in peccato mortale, privati del lume della fede.

Ànno bene la forma del santo battesmo ma non il lume, però che ne sono privati per la nuvila della colpa commessa per amore proprio, la quale à ricoperta la pupilla unde vedevano.

A costoro è detto, i quali ànno fede senza opera, che la fede loro è morta. (Jc 2,26) Unde, come il morto non vede, così l'occhio: ricoperta la pupilla come detto t'ò, non vede né cognosce se medesimo non essere, né i difetti suoi che egli à commessi, né cognosce la bontà mia in sé, donde à avuto l'essere e ogni grazia che è posta sopra l'essere. § 31 ,26ss.) Non cognoscendo me né sé, non odia in sé la propria sensualità anco l'ama, cercando di satisfare all'appetito suo, e così parturisce i figliuoli morti di molti peccati mortali. Né me non ama: non amando me, non ama quello che Io amo, cioè il prossimo suo; non si diletta d'aoperare quello che mi piace, ciò sono le vere e reali virtù, le quali mi piacciono di vedere in voi, non per mia utilità, però che a me non potete fare utilità, però che Io so' colui che (40v) so' e niuna cosa è fatta senza me, se non il peccato che non è cavelle; per che priva l'anima di me che so' ogni bene, privandola della grazia. Sì che per vostra utilità mi piacciono, perché Io abbi di che rimunerarvi in me, vita durabile.

Sì che vedi che la fede di costoro è morta, perché è senza opera, e quelle operazioni le quali fanno non lo' vagliono a vita eterna perché non ànno vita di grazia. Non di meno il bene adoperare non si debba però lassare, o con grazia o senza la grazia, però che ogni bene è remunerato e ogni colpa punita. Il bene che si fa in grazia senza peccato mortale vale a vita eterna; ma quello che si fa con la colpa del peccato mortale non vale a vita eterna, nondimeno è remunerato in diversi modi, sì come di sopra ti dissi. § 28 ,177) Unde alcuna volta Io lo' presto il tempo, o Io li metto nel cuore dei servi miei per continua orazione, per le quali orazioni escono della colpa e delle miserie loro.

Alcuna volta, non ricevendo il tempo né l'orazioni per disposizione di grazia, a questi cotali l'è remunerato sopra le cose temporali, facendo di loro come dell'animale che s'ingrassa per menarlo al macello. Così questi cotali che sempre ànno ricalcitrato in ogni modo alla mia bontà pure fanno alcuno bene, non in stato di grazia, come detto t'ò, ma in peccato. Essi non ànno voluto ricevere in questa loro operazione il tempo né l'orazioni né gli altri diversi modi co' quali Io gli ò chiamati; unde, essendo riprovati da me per li loro difetti - e la mia bontà vuole pure remunerare quella operazione, cioè quello poco del servizio che ànno fatto - gli remunero nelle cose temporali e ine s'ingrassano; e non correggendosi giongono al supplicio eternale. Sì che vedi che sono ingannati. Chi gli à ingannati? Essi medesimi, perché s'ànno tolto il lume della fede viva e vanno come accecati, palpando e attaccandosi a quello che toccano. E perché non veggono se non con l'occhio cieco, posto l'affetto loro nelle cose transitorie, però sono ingannati (Mt 13,15 Ac 28,27 Is 6,9-10) e fanno come (41r) stolti che raguardano solamente l'oro e non il veleno. Unde sappi che le cose del mondo e tutti i diletti e piaceri suoi, se sono presi e acquistati e posseduti senza me e con proprio e disordinato amore, essi portano drittamente la figura degli scorpioni, i quali al principio tuo, dopo la figura de l'arbore, § 44 Io ti mostrai dicendoti che portavano l'oro dinanzi e'l veleno portavano dietro; e non era il veleno senza l'oro, né l'oro senza il veleno, ma il primo aspetto era l'oro. E niuno si difendeva dal veleno se none coloro che erano alluminati del lume della fede. (Ap 9,7 Ap 9,10)


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CAPITOLO XLVII.

Costoro ti dissi che col coltello di due tagli, cioè coll'odio del vizio e amore della virtù, per amore di me tagliavano il veleno della propria sensualità, e col lume della ragione tenevano e possedevano e acquistavano l'oro in queste cose mondane, chi le voleva tenere. Ma chi voleva usare la grande perfezione le spregiava attualmente e mentalmente. Questi ti dissi che osservavano el consiglio attualmente e mentalmente, il quale lo' fu dato dalla mia Verità, e lassato. (Mt 19,16-22 Mc 10,17-22 Lc 18,18-23) Costoro che possedevano sono quelli che osservano i comandamenti e i consigli mentalmente ma non attualmente.

Ma però ch'e consigli sono legati coi comandamenti, niuno può osservare i comandamenti che non osservi i consigli, non attualmente ma mentalmente; ciò è che possedendo le ricchezze del mondo, egli le possegga con umilità e non con superbia, possedendole come cosa prestata e non come cosa sua, come elle sono date a voi per uso dalla mia bontà. Unde tanto l'avete quanto Io ve le do, e tanto le tenete quanto Io ve le lasso; e tanto ve le lasso e do quanto Io veggo che faccino per la vostra salute. Per questo modo le dovete usare.

Usandole l'uomo così osserva il comandamento amando me sopra ogni cosa, e'l prossimo come se medesimo. § 147 ,1498ss.) Vive col cuore spogliato e gittale da sé per desiderio, ciò è che non l'ama né tiene senza la mia volontà. Poniamo (41v) che attualmente le possegga, osserva il consiglio per desiderio come detto t'ò, tagliandone il veleno del disordinato amore.

Questi cotali stanno nella carità comune. Ma coloro che osservano e comandamenti e consigli, attualmente e mentalmente, sono nella carità perfetta. Con vera simplicità osservano il consiglio che disse la mia Verità, Verbo incarnato, a quello giovano, quando dimandò dicendo: «Che potrei io fare, maestro, per avere vita eterna?» Egli disse: «Osserva i comandamenti della legge», ed egli rispondendo disse: «Io gli osservo», ed elli disse: «Bene, se tu vuogli esser perfetto, va e vende ciò che tu ài e dàllo a' povari».

Il giovano allora si contristò, perché le ricchezze che egli aveva le teneva ancora con troppo amore e però si contristò. Ma questi perfetti gli osservano, abbandonando il mondo con tutte le delizie sue, macerando il corpo con la penitenzia e vigilia, umile e continua orazione.

Questi altri, che stanno nella carità comune, non levandosi attualmente non perdono però vita eterna, perché non ne sono tenuti, ma debbonle possedere, se essi vogliono, le cose del mondo, per lo modo che detto t'ò. Tenendole non offendono, perché ogni cosa è buona e perfetta, e create da me che so' somma Bontà, e fatte perché servano alle mie creature che ànno in loro ragione, e non perché le creature si faccino servi e schiavi delle delizie del mondo; anco perché le tengano, se lo' piace di tenere, non volendo andare alla grande perfezione, non come signori ma come servi. (Let 345) Il desiderio loro debbono dare a me, e ogni altra cosa amare e tenere, non come cosa loro ma come cosa prestata, come detto t'ò.

Io non so' accettatore delle creature (Ac 10,34) né degli stati, ma de' santi desideri. In ogni stato che la persona vuole stare, abbi buona e santa volontà ed è piacevole a me.

Chi le terrà a questo modo? Coloro che n'ànno mozzato il veleno con l'odio della propria sensualità e con amore della virtù. Avendo mozzo il veleno della (42r) disordinata volontà e ordinatala con amore e santo timore di me, egli può eleggere e tenere ogni stato che egli vuole, e in ogni uno sarà atto ad avere vita eterna, poniamo che maggiore perfezione e più piacevole a me sia di levarsi mentalmente e attualmente da ogni cosa del mondo. (Let 345) Chi non si sente di giognere a questa perfezione, che la fragilità sua no 'l patisse, può stare in questo stato comune, ogni uno secondo lo stato suo. E questo à ordinato la mia bontà acciò che niuno abbi scusa di peccato in qualunque stato si sia.

E veramente non ànno scusa, però che Io so' consceso alle passioni e debilezze loro per sì fatto modo che, volendo stare nel mondo, possono, e posedere le ricchezze e tenere stato di signoria, e stare allo stato del matrimonio e nutricare ed affadigarsi per li figliuoli. E qualunque stato si vuole essere possono tenere, pure che in verità essi taglino il veleno della propria sensualità la quale dà morte eternale.

E drittamente ella è uno veleno, ché, come il veleno dà pena nel corpo e ne l'ultimo ne muore, se già l'uomo non s'argomenta di vomicarlo e di pigliare alcuna medicina, così questo scarpione del diletto del mondo: non le cose temporali in loro, ché già t'ò detto che elle sono buone e fatte da me che so' somma bontà, e però le può usare come gli piace con santo amore e vero timore, ma dico del veleno della perversa volontà dell'uomo. Dico che ella avelena l'anima e dàlle la morte, se essa non el vomica per la confessione santa, traendone il cuore e l'affetto. La quale è una medicina che'l guarisce di questo veleno, poniamo che paia amara alla propria sensualità.

Vedi dunque quanto sono ingannati! Ché possono possedere e avere me, possono fugire la tristizia e avere letizia e consolazione, ed essi vogliono pure male sotto colore di bene, e dànnosi a pigliare l'oro con disordinato amore. Ma perché essi sono accecati con molta infedelità (42v) non cognoscono il veleno; veggonsi avelenati e non pigliano el rimedio.

Costoro portano la croce del dimonio gustando l'arra dell'inferno.



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CAPITOLO XLVIII.

Io sì ti dissi di sopra che solo la volontà dava pena all'uomo, § 44 ,844; § 45 ,887) e perché i servi miei sono privati della loro e vestiti dalla mia, non sentono pena affliggitiva, ma sono saziati sentendo me per grazia nell'anime loro. Non avendo me non possono essere saziati, se essi possedessero tutto quanto il mondo, perché le cose create sono minori che l'uomo, però che elle sono fatte per l'uomo e non l'uomo per loro, e però non può essere saziato da loro. Solo Io el posso saziare. E però questi miserabili, posti in tanta cechità, sempre s'affannano e mai non si saziano, e desiderano quello che non possono avere, perché non l'adimandano a me che gli posso saziare.

Vuogli ti dica come essi stanno in pene? Tu sai che l'amore sempre dà pena, perdendo quella cosa con che la creatura s'è conformata. Costoro ànno fatta conformità, per amore, nella terra in diversi modi, però terra sono diventati.

Chi fa conformità con la ricchezza, chi nello stato, chi ne' figliuoli, chi perde me per servire alle creature chi fa del corpo suo uno animale bruto con molta immondizia. E così per diversi stati appetiscono e pasconsi di terra. Vorrebbono che fussero stabili ed egli non sono, anco passano come il vento, però che o essi vengono meno a loro col mezzo della morte, o vero che di quello che essi amano ne sono privati per mia dispensazione. Essendone privati sostengono pena intollerabile, e tanto la perdono con dolore quanto l'ànno posseduta con disordinato amore. Avesserle tenute come cosa prestata e non come cosa loro, lassavanle senza pena. Ànno pena perché non ànno quello che desiderano, però che, come Io ti dissi, il mondo non gli può saziare; non essendo saziati ànno pena.

Quante sono le pene dello stimolo (43r) della coscienzia? Quante sono le pene di colui che appetisce vendetta? Continuamente si rode, e imprima à morto sé, che egli uccida il nimico suo: il primo morto è egli, uccidendo sé col coltello de l'odio.

Quanta pena sostiene l'avaro, che per avarizia strema la sua necessità? quanto tormento à lo invidioso che sempre si rode nel cuore suo? E' non gli lassi pigliare diletto del bene del prossimo suo. Di tutte quante le cose che egli ama sensitivamente ne trae pena con molti disordinati timori: ànno presa la croce del dimonio, gustando l'arra dell'inferno. In questa vita ne vivono infermi con molti diversi modi, se essi non si correggono, e ricevonne poi morte eternale.

Or costoro sono quelli che sono offesi dalle spine delle molte tribolazioni, crociandosi loro medesimi colla propria disordinata volontà. Costoro ànno croce di cuore e di corpo, ciò è che con pena e tormento passa l'anima e il corpo senza alcuno merito, perché non portàro le fadighe con pazienzia, anco con impazienzia, perché ànno posseduto e acquistato l'oro e le delizie del mondo con disordinato amore.

Privati della vita della grazia e dell'affetto della carità, fatti sono arbori di morte, e però tutte le loro operazioni sono morte, e con pena vanno per lo fiume annegandosi, e giongono all'acqua morta, passando con odio per la porta del dimonio, e ricevono l'eterna dannazione.

Ora ài veduto come essi s'ingannano e con quanta pena essi vanno all'inferno facendosi martiri del dimonio, e quale è quella cosa che gli accieca, cioè la nuvila dell'amore proprio posta sopra la pupilla del lume della fede. E veduto ài come le tribolazioni del mondo, da qualunque lato elle vengono, offendono i servi miei corporalmente, ciò è che sono perseguitati dal mondo, ma non mentalmente, perché sono conformati colla mia volontà. Però sono contenti di sostenere pena per me.

Ma i servi (43v) del mondo sono percossi dentro e di fuore, e singularmente dentro: dal timore che essi ànno di non perdere quello che posseggono, e dall'amore, desiderando quello che non possono avere. Tutte le altre fadighe che seguitano dopo queste due, che sono le principali, la lingua tua non sarebbe sufficiente a narrarle. Vedi dunque che in questa vita medesima ànno migliore partito i giusti ch'e peccatori.

Ora ài veduto appieno il loro andare e il termine loro.




Caterina, Dialogo 42