Caterina, Dialogo 49

49

CAPITOLO XLIX.

Ora ti dico che alquanti sono che, sentendosi speronare dalle tribolazioni del mondo - le quali Io do § 143 acciò che l'anima cognosca che'l suo fine non è questa vita, e che queste cose sono imperfette e transitorie, e desiderino me che so' loro fine, e così le debba pigliare - questi cominciano a levarsi la nuvila con la propria pena che essi sentono, e con quella che veggono che lo' debba seguitare dopo la colpa.

Con questo timore servile cominciano a escire del fiume, vomitando il veleno il quale l'era stato gittato dallo scorpione in figura d'oro, e preso l'avevano senza modo e non con modo, § 47 ,1146ss.) e però ricevettero il veleno da lui. Cognoscendolo, il cominciano a levare e drizzarsi verso la riva per attaccarsi al ponte.

Ma non è sufficiente d'andare solo col timore servile, però che spazzare la casa del peccato mortale senza empirla di virtù fondate in amore, e non pure in timore, non è sufficiente a dare vita eterna se esso non pone amendue e piei nel primo scalone del ponte, cioè l'affetto e'l desiderio, i quali sono i piei che portano l'anima nell'affetto della mia Verità, della quale Io v'ò fatto ponte.

Questo è il primo scalone del quale Io ti dissi che vi conveniva salire dicendoti come egli avea fatta scala del corpo suo. § 26 Bene è vero che, quasi, questo è uno levare generale che comunemente fanno i servi del mondo, levandosi prima per timore della pena. E perché le tribolazioni (44r) del mondo alcuna volta lo' fa venire a tedio loro medesimi, però lo' comincia a dispiacere. Se essi esercitano questo timore col lume della fede passaranno all'amore delle virtù.

Ma alquanti sono che vanno con tanta tiepidezza che spesse volte vi ritornano dentro, però che poi che sono gionti alla riva, giognendo i venti contrari sono percossi da l'onde del mare tempestoso di questa tenebrosa vita.

Se giogne il vento della prosperità, non essendo salito, per sua negligenzia, il primo scalone, cioè con l'affetto suo e con amore della virtù, egli volle il capo indietro alle delizie con disordinato diletto.

E se viene vento d'avversità si volle per impazienzia perché non à odiata la colpa sua per l'offesa che à fatta a me, ma per timore della propria pena la quale se ne vede seguitare, col quale timore s'era levato dal vomico; perché ogni cosa di virtù vuole perseveranzia, e non perseverando non viene in effetto del suo desiderio, cioè di giognere al fine per lo quale egli cominciò, al quale non perseverando non giogne mai. E però è bisogno la perseveranzia a volere compire il suo desiderio.

Òtti detto che costoro si vollono secondo i diversi movimenti che lo' vengono: o in loro medesimi, impugnando la loro propria sensualità contra lo spirito; o dalle creature vollendosi a loro, o con disordinato amore fuori di me, o per impazienzia per ingiuria che riceva da loro; o dalle dimonia con molte e diverse battaglie: alcuna volta con lo spregiare per farlo venire a confusione, dicendo: «Questo bene che tu ài cominciato non ti vale per li peccati e difetti tuoi», e questo fa per farlo tornare indietro e fargli lassare quel poco de l'esercizio che egli à preso; alcuna volta col diletto, cioè con la speranza che egli piglia della misericordia mia, dicendo: «A che ti vuogli affadigare? Godeti questa vita, e nella estremità della vita cognoscendo te riceverai misericordia», e per questo modo il dimonio lo' fa perdere il timore col quale avevano (44v) cominciato. § 31 Per tutte queste e molte altre cose vollono il capo indietro e non sono costanti né perseveranti. E tutto l'adiviene perché la radice dell'amore proprio non è punto divelta in loro, e però non sono perseveranti ma ricevono con grande presunzione la misericordia con la speranza, la quale pigliano ma non come debono pigliare, ma ignorantemente; e come presuntuosi sperano nella misericordia mia, la quale continuamente è offesa da loro.

Non ò data né do la misericordia perché essi offendano con essa, ma perché con essa si difendano dalla malizia del dimonio e disordinata confusione della mente. Ma essi fanno tutto il contrario, ché col braccio della misericordia offendono. E questo l'adiviene perché non ànno esercitata la prima mutazione che essi fecero, levandosi con timore della pena, ed impugnati dalla spina delle molte tribolazioni, dalla miseria del peccato mortale, unde non mutandosi non giongono all'amore delle virtù. E però non ànno perseverato. L'anima non può fare che non si muti, unde se ella non va innanzi si torna a dietro. § 99 ,118)

Sì che questi cotali non andando innanzi con la virtù levandosi dalla imperfezione del timore e giognendo all'amore, bisogno è che tornino indietro. -

50

CAPITOLO L.

Allora quella anima ansietata di desiderio, considerando la sua e l'altrui imperfezione, addolorata d'udire e vedere tanta cechità delle creature, avendo veduto che tanta era la bontà di Dio, che niuna cosa aveva posta in questa vita che fosse impedimento alla salute de l'uomo, in qualunque stato si fosse, ma tutte ad esercitamento e a provazione della virtù, e nondimeno, con tutto questo, per lo proprio amore e disordinato affetto n'andavano giù per lo fiume; non correggendosi vedevali giognere all'eterna (45r) dannazione.

E molti di quegli che v'erano, che cominciavano, tornavano indietro per la cagione che udita aveva dalla dolce bontà di Dio, che aveva degnato di manifestare se medesimo a lei. E per questo stava in amaritudine. E fermando essa l'occhio de l'intelletto nel Padre eterno, diceva: - O amore inestimabile, grande è lo 'nganno delle tue creature! Vorrei che, quando piacesse alla tua bontà, tu più distintamente mi spianassi i tre scaloni figurati nel corpo de l'unigenito tuo Figliuolo; e che modo essi debbono tenere per escire al tutto del pelago e tenere per la via della Verità tua; e chi sono coloro che salgono la scala. -

51

CAPITOLO LI.

Allora, raguardando la divina Bontà con l'occhio della sua misericordia il desiderio e la fame di quella anima, diceva: - Dilettissima figliuola mia, Io non so' spregiatore del desiderio, anco so' adempitore de' santi desideri e però Io ti voglio dichiarare e mostrare di quel che tu mi dimandi.

Tu mi dimandi che Io ti spiani la figura de' tre scaloni, § 26 ,16-18) e che Io ti dica che modo ànno a tenere a potere escire del fiume e salire il ponte. E poniamo che di sopra, § 46 -XLVIII) contiandoti lo 'nganno e cechità de l'uomo, e come in questa vita gustano l'arra de l'inferno sì come martiri del dimonio, e ricevono l'eterna dannazione - dei quali Io ti contiai il frutto loro che essi ricevono delle loro male operazioni, e narrandoti queste cose ti mostravo i modi che dovevano tenere - nondimeno più appieno ora te 'l dichiararò, satisfacendo al tuo desiderio.

Tu sai che ogni male è fondato nell'amore proprio di sé, il quale amore è una nuvila che tolle il lume della ragione, la quale ragione tiene in sé il lume della fede, e non si perde l'uno che non si perda l'altro.

L'anima creai Io alla imagine e similitudine mia dandole la memoria, lo 'ntelletto e la volontà. Lo 'ntelletto è la più nobile parte dell'anima; esso intelletto è mosso dall'affetto, e l'intelletto nutrica l'affetto, e la mano de l'amore, cioè l'affetto, empie la memoria del ricordamento di me e dei benefici che à ricevuti (45v). Il quale ricordamento el fa sollicito e non negligente, fallo grato e non scognoscente. Sì che l'una potenzia porge all'altra, e così si nutrica l'anima nella vita della grazia. § 10 ,587; § 110 ,142) L'anima non può vivere senza amore, ma sempre vuole amare alcuna cosa, perché ella è fatta d'amore ché per amore la creai. E però ti dissi che l'affetto moveva lo 'ntelletto, quasi dicendo: «Io voglio amare però che 'l cibo di cui mi nutrico si è l'amore». Allora lo 'ntelletto, sentendosi isvegliare dall'affetto, si leva quasi dica: «Se tu vuogli amare, io ti darò bene quello che tu possi amare». E subito si leva specolando la dignità dell'anima e la indegnità nella quale è venuta per la colpa sua. Nella dignità dell'essere gusta la inestimabile mia bontà e carità increata con la quale Io la creai; ed in vedere la sua miseria truova e gusta la misericordia mia, che per misericordia l'ò prestato il tempo e tratta della tenebre.

Allora l'affetto si nutrica in amore, aprendo la bocca del santo desiderio con la quale mangia odio e dispiacimento della propria sensualità, unta di vera umilità con perfetta pazienzia, la quale trasse de l'odio santo. Concepute le virtù, elle si parturiscono perfettamente e imperfettamente, secondo che l'anima esercita la perfezione in sé, sì come di sotto dirò.

Così per lo contrario, se l'affetto sensitivo si muove a volere amare cose sensitive, l'occhio de l'intelletto a quello si muove, e ponsi per obietto solo cose transitorie, con amore proprio, con dispiacimento della virtù e amore del vizio, unde traie superbia e impazienzia; la memoria non s'empie d'altro che di quello che le porge l'affetto. Questo amore à abbaccinato l'occhio, che non discerne né vede se none cotali chiarori. Questo è il chiarore suo, ché lo intelletto ogni cosa vede e l'affetto ama con alcuna chiarezza di bene e di diletto. E se questo chiarore non avesse non offenderebbe, perché l'uomo di sua natura non può desiderare altro che bene. Sì che il vizio è colorato col colore del proprio bene, e però offende l'anima. Ma perché l'occhio non discerne per la cechità sua, non cognosce la verità, e però erra cercando il bene e diletti (46r) colà dove non sono.

Già t'ò detto ch'e' diletti del mondo sono tutti spine piene di veleno; (Lc 8,14; § 138 ; Let 304) sì che è ingannato lo 'ntelletto nel suo vedere e la volontà nell'amare, amando quello che non debba, e la memoria nel ritenere. Lo 'ntelletto fa come il ladro, che imbola l'altrui, e così la memoria ritiene il ricordamento continuo di quelle cose che sono fuore di me, e per questo modo l'anima si priva della grazia. Tanta è l'unità di queste tre potenzie dell'anima, che Io non posso essere offeso da l'una che tutte non mi offendano, perché l'una porge all'altra, sì come Io t'ò detto, il bene e 'l male secondo che piace al libero arbitrio. Questo libero arbitrio è legato con l'affetto, e però el muove secondo che gli piace, o con lume di ragione o senza ragione. Voi avete la ragione legata in me, colà dove il libero arbitrio con disordinato amore non vi tagli; e avete la legge perversa che sempre impugna contra lo spirito. (Rm 7,23) Avete adunque due parti in voi, cioè la sensualità e la ragione. La sensualità è serva, e però è posta perché ella serva all'anima, ciò è che con lo strumento del corpo proviate ed esercitiate le virtù. § 42 ,641ss.) L'anima è libera, liberata da la colpa nel sangue del mio Figliuolo, (Ga 5,1) e non può essere signoreggiata se ella non vuole consentire con la volontà, la quale è legata col libero arbitrio; ed esso libero arbitrio si fa una cosa con la volontà, accordandosi con lei. Egli è legato in mezzo fra la sensualità e la ragione: a qualunque egli si vuole vollere, si può.

è vero che quando l'anima si reca a congregare con la mano del libero arbitrio le potenzie sue nel nome mio, sì come detto t'ò, allora sono congregate tutte l'operazioni che fa la creatura, spirituali e temporali.

Allora si scioglie il libero arbitrio dalla propria sensualità e legasi con la ragione. Io allora per grazia mi riposo nel mezzo di loro; e questo è quello che disse la mia Verità, Verbo incarnato, dicendo: «Quando saranno due o tre o più congregati nel nome mio, Io sarò nel mezo di loro», (Mt 18,20) e così è la verità. E già ti dissi che niuno poteva venire (46v) a me, se non per lui, § 22 e però n'avevo fatto ponte con tre scaloni; i quali tre scaloni figurano tre stati dell'anima, sì come di sotto ti narrarò.



52

CAPITOLO LII.

Òtti spianata la figura dei tre scaloni in generale per le tre potenzie dell'anima, le quali sono tre scale, e non si può salire l'una senza l'altra, a volere passare per la dottrina e ponte della mia Verità. Né non può l'anima, se non à unite queste tre potenzie insieme, avere perseveranzia.

Della quale perseveranzia Io ti dissi di sopra, § 49 quando tu mi dimandasti del modo che dovessero tenere questi andatori a escire del fiume, che Io ti spianasse meglio i tre scaloni; ed Io ti dissi che senza la perseveranzia niuno poteva giognere al termine suo.

Due termini sono, e ogni uno richiede perseveranzia, ciò è il vizio e la virtù. Se tu vuogli giugnere a vita, ti conviene perseverare nella virtù, e chi vuole giognere a morte eternale persevera nel vizio. Sì che con perseveranzia si viene a me che so' vita; e al dimonio a gustare l'acqua morta.



53

CAPITOLO LIII.

Voi siete tutti invitati generalmente e particularmente dalla mia Verità, quando gridava nel tempio per ansietato desiderio dicendo: «Chi à sete venga a me e beia, però che Io so' fonte d'acqua viva». (Jn 7,37) Non disse «vada al Padre e beia», ma disse «venga a me». Perché? Però che in me, Padre, non può cadere pena, ma sì nel mio Figliuolo. E voi, mentre che sete peregrini e viandanti in questa vita mortale, non potete andare senza pena, perché per lo peccato la terra germinò spine, sì come detto è.

E perché disse: «Venga a me e beia»? Perché seguitando la dottrina sua, o per la via dei comandamenti coi consigli mentali, o dei comandamenti coi consigli attuali, cioè d'andare o per la carità perfetta o per la carità comune, sì come di sopra ti dissi, § 47 ,1112ss.) per qualunque modo che voi passiate ad andare a lui, cioè seguitando la sua dottrina, voi trovate che bere, trovando e gustando il frutto del sangue per l'unione della natura divina unita nella natura umana. E trovandovi (47r) in lui, vi trovate in me che so' mare pacifico, perché so' una cosa con lui ed egli è una cosa con meco. (Jn 10,30) Sì che voi sete invitati alla fonte dell'acqua viva della grazia.

Convienvi tenere per lui, che v'è fatto ponte, con perseveranzia, sì che niuna spina né vento contrario, né prosperità né avversità, né altra pena che poteste sostenere vi debba fare vollere il capo a dietro, ma dovete perseverare infino che troviate me che vi do acqua viva, e dòvela per mezzo di questo dolce e amoroso Verbo, unigenito mio Figliuolo.

Ma perché disse: «Io sono fonte d'acqua viva?» Però che egli fu la fonte la quale conteneva me che do acqua viva, unendosi la natura divina con la natura umana. (Let 318) Perché disse: «Venga a me e beia?» Però che non potete passare senza pena, e in me non cadde pena ma sì in lui; e però che di lui Io vi feci ponte, niuno può venire a me se non per lui. E così disse egli: «Niuno può andare al Padre se non per me». (Jn 14,6) E così disse verità la mia Verità.

Ora ài veduto che via egli vi conviene tenere e che modo, ciò è con la perseveranzia. E altrimenti non bereste, però che ella è quella virtù che riceve gloria e corona di vittoria in me, (1Co 9,24 2Tm 2,4) Vita durabile.



54

CAPITOLO LIV.

Ora ti ritorno a' tre scaloni, per li quali vi conviene andare a volere escire del fiume e non annegare, e giognere all'acqua viva alla quale sete invitati, e a volere che Io sia in mezo di voi; però che allora nell'andare vostro Io so' nel mezo, che per grazia mi riposo nell'anime vostre. (Jn 15,5) Convienvi dunque, a volere andare, avere sete, però che soli coloro che ànno sete sono invitati dicendo: «Chi à sete venga a me e beia». Chi non à sete non persevera nell'andare, però che, o egli si ristà per fadiga o egli si ristà per diletto; né non si cura di portare il vaso con che egli possa attignere, né non si cura d'avere la compagnia, e solo non può andare. E però volle il capo indietro quando vede giognere alcuna puntura di persecuzioni, perché se n'è fatto nimico. Teme perché (47v) egli è solo, ma se fosse accompagnato non temerebbe. () Se avessa saliti i tre scaloni sarebbe sicuro, perché non sarebbe solo. Convienvi dunque avere sete e congregarvi insieme, sì come disse, o due o tre o più. Perché disse «due o tre»? Perché non sono due senza tre, né tre senza due. Uno è schiuso che Io sia in mezzo di lui, perché non à seco compagno sì che Io possa stare in mezzo; e non è cavelle, però che colui che sta nell'amore proprio di sé è solo perché è separato dalla grazia mia e dalla carità del prossimo suo, ed essendo privato di me per la colpa sua torna a non cavelle, perché solo Io so' colui che so'. Sì che colui che è uno, cioè sta solo nell'amore proprio di sé, non è contiato dalla mia Verità né accetto a me.

Dice dunque: «Se saranno due o tre o più congregati nel nome mio, Io sarò nel mezzo di loro» (Mt 18,20) Dissiti che due non erano senza tre, né tre senza due, e così è. Tu sai che i comandamenti della legge stanno solamente in due, e senza questi due niuno se ne osserva, ciò è d'amare me sopra ogni cosa e'l prossimo come te medesima. (Mt 22,37-40 Mc 12,29-31 Lc 10,27; Let 259) Questo è il principio, e'l mezzo, e'l fine dei comandamenti della legge.

Questi due non possono essere congregati nel nome mio senza tre; ciò è senza la congregazione delle tre potenzie dell'anima, cioè la memoria, lo 'ntelletto e la volontà, sì che la memoria ritenga i benefizi miei e la mia bontà in sé; lo 'ntelletto raguardi nell'amore ineffabile il quale Io ò mostrato a voi col mezzo de l'unigenito mio Figliuolo, il quale ò posto per obietto all'occhio de l'intelletto vostro acciò che in lui raguardi il fuoco della mia carità; e la volontà allora sia congregata in loro, amando e desiderando me che so' suo fine.

Come queste tre virtù e potenzie dell'anima sono congregate, Io so' nel mezo di loro per grazia. E perché allora l'uomo si truova pieno della carità mia e del prossimo suo, subbito si truova la compagnia delle molte e reali virtù. § 7 ,347) Allora l'appetito dell'anima si dispone ad (48r) avere sete. Sete, dico, della virtù e de l'onore di me e salute dell'anime. Ed ogni altra sete è spenta e morta in loro, e va sicuramente senza alcuno timore servile, salito lo scalone primo dell'affetto. Perché l'affetto, spogliatosi del proprio amore, saglie sopra di sé e sopra le cose transitorie, amandole e tenendole, se egli le vuole tenere, per me e non senza me, ciò è con santo e vero timore e amore della virtù.

Allora si truova salito il secondo scalone, ciò è al lume de l'intelletto, il quale si specula nell'amore cordiale di me in Cristo crocifisso, in cui come mezo Io ve l'ò mostrato. Allora truova la pace e la quiete perché la memoria s'è empita, e non è votia, della mia carità. Tu sai che la cosa votia, toccandola, bussa, ma quando ella è piena non fa così. Così quando è piena la memoria col lume de l'intelletto, e con l'affetto pieno d'amore, muovelo con tribolazioni e con delizie del mondo, egli non bussa con disordinata allegrezza e non bussa per impazienzia, però che egli è pieno di me che so' ogni bene.

Poi che è salito egli si truova congregato; ché, possedendo la ragione i tre scaloni delle tre potenzie dell'anima, come detto t'ò, l'à congregate nel nome mio. Congregati i due, cioè l'amore di me e del prossimo, e congregata la memoria a ritenere e lo 'ntelletto a vedere e la volontà ad amare, l'anima si truova accompagnata di me che so' sua fortezza e sua sicurtà; truova la compagnia delle virtù, e così va e sta sicura perché so' nel mezo di loro.

Allora si muove con ansietato desiderio, avendo sete di seguitare la via della Verità, per la quale via truova la fonte dell'acqua viva. Per la sete che egli à dell'onore di me e salute di sé e del prossimo à desiderio della via, però che senza la via non vi potrebbe giognere. Allora va e porta il vaso del cuore votio d'ogni affetto e d'ogni amore disordinato del mondo. E subito che egli è votio s'empie, perché niuna cosa (48v) può stare votia, unde se ella non è piena di cosa materiale, ed ella s'empie d'aria. Così il cuore è uno vasello che non può stare votio, ma subbito che n'à tratte le cose transitorie per disordinato amore, è pieno d'aria, ciò è di celestiale e dolce amore divino, col quale giogne all 'acqua della grazia unde, gionto che è, passa per la porta di Cristo crocifisso e gusta l'acqua viva, trovandosi in me che so' mare pacifico.



55

CAPITOLO LV.

Ora t'ò mostrato che modo à a tenere generalmente ogni creatura che à in sé ragione per potere escire del pelago del mondo, e per non annegare e giognere alla eterna dannazione. Anco t'ò mostrato i tre scaloni generali, ciò sono le tre potenzie dell'anima, e che niuno ne può salire uno che non gli salga tutti. E òtti detto sopra a quella parola che disse la mia Verità, «quando saranno due o tre o piú congregati nel nome mio», come questa è la congregazione di questi tre scaloni, ciò è delle tre potenzie dell'anima. Le quali tre potenzie accordate ànno seco i due principali comandamenti della legge, ciò è la carità mia e del prossimo tuo, cioè d'amare me sopra ogni cosa, e 'l prossimo come te medesima.

Allora, salita la scala, cioè congregata nel nome mio come detto t'ò, subito à sete dell'acqua viva. E allora si muove e passa su per lo ponte, seguitando la dottrina della mia Verità che è esso ponte. Allora voi corrite dopo la voce sua che vi chiama, sì come di sopra vi dissi che gridando nel tempio v'invitava dicendo: «Chi à sete venga a me e beia, ché so' fonte d'acqua viva».

Òtti spianato quello che egli voleva dire e come si debba intendere, acciò che tu meglio abbi cognosciuta l'abondanzia della mia carità, e la confusione di coloro che a diletto par che corrino per la via del dimonio che gl'invita all'acqua morta.

Ora ài veduto e udito quello che mi dimandavi, cioè del modo che si debba tenere (49r) per non annegare, e òtti detto che il modo è questo, cioè di salire per lo ponte; nel quale salire sono congregati e uniti insieme stando nella dilezione del prossimo, portando il cuore e l'affetto suo come vasello a me, che do bere a chi me l'addimanda, e tenendo per la via di Cristo crocifisso con perseveranzia infino alla morte.

Questo è quello modo che tutti dovete tenere in qualunque stato l'uomo si sia, però che niuno stato lo scusa che egli no'l possa fare e che egli no'l debba fare. Anco el può e debba fare ed ènne obligata ogni creatura che à in sé ragione.

E niuno si può ritrarre dicendo: «Io ò lo stato, ò figliuoli, ò altri impacci del mondo; e per questo mi ritraggo che io non seguito questa via», o per malagevolezza che vi truovino. Non il possono dire, però che già ti dissi che ogni stato era piacevole e accetto a me, pure che fusse tenuto con buona e santa volontà, perché ogni cosa è buona e perfetta, fatta da me che so' somma bontà. Non sono create né date da me perché con esse pigliate la morte ma perché n'abbiate vita.

Agevole cosa è, però che niuna cosa è di tanta agevolezza e di tanto diletto quanto è l'amore. E quello che Io vi richieggo non è altro che amore e dilezione di me e del prossimo. Questo si può fare in ogni tempo, in ogni luogo e in ogni stato che l'uomo è, amando e tenendo ogni cosa a laude e gloria del nome mio.

Sai che Io ti dissi che per lo inganno loro, non andando eglino col lume ma vestendosi de l'amore proprio di loro, amando e possedendo le creature e le cose create fuore di me, passano costoro questa vita crociati, essendo fatti incomportabili a loro medesimi, e se essi non si levano, per lo modo che detto è, giongono all'eterna dannazione.

Ora t'ò detto che modo debba tenere ogni uomo generalmente (49v).



56

CAPITOLO LVI.

Perché di sopra ti dissi come debbono andare e vanno coloro che sono nella carità comune, ciò sono quelli che osservano i comandamenti e consigli mentalmente, ora ti voglio dire di coloro che ànno cominciato a salire la scala, e cominciano a volere andare per la via perfetta, cioè d'osservare e comandamenti e consigli attualmente, in tre stati e quali ti mostrerò, spianandoti ora in particulare i tre gradi e stati dell'anima e tre scaloni, i quali ti posi in generale per le tre potenzie dell'anima. De' quali l'uno è imperfetto, l'altro è più perfetto, e l'altro è perfettissimo. L'uno m'è servo mercenario, l'altro m'è servo fedele, e l'altro m'è figliuolo, ciò è che ama me senza alcun rispetto.

Questi sono tre stati che possono essere e sono in molte creature, e sono in una creatura medesima. In una creatura sono, e possono essere, quando con perfetta sollicitudine corre per la via esercitando il tempo suo, che da lo stato servile giogne al liberale, e dal liberale al filiale.

Leva te sopra di te e apre l'occhio de l'intelletto tuo, e mira questi peregrini viandanti come passano: alcuni imperfettamente, e alcuni perfettamente per la via de' comandamenti, e alquanti perfettissimamente, tenendo ed esercitando la via de' consigli. Vedrai unde viene la imperfezione e unde viene la perfezione, e quanto è l'inganno che l'anima riceve in se medesima perché la radice dell'amore proprio non è dibarbicata. In ogni stato che l'uomo è, gli è bisogno d'uccidere questo amore proprio in sé. -

57

CAPITOLO LVII.

Allora quella anima, ansietata d'affocato desiderio, specolandosi nello specchio dolce divino, vedeva le creature tenere in diversi modi e con diversi rispetti per giognere al fine loro.

Molti vedeva che cominciavano a salire sentendosi impugnati dal timore servile, cioè temendo la propria pena. E molti esercitando il primo chiamare giognevano al secondo, ma pochi si vedevano giognere alla grandissima perfezione.



58

CAPITOLO LVIII.

Allora la bontà di Dio, volendo satisfare al desiderio della (50r) anima, diceva: - Vedi tu, costoro si sono levati con timore servile dal vomico del peccato mortale, ma se essi non si levano con amore della virtù non è sufficiente il timore servile a darlo' vita durabile. Ma l'amore col santo timore è sufficiente, perché la legge è fondata in amore e timore santo.

La legge del timore era la legge vecchia, che fu data da me a Moysè, la quale era fondata solamente in timore, per che commessa la colpa pativano la pena.

La legge dell'amore è la legge nuova, data dal Verbo de l'unigenito mio Figliuolo, la quale è fondata in amore. E per la legge nuova non si ruppe però la vecchia, anco s'adempì, e così disse la mia Verità: «Io non venni a dissolvere la legge, ma adempirla», (Mt 5,17) e unì la legge del timore con quella dell'amore.

Fulle tolto per l'amore la imperfezione del timore della pena, e rimase la perfezione del timore santo, cioè temere solo di non offendere, non per danno proprio ma per non offendere me che so' somma bontà. Sì che la legge imperfetta fu fatta perfetta con la legge de l'amore. (Let 259) Poi che venne il carro del fuoco (2R 2,11; Let 35; Let 184; Oraz XI 12) de l'unigenito mio Figliuolo, il quale recò il fuoco della mia carità ne l'umanità vostra con l'abondanzia della misericordia, fu tolta via la pena delle colpe che si commettono, ciò è di non punirle in questa vita di subito che offende sì come anticamente era dato ed ordinato nella legge di Moysè di dare la pena subbito che la colpa era commessa.

Ora non è così: non bisogna dunque timore servile. E non è però che la colpa non sia punita, ma è servata a punire, se la persona non la punisce con perfetta contrizione, nell'altra vita, separata l'anima dal corpo.

Mentre che vive egli, gli è tempo di misericordia ma, morto, gli sarà tempo di giustizia.

Debbasi dunque levare dal timore servile e giognere all'amore e santo timore di me. Altro rimedio non ci sarebbe che egli non ricadesse nel fiume, giognendoli l'onde delle tribolazioni e le spine delle consolazioni, le quali sono (50v) tutte spine che pungono l'anima che disordinatamente l'ama e possiede. (Mt 8,24 Ps 41,8 Ps 87,8)

59

CAPITOLO LIX.

Per che Io ti dissi che niuno poteva andare per lo ponte e escire del fiume che non salisse i tre scaloni. E così è la verità che salgono, chi imperfettamente e chi perfettamente e chi con la grande perfezione.

Costoro, i quali sono mossi dal timore servile, ànno salito e congregatisi insieme imperfettamente. Ciò è che l'anima, avendo veduta la pena che seguita doppo la colpa, salisce e congrega insieme la memoria a trarne il ricordamento del vizio, lo 'ntelletto a vedere la pena sua che per essa colpa aspetta d'avere, e però la volontà si muove a odiarla.

E poniamo che questa sia la prima salita e la prima congregazione, conviensi esercitarla col lume de l'intelletto dentro nella pupilla della santissima fede, raguardando non solamente la pena, ma il frutto delle virtù e l'amore che Io lo' porto, acciò che salgano con amore, co' piei de l'affetto spogliati del timore servile. E facendo così diventeranno servi fedeli e non infedeli, servendomi per amore e non per timore. E se con odio s'ingegnano di dibarbicare la radice de l'amore proprio di loro, se sono prudenti costanti e perseveranti vi giongono.

Ma molti sono che pigliano il loro cominciare e salire sì lentamente, e tanto per spizzicone rendono il debito loro a me, e con tanta negligenzia e ignoranzia, che subito vengono meno. Ogni piccolo vento li fa andare a vela e voltare il capo a dietro, perché imperfettamente ànno salito e preso il primo scalone di Cristo crocifisso, e però non giongono al secondo del cuore.



60

CAPITOLO LX.

Alquanti sono che son fatti servi fedeli, cioè che fedelmente mi servono senza timore servile servendo solo per timore della pena, ma servono con amore. Questo amore, cioè di servire per propria utilità o per diletto o per piacere che truovino in me, è imperfetto. Sai chi lo' dimostra che l'amore loro è imperfetto? Quando sono privati della consolazione che truovano in me. E con questo medesimo amore imperfetto amano il prossimo loro, e però non basta né dura l'amore, anco allenta e spesse volte (51r) viene meno. Allenta inverso me, quando alcuna volta Io, per esercitargli nella virtù e per levargli dalla imperfezione, ritraggo a me la consolazione della mente e permettolo' battaglie e molestie. E questo fo perché venghino a perfetto cognoscimento di loro, e cognoscano loro non essere e niuna grazia avere da loro, (Let78) e nel tempo delle battaglie rifuggano a me cercandomi e cognoscendomi come loro benefattore, cercando solo me con vera umilità. E per questo lo'l do, e ritraggo da loro la consolazione ma non la grazia. § 144 ,1078ss.) Questi cotali allora allentano, voltandosi con impazienzia di mente. Alcuna volta lassano per molti modi i loro esercizi, e spesse volte sotto colore di virtù dicendo in loro medesimi «questa operazione non ti vale», sentendosi privati della propria consolazione della mente.

Questi fa come imperfetto, che anco non à bene levato il panno dell'amore proprio spirituale della pupilla dell'occhio della santissima fede. Però che, se egli l'avesse levato in verità, vedrebbe che ogni cosa procede da me, e che una foglia d'arbore non cade senza la mia providenzia, (Mt 10,29) e che ciò che Io do e permetto, do per loro santificazione, cioè perché abbino il bene e il fine per lo quale Io vi creai.

Questo debbono vedere e cognoscere, che Io non voglio altro che il loro bene, nel sangue de l'unigenito mio Figliuolo; nel quale sangue sono lavati dalle iniquità loro. In esso sangue possono cognoscere la mia verità, (Let 227) che per darlo' vita eterna Io gli creai alla imagine e similitudine mia, e ricreai a grazia, col sangue del Figliuolo proprio, loro, figliuoli adottivi. Ma perché essi sono imperfetti servono per propria utilità e allentano l'amore del prossimo.

I primi vi vengono meno per timore che ànno di non sostenere pena. Costoro, che sono i secondi, allentano, privandosi della utilità che faceano al prossimo e ritraggono a dietro dalla carità loro se si veggono privati della propria utilità o d'alcuna consolazione che avessero trovata in loro. E questo l'adiviene perché l'amore loro (51v) non era schietto, ma con quella imperfezione che amano me, cioè d'amarmi per propria utilità, di quello amore amano loro.

Se essi non ricognoscono la loro imperfezione col desiderio della perfezione, impossibile sarebbe che non voltassero il capo indietro: di bisogno l'è, a volere vita eterna, che essi amino senza rispetto. Non basta fuggire il peccato per timore della pena, né abracciare le virtù per rispetto della propria utilità non è sufficiente a dare vita eterna, ma conviensi che si levi del peccato perché esso dispiace a me, e ami la virtù per amore di me.

è vero che quasi il primo chiamare generale d'ogni persona è questo, però che prima è imperfetta l'anima che perfetta; e dalla imperfezione debba giognere alla perfezione, o nella vita mentre che vive, vivendo in virtù col cuore schietto e liberale d'amare me senza alcuno rispetto, o nella morte ricognoscendo la sua imperfezione con proponimento che, se egli avesse tempo, servirebbe me senza rispetto di sé.

Di quest'amore imperfetto amava santo Pietro il dolce e buono Iesù, unigenito mio Figliuolo, molto dolcemente, sentendo la dolcezza della conversazione sua. Ma venendo il tempo della tribolazione venne meno, tornando a tanto inconveniente che non tanto che egli sostenesse pena in sé, ma cadendo nel primo timore della pena el negò dicendo che mai non l'aveva cognosciuto. (Mt 26,72 Mc 14,71 Lc 22,57) In molti inconvenienti cade l'anima che à salita questa scala solo col timore servile e con l'amore mercennaio. Debbansi adunque levare ed essere figliuoli e servire a me senza rispetto di loro, ben che Io, che so' remuneratore d'ogni fadiga, rendo a ciascuno secondo lo stato ed esercizio suo.

E se costoro non lassano l'esercizio dell'orazione santa e dell'altre buone operazioni, ma con perseveranzia vadano aumentando la virtù, giogneranno all'amore del figliuolo. Ed Io amerò loro d'amore filiale, però che con quello amore che Io so' amato, con quello vi rispondo; (Pr 8,17) ciò è che, amando me sì come fa il servo (52r) il signore, Io come signore ti rendo il debito tuo secondo che tu ài meritato, ma non manifesto me medesimo a te, perché le cose secrete si manifestano all'amico che è fatto una cosa con l'amico suo. (Jn 15,15) è vero che il servo può crescere per la virtù sua e amore che porta al signore, sì che diventerà amico carissimo. Cosí è e adiviene di questi cotali: mentre che stanno nel mercennaio amore Io non manifesto me medesimo a loro; ma essi, con dispiacimento della loro imperfezione e amore delle virtù, con odio dibarbicando la radice dell'amore proprio spirituale di se medesimo, tenendosi ragione che non passino nel cuore i movimenti del timore servile e dell'amore mercennaio che non sieno corretti col lume della santissima fede, facendo così sarà tanto piacevole a me che per questo giogneranno all'amore dell'amico, e così manifestarò me medesimo a loro sì come disse la mia Verità quando disse: «Chi m'amerà sarà una cosa con meco e Io con lui, e manifesterolli me medesimo e faremo mansione insieme». (Jn 14,21) Questa è la condizione del carissimo amico: che sono due corpi e una anima per affetto d'amore, perché l'amore si transforma nella cosa amata. Se egli è fatto una anima, niuna cosa gli può essere secreta, e però disse la mia Verità: «Io verrò e faremo mansione insieme», e così è la verità.




Caterina, Dialogo 49