Caterina, Dialogo 61

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CAPITOLO LXI.

Sai in che modo manifesto me nell'anima che m'ama in verità, seguitando la dottrina di questo dolce e amoroso Verbo? In molti modi manifesto la virtù mia, secondo il desiderio che ella à.

Tre principali manifestazioni Io fo. La prima è che Io manifesto l'affetto e la carità mia col mezzo del Verbo del mio Figliuolo; il quale affetto e la quale carità si manifesta nel sangue sparto con tanto fuoco d'amore. Questa carità si manifesta in due modi. L'uno è generale, comunemente alla gente comune, cioè a coloro che stanno nella carità comune. Manifestasi, dico, in loro, vedendo e provando la mia carità in molti e diversi benefizi che ricevono da me. L'altro modo è particulare a quegli che sono fatti amici, agionto alla manifestazione (52v) della comune carità ch' egli gustano e cognoscono e pruovano e sentono per sentimento nell'anime loro.

La seconda manifestazione della carità è pure in loro medesimi, manifestandomi per affetto d'amore. Non che Io sia accettatore delle creature, ma del santo desiderio, manifestandomi nell'anima in quella perfezione che ella mi cerca. Alcuna volta mi manifesto, e questa è pure la seconda, dandolo' spirito di profezia, mostrandolo' le cose future. E questo è in molti e in diversi modi, secondo il bisogno che Io veggo nell'anima propria e nell'altre creature.

Alcuna volta, e questa è la terza, formerò nella mente loro la presenzia della mia Verità unigenito mio Figliuolo, in molti modi, secondo che l'anima appetisce e vuole.

Alcuna volta mi cerca nell'orazione volendo cognoscere la potenzia mia, ed Io le satisfo, facendole gustare e sentire la mia virtù. Alcuna volta mi cerca nella sapienzia del mio Figliuolo, ed Io le satisfo ponendolo per obietto all'occhio de l'intelletto suo. Alcuna volta mi cerca nella clemenzia dello Spirito santo, e allora la mia bontà le fa gustare il fuoco della divina carità, concependo le vere e reali virtù, fondate nella carità pura del prossimo suo.



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CAPITOLO LXII.

Adunque vedi che la Verità mia disse verità dicendo: «Chi m'amerà sarà una cosa con meco»; però che seguitando la dottrina sua per affetto d'amore sete uniti in lui. Ed essendo uniti in lui sete uniti in me, perché siamo una cosa insieme, e così manifesto me medesimo a voi perché siamo una medesima cosa.

Unde, se la mia Verità disse «io manifesterò me medesimo a voi», disse verità; però che manifestando sé manifestava me, e manifestando me manifestava sé.

Ma perché non disse: «Io manifestarò il Padre mio a voi?» Per tre cose singulari.

L'una, perché egli volse manifestare che Io non so' separato da lui né egli da me; e però a santo Filippo, quando gli disse: «Mostraci il Padre e basta a noi», disse: «Chi vede me vede il Padre, e chi vede il Padre vede me». (Jn 14,8-9) Questo (53r) disse però che era una cosa con meco, e quel che egli aveva l'aveva da me, e non Io da lui. E però disse a' giuderi: «La dottrina mia non è mia, ma è del Padre mio che mi mandò» (Jn 7,16), perché il Figliuolo mio procede da me e non Io da lui. Ma ben so' una cosa con lui ed egli con meco, però adunque non disse «io manifestarò il Padre», ma disse «io manifestarò me», ciò è «perché so' una cosa col Padre». (Jn 10,30) La seconda fu però che manifestando sé a voi non porgeva altro che quello che aveva avuto da me, Padre.

Quasi volesse egli dire: il Padre à manifestato sé a me, perché Io so' una cosa con lui; ed Io, me e lui, per mezzo di me, manifesterò a voi.

La terza fu perché Io, invisibile, non posso essere veduto da voi, visibili, se non quando sarete separati da' corpi vostri. Allora vedrete me, Dio, a faccia a faccia, e il Verbo del mio Figliuolo intellettualmente di qui al tempo della resurrezione generale, quando l'umanità vostra si conformerà e diletterà ne l'umanità del Verbo, sì come di sopra, nel trattato della risurrezione, Io ti contiai. § 41 ,579ss.) Sì che me, come Io so', non potete vedere. E però velai Io la divina natura col velame della vostra umanità, acciò che mi poteste vedere. Io, invisibile, quasi mi feci visibile dandovi il Verbo del mio Figliuolo, velato del velame della vostra umanità. Egli manifesta me a voi, e però adunque non disse «io manifestarò il Padre», ma disse «io manifestarò me a voi», quasi dica «secondo che m'à dato il Padre mio, manifestarò me a voi».

Sì che vedi che in questa manifestazione, manifestando me manifestava sé. E anco ài udito perché egli non disse «Io manifestarò il Padre a voi» ciò è perché a voi nel corpo mortale non è possibile di vedere me, come detto è, e perché egli è una cosa con meco.



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CAPITOLO LXIII.

Ora ài veduto in quanta eccellenzia sta colui che è gionto all'amore dell'amico. Questi à salito el piè dell'affetto ed è gionto al secreto del cuore (53v) cioè al secondo de' tre scaloni, i quali sono figurati nel corpo del mio Figliuolo. Dissiti che significato era nelle tre potenzie dell'anima, e ora te li pongo significare i tre stati dell'anima.

Ora, innanzi ch'Io ti gionga al terzo, ti voglio mostrare in che modo gionse ad essere amico - ed essendo fatto amico è fatto figliuolo, giognendo all'amore filiale - e quello che fa essendo fatto amico, e in quello che si vede che egli è fatto amico.

Il primo, cioè come egli è venuto ad essere amico, dicotelo. Imprima era imperfetto, essendo nel timore servile; esercitandosi e perseverando venne all'amore del diletto e della propria utilità, trovando diletto e utilità in me. Questa è la via, e per questa passa colui che desidera di giognere all'amore perfetto, cioè ad amore d'amico e di figliuolo.

Dico che l'amore filiale è perfetto, però che nell'amore del figliuolo riceve la eredità di me, Padre eterno. E perché amore di figliuolo non è senza l'amore de l'amico, e però ti dissi che d'amico era fatto figliuolo. Ma che modo tiene a giognervi? Dicotelo.

Ogni perfezione ed ogni virtù procede dalla carità, e la carità è nutricata da l'umilità. e l'umilità esce del cognoscimento e odio santo di se medesimo, cioè della propria sensualità. § 10 ,589) Chi ci giogne conviene che sia perseverante e stia nella cella del cognoscimento di sé, nel quale cognoscimento di sé cognoscerà la misericordia mia nel sangue de l'unigenito mio Figliuolo, tirando a sé con l'affetto suo la divina mia carità esercitandosi in stirpare ogni perversa volontà spirituale e temporale, nascondendosi nella casa sua. Sì come fece Pietro, e gli altri discepoli, che dopo la colpa della negazione che fece del mio Figliuolo, pianse. Il suo pianto era ancora imperfetto, e imperfetto fu infino quaranta dì, cioè dopo l'ascensione. Poi che la mia Verità ritornò a me secondo l'umanità sua, allora si nascosero Piero e gli altri nella casa aspettando l'avenimento (54r) dello Spirito santo sì come la mia Verità aveva promesso a loro. Essi stavano inserrati per paura; però che sempre l'anima, infino che non giogne al vero amore, teme. (Ac 1,13-14 Jn 20,19 1Jn 4,18) Ma perseverando in vigilia, in umile e continua orazione, infino che ebbero l'abondanzia dello Spirito santo, allora, perduto il timore, seguitavano e predicavano Cristo crocifisso. (Ac 2,14-36) Così l'anima che à voluto o vuole giognere a questa perfezione, poi che dopo la colpa del peccato mortale s'è levata e ricognosciuta sé, comincia a piangere per timore della pena. § 89 Poi si leva alla considerazione della misericordia mia, dove truova diletto e sua utilità. Questo è imperfetto, e però Io, per farla venire a perfezione, dopo i quaranta dì - cioè dopo questi due stati - a ora a ora mi sottraggo dall'anima, non per grazia ma per sentimento.

Questo vi manifestò la mia Verità quando disse a' discepoli: «Io andarò e tornarò a voi». (Jn 14,3) Ogni cosa che egli diceva era detta in particulare ai discepoli, ed era detta in generale e comunemente a tutti i presenti e futuri, ciò è di quelli che dovevano venire. Disse «Io andarò e tornarò a voi», e così fu; ché, tornando lo Spirito santo sopra e discepoli tornò egli, perché, come di sopra ti dissi, lo Spirito santo non tornò solo, § 29 ,280ss.) ma venne con la potenzia mia e con la sapienzia del Figliuolo, che è una cosa con meco, e con la clemenzia sua d'esso Spirito santo, che procede da me Padre e dal Figliuolo. Or così ti dico, che per fare levare l'anima dalla imperfezione Io mi sottraggo per sentimento privandola della consolazione di prima.

Quando ella era nella colpa del peccato mortale ella si partì da me, ed Io sottrassi la grazia per la colpa sua; perché essa aveva serrata la porta del desiderio, il sole della grazia n'escì fuore, non per difetto del sole, ma per difetto della creatura che serrò la porta del desiderio. (OrazVIII65ss.) Ricognoscendo sé e le tenebre sue apre la finestra, vomicando il fracidume per la santa confessione, ed Io allora per grazia so' (54v) tornato nell'anima e ritraggomi da lei non per grazia ma per sentimento, come detto è. E questo fo per farla umiliare e per farla esercitare in cercare me in verità, e provarla nel lume della fede, acciò che ella venga ad prudenzia. E allora, se ella ama sanza rispetto di sé, con viva fede e con odio di sé gode nel tempo della fatiga, reputandosi indegna della pace e quiete della mente. E questa è la seconda cosa delle tre delle quali Io ti diceva, cioè di mostrare in che modo viene a perfezione e che fa quando ella è giunta. Questo è quello che ella fa: che, perché ella senta che Io sia ritratto a me, non volta il capo a dietro, anco persevera con umilità nel suo esercizio, e sta serrata nella casa del cognoscimento di sé. E ine con fede viva aspetta l'avenimento dello Spirito santo cioè me, che so' esso fuoco di carità. Come aspetta? Non oziosa ma in vigilia e continua e santa orazione. E non solamente con la vigilia corporale, ma con la vigilia intellettuale, ciò è che l'occhio dell'intelletto non si serra, ma col lume della fede veghia, stirpando con odio le cogitazioni del cuore, veghiando ne l'affetto della mia carità, cognoscendo che Io non voglio altro che la sua santificazione. Questo v'è certificato nel sangue del mio Figliuolo.

Poi che l'occhio veghia nel cognoscimento di me e di sé, ora continuamente: ciò è orazione di santa e buona voluntà. Questa è orazione continua. E anco veghia nell'orazione attuale, cioè, dico, fatta ne l'attuale tempo ordinatamente secondo l'ordine della santa Chiesa.

Questo è quello che fa l'anima che s'è partita dalla imperfezione e gionta alla perfezione. E acciò che ella vi giognesse, mi partii da lei, non per grazia ma per sentimento.

Partìmi ancora perché ella vedesse e cognoscesse il difetto suo, però che sentendosi privata della consolazione, se sente pena affligitiva, sentesi debile e non stare ferma né perseverante. In questo truova la radice dell'amore spirituale proprio di sé, e però l'è materia di cognoscerla e di levare sé sopra di sé salendo (55r) sopra la sedia della coscienzia sua, e non lassare passare quello sentimento che non sia corretto con rimproverio, dibarbicando la radice dell'amore proprio col coltello de l'odio d'esso amore e con l'amore della virtù.



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CAPITOLO LXIV.

E voglio che tu sappi che ogni imperfezione e ogni perfezione si manifesta e s'acquista in me; e così s'acquista e manifesta nel mezzo del prossimo. § 6 Bene lo sanno i semplici, che spesse volte amano le creature di spirituale amore. Se l'amore di me ànno ricevuto schiettamente sanza alcuno rispetto, schiettamente beie l'amore del prossimo suo, sì come il vasello che s'empie nella fonte che, se ne'l trae fuore, beiendo il vasello rimane votio, ma se egli il beie in me non rimane votio, ma sempre sta pieno.

Così l'amore del prossimo spirituale e temporale vuole essere beuto in me, sanza alcuno rispetto.

Io vi richieggo che voi m'amiate di quello amore che Io amo voi. (Jn 15,12) Questo non potete fare a me, però che Io v'amai senza essere amato. Ogni amore che voi avete a me, m'amate di debito ma non di grazia, perché 'l dovete fare, e Io amo voi di grazia e non di debito. Sì che a me non potete rendere questo amore che Io vi richieggo. E però v'ò posto il mezzo del prossimo vostro, acciò che faciate a lui quello che non potete fare a me, ciò è d'amarlo senza alcuno rispetto di grazia e senza aspettare alcuna utilità. E io reputo che faciate a me quello che fate a lui.

Questo mostrò la mia Verità dicendo a Paulo, quando mi perseguitava: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?», (Ac 9,4) reputando che Paulo perseguitasse me quando perseguitava i miei fedeli.

Sì che vuole essere schietto: con quello amore che voi amate me dovete amare loro. Sai a che se n'avede che elli non è perfetto colui che ama di spirituale amore? Se si sente pena affligitiva quando non gli pare che la creatura cui egli ama satisfaccia all'amore suo, non amando quanto gli pare amare, o che egli si vegga sottrare la conversazione, o privare della consolazione, o vedendo amare un altro più che sé.

A questo e a molte altre cose se ne (55v) potrà avedere che questo amore in me e nel prossimo è ancora imperfetto, e beiuto questo vasello fuori della fonte, poniamo che l'amore abbi tratto da me. Ma perché in me l'aveva ancora imperfetto, però imperfetto el dimostra in colui cui ama di spirituale amore.

Tutto procede perché la radice de l'amore proprio spirituale non era bene dibarbicata. E però Io permetto spesse volte che ponga questo amore, perché con esso cognosca sé e la sua imperfezione per lo modo detto.

E sottraggomi per sentimento da lei acciò che essa si rinchiuda nella casa del cognoscimento di sé, dove acquistarà ogni perfezione.

E poi Io torno in lei con più lume e cognoscimento della mia verità, in tanto che si reputa a grazia di potere uccidere la propria voluntà per me, e non si resta mai di potare la vigna dell'anima sua e di divellere le spine delle cogitazioni e ponere le pietre delle virtù fondate nel sangue di Cristo, le quali à trovate nell'andare per lo ponte di Cristo crocifisso, unigenito mio Figliuolo. Sì come Io ti dissi, § 27 ,84-112) se bene ti ricorda, che sopra del ponte, cioè della dottrina della mia Verità, erano le pietre delle virtù fondate in virtù del sangue suo, perché le virtù ànno dato vita a voi in virtù d'esso sangue.



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CAPITOLO LXV.

Poi che l'anima è entrata dentro, passando per la dottrina di Cristo crocifisso con vero amore della virtù e odio del vizio e con perfetta perseveranzia, gionta alla casa del cognoscimento di sé sta serrata in vigilia e continua orazione, separata al tutto dalla conversazione del secolo. (Mt 6,6; Let 154) Perché si rinchiuse? Per timore, cognoscendo la sua imperfezione, e per desiderio che à di giugnere a l'amore schietto e liberale, perché vede bene e cognosce che per altro modo non vi può giugnere, e però aspetta con fede viva l'avenimento di me per accrescimento di grazia in sé.

In che si cognosce la fede viva? Nella perseveranzia della virtù, non vollendo il capo a dietro per veruna cosa che sia, né levarsi dalla santa orazione per veruna cagione; guarda già che non fusse per obedienzia o per carità, altrimenti non si debbe partire dall'orazione. Perché spesse volte (56r) nel tempo ordinato dell'orazione il dimonio giugne con le molte battaglie e molestie, più che quando la persona si truova fuori dell'orazione. Questo fa per farle venire a tedio l'orazione santa, dicendole spesse volte: «Questa orazione non ti vale, però che tu non debbi pensare altro né attendere ad altro che a quello che tu dici». Questo le fa vedere il dimonio acciò che ella venga a tedio e a confusione di mente, e lassi l'esercizio dell'orazione. La quale è un'arme con che l'anima si difende da ogni avversario, tenuta con la mano dell'amore, e col braccio del libero arbitrio difendendosi con essa arme col lume della santissima fede. (Let 169)

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CAPITOLO LXVI.

Sappi, figliuola carissima, che nell'orazione umile continua e fedele acquista l'anima, con vera perseveranzia, ogni virtù. E però debba perseverare e non lassarla mai, né per illusione di dimonio né per propria fragilità, cioè per pensiero o movimento che venisse nella propria carne sua, né per detto di creatura; ché spesse volte si pone il dimonio sopra le lingue loro facendogli parlare cose che ànno ad impedire la sua orazione. Tutte le debba passare con la virtù della perseveranzia.

O quanto è dolce a quella anima, e a me è piacevole, la santa orazione fatta nella casa del cognoscimento di sé e nel cognoscimento di me! Aprendo l'occhio de l'intelletto col lume della fede e con l'affetto nell'abondanzia della mia carità, la quale carità v'è fatta visibile per lo visibile unigenito mio Figliuolo, (1Jn 4,9) avendola mostrata col sangue suo. Il quale sangue inebria l'anima e vestela del fuoco della divina carità, e dàlle il cibo del sacramento, il quale v'ò posto nella bottiga del corpo mistico della santa Chiesa, cioè il corpo e 'l sangue del mio Figliuolo, tutto Dio e tutto uomo, datolo a ministrare per le mani del vicario mio, il quale tiene la chiave di questo sangue. § 27 ,113ss.; § 115 ,454ss.) Questa è quella bottiga della quale ti feci menzione che stava in sul ponte per dare il cibo a confortare e viandanti e peregrini che passano per la dottrina della mia Verità, acciò che per debilezza non (56v) venghino meno.

Questo cibo conforta poco e assai, secondo il desiderio di colui che 'l piglia, in qualunque modo egli il piglia, o sacramentalmente o virtualmente. Sacramentalmente è quando si comunica del santo sacramento, virtualmente è comunicandosi per santo desiderio: sì per desiderio della comunione e sì per considerazione del sangue di Cristo crocifisso, cioè comunicandosi sacramentalmente de l'affetto della carità, la quale à trovata e gustata nel sangue, perché per amore vede che fu sparto. (Let 102) E però vi s'inebria e vi s'accende e sazia per santo desiderio, trovandosi piena solo della carità mia e del prossimo suo.

Questo dove l'acquistò? Nella casa del cognoscimento di sé, con santa orazione, dove à perduta la imperfezione, sì come i discepoli e Pietro perdèro la imperfezione loro, stando dentro in vigilia orazione, e acquistarono la perfezione. Con che? Con la perseveranzia condita con la santissima fede.

Ma non pensare che si riceva tanto ardore e nutricamento da questa orazione solamente con orazione vocale, sì come fanno molte anime, che l'orazione loro è di parole più che d'affetto, e non pare che attendino ad altro se non a compire i molti salmi e dire i molti paternostri. E compito il numero che si sono posti di dire, non pare che pensino più oltre. Pare che ponghino termine all'orazione solo nel dire vocalmente; ed e' non si vuole fare così, però che non facendo altro poco frutto ne traggono, e poco è piacevole a me.

Ma se tu mi dici: «Debbasi lassare stare questa, ché tutti non pare che sieno tratti all'orazione mentale?» No, ma debba la persona andare con modo; ché Io so bene che, come l'anima è prima imperfetta che perfetta, così è imperfetta la sua orazione. Debba bene, per non cadere nell'ozio, quando è ancora imperfetta, andare con l'orazione vocale, ma non debba fare la vocale sanza la mentale; cioè che, mentre che dice, s'ingegni di levare e dirizzare la mente sua (57r) nell'affetto mio, con la considerazione comunemente de' difetti suoi e del sangue de l'unigenito mio Figliuolo, dove truova la larghezza della mia carità e la remissione de' peccati suoi, acciò che il cognoscimento di sé e la considerazione de' difetti suoi le faccino cognoscere la mia bontà in sé e continuare l'esercizio suo con vera umilità.

Non che Io voglia che i difetti sieno considerati in particulare, acciò che la mente non sia contaminata per lo ricordamento de' particulari e laidi peccati. Dicevo che Io non voglio che abbi, né debba avere, solo la considerazione de' peccati in comune e in particulare senza la considerazione e memoria del sangue e della larghezza della misericordia, acciò che non venga a confusione. Che se il cognoscimento di sé e considerazione del peccato non fosse condito con la memoria del sangue e speranza della misericordia, starebbe in essa confusione; e con essa giugnerebbe, col dimonio che l'à guidata sotto colore di contrizione e dolore della colpa e dispiacimento del peccato, all'eterna dannazione; non per questo solamente, ma perché da questo, non pigliando il braccio della misericordia mia, verrebbe a disperazione.

Questo è uno dei sottili inganni che 'l dimonio facci ai servi miei. E però conviene, per vostra utilità e per campare lo inganno del dimonio e per essere piacevoli a me, che sempre dilatiate il cuore e l'affetto nella ismisurata misericordia mia, con vera umilità; ché sai che la superbia del dimonio non può sostenere la mente umile, né la sua confusione può sostenere la larghezza della mia bontà e misericordia, dove l'anima in verità spera.

Unde, se bene ti ricorda, quando il dimonio ti voleva atterrare per confusione, volendoti mostrare che la vita tua fosse stata inganno e non avere seguitata né fatta la voluntà mia, tu allora facesti quello che dovevi fare e che la mia bontà ti dié di potere fare - la quale bontà non è nascosta a chi la vuole ricevere - che ti inalzasti nella misericordia mia con umilità, dicendo: «Io confesso al mio Creatore (57v) che la vita mia non è passata altro che in tenebre; ma io mi nasconderò nelle piaghe di Cristo crocifisso e bagnerommi nel sangue suo, e così averò consumate le iniquità mie e goderommi, per desiderio, nel mio Creatore».

Sai che allora il dimonio fuggì. E tornando poi con l'altra battaglia, cioè di volerti levare in alto per superbia dicendo: «Tu se' perfetta e piacevole a Dio, non bisogna più che t'affligga né che pianga i difetti tuoi»; donandoti Io allora il lume vedesti la via che ti conveniva fare, cioè d'aumiliarti, e rispondendo al dimonio dicesti: «Miserabile me! Giovanni Battista non fece mai peccato e santificato fu nel ventre della madre, e nondimeno fece tanta penitenzia; ed io ò commessi cotanti difetti, e non cominciai mai a cognoscerlo con pianto e vera contrizione vedendo chi è Dio che è offeso da me e chi so' io che l'offendo!» Allora il dimonio non potendo sofferire l'umilità della mente né la speranza della mia bontà, disse a te: «Maladetta sia tu, ché modo non posso trovare con teco! Se io ti pongo a baso per confusione, e tu ti levi in alto a la misericordia, e se io ti pongo in alto e tu ti poni abbasso, venendo ne l'inferno per umilità, ed entro lo 'nferno mi perseguiti. Sì che io non tornerò più a te però che tu mi percuoti col bastone della carità». (Let 221; Let62; Let 144; Let 342; § 78 ,1555) Debba dunque l'anima condire col cognoscimento della mia bontà il cognoscimento di sé, e il cognoscimento di sé col cognoscimento di me. § 66 ,499ss.) A questo modo l'orazione vocale sarà utile all'anima che la farà, e a me piacevole. E dall'orazione vocale imperfetta giognerà, perseverando con esercizio, all'orazione mentale perfetta.

Ma se semplicemente mira pure di compire il numero suo, non vi giugne mai, o se per l'orazione vocale lassasse la mentale. Cioè che alcuna volta sarà l'anima sì ignorante che, avendosi proposto di dire cotanta orazione con la lingua, e Io alcuna volta visiterò la mente sua, quando in uno modo e quando in un altro - alcuna volta in uno lume di cognoscimento di sé con una contrizione del difetto (58r) suo, alcuna volta nella larghezza della mia carità, alcuna volta ponendole dinanzi alla mente sua la presenzia della mia Verità, in diversi modi, secondo che piace a me o secondo che essa anima avesse desiderato - ed ella, per compire il numero suo, lassa la visitazione di me che sente nella mente, quasi per coscienzia che si farà di lassare quello che à cominciato. Non debba fare così, però che facendolo sarebbe inganno di dimonio; ma subito che sente disponere la mente per mia visitazione, per molti modi come detto è, debba abandonare l'orazione vocale.

Poi, passata la mentale, se egli à tempo può ripigliare quello che proposto s'aveva di dire; non avendo tempo non se ne debba curare, né venirne a tedio né a confusione di mente. Guarda già che non fosse l'officio divino, il quale i cherici e religiosi son tenuti e obligati di dire, e non dicendolo offendono: questi debba dire l'officio suo infino alla morte. E se esso si sentisse, all'ora debita che si debba dire l'officio, la mente tratta per desiderio e levata, si debba provedere: o dirlo innanzi o dirlo poi, sì che non manchi che il debito dell'offizio sia renduto.

D'ogni altra orazione che l'anima cominciasse, debba cominciare vocalmente per giugnere alla mentale. E sentendosi la mente disposta, la debba lassare per la cagione detta. Questa orazione, fatta nel modo che detto t'ò, giugnarà ad perfezione; e però, non debba però lassare l'orazione vocale, per qualunque modo ella è fatta, ma debba andare col modo che detto t'ò. E così con l'esercizio e perseveranzia gustarà l'orazione in verità, e il cibo del sangue dell'unigenito mio Figliuolo. E però ti dissi che alcuno si comunicava attualmente del corpo e del sangue di Cristo, benché non sacramentalmente, cioè comunicandosi dell'affetto della carità, la quale gusta col mezzo della santa orazione, poco e assai, secondo l'affetto di colui che ora. (OrazIV3ss.) Chi va con poca prudenzia e non con modo, poco truova; chi con assai, assai truova; perché (58v) quanto l'anima più s'ingegna di sciogliere l'affetto suo e legarlo in me col lume de l'intelletto, più cognosce; chi più cognosce più ama: più amando più gusta.

Adunque vedi che l'orazione perfetta non s'acquista con molte parole ma con affetto di desiderio, levandosi in me con cognoscimento di sé, condito insieme l'uno con l'altro. Così insiememente avrà la mentale e la vocale, perché elle stanno insieme sì come la vita attiva e la vita contemplativa, benché in molti e diversi modi s'intenda orazione vocale o vuogli mentale. Per che posto t'ò che il desiderio santo è continua orazione, cioè d'avere buona e santa voluntà. La quale voluntà e desiderio si leva al luogo e al tempo ordinato attualmente, agionto a quella continua orazione del santo desiderio, e così l'orazione vocale, stando l'anima nel santo desiderio e voluntà, la farà al tempo ordinato, o alcuna volta fuore del tempo ordinato; la fa continua, secondo che gli richiede la carità in salute del prossimo, sì come vede il bisogno e la necessità, e secondo lo stato dove Io l'ò posto.

Ogni uno, secondo lo stato suo, debba adoperare in salute de l'anime secondo il principio della santa voluntà. (1Th 4,3) Ciò che adopera vocalmente e attualmente in salute del prossimo è uno orare attuale, poniamo che attualmente, al luogo debito, la facci per sé. Fuore della debita orazione sua, ciò che egli fa è uno orare, nella carità del prossimo suo o in sé, per esercizio che egli facesse attualmente di qualunque cosa si fosse, (Col 3,17) sì come disse il glorioso mio banditore Paulo, cioè che non cessa d'orare chi non cessa di bene adoperare. E però ti dissi che l'orazione attuale si faceva in molti modi unita con la mentale, perché l'attuale orazione, fatta per lo modo detto, è fatta con l'affetto della carità, il quale affetto di carità è la continua orazione.

Ora t'ò detto in che modo si giugne alla mentale, cioè con l'esercizio e perseveranzia, e lassare la vocale per la mentale quando Io visito l'anima. E òtti detto quale è l'orazione comune e la vocale comunemente fuore del tempo ordinato; e l'orazione della buona e santa volontà è ogni esercizio in sé e nel prossimo, che fa con buona volontà fuore dell'ordinato tempo dell'orazione (59r).



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CAPITOLO LXVII.

Adunque virilmente l'anima debba speronare se medesima con questa madre dell'orazione. Questo è quello che fa l'anima che è rinchiusa in casa del cognoscimento di sé, giunta all'amore dell'amico e filiale. E se essa anima non tiene i modi detti, sempre rimarrebbe nella tiepidezza e imperfezione sua, e tanto amerebbe quanto sentisse utilità e diletto in me o nel prossimo suo.

Del quale amore imperfetto ti voglio dicere, e non te'l voglio tacere, uno inganno che in esso amore possono ricevere, nella parte d'amare me per propria consolazione. Unde voglio che tu sappi che il servo mio che imperfettamente m'ama, cerca più la consolazione per la quale egli m'ama, che me.

E a questo se ne può avedere: che, mancandogli la consolazione spirituale, cioè di mente, o la consolazione temporale si turba. E questo tocca agli uomini del mondo che vivono con alcuno atto di virtù mentre che ànno la prosperità, ma sopravenendo la tribolazione, la quale Io do per loro bene, si conturbano in quel poco del bene che adoperavano. E chi gli dimandasse: «Perché ti conturbi?» risponderebbe: «Perché io ò ricevuta la tribolazione, e quel poco del bene che io facevo me'l pare quasi perdere, perché no'l fo con quello cuore né con quello animo che io el facevo; pare a me questo è per la tribolazione che io ò ricevuta, però che mi pareva più adoperare e più pacificamente col cuore riposato inanzi che ora».

Questi cotali sono ingannati nel proprio diletto, e non è la verità che ne sia cagione la tribolazione, né che essi amino meno né adoperino meno; ciò è che l'operazione che essi fanno nel tempo della tribolazione tanto vale in sé quanto prima, nel tempo della consolazione; anco lo' potrebbe valere più se essi avessero pazienzia. Ma questo l'adiviene perché essi si dilettavano nella prosperità: ine con un poco d'atto di virtù amavano me; ine pacificavano la mente loro con quella poca operazione. Essendo privati di quello ove si riposavano, lo' pare che lo' sia tolto il riposo nel loro adoperare, ma elli non è così.

Ma a loro adiviene come de l'uomo che è in uno giardino, e in esso giardino, perché v'à diletto, si riposa (59v) con la sua operazione. Pargli riposare nell'operazione ed egli si riposa nel diletto che à preso nel giardino. E a questo se n'avede che egli è la verità che si diletta più nel giardino che nell'operazione, però che, toltogli il giardino, si sente privato del diletto. Ma se il principale diletto avesse posto nella sua operazione, non l'avrebbe perduto anco l'avrebbe seco, perché l'esercizio del bene adoperare non può perdere, se egli non vuole, benché gli sia tolta la prosperità, sì come a costui il giardino.

Adunque s'ingannano nel loro adoperare per la propria passione. Unde ànno per uso di dire questi cotali: «Io so che io facevo meglio, e più consolazione aveva, innanzi che io fussi tribolato che ora, e giovavami di fare bene, ma ora non me ne giova né me ne diletto punto». Il loro vedere e il loro dire è falso, però che se essi si fossero dilettati del bene per amore del bene della virtù, non l'avrebbero perduto né mancato in loro, anco cresciuto. Ma perché il loro bene adoperare era fondato nel proprio bene sensitivo, però lo' manca e vienlo' meno.

Questo è lo inganno che riceve la comune gente in alcuno loro bene adoperare. Questi sono ingannati da loro medesimi dal proprio diletto sensitivo.



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CAPITOLO LXVIII.

Ma i servi miei che anco sono nell'amore imperfetto, cercando e amando me per affetto d'amore verso la consolazione e diletto che truovano in me, perché Io so' remuneratore d'ogni bene che si fa, poco e assai secondo la misura dell'amore di colui che riceve: per questo do consolazione mentale quando in uno modo e quando in un altro, nel tempo dell'orazione. Questo non fo perché l'anima ignorantemente riceva la consolazione, cioè che ella raguardi più el presente della consolazione che è data da me, che me, ma perché ella raguardi più l'affetto della mia carità con che Io le'l do e la indignità sua che riceve, che il diletto della propria consolazione. Ma se ella, ignorante, piglia solo il diletto sanza considerazione dell'affetto mio verso di lei, ne riceve il danno e gli inganni (60r) che Io ti dirò. L'uno si è che, ingannata dalla propria consolazione, cerca essa consolazione e ine si diletta. E più, che un'altra volta, sentendo in alcuno modo la consolazione e visitazione mia in sé, anderà dietro per la via che tenne quando la trovò, per trovare quella medesima. E Io non le do a uno modo, ché così parrebbe che Io non avessi che dare, anco le do in diversi modi, secondo che piace alla mia bontà e secondo la necessità e bisogno suo. Essendo ella ignorante, cercarà pure in quel modo, come se ella volesse ponere legge allo Spirito santo.

Non debba fare così, ma debba passare virilmente per lo ponte della dottrina di Cristo crocifisso, e ine ricevere in quel modo, in quel tempo e in quello luogo che piace alla mia bontà di dare. E se Io non do, anco quello non dare fo per amore e non per odio, perché essa cerchi me in verità, e non m'ami solamente per lo diletto, ma riceva con umilità più la carità mia che il diletto che truova. Però che se ella non fa così, e ch'ella vada solo al diletto a suo modo e non a mio, riceverà pena e confusione intollerabile quando si vedrà tolto l'obietto del diletto, il quale si pose dinanzi all'occhio de l'intelletto suo.

Questi sono quelli che eleggono le consolazioni a loro modo, cioè che, trovando diletto di me in alcuno modo nella mente loro, vorranno passare con quel medesimo. E alcuna volta sono tanto ignoranti che, visitandogli Io in altro modo che in quello, faranno resistenzia e non riceveranno, anco vorranno pure quello che s'ànno imaginato.

Questo è difetto della propria passione e diletto spirituale il quale trovò in me. Ella è ingannata, però che impossibile sarebbe di stare continuamente in uno modo, però che, come l'anima non può stare ferma, ché o e' si conviene che ella vada innanzi alle virtù, o ella torni a dietro, così la mente in me non può stare ferma in uno diletto, che la mia bontà non ne dia più. § 61 Molto differenti gli do: alcuna volta do diletto d'una allegrezza mentale; alcuna volta una contrizione e un dispiacimento del peccato, che parrà che la mente sia conturbata in sé; alcuna volta (60v) sarò nell'anima e non mi sentirà; alcuna volta formarò la mia Verità, Verbo incarnato, in diversi modi dinanzi all'occhio de l'intelletto suo, e nondimeno non parrà che essa, nel sentimento dell'anima, il senta con quello ardore e diletto che a quello vedere le pare che dovesse seguitare; alcuna volta non vedrà e sentirà grandissimo diletto.

Tutto questo fo per amore, e per conservarla e crescerla nella virtù de l'umilità e nella perseveranzia, e per insegnarle che ella non voglia ponere regola a me, né il fine suo nella consolazione, ma solo nella virtù fondata in me; e con umilità riceva l'uno tempo e l'altro, con affetto d'amore, l'affetto mio con che Io do; e con viva fede creda che Io do a necessità della sua salute, o a necessità di farla venire alla grande perfezione.

Debba dunque stare umile, facendo il principio e 'l fine nell'affetto della mia carità, e in essa carità ricevere diletto e non diletto, secondo la mia voluntà e non secondo la sua. (Mt 6,33) Questo è il modo a non volere ricevere inganno, ma ogni cosa ricevere per amore da me che so' loro fine, fondati nella dolce mia volontà.




Caterina, Dialogo 61