Caterina, Dialogo 135

135

CAPITOLO CXXXV.

Alora il sommo ed etterno Padre con benignità ineffabile volleva l'occhio della sua clemenzia inverso di lei, quasi volendo mostrare che in tutte le cose la providenzia sua non manca mai a l'uomo, purché egli la voglia ricevere, manifestandolo con uno dolce lagnarsi de l'uomo in questo modo, dicendo: - O carissima figliuola mia, sì come in più luoghi Io t'ò detto, Io voglio fare misericordia al mondo e in ogni necessità provedere la mia creatura che à in sé ragione. Ma lo ignorante uomo piglia in morte quello che Io do in vita, e così si fa crudele a se medesimo. (OrazVIII16ss.) Io sempre proveggo, e fo a sapere a te che ciò ch'Io ò dato a l'uomo è somma providenzia. Unde con providenzia el creai, e quando raguardai in me medesimo, inamora'mi della bellezza della mia creatura. Piacquemi di crearla a la imagine e similitudine mia con molta providenzia, unde providi di darle la memoria perché ritenesse i benefizi miei, facendole participare della potenzia di me Padre eterno; die'le lo intelletto acciò che nella sapienzia de l'unigenito mio Figliuolo ella intendesse e cognoscesse la volontà di me Padre eterno, donatore delle grazie a lei con tanto fuoco d'amore; die'le la volontà ad amare, participando la clemenzia dello Spirito santo, acciò che potesse amare quello che lo 'ntelletto vidde e cognobbe. § 51 Questo fece la dolce mia providenzia, solo perché ella fusse capace ad intendere e a gustare me, e a godere della mia bontà nella etterna mia visione. E sì come in molti luoghi Io t'ò narrato, § 14 ,54ss.; § 21 perché giognesse a questo fine, essendo serrato il cielo per la colpa d'Adam, il quale non cognobbe la sua dignità raguardando con quanta providenzia e amore ineffabile Io l'avevo creato; unde, perché egli non la cognobbe però cadde nella disobbedienzia, e dalla disobbedienzia a la immondizia, con superbia e piacere femminile, volendo più tosto piacere e conscendere alla compagna sua - poniamo che non credesse però a lei quello che ella (142r) diceva - consentì più tosto di trapassare l'obbedienzia mia che contristarla. Così per questa disobbedienzia vennero e sono venuti poi tutti quanti i mali: tutti contraeste di questo veleno; della quale disobbedienzia in un altro luogo Io ti narrarò come ella è pericolosa, a commendazione de l'obbedienzia. Unde per tollere via questa morte, figliuola carissima, Io providi a l'uomo dandovi il Verbo de l'unigenito mio Figliuolo con grande prudenzia e providenzia per provedere a la vostra necessità.

Dico «con prudenzia», però che con l'esca della vostra umanità e l'amo della mia divinità Io presi il dimonio, il quale non poté cognoscere la mia Verità. La quale Verità, Verbo incarnato, venne a consumare e distruggere la sua bugia con la quale aveva ingannato l'uomo.

Sì che Io usai grande prudenzia e providenzia. Pensa, carissima figliuola, che maggiore non la poteva usare che darvi il Verbo de l'unigenito mio Figliuolo. A lui posi la grande obbedienzia per trare il veleno che per la disobbedienzia era caduto ne l'umana generazione, unde egli, come inamorato e vero obbediente, corse a l'obbrobriosa morte della santissima croce, e con la morte vi dié vita, none in virtù de l'umanità ma in virtù della mia Deità. La quale per mia providenzia, per satisfare a la colpa che era fatta contra me, Bene infinito - la quale richiedeva satisfazione infinita, cioè che la natura umana che aveva offeso, che era finita, fusse unita con cosa infinita acciò che infinitamente satisfacesse a me infinito, e a la natura umana, a' passati, a' presenti e a' futuri; e tanto quanto offendesse l'uomo, trovasse perfetta satisfazione, volendo ritornare a me nella vita sua - unii la natura divina con la natura vostra umana, per la quale unione avete ricevuta satisfazione perfetta. Questo à fatto la mia providenzia, che con l'operazione finita - ché finita fu la pena della croce nel Verbo - avete (142v) ricevuto frutto infinito in virtù della Deità, come detto è. § 75 ,1228ss.) Questa infinita ed eterna providenzia di me Dio, Padre vostro, Trinità etterna, providde di rivestire l'uomo il quale, avendo perduto il vestimento della innocenzia e dinudato d'ogni virtù, periva di fame e moriva di freddo in questa vita della peregrinazione. Sottoposta era a ogni miseria, serrata era la porta del cielo e perduta n'aveva ogni speranza. La quale speranza, se l'avesse potuta pigliare, gli sarebbe stato uno refrigerio in questa vita; non l'aveva e però stava in grande afflizione. Ma Io, somma providenzia, providi a questa necessità. Unde, non costretto da le vostre giustizie né virtù, ma da la mia bontà, vi diei il vestimento per mezzo di questo dolce e amoroso Verbo unigenito mio Figliuolo. Il quale, spogliando sé della vita, rivestì voi di innocenzia e di grazia; (Ga 3,27) la quale innocenzia e grazia ricevete nel santo battesmo in virtù del sangue, lavando la macchia del peccato originale nel quale sete conceputi, contraendolo dal padre e da la madre vostra.

E perciò la mia providenzia providde, non con pena di corpo, sì come era usanza nel Testamento vecchio quando erano circuncisi, ma con la dolcezza del santo battesmo. Sì che egli è rivestito. Anco l'ò riscaldato manifestandovi l'unigenito mio Figliuolo, per l'apriture del corpo suo, il fuoco della mia carità, il quale era velato sotto questa cennere de l'umanità vostra. (OrazXII38ss.) E non die questo riscaldare l'affreddato cuore de l'uomo? se non è già ostinato, aciecato dal proprio amore, che non si vegga amare da me tanto ineffabilemente.

La mia providenzia gli à dato il cibo per confortarlo mentre ch'egli è viandante e peregrino in questa vita, sì come in un altro luogo ti dissi, § 27 ,113ss.) e fatto indebilire i nemici suoi, che veruno gli può nuocere se non esso medesimo. La strada è battuta nel sangue della mia Verità acciò che possa giognere al termine suo, a quel fine per lo quale el creai.

E che cibo è questo? Sì come in uno altro luogo Io ti narrai, è il corpo e il sangue di Cristo crocifisso, tutto Dio e tutto uomo, cibo degli angeli e cibo di vita. Cibo (143r) che sazia ogni affamato che di questo pane si diletta, ma non colui che non à fame; però che egli è uno cibo che vuole essere preso con la bocca del santo desiderio e gustato per amore. § 110 ; § 112 Sì che vedi che la mia providenzia à proveduto di dargli conforto.



136

CAPITOLO CXXXVI.

Anco gli ò dato il refrigerio della speranza, se col lume della santissima fede raguarda il prezzo del sangue che è pagato per lui, il quale gli dà ferma speranza e certezza della salute sua. Negli obrobri di Cristo crocifisso gli è renduto l'onore; che se con tutte le membra del corpo suo egli offende me, e Cristo benedetto, dolcissimo mio Figliuolo, in tutto il corpo suo à sostenuti grandissimi tormenti, e con la sua obedienzia à levata la vostra disobbedienzia. Dalla quale obedienzia tutti avete contratta la grazia, sì come per la disobbedienzia tutti contraeste la colpa. (Rm 5,19) Questo v'à conceduto la mia providenzia, la quale dal principio del mondo infino al dì d'oggi à proveduto, e provederà infino a l'ultimo, a la necessità e salute dell'uomo in molti e diversi modi, secondo che Io, giusto e vero medico, veggo che bisogna a le vostre infermità, secondo che n'à bisogno per rendarli sanità perfetta o per conservarlo nella sanità. La mia providenzia non mancarà mai a chi la vorrà ricevere. In quegli che perfettamente sperano in me - e chi spera in me bussa e chiama in verità, non solamente con la parola, ma con affetto e col lume della santissima fede - gustaranno me nella providenzia mia. Ma non coloro che solamente bussano e suonano col suono della parola, chiamandomi: «Signore, Signore!».

Dicoti che se essi con altra virtù non m'adimandano, non saranno cognosciuti da me per misericordia, ma per giustizia. (Mt 7,21-23 Lc 6,46 Mt 25,11-12) Sì che Io ti dico che la mia providenzia non mancarà a chi in verità spera in me, ma in quelli che si dispera di me e spera in sé.

Sai che speranza in due cose contrarie non si può ponere. Questo volse dire a voi la mia Verità nel santo Evangelio quando disse: «Veruno può servire a due signori, ché se serve a l'uno è in contempto a (143v) l'altro». (Mt 6,24 Lc 16,13) Servire non è senza speranza, però che'l servo che serve, serve con esperanza che egli à di piacere al signore, o serve per la speranza che à nel prezzo e utilità che se ne vede trarre. Al nemico del suo signore ponto non servirebbe; il quale servizio fare non potrebbe senza alcuna speranza, e vederebbesi privare di quello che aspettava dal signore suo. Or così pensa, carissima figliuola, che diviene a l'anima: o e' si conviene che ella serva e speri in me, o serva e speri nel mondo e in se medesima, però che tanto serve al mondo fuore di me di servizio sensuale, quanto serve o ama la propria sensualità; del quale amore e servizio spera d'avere e piacere e utilità sensitiva. Ma perché la sua speranza è posta in cosa finita vana e transitoria, però gli viene meno e non giogne in effetto di quello che desiderava. Mentre che esso spera in sé e nel mondo none spera in me, perché 'l mondo, cioè i desideri mondani de l'uomo, sono a me in odio e in tanta abominazione mi furono che Io diei l'unigenito mio Figliuolo a l'obrobbriosa morte della croce: non à conformità con meco, né Io con lui. Ma l'anima che perfettamente spera in me e serve con tutto il cuore e con tutto l'affetto suo, subito per necessità, per la cagione detta, si conviene che si disperi di sé e del mondo, di speranza posta con propria fragilità. (Mt 6,25-32) Questa vera e perfetta speranza è meno e più perfetta secondo la perfezione de l'amore che l'anima à in me. E così, imperfetta e perfetta, gusta della providenzia mia; più perfettamente la gusta e la riceve quelli che serve e spera di piacere solamente a me che quegli che servono per speranza del frutto e per diletto che truovassero in me.

Questi primi sono quegli che ne l'ultimo stato de l'anima Io ti narrai della loro perfezione. Questi sono i secondi e terzi, che Io ora ti contio, che vanno con esperanza del diletto e del frutto; e sono quegli imperfetti de' quali Io ti contai narrandoti degli stati de l'anima. § 58 -LXXXV) Ma in veruno modo, a' perfetti e a gl'imperfetti, non mancarà la mia providenzia, pure che non presummino (144r) né sperino in sé. Il quale presummere e sperare in sé, perché esce de l'amore proprio, offusca l'occhio de l'intelletto traendone il lume della santissima fede. Unde non va con lume di ragione e però non cognosce la mia providenzia. Non che egli non ne pruovi, però che veruno è, né giusto né peccatore, che non sia proveduto da me; (Mt 5,45) perché ogni cosa è fatta e creata da la mia bontà, però ch'Io so' Colui che so', e senza me veruna cosa è fatta, (Jn 1,3) se non solo il peccato che non è. Sì che essi ricevono bene della mia providenzia, ma non la intendono, perché non la cognoscono e non cognoscendola non l'amano, e però non ne ricevono frutto di grazia. Ogni cosa veggono torto, dove ogni cosa è dritta; sì come ciechi, la luce veggono in tenebre e la tenebre in luce. Unde, perché ànno posta la speranza e il servizio loro nella tenebre, caggiono in mormorazione e vengono ad impazienzia.

E come sono tanto matti? Doh, carissima figliuola come possono essi credere che Io, somma eterna Bontà, possa volere altro che il loro bene nelle cose piccole che tutto dì lo' permetto per salute loro, quando pruovano che Io non voglio altro che la loro santificazione nelle cose grandi? ché, con tutta la loro ciechità, non possono fare che almeno con un poco di lume naturale non veggano la mia bontà e il benefizio della mia providenzia, la quale truovano, e non la possono dinegare, nella prima creazione e nella recreazione che à ricevuto l'uomo nel sangue, ricreandolo a grazia sì come detto Io t'ò. Questa è cosa sì chiara e manifesta che non possono dire di no. Poi mancano e vengono meno a l'ombra loro, perché questo lume naturale non è esercitato in virtù. Il matto uomo non vede che di tempo in tempo Io ò proveduto generalmente al mondo, e in particulare a ogni uno secondo il suo stato. E perché veruno è che in questa vita stia fermo, ma sempre si muta di tempo in tempo infino che egli è gionto a lo stato suo fermo, sempre il proveggo di quello che gli bisogna nel tempo che egli è (144v).



137

CAPITOLO CXXXVII.

Generalmente Io providi con la legge di Moysè nel Testamento vecchio, e con molti altri santi profeti. (Lc 16,29) Anco ti fo sapere che inanzi l'avenimento del Verbo unigenito mio Figliuolo, non stava il popolo giudaico senza profeta, per confortare il popolo con le profezie, dandolo' speranza che la mia Verità, profeta de' profeti, gli traesse della servitudine e facesseli liberi, e diserrasselo' il cielo col sangue suo, che tanto tempo era stato serrato. Ma poi che venne il dolce e amoroso Verbo veruno profeta si levò tra loro, per certificarli che quello che essi aspettavano l'avevano avuto, unde non bisognava che più profeti l'annunziassero, (Mt 11,13) benché egli non il cognobbero né cognoscono per la ciechità loro.

Dipo' costoro providi venendo il Verbo, sì come detto è, il quale fu vostro tramezzatore tra me, Dio etterno, e voi. Doppo lui gli apostoli, martiri, dottori e confessori, sì come in un altro luogo Io ti narrai. § 29 ,295ss.; § 85 ,1985ss.) Ogni cosa à fatto la mia providenzia, e così ti dico che infino a l'ultimo provederà. Questo è generale, dato a ogni creatura che à in sé ragione, che di questa providenzia vorrà ricevere il frutto.

In particulare lo' do ogni cosa per mia providenzia: e vita e morte, per qualunque modo Io la dia, fame sete perdimento di stato del mondo, nudità freddo caldo, ingiurie scherni e villanie. Tutte queste cose permetto che sieno dette e fatte dagli uomini. Non ch'Io faccia la malizia della mala volontà di colui che fa il male e la ingiuria, ma il tempo e l'essere che egli à avuto da me. Il quale essere gli diei non perché egli offendesse me né il prossimo suo, ma perché servisse me e lui con dilezione di carità. Unde Io permetto quello atto, o per pruovare la virtù della pazienzia ne l'anima in colui che riceve, o per farlo ricognoscere.

Alcuna volta permettarò che al giusto tutto il mondo gli sarà contrario, e ne l'ultimo farà morte la quale darà grande ammirazione a' mondani uomini del mondo. E parrà a loro (145r) una cosa ingiusta di vedere perire uno giusto, quando in acqua, quando in fuoco, quando strangolato dagli animali e quando per cadimento di casa sopra di lui, nel quale perderà la vita corporale. O quanto paiono fuore di modo queste cose a quello occhio che non v'è dentro il lume della santissima fede! Ma non al fedele, però che 'l fedele à trovato e gustato per affetto d'amore nelle cose grandi sopra dette la mia providenzia; e così vede e tiene che con providenzia Io fo ciò ch'Io fo, e solo per procurare a la salute de l'uomo. E però à ogni cosa in reverenzia; non si scandelizza in sé ne l'operazioni mie né nel prossimo suo, ma ogni cosa trapassa con vera pazienzia. La providenzia mia non è tolta a veruna creatura, però che tutte le cose sono condite con essa.

Alcuna volta parrà a l'uomo che o grandine o tempesta o saetta che Io mandi sopra el corpo della creatura, che ella sia una crudeltà, quasi giudicando che Io non abbi proveduto a la salute di colui. E Io l'ò fatto per camparlo della morte etterna, ed egli tiene il contrario. E così gli uomini del mondo in ogni cosa vogliono contaminare le mie operazioni e intenderle secondo il loro basso intendimento.

E voglio che tu vegga, dilettissima figliuola, con quanta pazienza egli mi conviene portare le mie creature, le quali Io ò create, come detto è, alla imagine e similitudine mia con tanta dolcezza d'amore. Apre l'occhio de l'intelletto e raguarda in me; e ponendoti Io un caso particulare avvenuto, del quale se ben ti ricorda tu mi pregasti che Io provedesse e Io lo providdi, sì come tu sai che senza pericolo di morte riebbe lo stato suo. E come egli è questo particulare, così è generalmente in ogni cosa. -

138

CAPITOLO CXXXVIII.

Alora quella anima, aprendo l'occhio de l'intelletto col lume della santissima fede nella divina sua maestà con (145v) ansietato desiderio, perché per le parole dette più cognosceva della sua verità nella dolce providenzia sua, per obbedire al comandamento suo, specolandosi ne l'abisso della sua carità vedeva come egli era somma ed eterna Bontà, e come per solo amore ci aveva creati e ricomprati del sangue del suo Figliuolo; e con questo amore medesimo dava ciò che egli dava e permetteva: tribolazioni e consolazioni e ogni cosa era dato per amore e per provedere a la salute de l'uomo, e non per verun altro fine. Il sangue sparto, il quale vedeva, con tanto fuoco d'amore, manifestava che questo era la verità.

Alora diceva il sommo ed etterno Padre: - Questi sono come aciecati per lo proprio amore che ànno di loro medesimi, scandelizzandosi con molta impazienzia. Io ti parlo ora in particulare e in generale, ripigliando quello ch'Io ti dicevo. Essi giudicano in male, e in loro danno e ruina e in odio, quello che Io fo per amore e per loro bene, per privarli delle pene etternali, e per guadagno e per darlo' vita etterna. § 35 ,179ss.; § 135 ,11) E perché dunque si lagnano di me? Perché non sperano in me ma in loro medesimi; già t'ò detto che per questo vengono a tenebre, sì che non cognoscono. Unde odiano quello che debbono avere in reverenzia, e come superbi vogliono giudicare gli occulti miei giudicii, i quali sono tutti dritti. Ma essi fanno come il cieco, che col tatto della mano, o alcuna volta col sapore del gusto, e quando col suono della voce, vorrà giudicare in bene e in male, secondo il suo basso infermo e piccolo sapere. E non si vorranno attenere a me, che so' vero lume e so' colui che gli notrico spiritualmente e corporalmente, e senza me veruna cosa possono avere.

E se alcuna volta sono servito da la creatura, Io so' colui che l'ò dato la volontà e l'attitudine, e il potere e il sapere a poterlo fare. Ma come matto egli vuole andare col sentimento della mano, che è ingannata nel suo toccare, perché non à lume per (146r) discernere il colore; e così il gusto s'inganna, perché non vede l'animale immondo che si pone alcuna volta in sul cibo; l'orecchia è ingannata nel diletto del suono, perché non vede colui che canta, il quale con quello suono, se non si guardasse da lui, per lo diletto egli gli può dare la morte.

Così fanno costoro i quali, come aciecati, perduto il lume della ragione, toccando con la mano del sentimento sensitivo i diletti del mondo gli paiono buoni; ma perché egli non vede non si guarda, ché egli è uno panno mischiato di molte spine, con molta miseria e grandi affanni, in tanto che'l cuore che lo possiede fuore di me è in comportabile a se medesimo.

Così la bocca del desiderio che disordinatamente l'ama, le paiono dolci e soavi a prendere, ed egli v'è su l'animale immondo di molti peccati mortali, i quali fanno immonda l'anima e dilonganla da la similitudine mia e tollonla della vita della grazia. Unde se egli non va col lume della santissima fede a purificarla nel sangue, n'à morte etternale. L'udire è l'amore proprio di sé, che gli pare che gli faccia uno dolce suono. Perché gli pare? Perché l'anima corre dietro a l'amore della propria sensualità. Ma perché non vede è ingannato dal suono, e perché gli andò dietro con disordinato diletto, truovasi menato nella fossa, (Mt 15,14 Lc 6,39) legato col legame della colpa, menato nelle mani de' nemici suoi, però che come aciecato dal proprio amore e confidanza che ànno posta a loro medesimi e al loro proprio sapere, non s'attengono a me che so' guida e via loro.

La quale via vi fu fatta dal Verbo del mio Figliuolo, il quale disse che era via verità e vita. Ed è lume, unde chi va per lui non può essere ingannato né andare per la tenebre. E veruno può venire a me se non per lui, perché egli è una cosa con meco; (Jn 14,6 Jn 10,30) e già ti dissi che Io ve n'avevo fatto ponte acciò che tutti poteste venire al termine vostro. E nondimeno con tutto questo (146v) non si fidano di me, che non voglio altro che la loro santificazione, (1Th 4,3) e per questo fine, con grande amore, lo' do e permetto ogni cosa. Ed essi sempre si scandelizzano in me, e Io con pazienzia gli porto e gli sostengo, però che Io gli amai senza essere amato da loro. (1Jn 4,10) Ed eglino sempre mi perseguitano con molta impazienzia, odio e mormorazioni e con molta infedelità, volendosi ponere a investigare secondo il loro cieco vedere gli occulti miei giudicii, i quali sono fatti tutti giustamente e per amore. E non cognoscono ancora loro medesimi, e però veggono falsamente, però che chi non cognosce se medesimo non può cognoscere me, né le giustizie mie in verità.



139

CAPITOLO CXXXIX.

Vuogli ti mostri, figliuola, quanto il mondo è ingannato dei misteri miei? Or apre l'occhio de l'intelletto e raguarda in me, e mirando vedrai nel caso particulare del quale Io dissi che Io ti narrarei. E come egli è questo, così generalmente ti potrei contiare degli altri. - Alora quella anima, per obbedire al sommo etterno Padre, raguardava in lui con ansietato desiderio.

Alora Dio etterno dimostrava la dannazione di colui per cui era adivenuto il caso, (Let 272; Let 273) dicendo: - Io voglio che tu sappi che per camparlo di questa etterna dannazione, nella quale tu el vedi che egli era, Io permissi questo caso, acciò che col sangue suo nel sangue della mia Verità, unigenito mio Figliuolo, avesse vita. Però che non avevo dimenticata la reverenzia e l'amore che egli aveva alla dolcissima madre, Maria, de l'unigenito mio Figliuolo, a la quale è dato questo, per reverenzia del Verbo, da la mia bontà cioè che qualunque sarà colui, o giusto o peccatore, che l'abbia in debita reverenzia, non sarà tolto né divorato dal dimonio infernale. (Gn 3,15) Ella è come una esca posta da la mia bontà a pigliare le creature che ànno in loro ragione. Sì che per misericordia ò fatto quello - cioè permessolo, non fatta la mala volontà degli iniqui - che gli uomini tengono crudeltà. E tutto questo l'adiviene per l'amore proprio di loro medesimi che l'à tolto el lume, e però non cognoscono la verità mia. Ma se essi si volessero levare (147r) la nuvila, la cognoscerebbero e amarebbero, e così avarebbero ogni cosa in reverenzia, e nel tempo della ricolta ricevarebbero il frutto delle loro fadighe.

Ma non dubbitare, figliuola mia, ché di quello che tu mi preghi Io adempirò i desideri tuoi e dei servi miei. Io so' lo Idio vostro remuneratore d'ogni fadiga e adempitore dei santi desiderii, pure che Io trovasse chi in verità bussasse a la porta della mia misericordia con lume, acciò che non errassero né mancassero in speranza della mia providenzia.



140

CAPITOLO CXL.

Òtti narrato di questo caso particulare; ora ti ritorno al generale.

Tu non potresti mai vedere quanta è l'ignoranzia de l'uomo. Egli è senza veruno senno e senza veruno cognoscimento, avendoselo tolto per sperare in sé e confidarsi nel suo proprio sapere. (Pr 26,12) O stolto uomo, e non vedi tu che 'l sapere tuo non l'ài da te? ma la mia bontà che provide al tuo bisogno te l'à dato.

Chi te'l mostra? Quello che tu pruovi in te medesimo, che tale ora vuoli fare una cosa, che tu non la puoi fare né saprai fare. Alcuna volta avarai il sapere e non il potere; e quando il potere e non il sapere. Alcuna volta non avarai il tempo, e se avarai il tempo ti mancherà il volere. Tutto questo t'è dato da me per provedere a la salute tua, perché tu cognosca te non essere e abbi materia d'umiliarti e non d'insuperbire.

Unde in ogni cosa truovi mutazione e privazione, però che non stanno in tua libertà; solo la grazia mia è quella che è ferma e stabile, e che non ti può essere tolta né mutata, partendoti da essa grazia e tornando alla colpa, se tu medesimo non te la muti.

Dunque, come puoi levare il capo contra la mia bontà? Non puoi, se tu vuoli seguitare la ragione, né puoi sperare in te né confidarti del tuo sapere. Ma perché se' fatto animale senza ragione (Ps 48,13) non vedi che ogni cosa si muta, eccetto la grazia mia. E perché non ti confidi di me che so' il tuo Creatore? Perché ti fidi in te. E non so' Io fedele e leale a te? Certo sì: e questo non t'è nascosto però che continuamente l'ài per pruova.

O dolcissima e carissima figliuola (147v), l'uomo non fu leale né fedele a me, trapassando l'obbedienzia che Io gli avevo imposta, per la quale cadde nella morte. E Io fui fedele a lui, attenendoli quello per che Io l'avevo creato, volendoli dare il sommo etterno Bene. (Ps 144,13-14) E per compire questa mia verità, unii la Deità mia, somma altezza, con la bassezza della sua umanità, essendo ricomprato e restituito a grazia col mezzo del sangue de l'unigenito mio Figliuolo. Sì che egli l'à provato. Ma e' pare che essi non credano ch'Io sia potente a poterli sovenire, e forte a poterli aitare e difendere da' nemici suoi, e sapiente per illuminarlo' l'occhio de l'intelletto loro, né la clemenzia a volerli dare quello che è di necessità alla salute sua; né sia ricco per poterli arricchire, né sia bello per poterlo' dare bellezza, né abbi cibo per darlo' mangiare né vestimento per rivestirli. L'operazioni loro mi manifestano che essi no'l credono, però che, se 'l credessero in verità, sarebbe con opera di sante e buone operazioni. (Jc 2,14) E non di meno e' pruovano continuamente ch' Io so' forte, però che Io gli conservo ne l'essere e difendoli da' nemici loro, e veggono che neuno può ricalcitrare a la potenzia e fortezza mia. Ma essi no'l veggono perché no'l vogliono vedere.

Con la mia sapienzia Io ò ordinato e governo tutto quanto il mondo con tanto ordine che veruna cosa vi manca e nessuno ci può apponere. Ne l'anima e nel corpo in tutto ò proveduto, non costretto a farlo da la volontà vostra, però che voi non eravate, ma solamente da la mia clemenzia; costretto da me medesimo, facendo il cielo e la terra, il mare e il fermamento, cioè il cielo, perché si movesse sopra di voi, e l'aere perché respiraste, el fuoco e l'acqua per temperare contrario con contrario, e'l sole perché non steste in tenebre: tutti fatti e ordinati perché sovengano a la necessità de l'uomo. (Ps 8) Il cielo adornato degli ucelli, la terra germina i frutti, con molti animali, per la vita de l'uomo, il mare adornato di pesci: ogni cosa ò fatto con grandissimo ordine e providenzia.

Poi che ebbi fatto ogni cosa buona e perfetta, (Gn 1) ed (148r) Io creai la creatura razionale a la imagine e similitudine mia, e missila in questo giardino. Il quale giardino per lo peccato d'Adam germinò spine, dove in prima ci erano fiori odoriferi, pure d'innocenzia e di grandissima soavità. Ogni cosa era obediente a l'uomo, ma per la colpa e disobbedienzia commessa trovò ribellione in sé e in tutte le creature.

Insalvatichì il mondo e l'uomo, il quale uomo è un altro mondo.

Ma Io providdi, ché, mandando nel mondo la mia Verità, Verbo incarnato, gli tolse il salvaticume, trassene le spine del peccato originale, e fecilo uno giardino inaffiato del sangue di Cristo crocifisso, piantandovi le piante de' sette doni dello Spirito santo, traendone il peccato mortale. E questo fu dopo la morte de l'unigenito mio Figliuolo, ché inanzi no.

Sì come fu figurato nel vecchio Testamento, quando fu pregato Elyseo che risuscitasse il giovano che era morto, ma egli non andò; ma mandò Gezi col bastone suo, dicendo ch'egli el ponesse sopra'l dosso del garzone. Andando Gezi e facendo quello che Elyseo gli disse, non risuscitò però. Vedendo Elyseo che non era risuscitato, andò egli con la propria persona e conformossi tutto col garzone con tutte le membra sue, e spirò asciando sette volte nella bocca sua. E il garzone respirò sette volte, in segno che egli era risuscitato. (2R 4,29-35) Questo fu figurato per Moysè, che Io mandai col bastone della legge sopra il morto de l'umana generazione: per questa legge non aveva vita. (Jn 1,17 Rm 3,20) Mandai il Verbo, il quale fu figurato per Elyseo, de l'unigenito mio Figliuolo, che si conformò con questo figliuolo morto per l'unione della natura divina unita con la natura vostra umana. Con tutte le membra si unì questa natura divina, cioè con la potenzia mia, con la sapienzia del mio Figliuolo e con la clemenzia dello Spirito santo, tutto me, Dio, abisso di Trinità, conformato e unito con la natura vostra umana.

Doppo questa unione fece l'altra il dolce e amoroso Verbo, correndo come inamorato a l'obrobriosa morte della croce. Ine si distese. E di po' questa (148v) unione donò i sette doni dello Spirito santo a questo figliuolo morto, asciando nella bocca del desiderio de l'anima, tollendole la morte nel santo battesmo. Egli spira in segno ch'egli à vita gittando fuore di sé i sette peccati mortali. Sì che egli è fatto giardino adornato di dolci e soavi frutti.

è vero che l'ortolano di questo giardino, cioè il libero arbitrio, el può insalvatichire e dimesticare secondo che gli piace. Se egli ci semina il veleno de l'amore proprio di sé, unde nascono e sette principali peccati e tutti gli altri che procedono da questi, esso fatto ne caccia i sette doni dello Spirito santo: privasi d'ogni virtù. Ine non à fortezza, ché egli è indebilito; non v'à temperanzia né prudenzia, ché egli à perduto il lume col quale usava la ragione; non v'à fede né speranza né giustizia, però ch'egli è fatto ingiusto: spera in sé e crede con fede morta a se medesimo; fidasi delle creature e non di me suo Creatore. Non v'à carità né pietà veruna, perché se l'à tolta co' l'amore della propria fragilità; è fatto crudele a sé, (OrazVIII) unde non può essere pietoso al prossimo suo. Privato è d'ogni bene, caduto è in sommo male.

E unde riavarà la vita? Da questo medesimo Elyseo, Verbo incarnato, unigenito mio Figliuolo. In che modo? Che questo ortolano divella queste spine con odio § 23 -XXIV; Let 113) - che se egli non s'odiasse non ne le trarrebbe mai - e con amore corra a conformarsi con la dottrina della mia Verità inaffiandolo col sangue. Il quale sangue gli è gittato sopra il capo suo dal ministro, andando alla confessione con contrizione di cuore e dispiacimento della colpa, e con satisfazione e proponimento di non offendere più.

Per questo modo può dimesticare questo giardino de l'anima mentre che vive; ché passata questa vita non à più rimedio veruno, sì come in più altri luoghi Io t'ò narrato. § 37 ; § 94 ; § 129 -CXXX; § 132

141

CAPITOLO CXLI.

Vedi dunque che con la mia providenzia Io racconciai il secondo mondo de l'uomo. § 152 ,2155ss.) Al primo non fu tolto che non germinasse spine di molti triboli e che in ogni cosa l'uomo non trovasse rebellione. § 21 Questo non è fatto senza providenzia né senza (149r) vostro bene, ma con molta providenzia e vostra utilità, per tollere la speranza del mondo all'uomo e farlo corrire e dirizzare a me che so' suo fine, sì che, almeno per importunità di molestie, egli ne lievi il cuore e l'affetto suo. è tanto ignorante l'uomo a non cognoscere la verità ed è tanto fragile a dilatarsi nel mondo, che con tutte queste fadighe e spine che egli ci truova non pare che se ne voglia levare né curi di tornare a la patria sua. Sappi, figliuola, quello che egli farebbe se nel mondo egli trovasse perfetto diletto e riposo senza veruna pena.

E però con providenzia lo' permetto e do che il mondo lo' germini le molte tribolazioni, e per provare in loro la virtù, e della pena forza e violenzia che fanno a loro medesimi abbi di che remunerarli. Sì che in ogni cosa à ordinato e proveduto con grande sapienzia la providenzia mia.

Òllo' dato, sì come detto è, perch'Io so' ricco, potevalo e posso dare, e la ricchezza mia è infinita; anco ogni cosa è fatta da me, e senza me veruna cosa può essere. (Jn 1,3) Unde, se vuole bellezza, Io so' bellezza; se vuole bontà Io so' bontà, perché so' sommamente buono; Io sapienzia, Io benigno, Io pietoso, Io giusto e misericordioso Dio, Io largo e non avaro. Io so' colui che do a chi m'adimanda, apro a chi bussa in verità e rispondo a chi mi chiama. (Mt 7,7-8 Lc 11,9-10) Non so' ingrato, ma grato e cognoscente a remunerare chi per me s'afadigarà, cioè per gloria e loda del nome mio. Io so' giocondo, ché tengo l'anima che si veste della mia volontà in sommo diletto. Io so' quella somma providenzia che non manco mai a' servi miei che sperano in me, né ne l'anima né nel corpo. (Rm 10,12) E come può credere l'uomo che mi vede pascere e nutricare il vermine intro legno secco, pascere gli animali bruti, nutricare i pesci del mare, tutti gli animali della terra e gli ucelli de l'aria - sopra le piante mando il sole e la rugiada che ingrassi la terra - e non crederà che Io nutrichi lui, che è mia creatura creata a imagine e similitudine mia? Con ciò sia cosa che tutto questo è fatto da la (149v) mia bontà in servizio suo. Da qualunque lato e' si volle, spiritualmente e temporalmente, non truova altri che'l fuoco e l'abisso della mia carità con massima dolce vera e perfetta providenzia. Ma egli no'l vede, perché s'à tolto il lume e non si dà a vederlo. E però si scandelizza, ristregne la carità del prossimo suo, con avarizia pensa il dì di domane, il quale gli fu vetato da la mia Verità dicendo: «Non voliate pensare per lo dì di domane, basta il dì la sollicitudine sua», (Mt 6,34 Mt 6,7 Lc 12) riprendendovi della vostra infidelità e mostrandovi la mia providenzia e la brevità del tempo, dicendo «non voliate pensare il dì di domane».

Quasi dica la mia Verità: Non voliate pensare di quello che non sete sicuri d'avere: basta il presente dì. Ed insegnavi adimandare prima il reame del cielo, cioè la santa e buona vita, ché di queste cose minime ben so Io, Padre vostro del cielo, che elle vi bisognano, e però l'ò fatte e comandato a la terra che ella vi doni de' frutti suoi.

Questo miserabile, che per la sconfidenzia sua à ristretto il cuore e le mani nella carità del prossimo, non à letta questa dottrina che gli à data il Verbo mia Verità, per che non seguita le vestigie sue. Egli diventa incomportabile a se medesimo: escene, di questo fidarsi in sé e none sperare in me, ogni male. Essi si fanno giudici della volontà degli uomini: non vede ch'Io gli ò a giudicare, Io e non egli. (1Co 4,5; § 32 ; § 35 La volontà mia non intende né giudica in bene, se non quando si vede alcuna prosperità diletto o piacere del mondo. E venendoli meno questo, perché l'affetto suo con esperanza era tutto posto ine, non lo' pare sentire né ricevere né providenzia mia né bontà veruna. Pargli allora essere privato d'ogni bene. E perché s'è aciecato da la propria passione, non vi cognosce la ricchezza che v'è dentro, né il frutto della vera pazienzia, anco ne traie morte, e gusta in questa vita l'arra de l'inferno.

E Io con tutto questo non lasso per la mia bontà che Io non el provegga. Così comando (150r) a la terra che dia dei frutti al peccatore come al giusto, e così mando il sole e la piova sopra il campo suo e più n'avarà spesse volte il peccatore che'l giusto. (Mt 5,45) Questo fa la mia bontà per dare più a pieno delle ricchezze spirituali ne l'anima del giusto che per lo mio amore s'è spogliato delle temporali, renunziato al mondo e a tutte le delizie sue, e a la propria volontà.

Questi sono quegli che ingrassano l'anima loro, dilatansi ne l'abisso della mia carità, perdono in tutto la cura di loro medesimi, che non tanto delle mondane ricchezze, ma di loro non possono avere cura. Allora Io so' fatto loro governatore spiritualmente e temporalmente. Uso una providenzia particulare oltre a la generale: la clemenzia mia, Spirito santo, se lo' fa servidore che gli serve. Questo sai, se bene ti ricorda, d'aver letto nella vita dei santi padri, che essendo infermato quello solitario santissimo uomo che tutto aveva lassato sé per gloria e loda del nome mio, la clemenzia mia providde e mandò uno angelo perché il governasse e provedesse a la sua necessità. Il corpo era sovenuto nel suo bisogno, e l'anima stava in ammirabile allegrezza e dolcezza per la conversazione de l'angelo.

Lo Spirito santo gli è madre che lo nutrica al petto della divina carità. Egli l'à fatto libero, sì come signore, tollendoli la servitudine de l'amore proprio; ché dove è il fuoco della mia carità non vi può essere l'acqua di questo amore che spegne questo dolce fuoco ne l'anima. Questo servidore dello Spirito santo, ch'Io l'ò dato per mia providenzia, la veste, la nutrica e la inebbria di dolcezza e dàlle somma ricchezza. Perché tutto lassò tutto truova; perché si spogliò tutto di sé si truova vestito di me; fecesi in tutto servo per umilità, e però è fatto signore, signoreggiando il mondo e la propria sensualità. Perché tutto s'aciecò nel suo vedere, sta in perfettissimo lume; disperandosi di sé è coronato di fede viva e di compita (150v) speranza; gusta vita etterna, privato d'ogni pena e amaritudine afliggitiva. Ogni cosa giudica in bene, perché in tutte giudica la volontà mia, la quale vidde col lume della fede, ch'Io non volevo altro che la sua santificazione, e però è fatto paziente.

O quanto è beata questa anima la quale, essendo anco nel corpo mortale, gusta il bene immortale! Ogni cosa à in reverenzia: tanto gli pesa la mano manca quanto la ritta, tanto la tribolazione quanto la consolazione, tanto la fame e la sete quanto il mangiare e 'l bere, tanto il freddo il caldo e la nudità quanto il vestimento, tanto la vita quanto la morte, tanto l'onore quanto il vitoperio, tanto l'afflizione quanto la consolazione. In ogni cosa sta solido fermo e stabile, perché è fondato sopra la viva pietra. À cognosciuto e veduto, col lume della fede e con ferma speranza, che ogni cosa do con uno medesimo amore e per uno medesimo rispetto per la salute vostra, e che in ogni cosa Io provego. Però che nella grande fadiga Io do la grande fortezza, e non pongo maggiore peso che si possa portare, pure che si disponga a volere portare per mio amore. Nel sangue v'è fatto manifesto che Io non voglio la morte del peccatore, ma voglio che si converta e viva, (Ez 18,23 Ez 33,11 Lc 15,7 Lc 15,10) e per sua vita gli do ciò che Io gli do.

Questo à veduto l'anima spogliata di sé, e però gode in ciò che ella vede e sente, in sé o in altrui. Non dubbita che le vengano meno le cose minime, perché col lume della fede è certificata nelle cose grandi, delle quali nel principio di questo trattato ti narrai. O quanto è glorioso questo lume della santissima fede col quale vede, e cognobbe e cognosce la mia verità! Questo lume l'à dal servidore dello Spirito santo che Io l'ò dato, il quale è uno lume sopranaturale che l'anima acquista per la mia bontà, esercitando il lume naturale che Io l'ò dato.




Caterina, Dialogo 135