Caterina, Lettere 7

7

A missere Pietro cardinale d'Ostia.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e reverendo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi legato nel legame della carità, sì come sete fatto Legato - secondo che ò inteso -; della quale cosa ò molto singolare letizia, considerando me che voi per questo ne potrete fare assai l'onore di Dio e bene della santa Chiesa.

Ma pur per questo legame, senza altro legame, non fareste questa utilità, e però vi dissi che io desiderava di vedervi legato nel legame de la carità; però che voi sapete che veruna utilità di grazia né a noi né al prossimo potiamo fare senza carità. La carità è quello dolce e santo legame che lega l'anima col suo Creatore; ella legò Dio ne l'uomo, e l'uomo in Dio: questa carità inestimabile tenne confitto e chiavellato Dio e Uomo in su. legno della santissima croce. Costei acorda i discordi; questa unisce i separati; ella arricchisce coloro che sono povari della virtù, perché dà vita a tutte le virtù. Ella dona pace e tolle guerra; dona pazienzia, fortezza e longa perseveranzia in ogni santa e buona operazione; non si stanca mai; non si stolle mai da l'amore di Dio e del prossimo suo, né per pena né per strazio né ingiuria né scherni né villania. Non si muove per impazienzia né a delizie né a piacimento, per delizie che 'l mondo gli potesse dare con tutte le lusinghe sue.

Chi l'à, è perseverante che giamai non si muove, perché elli è fondato sopra la viva pietra Cristo dolce Gesù; cioè, che à imparato da lui a amare el suo Creatore, seguitando le vestigie sue. In lui à letta la regola e la dottrina, perché elli è via verità e vita, e chi legge in lui, che è libro di vita, elli tiene per la via dritta: attende solo all'onore di Dio e alla salute del prossimo suo. Così fece esso Cristo dolce Gesù, e non ritrasse questo amore de l'onore del Padre e salute nostra né per pena, né per tormenti, né per lusinghe che gli fussero fatte, né per ingratitudine nostra; elli persevera infine all'ultimo che elli à compito questo desiderio, e compita l'operazione che gli fu messa in mano dal Padre, di ricomprare l'umana generazione: così adempie l'onore del Padre e la salute nostra.

Or in questo legame e amore voglio che seguitiate, imparando da la prima dolce Verità, el quale v'à fatta la via che vi dà vita, e datavi la forma de la regola, e insegnata la dottrina della verità. Voi dunque, come vero figliuolo e servo ricomprato del sangue di Cristo crocifisso, voglio che seguitiate le vestigie sue con uno cuore virile e sollicitudine pronta; none staccarvi mai né per pena né per diletto: perseverate infine a la fine questa e ogni altra operazione che voi pigliate a fare per Cristo crocifisso.

Attendeteci a l'iniquità e miserie del mondo, de' molti difetti che si commettono - che tornano a vitoperio del nome di Dio -, e voi, come affamato de l'onore suo e salute del prossimo, adoperate ciò che voi potete per remediare a tanta iniquità. So' certa che essendo voi legato nel legame dolce della carità, voi usarete la legazione vostra, la quale avete ricevuta dal vicario di Cristo, per lo modo che detto è. Ma senza el primo legame de la carità questo non potreste usare, né farlo per quello modo che dovete, e però vi prego che vi studiate d'avere in voi questo amore. Legatevi con Cristo crocifisso - con vere e reali virtù seguitate le sue vestigie -, e col prossimo per fatto d'amore.

Ma io voglio che noi pensiamo, carissimo padre, che se l'animo nostro non è spogliato d'ogni amore proprio e piacere di sé e del mondo, non può mai pervenire a questo vero e perfetto amore, legame di carità, perché è contrario l'uno amore all'altro. In tanto è contrario che l'amore proprio ti separa da Dio e dal prossimo, e quello t'unisce; questo ti dà morte, e quello vita; questo tenebre, e quello luce; questo guerra, e quello pace; questo ti strigne el cuore che non vi capi né tu né 'l prossimo, e la divina carità el dilarga, ricevendo in sé amici e nemici e ogni creatura che à in sé ragione, perché s'è vestito dell'affetto di Cristo, e però seguita lui.

L'amore proprio è miserabile e partesi da la giustizia, e commette l'ingiustizie; à uno timore servile che non gli lassa fare giustamente quello che debba, o per lusinghe o per timore di non perdare lo stato suo: questa è quella perversa servitudine e timore che condusse Pilato a uccidere Cristo. Questi cotali non fanno giustizia, ma ingiustizia; essi non vivono giustamente e virtuosamente con affetto di divino amore, ma ingiustamente e viziosamente con amore proprio tenebroso. Questo cotale amore voglio che sia al tutto tolto da voi, sì che siate in vera e perfetta carità, amando Dio per Dio - in quanto è degno d'essere amato perché è somma ed etterna bontà -, amando voi per lui, e 'l prossimo per lui, non per rispetto di propria utilità. Or così voglio, padre mio, Legato del nostro signore lo papa, che voi siate legato nel legame della vera ardentissima carità: questo desidera l'anima mia di vedere in voi. Altro non dico.

Confortatevi in Cristo dolce Gesù; siate sollicito e non negligente in quello che avete a fare: a questo m'avedrò se sarete legato, e se avarete fame di vedere levato el gonfalone della santissima croce.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



8

A frate Giusto da Volterra, priore del monastero principale dell'ordine di Monte Oliveto presso a Chisure del contado di Siena.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi mangiatore e gustatore dell'anime, imparando dalla prima dolce Verità che per fame e sete che aveva, d'ansietato desiderio, della salute nostra, gridava in sul legno della santissima croce, quando disse "Sitio" (Jn 19,28) - quasi dica: «Io ò più sete e desiderio della salute vostra, che io con questa pena finita mostrare non vi posso», perché la sete del santo desiderio è infinita e la pena sua è finita -, sì che ci dimostra la sete ch'egli à dell'umana generazione, poniamo che anco corporalmente fusse afflitto di sete.

O dolce e buono Gesù, insiememente manifesti la sete, e dimandi che ti sia dato bere: e quando è che dimandi bere a l'anima? Allora quando ci mostri l'affetto e la carità tua, Signore mio. Vedete bene, carissimo padre, che 'l sangue ci manifesta l'amore ineffabile: ché per amore à donato el sangue, e con esso amore ci chiede bere, cioè che colui che ama richiede d'esser amato e servito. Cosa convenevole è che chi ama sia amato, e allora dà bere l'anima al suo Creatore quando gli rende amore per amore; ma non gli può rendere per servizio che possa fare a lui, ma col mezzo del prossimo: e però si vòlle l'anima con tanta solicitudine a servire al prossimo suo in quel servizio che vede che più piace a Dio; e in quello si essercita.

E sopra tutti quanti gli altri servizii che piacciono al nostro Salvatore si è di trarre l'anime delle mani del dimonio - trarle dello stato del secolo, della bocca delle vanità del mondo -, e reduciarle allo stato santo della religione. E non tanto che sia da lassargli e fuggirli, quando con tanto desiderio vengono, ma egli è da mettarsi alla morte del corpo per potergli ritrare. E questo è quello santo beveraggio el quale chiede el Figliuolo di Dio in su la croce: non doviamo esser negligenti a darglili, ma soliciti, poiché vedete bene che per questa sete muore. E non doviamo fare come fecero e' Giuderi che gli deron aceto (Mt 27,47 Mc 15,36 Jn 19,29) e fiele: allora riceve aceto e fiele da noi, quando noi stiamo in uno amore proprio sensitivo, in una negligenzia radicata in uno parere e piacere del mondo, con poca vigilia e orazione, con poca fame de l'onore di Dio e della salute dell'anime. Veramente questo è uno aceto e un fiele mescolato con grande amaritudine, della quale amaritudine è suo el dispiacere, perché gli dispiace; e a noi torna l'amaritudine e 'l danno.

Che dunque ci è bisogno di fare a non dargli questo bere? Non ci è bisogno altro che l'amore; e l'amore non si può avere se non dall'amore. E con lume si leva l'amore a tirare a sé l'amore: cioè che levando l'occhio dello 'ntelletto nostro con affetto e desiderio, ponsi nell'obiecto di Cristo crocifisso, el qual obiecto ci à manifestata la volontà e amore del Padre etterno, col quale ci creò solo per questo fine, perché avessimo vita etterna. El sangue del Verbo dell'unigenito Figliuolo di Dio ci manifesta questo amore, el fine per lo quale fummo creati. Allora l'affetto nostro, avendo uperto l'occhio de lo 'ntelletto nell'affetto di Cristo crocifisso, traie a sé l'amore: truovasi amare quello che Dio ama, e odiare quello ch'egli odia. E perché 'l peccato è fuore di Dio, l'à in tanto odio e dispiacere che non tanto che si diletti d'esso peccato, ma egli darebbe mille vite corporali, se tante n'avesse, per campare l'anime dal peccato mortale.

Datemegli bere, carissimo padre, ché vedete con quanto amore egli ve ne chiede; crescetemi uno desiderio santo e buono verso questo grazioso cibo.

E non mirate mai per veruna dignità, né per grandezza né per bassezza, né per l'essere legittimi né illegittimi: ché 'l Figliuolo di Dio, le cui vestigie ci conviene seguitare, none schiffòe né schifa mai persona per veruno stato né altra generazione, né giusti né peccatori; ma aguegliatamente ogni creatura che à in sé ragione riceve con amore, pure che si voglia levare dal fracidume del peccato mortale, dalla vanità del secolo, e tornare a la grazia. Questa è quella dottrina che è data da lui; e poniamo ch'ella sia data a tutti, molto maggiormente è data a voi e agli altri governatori e ministri dell'Ordine: che quando delle buone piante vi vengono alle mani, e vengono con fame e desiderio de l'Ordine, e per amore della virtù escono del secolo e corrono al giogo dell'obedienzia, non è da fuggirle, né da schifare per veruna cosa. E siano nati come si voglia; ché non spregia Dio l'anima di colui che è conceputo in peccato mortale, più che di quello che è conceputo ne l'atto del sacramento del matrimonio: egli è accettatore de' santi e buoni desiderii, el dolce Dio nostro.

E però vi prego e voglio che questa pianta novella la quale el priore vi mandò, chiedendo che fusse ricevuta all'Ordine, voi el riceviate caritativamente: ché egli à una santa e buona volontà, e la condizione naturale è anco buona; e à posto per amore l'affetto alla religione, e singularmente lo Spirito santo el chiama all'Ordine vostro. Non dovete, e io so che voi non volete, fare resistenzia allo Spirito santo.

Maravigliami molto che la risposta venne del no; e ònne avuta grande amirazione. Forse che fu difetto di chi fece l'ambasciata, che non seppe forse meglio fare: non che egli adoperasse altro che bene, ma non seppe più. Ora vi prego per l'amore di Cristo crocifisso che voi al tutto vi disponiate a ricevarlo, che sarà onore di Dio e dell'Ordine; e non mel lassate, però ch'egli è buono giovano, e se non fusse buono io non vel mandarei. E questo vi domando per grazia; e per debito el dovete fare secondo l'ordine della carità. A chi viene a voi a chiedarvi bere, non ne siate scarso: datenegli. A questo m'avedrò se voi starete in sulla croce, a dare bere a l'asetato che vi chiede bere: ché per altra via non veggo che potiamo esser piacevoli a Dio. E però dissi ch'io desideravo di vedervi affamato gustatore e mangiatore del cibo dell'anime per onore di Dio. Altro non dico.

Permanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.



9

A UNA DONNA CHE NON SI NOMINA.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima suoro in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi alluminata della verità di Dio, però che in altro modo non potreste participare la vita della grazia: in questo mondo sareste in continova amaritudine, e nell'ultimo ricevareste l'etterna dannazione, perché, essendo privata del lume, vi scandalizzareste in tutti e' suoi misterii, giudicando quello che vi dà per amore, in odio, e quello che vi desse per vita, in morte.

E che verità dobiamo conosciare, carissima suoro? Dobiamo vedere che Dio sommamente ci ama, e per amore si mosse a crearci a la immagine e similitudine sua (Gn 1,26) per darci a godere l'etterna sua visione. Chi ci manifesta questa verità e questo amore? Il sangue dell'umile e immaculato Agnello, ché essendo noi privati, per lo peccato di Adam, della visione di Dio e isbanditi di vita etterna, fu mandato questo dolce e amoroso Verbo dal Padre a sostenere morte per rendarci la vita, e a lavare le colpe nostre col suo prezioso sangue; ed egli come inamorato corse a l'obrobriosa morte della croce per compire l'obedienzia del Padre, e salute nostra. Non c'è nascosa questa verità: il sangue ce la manifesta, ché se Dio non ci avesse creati per lo fine che detto è, e non ci amasse inestimabilmente, già non ci arebbe dato sì-fatto ricompratore.

L'anima dunque, alluminata di questa verità, subito riceve ne l'occhio de lo 'ntelletto suo el lume della santissima fede, tenendo per certo che ciò che Dio dà e permette in questa vita a la sua creatura, il dà per amore, e perché s'adempia questa verità in noi. Unde subito è fatta paziente che di neuna cosa si turba, ma rimane contenta di ciò che l'è permesso da la divina bontà, portando - con vera e santa pazienzia - infermità, privazione di ricchezze, di stato, di parenti e d'amici. E non tanto che con pazienzia le porti, ma ella l'à in debita riverenzia come cosa mandata a lei dal suo dolce Creatore, per amore e per sua santificazione. E chi è quel matto e stolto che del suo bene si possa turbare? Solo chi è privato del lume, perché non conosce la verità né il suo bene.

Voglio adunque, carissima suoro, che apriate l'occhio de lo 'ntelletto vostro svellendo e dibarbicando ogni radice d'amore proprio e tenerezza di voi, acciò che potiate conosciare questa verità, e che vediate che Dio è sommo medico e sa e può e vuole darci le nostre necessità e la medicina che ci bisogna a la nostra infermità, sì che con una dolce santa e reale pazienzia portiate la medicina ch'egli v'à data per singulare amore. A questo v'invito, dolcissima suoro, acciò che per impazienzia non perdiate el frutto delle vostre fatiche, ma in questa vita stiate in perfetta pace, acordata cola dolce volontà di Dio; e di neuna cosa vi turbiate, se non solo de l'offese che son fatte a lui e del danno dell'anime. Facendo così, dimostrarete d'essere alluminata della verità, e nell'ultimo riceverete infinito frutto de le vostre fatiche.

Òvi avuto compassione del caso avenuto; ma se vi vederò acordata con la volontà di Dio, e trarne quello che dovete, me ne godarò con voi insieme. Altro non vi dico.

Permanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.




10

A Benincasa suo fratello.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi annegato e bagnato nel detto sangue, el quale vi farà forte a portare con vera pazienzia ogni fatica e tribulazione, da qualunque lato elle vengano.

Faravvi perseverante, che infino alla morte sosterrete con vera umilità, perché in esso sangue sarà illuminato l'occhio dello 'ntelletto vostro della verità, cioè, che Dio non vuole altro che la nostra santificazione, perché ineffabilmente ci ama, ché, se non ci avesse molto amati, non arebbe per noi pagato sì-fatto prezzo. State, dunque, state contento in ogni tempo, in ogni stato e luogo, perché tutti vi sono conceduti dall'etterno Padre per amore. Godetevi nelle tribulazioni, e reputatevene indegno che Dio vi mandi per la via del suo Figliuolo; e in ogni cosa rendete gloria e lode al suo nome. Confortatevi in Cristo dolce Gesù. Altro non vi dico.

Permanete etc. Gesù dolce, Gesù amore, Maria dolce.



11

A missere Pietro cardinale d'Ostia.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissimo e reverendo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi uomo virile e non timoroso, a ciò che virilmente serviate a la dolce Sposa di Cristo adoperando per onore di Dio spiritualmente e temporalmente, secondo che nel tempo d'oggi questa dolce sposa à bisogno.

So' certa che se l'occhio dell'intelletto vostro si levarà a vedere la sua necessità, voi el farete sollicitamente e senza alcuno timore o negligenzia. L'anima che teme di timore servile, neuna sua operazione è perfetta; e in qualunque stato si sia, nelle piccole cose e nelle grandi, viene meno, e non conduce quello che à cominciato alla sua perfezione. Oh quanto è pericoloso questo timore! Elli taglia le braccia del santo desiderio, elli acieca l'uomo che non gli lassa cognoscere né vedere la verità, perché questo timore procede da la cechità dell'amore proprio di sé medesimo. Però che subbito che la creatura, che à in sé ragione, s'ama d'amore proprio sensitivo, subbito teme; e questa è la cagione per che teme: perché à posto l'amore e la speranza sua in cosa debile che non à in sé fermezza né stabilità alcuna, anco passa come el vento.

Oh perversità d'amore, quanto se' dannoso a' signori temporali e alli spirituali, e a' sudditi! Se elli è prelato, elli non corregge mai, perché teme di non perdere la prelazione, e di non dispiacere a' sudditi suoi; e così medesimamente al suddito, però che umilità non è in colui che s'ama di così-fatto amore, anco v'è una radicata superbia e il superbo non è mai obediente. Se elli è signore, non tiene giustizia; anco commette molte inique e false ingiustizie, facendole secondo el piacere suo o secondo el piacere delle creature. Così dunque per lo non correggere, e per lo non tenere giustizia, e' sudditi ne diventano più gattivi, perché si notricano ne' vizii e nelle malizie loro.

Poi, dunque, ché tanto è pericoloso l'amore proprio, col disordenato timore, è da fuggirlo, e da aprire l'occhio dell'intelletto nell'obiecto de lo immaculato Agnello, el quale è regola e dottrina nostra; e lui doviamo seguitare, perciò che elli è esso amore e verità, e non cercò altro che l'onore del Padre e la salute nostra. Elli non temeva e' Giudei né loro persecuzione, né la malizia delle dimonia, né infamia né scherni né villania; e nell'ultimo non temette l'obrobiosa morte della croce.

Noi siamo gli scolari, che siamo posti a questa dolce e suave scuola. Voglio dunque, carissimo e dolcissimo padre, che con grandissima sollicitudine e dolce prudenzia apriate l'occhio dell'intelletto in questo libro della vita - el quale vi dà sì dolce e suave dottrina -, e non attendiate a neuna altra cosa che a l'onore di Dio e alla salute dell'anime, e al servigio della dolce Sposa di Cristo. Però che con questo lume vi spogliarete dell'amore proprio di voi, e sarete vestito dell'amore divino; e cercarete Dio per la sua infinita bontà, e perché elli è degno d'essere cercato e amato da noi; e amarete voi e le virtù, e odiarete el vizio per Dio, e di questo medesimo amore amarete el prossimo vostro.

Voi vedete bene che la divina bontà v'à posto nel corpo mistico della santa Chiesa, notricandovi al petto di questa dolce sposa, solo perché voi mangiate a la mensa della santissima croce el cibo de l'onore di Dio e della salute dell'anime. E non vuole che sia mangiato altro che in croce, portando le fadighe corporali con molti ansietati desiderii, sì come fece el Figliuolo di Dio, che insiememente sosteneva e' tormenti nel corpo e la pena del desiderio; e maggiore era la croce del desiderio che non era la croce corporale. El desiderio suo era questo: la fame della nostra redenzione per compire l'obedienzia del Padre etterno; ed erali pena infine che nol vedeva compito. E anco come sapienzia del Padre etterno, vedeva coloro che participavano el sangue suo, e quelli che nol participavano per le colpe loro; il sangue era dato a tutti, unde si doleva per l'ignoranzia di coloro che nol volevano participare. E questo fu quello crociato desiderio che elli portò dal principio infine al fine; data che elli ebbe la vita, non terminò el desiderio, ma sì la croce del desiderio.

E così dovete fare voi e ogni creatura che à in sé ragione, cioè dare la fadiga del corpo e la fadiga del desiderio, dolendovi dell'offesa di Dio e della dannazione di tante anime quante vediamo che periscono.

Parmi che sia tempo, carissimo padre, di dare l'onore a Dio e la fadiga al prossimo; non è dunque da avere più sé con amore proprio sensitivo, né con timore servile, ma con vero amore e santo timore di Dio adoperare. Voi sete posto ora nello spirituale e nel temporale: e però vi prego per l'amore di Cristo crocifisso che facciate virilmente, e procuriate l'onore di Dio quando e quanto potete, consigliando e aitando che i vizii sieno sparti e le virtù sieno essaltate. Sopra l'atto temporale, el quale alla santa intenzione è spirituale, fate virilmente, procacciando quanto voi potete la pace e l'unione di tutto el paese.

E per questa santa operazione, se bisognasse dare la vita del corpo, mille volte, se fusse possibile, si dia.

Ché oscura cosa è a pensare e a vedere, a vederci a guerra con Dio per la moltitudine de' peccati de' sudditi e de' pastori, e per la ribellione che è fatta alla santa Chiesa, con guerra de' corpi; dove la guerra ogni fedele cristiano debba essere apparecchiato a mandarla sopra gl'infedeli, e i falsi cristiani la fanno l'uno contra all'altro. E così scoppiano e' servi di Dio per dolore e amaritudine di vederli tanto offendere, e per la dannazione dell'anime che per questo periscono; e le dimonia godono, ché veggono quello che vogliono vedere.

Bene è dunque da darci la vita per essemplo del maestro della verità, e non curare né onore né vituperio che el mondo ci volesse dare ne le penose pene e morte del corpo. So' certa che se voi sarete vestito de l'uomo nuovo Cristo dolce Gesù, e spogliato del vecchio (Ep 4,22-24 Col 3,9-10), cioè della propria sensualità, che voi el farete sollicitamente, perché sarete privato del timore servile; però che in altro modo nol fareste mai, anco cadareste ne' difetti detti di sopra.

Considerando dunque me che v'era necessario d'essere uomo virile e senza alcuno timore, e privato dell'amore proprio di voi - perché sete posto da Dio in offizio che non richiede timore se non santo timore -, però vi dissi che io desideravo di vedervi uomo virile e non timoroso. Spero nella divina bontà, che farà grazia a voi e a me, cioè d'adempire la volontà sua, e 'l vostro desiderio e 'l mio. Pace pace pace, padre carissimo. Raguardate voi e gli altri, e fate vedere al santo padre più la perdizione dell'anime che quella delle città, però che Dio ci richiede l'anime più che le città. Altro non dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



12

All'abbate di santo Antimo.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, venerabile e reverendissimo padre in Cristo Gesù, la vostra indegna figliuola Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, vi si racomanda, con desiderio di vedervi bagnato e affogato nel sangue del Figliuolo di Dio, el quale sangue ci farà parere ogni amaritudine dolce, e ogni gran peso leggiero; faràvi seguitare le vestigie di Cristo - el quale disse che è pastore buono -, che poneva la vita per le pecorelle sue (Jn 10,11).

E così desidera l'anima mia di vedere, padre, che voi siate uno vero pastore, perduto ad ogni amore proprio di voi medesimo, e con desiderio virile abbiate e teniate l'occhio fisso, che non si serri mai, a raguardare l'onore di Dio e la salute de le creature. Fate, fate buona guardia che 'l dimonio none imboli le pecorelle vostre. O quanto sarà dolce e soave a voi e a me, se io vedrò che voi non curiate né morte né vita, né onori né vitoperio, né scherni né ingiurie, né neuna persecuzione che 'l mondo vi potesse dare o i sudditi vostri: solo attendare e curare dell'ingiurie che sono fatte a Dio. E qui ponete la vostra sollecitudine, sì che dimostriate d'essare pastore e uno vero ortolano: pastore per correggiare, e ortolano per rivollare la terra sottosopra, cioè rivollare la disordenata vita nell'ordenata, divellarne el vizio, piantarvi le virtù, quanto sarà possibile a voi, con l'aiutorio de la dolce e divina grazia, la quale viene abbondantemente all'anima che avarà fame e desiderio di Dio.

Questa fame acquistaremo in sul legno de la santissima croce, però che ine trovarete l'Agnello isvenato e uperto per noi, con tanta fame e desiderio dell'onore del Padre e de la salute nostra, tanto che non pare che possa mostrare in effetto per pena nel corpo suo quant'egli à desiderio di dare. Questo parbe che volesse dire, quando gridò in croce: «Sitio» (Jn 19,28), quasi dicesse: «Io ò sì gran sete de la vostra salute, ch'io non mi posso saziare. Datemi bere». Dimandava el dolce Gesù di bere coloro ched e' vedeva che non participavano la redenzione del sangue suo; non gli fu dato bere altro che amaritudine. Oimé, dolcissimo padre, continuamente vediamo che, non tanto al tempo de la croce, ma poi e ora, continuamente ci adimanda questo bere e dimostra continua sete.

Oimé, disaventurata a me, non mi pare che la creatura gli dia altro che amaritudine e puzza di peccati.

Adunque bene ci doviamo levare, con fame e sollecitudine, a raguardare la fame sua, acciò che, inebriata, l'anima non possa altro desiderare né amare, se non quello che Dio ama, e odiare quello che Dio odia: singularmente voi che sete pastore. Corrite corrite, venerabile padre, senza negligenzia e ignoranzia, ché 'l tempo è breve ed è nostro. Mandastemi a dire che avavate trovato l'orto senza piante. Confortatevi e fate ciò che potete, ch'io spero ne la bontà di Dio che l'ortolano de lo Spirito santo fornirà l'orto, e provedarà in questo e in ogni altro bisogno. Mando a voi costui che vi reca la lettara: ragionaravi di monna Moranda, donna di misser Francesco da Monte Alcino, che à per le mani alcuna giovana e fanciulla che à uno buono desiderio di fare la volontà di Dio, per la quale cosa ella vorrebbe rinchiudarle per modo che a me non piace troppo. Per la qual cosa io vorrei che voi ed ella fuste insieme; e quanto fusse la vostra possibilità di poterlo fare, di trovare uno luogo ordenato, acciò che si potesse fondare uno vero e buono monasterio, e mettarvi dentro due buoni capi, ché de le membra n'abiamo assai per le mani. Credo che, facendolo, sarebbe grande onore di Dio. Prego la somma bontà che ne dispensi el meglio, e voi faccia sollecito in questo e in ogni altra vostra operazione, in tanto che voi diate la vita per Cristo crocifisso.

Prego che mi mandiate a dire se 'l monisterio di Santo Giovanni in Valdarno è sotto la cura vostra, per alcuno caso che vi dirà costui che vi reca la lettara. Altro non dico.

Permanete ne la santa dilezione di Dio.

Io, serva inutile, mi vi racomando. Gesù dolce, Gesù.



13

A Marco Bindi mercatante.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondato in vera e santa pazienzia, però che in altro non potremmo piacere a Dio, ma perdaremmo el frutto delle nostre fadighe, e però c'è bisogno questa gloriosa virtù della patientia.

E se voi mi diceste, carissimo fratello: «Io ò le grandi fadighe, e non mi sento forte ad avere questa pazienzia; né non so in che modo acquistarla», io vi rispondo che neuno è che voglia seguitare la ragione che non la possa avere. Ma bene vi confesso che noi siamo fragili e debili per noi medesimi, secondo la sensualità, e spezialmente quando l'uomo ama molto sé e le creature e la sustanzia temporale sensualmente. Unde amandole tanto d'uno amore tenero sensitivo, quando poi le perde ne riceve intollerabile pena.

Ma Dio che è nostra fortezza, se noi vorremo con la ragione, con la forza della volontà, e con la mano del libero arbitrio conculcare la fragilità nostra, Dio non dispregiarà la forza che faremo a noi medesimi per non dolerci disordenatamente. Però che elli è acettatore de' santi desiderii e daracci questa dolce e reale virtù; e portaremo ogni fadiga con vera e santa pazienzia. Sì che vedete che ogni uno la può avere, se vorrà usare la ragione che Dio gli à data e non seguitare solamente la fragilità. Però che sarebbe cosa molto sconvenevole che noi, creature ragionevoli, non usassimo altra ragione che gli animali bruti, però che essi non possono usare la ragione, perché non l'ànno; ma noi, perché l'aviamo, la doviamo usare e, non usandola, veniamo a impazienzia e scandalizzianci ne le cose che Dio à permesse a noi; e così l'offendiamo.

Che modo dunque potiamo tenere ad avere questa pazienzia, poi che io la posso e debbo avere, e senza essa offendarei Dio? Quattro cose principali ci conviene avere e considerare. E prima dico che ci conviene avere el lume della fede, nel quale lume della fede santa acquistaremo ogni virtù; e senza questo lume andaremmo in tenebre, sì come el cieco a cui el dì gli è fatto notte. Così l'anima senza questo lume: quello che Dio à fatto per amore - el quale amore è uno dì lucido sopra ogni luce - ella se 'l reca a notte, cioè a notte d'odio, tenendo che per odio Dio gli permetta le tribulazioni e le fadighe che elli à: sì che vedete che ci conviene avere el lume della santissima fede.

La seconda cosa si è - la quale s'acquista con questo lume, cioè che in verità ci conviene credere, e non tanto credere ma esserne certi, come elli è -, che ogni cosa che à in sé essere procede da Dio, eccetto el peccato, che non è. La mala volontà de l'uomo che commette el peccato non fa elli, ma ogni altra cosa, o per fuoco o per acqua o per altra morte, o qualunque altra cosa si sia, ogni cosa procede da lui. E così disse Cristo ne l'evangelio, che non cadeva una foglia d'arbolo senza la sua providenzia; dicendo ancora più, cioè che e' capelli del capo nostro sono tutti numerati (Mt 10,30 Lc 12,7), e neuno ne cadeva che elli nol sapesse. Se dunque così dice de le cose insensibili, molto maggiormente à cura di noi creature ragionevoli; e in ciò che elli ci dà e permette usa la providenzia sua, e ogni cosa è fatta con misterio, per amore e non per odio.

La terza cosa è questa: che elli ci conviene vedere e cognoscere in verità, col lume della fede, che Dio è somma ed etterna bontà, e non può volere altro che el nostro bene, però che la volontà sua è che noi siamo santificati in lui; e ciò che elli ci dà e permette, ci dà per questo fine. E se noi di questo dubbitassimo, che elli volesse altro che el nostro bene, non ne potiamo dubbitare se noi raguardiamo el sangue de l'umile e immaculato Agnello. Però che Cristo aperto, appenato e afflitto di sete in croce, ci mostra che el sommo ed etterno Padre ci ama inestimabilemente: però che per l'amore che elli ebbe a noi, essendo noi fatti nemici per lo peccato commesso, ci donò el Verbo dell'unigenito suo Figliuolo e il Figliuolo ci dié la vita, correndo come inamorato all'oprobiosa morte della croce.

Chi ne fu cagione? l'amore che elli ebbe alla salute nostra; sì che vedete che el sangue ci tolle ogni dubbitazione che noi avessimo, che Dio volesse altro che el nostro bene. E come può la somma bontà fare altro che bene? non può. E la somma ed etterna providenzia, come usarà altro che providenzia? Colui che ci à amati prima che noi fussimo, e per amore ci creò alla imagine e similitudine sua (Gn 1,26), non può fare che elli non ci ami, e che non ci provegga in ogni nostro bisogno, nell'anima e nel corpo.

Sempre ci ama in quanto creature sue; ma solo el peccato è quello che elli odia in noi, e però elli ci permette molte fadighe in questa vita sopra e' corpi nostri, o nella sustanzia temporale in diversi modi, secondo che elli vede che noi abbiamo bisogno. E sì come vero medico, dà la medicina che bisogna alla nostra infermità; e questo fa, o per punire e' nostri difetti in questo tempo finito - a ciò che meno pene riceviamo nell'altra vita -, o elli el fa per provare in noi la virtù della pazienzia: sì come fece a Job, che per provare la pazienzia sua gli tolse e' figliuoli e tutta la sustanzia temporale che elli aveva (Jb 1,13-19), e nel corpo suo dié una infermità (Jb 2,7) che continuamente menava vermini; la moglie gli riserbò per sua croce e stimolo, però che sempre tribolava Job con molta villania e rimproverio (Jb 2,9). E poi che Dio ebbe provata la pazienzia sua, gli restituì a doppio ogni cosa (Jb 42,10). Job mai in queste cose non si lagnò, anco diceva: «Dio me le dié e Dio me l'à tolte; sempre sia benedetto el nome suo » (Jb 1,21).

Alcuna volta Dio ce le permette a ciò che noi cognosciamo noi medesimi, e la poca fermezza e stabilità del mondo; e perché tutte le cose che noi possediamo, e la vita e la sanità, moglie e figliuoli, ricchezze, stati e delizie del mondo, tutte le possediamo come cose prestate a noi per uso da Dio, e non come cose nostre; e così le doviamo usare. Questo c'è a noi manifesto che elli è così, però che neuna cosa potiamo tenere che nostra sia che non ci possa essere tolta, se non solo la grazia di Dio: questa grazia né dimoni né creature (...) - né per alcuna tribulazione ci può essere tolta - se noi non vogliamo. Quando l'uomo cognosce questo, cioè la perfezione della grazia e la imperfezione del mondo e de la vita nostra corporale, gli viene in odio el mondo con tutte le sue delizie e la propria fragilità sua, che è cagione spesse volte, quando ama sensitivamente, di tollarci la grazia; e ama le virtù che sono strumento a conservarci nella grazia.

Sì che vedete che Dio per amore ce le permette, a ciò che con cuore virile ci stacchiamo dal mondo con ogni santa sollicitudine, col cuore e con l'affetto; e cerchiamo un poco e' beni immortali, e abandoniamo la terra con tutte le puzze sue e cerchiamo el cielo; però che noi non fummo fatti per notricarci di terra, ma perché noi in questa vita stiamo come pellegrini che sempre corriamo al termine nostro di vita etterna, con vere e reali virtù. E non ci doviamo ristare tra via per alcuna prosperità o diletto che el mondo ci volesse dare, né per aversità, ma corrire virilmente e non vollarsi a loro né con disordenata allegrezza né con impazienzia, ma con pazienzia e santo timore di Dio tutte trapassarle.

Di grande necessità v'era questa tribolazione: Dio vi dava el desiderio di sciogliarvi e' molti legami, e sviluppare la conscienzia vostra, onde da l'uno lato vi tirava el mondo e da l'altro Dio. Ora Dio, per grande amore che elli à alla salute vostra, v'à sciolto e datavi la via, se voi la saprete pigliare: a loro à dato vita etterna, e voi chiama col tesoro della tribolazione, perché voi non ne siate privato, ma perché in questo punto del tempo che v'è rimaso cognosciate la bontà sua e i difetti vostri.

La quarta cosa che ci conviene avere per potere venire a vera pazienzia, è questa: che noi consideriamo e' peccati e i defetti nostri, e quanto aviamo offeso Dio, el quale è bene infinito: per la quale cosa seguitarebbe - non tanto che de le grandi colpe, ma d'una piccola - pena infinita; e degni siamo di mille inferni, considerando chi siamo noi miserabili che aviamo offeso el nostro Creatore, e chi è el dolce Creatore nostro che è offeso da noi. Vediamo che elli è colui che è bene infinito, e noi siamo coloro che non siamo per noi medesimi, però che l'essere nostro e ogni grazia che è posta sopra l'essere aviamo da lui; noi per noi siamo miseri miserabili.

E non di meno che noi meritiamo pena infinita, elli con misericordia ci punisce in questo tempo finito, nel quale tempo, portando le fadighe con pazienzia, si scontia e merita; che non aviene così de le pene che sostiene l'anima nell'altra vita, però che se ella è alle pene del purgatorio, sì scontia, ma non merita. Bene doviamo dunque portare volontariamente questa fadiga piccola: piccola si può dire questa e ogni altra, per la brevità del tempo, però che tanto è grande la fadiga quanto è grande el tempo in questa vita. Quanto è el tempo nostro? è quanto una punta d'aco; adunque bene è vero che ella è piccola: la fadiga che è passata io non l'ò, però che è passato el tempo; quella che è a venire anco non l'ò, però che non so' sicura d'avere el tempo, con-ciò-sia-cosa-che io debbo morire e non so quando. Solo dunque questo punto del presente c'è, e più no.

Adunque, bene doviamo portare con grande allegrezza, però che ogni bene è remunerato e ogni colpa è punita. E Paulo dice: «Non sono condegne le passioni di questa vita a quella futura gloria che riceve l'anima che porta con buona pazienzia» (Rm 8,18). Or a questo modo potrete portare, e acquistare la virtù della vera pazienzia; la quale pazienzia, acquistata per amore e col lume della santissima fede, vi rendarà el frutto d'ogni vostra fadiga. In altro modo perdareste el bene della terra e il bene del cielo, però che altro modo non ci à. E però vi dissi che io desideravo di vedervi fondato in vera e santa pazienzia, e così vi prego che facciate. Abbiate memoria del sangue di Cristo crocifisso, e ogni amaritudine vi tornarà in dolcezza, e ogni grande peso vi tornarà leggiero. E non vogliate eleggere né tempo né luogo a vostro modo, ma siate contento nel modo che Dio ve l'à date.

Òvi avuta compassione del caso avenuto: secondo l'aspetto pare molto forte, e non di meno elli è fatto con grande providenzia e per vostra salute. Pregovi che vi confortiate, e che non veniate meno sotto questa dolce disciplina di Dio. Altro non vi dico se non che sappiate cognoscere el tempo, mentre che voi l'avete.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.




Caterina, Lettere 7